Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

31/01/2023 - La competenza amministrativa in ambito di recupero del credito R&S e parere preventivo del MISE

argomento: Agevolazioni - Giurisprudenza

Nel recente periodo, un orientamento giurisprudenziale ritiene non validi gli atti di recupero del credito d'imposta Ricerca e Sviluppo (periodi 2015-2019) emessi dall'Agenzia delle Entrate in assenza di un preventivo parere del Ministero dello Sviluppo Economico. Le quattro decisioni esaminate dimostrano tuttavia la non omogeneità delle ragioni che, nelle rispettive sentenze, i giudici tributari hanno posto a fondamento dell'illegittimità degli accertamenti tributari. Successivamente ad un esame della normativa applicabile, in questo saggio si tenterà di individuare quali siano le ragioni che determinano la nullità dell'avviso di accertamento emesso senza il preventivo parere del MISE.

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PAROLE CHIAVE: ricerca e sviluppo - parere MISE - competenza amministrativa - credito di imposta


di Francesco Odoardi

1. Nel recente periodo, si assiste alla formazione di un orientamento interpretativo della giurisprudenza di merito in materia di credito di imposta R&S che, avente ad oggetto la previgente normativa (art. 3 D.L. n. 145 del 2013), afferma l’illegittimità dell’atto di recupero emesso dall’Agenzia delle Entrate non supportato da un previo parere del Ministero dello Sviluppo Economico (di seguito, anche detto MISE). È un orientamento di notevole interesse, sia in considerazione delle ricadute che potrebbe avere in questa materia già caratterizzata da diversi aspetti controversi (come è dimostrato anche dalla recente “sanatoria” di cui all’art. 5, commi 7 e ss., del DL n. 146 del 2021: si vedano al riguardo le condivisibili osservazioni di Viotto, Luci ed ombre sulla “sanatoria” per i crediti d’imposta ricerca e sviluppo, in Riv. trim. dir. trib., 2022, 595 e ss.; si veda anche Boria, Le nuove prospettive della fiscalità di vantaggio connesse alla disciplina del credito di imposta per attività di ricerca e sviluppo, in Dir. e prat. trib., 2022, 1236 e ss. con ampia rassegna di giurisprudenza a p. 1263; Califano, Le sanzioni per le violazioni commesse in materia di agevolazioni fiscali per ricerca e sviluppo. Dalla prassi interpretativa alla ricostruzione teorica (e non viceversa), in Riv. dir. trib., 2020, 353 e ss.), sia perché nelle decisioni selezionate (ex multis) il “vizio” di mancata acquisizione del preventivo parere del MISE assume colorazioni diverse, pur determinando il medesimo effetto di caducazione dell’atto impugnato. Una volta individuati i passaggi argomentativi maggiormente significativi delle pronunce in commento, premessi alcuni opportuni cenni in merito alla normativa di riferimento, si esamineranno le possibili conseguenze derivanti dalla mancata richiesta del parere preventivo al MISE da parte dell’Agenzia delle Entrate sotto le diverse possibili angolazioni, illustrando altresì i riflessi delle varie tesi.

2. Si passa, dunque, all’esame dei passaggi maggiormente significativi delle quattro decisioni, procedendo secondo un ordine cronologico, partendo dalla decisione più recente per arrivare alla decisione più risalente (che, pur essendo stata pubblicata oltre un anno fa, merita di essere commentata insieme alle altre per la particolarità del principio su cui si fonda). La motivazione della sentenza pronunciata dalla CTP Ancona 24 maggio 2022, n. 324 può essere così riassunta “…a fronte della natura tecnica degli accertamenti da esperire, l'Ufficio - prima di pronunciarsi negativamente sul riconoscimento dell'agevolazione fiscale prevista dall'art. 3 D.L. n. 145 del 2013 per le imprese che effettuano investimenti in attività di ricerca e sviluppo - avrebbe dovuto richiedere un parere tecnico al Ministero dello Sviluppo Economico ai sensi dell'art. 8, comma II, del Decreto Attuativo 27.5.2015; ciò in quanto l'Agenzia delle Entrate è naturalmente deputata a verificare gli aspetti contabili e fiscali del credito, ma non i profili tecnici degli investimenti agevolati, la cui valutazione spetta appunto al Mi.S.E. ovvero, in alternativa, a consulenti specializzati del settore. A supporto di tale affermazione, i giudici richiamano la Circolare n. 31/E/2020, laddove si afferma che "in relazione alla possibilità di qualificare una determinata attività di ricerca e sviluppo come agevolabile", gli Uffici sono tenuti a "provvedere alla acquisizione di ogni elemento tecnico utile al caso attraverso il confronto diretto con il Mi.S.E.", nonché la Circolare 26 luglio 2021, n. 10419 del Comando Generale della Guardia di Finanza in cui si legge che la "effettiva indispensabilità del parere del Mi.S.E.” è finalizzata alla “sostenibilità dei rilievi”. La pressoché contemporanea CTP Napoli 2 maggio 2022, n. 4988 pone in evidenza due distinti profili statuendo che, da un canto, “l'Agenzia delle Entrate non può rivendicare dirette conoscenze di natura tecnico-scientifica tali da consentire una congrua valutazione circa la rispondenza delle attività di ricerca e sviluppo ai parametri normativamente previsti per la fruizione del credito d'imposta” e, d’altro canto, “le pur articolate motivazioni espresse nell'atto impositivo, in mancanza di un parere tecnico emesso dall’organo a ciò preposto (il MISE), si pongono di fatto sullo stesso piano delle altrettanto articolate deduzioni difensive e, quindi, appaiono intrinsecamente insufficienti a legittimare la pretesa impositiva”. La CTP Vicenza 11 gennaio 2022, n. 14 sposta, invece, l’attenzione sulla motivazione dell’atto di recupero così statuendo: “il contribuente che riceve un atto impositivo ha diritto di conoscerne la motivazione, cioè la proposizione delle ragioni di fatto e di diritto offerta dall'Ente impositore. Occorre quindi verificare se la motivazione del provvedimento avversato sia nella specie adeguata. Ebbene, nel caso in esame, l'atto di recupero impugnato non appare immune dagli evocati vizi: infatti, non è revocabile in dubbio che, attesa l'elevata complessità tecnica dell'attività svolta da (...) per sviluppare il software in questione, l'Ufficio avrebbe dovuto opportunamente svolgere - se competente -un'approfondita analisi tecnica, ovvero richiedere un parere al MISE. Invece, la più risalente CTP Ancona 11 agosto 2021, n. 392 (richiamata sia nell’ultima decisione dei medesimi giudici anconetani, sia in quella dei giudici napoletani) presenta argomentazioni così riassumibili: quando “la natura tecnica degli accertamenti debba prevalere, la mera possibilità che sembrerebbe sottintesa al comma 12 dell'articolo 3 della normativa primaria - ‹‹...la predetta Agenzia può richiedere al Ministero dello sviluppo economico di esprimere il proprio parere...›› - esprime in realtà la necessità di una discrezionalità tecnica che non può essere autonomamente esercitata dalla pubblica amministrazione se non attraverso il parere necessario degli organi tecnici e quindi delle strutture in seno al Ministero dello Sviluppo Economico o altri enti pubblici che, se del caso, possono essere chiamati in veste di consulente super partes” con la conseguenza che l’atto di recupero emanato in assenza di un parere tecnico sarebbe affetto da un vizio di eccesso di potere.

3. Prima di esaminare i possibili effetti delle quattro decisioni in commento, sembra opportuno soffermarci sulla normativa ratione temporis applicabile, in particolare quella vigente fino al 2019 (successivamente, l’agevolazione è regolata dall’art. 1, commi 198-209, della L. n. 160 del 2019). A tale proposito, si osserva che l’art. 3 del D.L. n. 145 del 2013, applicabile per i periodi di imposta 2015-2019, è stato oggetto di ripetute modifiche, tra le quali quella entrata in vigore il 1° gennaio 2015 presenta indubbi riflessi ai fini che ci occupano. Il comma 7 della versione vigente fino al 31 dicembre 2014 del citato art. 3 disponeva che “Per fruire del contributo le imprese presentano un'istanza telematica mediante le modalità tecniche predisposte dal Ministero dello sviluppo economico secondo quanto previsto al successivo comma 12”. Il successivo comma 9 prevedeva, poi, che “Per la verifica della corretta fruizione del credito d'imposta di cui al presente articolo, il Ministero dello sviluppo economico e l'Agenzia delle entrate effettuano controlli nei rispettivi ambiti di competenza secondo le modalità individuate dal decreto di cui al comma 12 del presente articolo”. Infine, il successivo comma 12 disponeva che con “… decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per la coesione territoriale, sono adottate le disposizioni applicative necessarie, ivi comprese … le modalità di verifica e controllo dell'effettività delle spese sostenute e della coerenza delle stesse con le previsioni di cui ai precedenti commi …. La procedura telematica per usufruire del credito d'imposta prevede una verifica ex ante sulla conformità delle spese di ricerca e sviluppo che le imprese sostengono ed una ex post sull'effettiva entità delle spese sostenute …”. Quindi, l’originaria normativa dava atto dell’esistenza di una competenza anche in materia di controlli ripartita tra MISE e Agenzia delle Entrate, demandando, poi, al Ministero dell’Economia e delle Finanze, di concerto con gli altri due dicasteri indicati al comma 12, il compito di delimitarne il perimetro. A partire dalla successiva formulazione dell’art. 3, il comma 7 viene abrogato; il contenuto del comma 9, passato al comma 10, diviene qualora “… a seguito dei controlli, si accerti l'indebita fruizione, anche parziale, del credito d'imposta per il mancato rispetto delle condizioni richieste ovvero a causa dell'inammissibilità dei costi sulla base dei quali è stato determinato l'importo fruito, l'Agenzia delle entrate provvede al recupero …”; infine, il vecchio comma 12 è diventato il comma 14 con il seguente contenuto: “Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, sono adottate le disposizioni applicative necessarie, nonché le modalità di verifica e controllo dell'effettività delle spese sostenute, …”. La nuova norma, pertanto, in linea generale, attribuisce alla sola Agenzia delle Entrate la materia dei controlli, pur continuando a demandare al Ministero dell’Economia e delle Finanze (ente gerarchicamente superiore all’Agenzia delle Entrate), di concerto con il MISE, di adottare le concrete modalità operative. L’art. 8 del DM 27 maggio 2015 del Ministero dell’Economia e delle Finanze, emanato ai sensi del comma 14, sotto la rubrica “Controlli”, al comma 2, dispone che “Qualora, nell'ambito delle attività di verifica e di controllo effettuate dall'Agenzia delle entrate, si rendano necessarie valutazioni di carattere tecnico in ordine all'ammissibilità di specifiche attività ovvero alla pertinenza e congruità dei costi sostenuti, la predetta Agenzia può richiedere al Ministero dello sviluppo economico di esprimere il proprio parere. Dall’esame dell’evoluzione della norma, si dovrebbe ritenere, quindi, che: i) scompare il controllo ex ante riservato al MISE; ii) la competenza in materia di controlli, in linea generale, a partire dal 1° gennaio 2015, è riservata alla sola Agenzia delle Entrate, senza alcuna distinzione tra presupposto agevolativo o congruità dei costi sostenuti; iii) tuttavia, qualora si rendano necessarie valutazioni di carattere tecnico, l’Agenzia può avvalersi del MISE che rilascia un parere tecnico. Al fine di comprendere come sia concretamente ripartita la competenza tra i due enti nel secondo caso (anche per una corretta valutazione della situazione giuridica soggettiva scaturente dall’utilizzo del verbo “può”) appare necessario verificare quali siano le competenze del MISE in linea generale. In base all’art. 28 del D. Lgs. n. 300 del 1999 (come modificato dall’art. 1, commi 1 e 7, del D.L. n. 85 del 2008) competono al MISE le “politiche di sviluppo per l'innovazione tecnologica nei settori produttivi” e quelle “di incentivazione per la ricerca applicata e l'alta tecnologia”. Più nello specifico, secondo i successivi regolamenti ratione temporis vigenti, l’art. 4, comma 1, lett. a) del DPCM n. 158 del 2013 attribuisce al medesimo Ministero l’attuazione “delle politiche … per la promozione della ricerca e dell'innovazione” e l’art. 6, comma 1, lett. d) del DPCM n. 93 del 2019 attribuisce alla Direzione generale per gli incentivi alle imprese del MISE la “gestione delle agevolazioni nella forma del credito d'imposta per la ricerca…”. Non a caso, la stessa Agenzia delle Entrate riconosce la competenza esclusiva del MISE per le valutazioni di natura tecnica relativamente alla ricerca agevolata: in particolare, nel preambolo della Circolare n. 13/E/2017 (in maniera più netta rispetto alla Circolare n. 5/E/2016, punto 2.1) si legge che “ulteriori indagini riguardanti la effettiva riconducibilità di specifiche attività aziendali ad una delle attività di ricerca e sviluppo ammissibili comportano accertamenti di natura tecnica che involgono la competenza del Ministero dello Sviluppo economico”. Nella successiva Circolare n. 31/E/2020 (in un passo diverso rispetto a quello citato dalla stessa CTP Ancona 24 maggio 2022, n. 324) si legge, poi, che “le indagini riguardanti la effettiva riconducibilità di specifiche attività aziendali (ad esempio: sviluppo di una data molecola da parte di un'azienda nel settore chimico-farmaceutico) tra quelle accreditabili, analiticamente elencate dalle predette norme, comportano accertamenti di natura tecnica che involgono l'esclusiva competenza del Ministero dello Sviluppo economico (MISE)”.

4. Alla luce della richiamata normativa e degli atti di indirizzo dell’Agenzia delle Entrate si può, quindi, ora tentare di individuare quale sia il corretto significato del verbo “può” utilizzato nell’art. 8, comma 2, del decreto attuativo e di trarre le relative conseguenze giuridiche derivanti dalla mancata richiesta del suddetto parere tecnico. È bene ribadire che si tratta di un decreto proveniente dal Ministero dell’Economia e delle finanze, ente gerarchicamente sovraordinato all’Agenzia delle Entrate, cui peraltro la legge demanda di attuare le modalità applicative dell’attività di controllo affidata, in linea di principio, all’Agenzia delle Entrate. Ai fini preposti, sembrano astrattamente ipotizzabili due soluzioni differenti, tra loro alternative: la prima è che la situazione giuridica soggettiva derivante dal verbo “può” sia di tipo attivo e ascrivibile ad una mera facoltà riconosciuta all’Agenzia delle Entrate, come è stato inizialmente affermato in un obiter dictum della Circolare n. 5/E/2016, par. 8 che, tuttavia, da una parte, sembrerebbe in contraddizione con il precedente par. 2 (in cui, invece, si legge “…attività di ricerca e sviluppo ammissibili, elencate analiticamente dalle norme richiamate, comportano accertamenti di natura tecnica che involgono la competenza del Ministero dello Sviluppo economico”) e, dall’altra, sembrerebbe superata dall’indirizzo di cui alle richiamate Circolari n. 13/E/2017 e n. 31/E/2020; di contro, la seconda ipotesi è che l’art. 8, comma 2 sottenda una situazione giuridica soggettiva di tipo passivo (quale potrebbe essere l’onere; si veda ad es. Durante, Onere, in Enc. giur. Trecc., Roma, 1991, 1 e ss.; ma anche Cerri, Potere e potestà, in Enc. giur. Trecc., Roma, 1991, 1 e ss.), determinando un vero e proprio riparto di competenze tra Agenzia e MISE nelle ipotesi in cui si rendano necessarie valutazioni di carattere tecnico (si veda anche Laschena, Competenza. I) Competenza amministrativa, in Enc. giur. Trecc., Roma, 1988, 1 e ss.). Nondimeno, anche qualora il verbo “può” sottintendesse una mera facoltà riconosciuta all’Agenzia delle Entrate, cui è consentito servirsi delle competenze tecniche del MISE, il mancato avvalimento delle stesse, in ogni caso, non può certamente rimanere privo di alcuna conseguenza. Infatti, l’art. 8, comma 2, del decreto attuativo, letto nel contesto della disciplina dell’accertamento tributario e dell’obbligo di motivazione (obbligo dettato, in via generale, dall’art. 7 della L. n. 212 del 2000; si veda Paparella, Lezioni di diritto tributario, Milano, 2021, 286 e ss.) sta evidentemente ad indicare che, nella formazione degli atti di recupero, l’Agenzia delle Entrate, ad ogni modo, deve illustrare le ragioni in fatto e in diritto a sostegno della pretesa, potendosi avvalere del parere del MISE sul piano tecnico. Ora, l’art. 8, comma 2, non afferma che l’Agenzia delle Entrate deve necessariamente avvalersi del MISE ma, distinguendo le situazioni in cui sono necessarie valutazioni di carattere tecnico dalle altre, senza dubbio implicitamente afferma che, in tale secondo caso, l’Agenzia delle Entrate deve comunque acquisire un parere tecnico da un ente con competenze analoghe quantomeno a quelle del MISE. Conseguentemente, l’art. 8 del decreto attuativo, nel contesto delle altre norme sulla motivazione degli atti impositivi, per l’Agenzia delle Entrate implica, comunque, tanto situazioni giuridiche soggettive di tipo attivo (la facoltà di avvalersi delle competenze del MISE), quanto, al contempo, situazioni giuridiche soggettive di tipo passivo (ai fini della motivazione dell’atto deve in ogni caso acquisire un parere tecnico, pur se proveniente da un ente diverso dotato di analoghe competenze in materia). Tuttavia, a ben vedere, in un’ottica di efficienza e buon andamento della PA, sarebbe del tutto illogico ritenere che il Ministero dell’Economia e delle finanze, da una parte, abbia riconosciuto all’Agenzia delle Entrate la facoltà di avvalersi delle competenze del MISE e, dall’altra, abbia consentito alla stessa di richiedere il detto parere anche ad un soggetto diverso. La scontata conclusione è che qualora si interpretasse la situazione giuridica soggettiva derivante dal verbo “può” come di tipo attivo (facoltà di avvalersi del MISE), la stessa ne sottenderebbe anche una di tipo passivo (obbligatorietà del parere); laddove, invece, si ritenesse il comma 2 una norma sul riparto della competenza amministrativa tra i due enti, non v’è alcun dubbio che il mancato coinvolgimento del MISE (e non di altri enti, secondo una lettura costituzionalmente orientata), nelle ipotesi in cui si “rendano necessarie valutazioni di carattere tecnico”, determina la nullità dell’atto di recupero.

5. Nelle sentenze in commento la soluzione interpretativa qui proposta pare trasparire in diversi passaggi delle rispettive motivazioni, sebbene in maniera molto sfumata. In primis, non sembra convincere la tesi dell’esistenza di un vizio di eccesso di potere per un asserito erroneo esercizio della discrezionalità tecnica (figure pressoché asintotiche all’ordinamento tributario; si veda Guidara, Discrezionalità e vincolatezza nell’azione dell’amministrazione finanziaria, in Dir. e prat. trib., 2020, 6 e ss., con particolare quanto osservato in tema di discrezionalità tecnica a p. 11). Un tale vizio si verificherebbe allorquando la PA, dotata del relativo potere, facesse ricorso a regole tecnico-scientifiche erronee con il fine di ottenere risultati non univoci (quando il fine sia quello di ottenere risultati univoci si parla di accertamenti tecnici, operanti sul piano della prova; la distinzione tra discrezionalità tecnica ed accertamento tecnico si può leggere, tra le tante, in Consiglio di Stato 4 febbraio 2015, n. 533 con nota di Giusti, Discrezionalità tecnica dell’amministrazione e sindacato del giudice amministrativo, in Giur. it., 2015, 1211 e ss.; è, poi, interessante il caso trattato da Solina, I poteri del Mef nella procedura di amministrazione straordinaria delle banche, in Giorn. dir. amm., 2016, 263 e ss.). Nel caso di specie, però, come si è visto, qualora si rendano necessarie valutazioni di carattere tecnico, l’Agenzia deve comunque richiedere un parere ad un soggetto terzo (il MISE), quindi non sembrerebbe trattarsi di una discrezionalità tecnica. La questione va, dunque, ricondotta a una delle tradizionali categorie dei vizi dell’atto impositivo: in base a una prima tesi, la mancata acquisizione del previo parere del MISE determina un vizio di motivazione dell’atto di recupero (come affermato dalla CTP Vicenza 11 gennaio 2022, n. 14), dato che, nell’illustrazione delle ragioni in fatto e in diritto sottese al recupero impositivo, l’Agenzia delle Entrate deve comunque avvalersi di un ente terzo per ottenere le valutazioni di carattere tecnico. In una visione delle norme orientata ai principi di efficienza e buon andamento, poi, tale ente non può che essere lo stesso MISE, in considerazione della facoltà riconosciuta alla medesima Agenzia dal Ministero dell’Economia e delle finanze di avvalersene (visione evidentemente non colta da CTP Ancona 24 maggio 2022, n. 324 e CTP Ancona 11 agosto 2021, n. 392 che ritengono sufficiente anche un parere di altro ente); in base a una seconda tesi, essendo il MISE l’unico ente competente ad esprimere valutazioni di carattere tecnico in materia di Ricerca & Sviluppo e Innovazione, l’atto di recupero emesso in assenza del previo parere tecnico sarebbe nullo per vizio di incompetenza amministrativa (soluzione che, velatamente, sembrerebbe paventata da CTP Napoli 2 maggio 2022, n. 4988). Queste, in sintesi, le conclusioni: i) la necessità di ottenere il parere tecnico non opera sul piano della prova (come sembrerebbe, invece, sostenere il Comando Generale della Guardia di Finanza nel passo citato della Circolare 26 luglio 2021, n. 10419, richiamato in CTP Ancona 24 maggio 2022, n. 324, non si comprende a quale scopo); ii) tanto nella prospettiva della necessità del parere del MISE al fine di assolvere all’obbligo di motivazione dell’atto, quanto nell’altra di riparto di competenze tra MISE e Agenzia delle Entrate, la mancata acquisizione del parere prima della formazione dell’atto rende insanabilmente nullo il recupero impositivo, dato che, successivamente, non sarà possibile integrare la motivazione o sanare l’incompetenza amministrativa; iii) differentemente da quanto sembrerebbe evincersi in tutte le decisioni in commento, nell’opposto caso in cui il parere del MISE venga in effetti rilasciato prima dell’emanazione dell’atto di recupero, su domanda di parte, il giudice tributario può certamente sindacare sia le ragioni che sostengono l’atto, sia quelle a fondamento del parere (che, in quanto atto non autonomamente impugnabile, può essere senza dubbio impugnato insieme al primo atto successivo), eventualmente disponendo una CTU per confutare o avvalorare le osservazioni tecniche esposte negli atti controversi.