argomento: COVID-19 - Legislazione e prassi
L’articolo affronta il tema delle possibili misure da adottare per finanziare le spese necessarie per l’emergenza e per la ripresa. Ad una critica rispetto all’ipotesi di introdurre nuove imposte, si affianca la proposta di altre misure ispirate dall’obiettivo di stimolare i consumi e gli investimenti.
PAROLE CHIAVE: coronavirus - imposte patrimoniali - agevolazioni - prestito forzoso
di Antonio Viotto
1. In un recente articolo pubblicato su questa Rivista, il Prof. Giuseppe Marini si è occupato di alcune misure impositive straordinarie che, in linea teorica, il Governo potrebbe adottare nel tentativo di reperire risorse per far fronte alle esigenze finanziarie generate dalla situazione di emergenza che stiamo vivendo.
Dello stesso tema ha trattato anche il Prof. Contrino, in un articolo apparso sul supplemento on line della Rivista di Diritto Tributario.
In particolare, le misura che vengono considerate sono prelievi di natura patrimoniale che possono riguardare le somme depositate sui depositi bancari e sui conti correnti ovvero, più in generale, i patrimoni di grande entità.
Al giudizio positivo sul piano della fattibilità giuridica, gli Autori affiancano una valutazione fortemente critica sul piano sociale e politico.
In effetti, si tratta di misure che evocano pagine veramente brutte della storia del nostro sistema tributario (come il prelievo effettuato nel 1992 dal Governo Amato dai conti bancari), che avrebbero un impatto molto negativo su un’opinione pubblica stremata dal punto di vista psicologico, economico e sociale dalla situazione di emergenza generata dal lockdown del persone e dalla chiusura forzata delle attività produttive.
2. Ora, per alimentare il dibattito avviato dallo scritto dei colleghi (e condividendo le critiche dagli stessi formulate), a me pare di poter dire che la prospettiva di intervento dovrebbe essere orientata in senso opposto rispetto all’introduzione di nuove imposte: non già, dunque, a drenare risorse dall’economia privata, bensì a stimolare il ritorno in circolo di quelle risorse per finanziare una ripresa che deve essere esplosiva per recuperare il terreno forzatamente perduto, una ripresa che dovrebbe assolutamente far leva sull’aumento dei consumi e degli investimenti.
Dopo il superamento dell’emergenza sanitaria, infatti, si deve ora avviare una fase di ricostruzione, simile a quella che i nostri padri hanno affrontato nel periodo post-bellico, con la differenza che qui la distruzione, oltre alle vite delle persone, non ha riguardato le strutture materiali, ma ha comunque inciso profondamente sul versante economico e sociale.
E’ chiaro che lo Stato si trova a fronteggiare una situazione finanziaria molto grave per sostenere le enormi spese del settore sanitario e quelle delle misure di solidarietà e di sostegno a favore dei lavoratori e del mondo produttivo.
Si tratta di interventi di ricostruzione di un tessuto economico e sociale che è stato profondamente lacerato dall’emergenza, interventi che non dovrebbero tuttavia limitarsi a risanare le lesioni, ma essere diretti a prevenire altri disastri simili nel futuro e a creare le premesse per un più solido ed equilibrato sviluppo.
Mi pare, infatti, che l’esperienza che tutti abbiamo vissuto abbia reso evidente la necessità di porre in essere interventi strategici, quali, ad esempio, solo per citarne alcuni, il rafforzamento della spinta verso la digitalizzazione del Paese, con l’obiettivo di arrivare in tempi brevi alla copertura della connessione internet di tutto il territorio nazionale, con collegamenti veloci e stabili; l’incentivo all’acquisto di computer e dispositivi elettronici che consentano a tutti di poter accedere ai servizi di comunicazione e di lavoro a distanza; la realizzazione di investimenti per attuare nuovi modelli di organizzazione del lavoro all’interno delle strutture produttive e degli uffici; lo svolgimento di un’attività di formazione massiccia sull’utilizzo dell’e-learning da parte del corpo docente di ogni ordine e grado; la digitalizzazione dei volumi presenti nelle biblioteche universitarie al fine di consentirne la consultazione on line da parte degli studenti e dei ricercatori.
Senza naturalmente trascurare il rafforzamento delle strutture di emergenza degli ospedali, il rifornimento stabile e adeguato di materiali di protezione per gli operatori sanitari e per tutta la popolazione, il massiccio potenziamento della ricerca scientifica, soprattutto in campo biomedico, ecc.
3. Ebbene, di fronte a queste esigenze e a queste sfide, ritengo sarebbe un grave errore pensare di ricorrere, in una fase così delicata di ricostruzione e di rilancio, ad ulteriori prelievi fiscali, senza aver prima pensato a come ristrutturare il sistema fiscale, per renderlo più coerente, più equo, più semplice e meglio orientato verso le linee di sviluppo (peraltro tutte ancora da definire) del sistema economico e sociale, e, soprattutto, senza aver prima attuato misure dirette a ristrutturare la spesa pubblica, a rendere l’apparato statale, e pubblico più in generale, molto più efficiente e funzionale alle reali esigenze della società, a ridurre il peso di una burocrazia purtroppo sempre più invadente, asfissiante, inefficiente e autoreferenziale.
Senza questi interventi, che dovrebbero costituire le basi di ogni società moderna, è chiaro che ogni ulteriore prelievo verrebbe percepito dai più come un sopruso o un esproprio, se non come una sorta di rigurgito di certe ideologie politiche (che la Storia pareva aver sepolto sotto le macerie di un Muro), posto in essere col pretesto di realizzare una (più che altro) apparente redistribuzione delle risorse.
Redistribuzione che, sia chiaro, è in linea generale sacrosanta, ma che non può essere affidata ad interventi estemporanei da adottare sull’onda dell’emotività causata dal momento di grave emergenza e dall’ansia di avviare la ricostruzione.
Peraltro, l’idea che – attraverso nuovi prelievi patrimoniali – siano i “ricchi” a pagare i costi della “distruzione” e della ricostruzione è forviante: sia perché, se si pensa che, prelevando la liquidità dai conti correnti e dai depositi, si vadano a colpire i più ricchi si sbaglia di grosso, in quanto tale forma di prelievo non è selettiva (dal momento che i depositi bancari e postali non sono in grado di fotografare l’intera ricchezza di una persona); sia perché, più in generale, vi sono grandi patrimoni che tendenzialmente sfuggono all’imposizione in quanto non sono tracciati (quali quadri e opere d’arte, gioielli, preziosi e mobilio) e che, per essere tassati, richiederebbero dei meccanismi di controllo sofisticati la cui introduzione è incompatibile con i tempi e le esigenze delle situazioni emergenziali (anche se, per esempio, si potrebbe pensare di incrociare i dati delle assicurazioni contro i furti e gli incendi per avere una prima idea dei valori dei beni mobili assicurati).
4. Ed allora come fare?
Mi pare chiaro che siamo di fronte alla necessità di attuare interventi costosi che un Paese fortemente indebitato ed inefficiente come il nostro ben difficilmente sarebbe in condizione di attuare da solo.
Certo, sarebbe questo il momento per le istituzioni europee di dimostrare che l’Europa è diventata qualcosa di più di una semplice unione economica, di una mera aggregazione di mercati, che è diventata una Comunità in grado di mettere in atto forme di solidarietà nei confronti dei Paesi maggiormente colpiti, attraverso la destinazione di fondi straordinari da utilizzare per far fronte agli extra costi generati dalla pandemia e per realizzare una rapida ed efficiente ricostruzione.
C’è bisogno dunque di risorse che non dovrebbero essere solo debito, ancorchè a lunga scadenza e a basso costo, risorse che in parte potrebbero arrivare dalla temporanea riduzione dei trasferimenti lordi versati all’Unione europea ovvero dalla rimodulazione dei trasferimenti che dall’Unione affluiscono ai singoli Stati che tenga conto dalla diversa incidenza che la diffusione del virus ha avuto sulle economie di ciascuno di essi.
5. Al tempo stesso, sul versante interno, pensare di ricorrere all’ulteriore tassazione, come ho detto, sarebbe sbagliato e controproducente: al contrario, si dovrebbero privilegiare misure espansive che facilitino la crescita e, in questo senso, ritengo sia necessario che le risorse restino il più possibile nell’economia, che vengano investite (soprattutto nei settori strategici) e impiegate nei consumi, al fine di generare incrementi di PIL, che a loro volta producono incrementi di gettito.
In questa prospettiva, la leva fiscale potrebbe allora essere utilizzata per incentivare gli investimenti privati e per convogliare il risparmio nazionale verso il settore produttivo privato: penso, ad esempio, al potenziamento delle agevolazioni per l’industria 4.0 e per la formazione del personale, per l’assunzione stabile di nuovi dipendenti, per lo sviluppo sostenibile, per le rottamazioni di veicoli, elettrodomestici e mobili, per la sostituzione e l’ammodernamento degli impianti, per le ristrutturazioni di immobili (e, perché no, anche per l’acquisto di nuovi immobili), per la digitalizzazione e per la completa informatizzazione delle imprese e delle famiglie; ma penso anche, come incentivo ai consumi e per favorire l’emersione del c.d. nero, a crediti d’imposta a fronte delle spese sostenute presso strutture ricettive localizzate sul territorio nazionale o a fronte delle spese di consumo pagate con mezzi elettronici.
6. Si potrebbe anche pensare a forme di erogazione volontaria da parte dei contribuenti, a favore dello Stato, che andrebbero a costituire una sorta di fondo individuale da utilizzare per il pagamento delle imposte dovute in caso di futuri accertamenti, magari incentivando tale erogazione con la previsione dell’azzeramento dei relativi interessi e con uno sconto della sanzione base connessa all’imposta che verrebbe pagata utilizzando detto fondo. Decorsi poi dieci anni dal versamento volontario, le somme ancora presenti nel fondo (perché non utilizzate) potrebbero essere destinate al pagamento delle imposte correnti dei successivi periodi d’imposta.
Si tratterebbe – è bene precisarlo – di un’ipotesi che non rappresenterebbe un condono, dal momento che non ci sarebbe alcun abbattimento forfettario dell’imponibile o dell’imposta, l’azzeramento degli interessi sarebbe la logica conseguenza del versamento anticipato da parte del contribuente e la riduzione della sanzione potrebbe essere considerata alla stregua di una premialità per il comportamento comunque positivo adottato dal contribuente, il quale, con il suo versamento anticipato consentirebbe allo Stato di ottenere risorse immediate a costo zero per fronteggiare l’emergenza e la ricostruzione.
Se poi si volesse renderla più attraente, si potrebbe pensare di prevedere che le somme versate nel fondo e utilizzate per pagare le maggiori imposte accertate, non vengano computate al fine dell’eventuale superamento delle soglie di punibilità penale previste per i reati tributari meno gravi (quali quelli dell’art. 4, 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, del D.Lgs. n. 74/2000), con un conseguente effetto positivo sui carichi di lavoro delle Procure e dei Tribunali.
7. Infine, se proprio si volesse pensare a qualche forma di prelievo coattivo, temporanea e straordinaria, si potrebbe ipotizzare di far ricorso, anziché a nuove imposte, ad un prestito forzoso, rappresentato da titoli di Stato ad hoc, con un tasso di interesse pari all’inflazione, ma esenti da imposte (anche patrimoniali), la cui sottoscrizione potrebbe essere obbligatoria per tutti i titolari di un reddito superiore ad una certa soglia o di un patrimonio (mobiliare e immobiliare) superiore ad un certo importo, in proporzione al reddito o al patrimonio posseduti, con possibilità di imporre obblighi di sottoscrizione maggiori per le società appartenenti ai settori che più si sono avvantaggiati nel corso dell’emergenza.
Si potrebbe trattare di titoli che, oltre ad essere cedibili, dovrebbero essere accettati automaticamente dal sistema bancario a garanzia di finanziamenti con scadenza pari a quella dei titoli stessi e con tasso di interesse agevolato e predeterminato.
Ma quel che è più importante è che il “gettito” dovrebbe essere chiaramente destinato ad investimenti strategici e/o a interventi di ricostruzione chiaramente individuati in modo tale che ogni (forzato) creditore possa avere una chiara percezione di come sono stati impiegati i suoi risparmi.
Come a dire: “tu cittadino sei obbligato a finanziare lo Stato per un certo periodo, ma puoi verificare sempre come sono stati impiegati i tuoi soldi e, comunque, se hai necessità di denaro per le tue esigenze personali/societarie lo puoi ottenere utilizzando quel titolo come garanzia per avere un finanziamento dalla banca ad un tasso agevolato”.
Mi rendo conto che si tratterebbe di una soluzione complicata, le cui numerose implicazioni andrebbero ulteriormente approfondite sia sul versante giuridico sia su quello economico, che comunque ha già autorevoli sostenitori in ambito accademico e finanziario.
Per semplificare, mi pare che, in questo modo, la situazione potrebbe essere così sintetizzata: lo Stato potrebbe ottenere risorse stabili per un periodo fissato, ad un costo contenuto, per finanziare interventi di ricostruzione e di sviluppo chiaramente individuati; la liquidità ferma nei depositi (meglio ancora se rientrante dall’estero) verrebbe rimessa in circolazione; i cittadini contribuirebbero alla rinascita del Paese, confidando di potersi riappropriare dei loro risparmi una volta conclusa la fase di ricostruzione e di rilancio e potendo contare sulla possibilità di smobilizzare l’investimento forzato accedendo al finanziamento bancario; il sistema bancario potrebbe erogare credito, con la garanzia dello Stato, e realizzare un margine di interesse.
L’unico rischio è che lo Stato non ce la faccia ad onorare quel debito alla scadenza, ma allora potremmo forse chiedere di diventare un altro Land della Germania …