argomento: IRES - Giurisprudenza
La sentenza affronta il caso dell’acquisto di un software applicativo adeguato alle esigenze aziendali, ritenendo l’intera fattispecie riconducibile all’art. 68 TUIR (ora 103 TUIR) e, dunque, soggetta alla disciplina dell’ammortamento.
PAROLE CHIAVE: ammortamento - beni immateriali - software - ricerca e sviluppo
di Silvia Giorgi
Nella ricostruzione dei fatti di causa emerge che la contestazione dell’Amministrazione finanziaria si appunta sull’indeducibilità di tale seconda voce a titolo di ammortamento software in luogo del regime di cui all’ art. 74 T.U.I.R. (ratione temporis applicabile) previsto per le spese per studi e ricerche.
È noto, infatti, che l’art. 68 T.U.I.R. (ratione temporis applicabile, oggi art. 103 T.U.I.R.) prevede la disciplina dell’ammortamento dei beni strumentali immateriali, con specifiche quote di deducibilità che variano in ragione della tipologia di “bene” (sono ad esempio, penalizzati marchi e avviamento con la deducibilità ad un decimo ratione temporis, oggi un diciottesimo del costo) e della natura dei diritti ceduti (diritti di utilizzazione o concessione; per una critica all’attuale disciplina NUSSI, Per un ripensamento sistematico dell’ammortamento di avviamento, marchi e beni immateriali, in Corr. trib., 2009, 13, 1033).
Al contempo, l’art. 74 T.U.I.R. (oggi 108 T.U.I.R.) disciplina le spese per studi e ricerche, prevedendo l’alternativa tra la deducibilità immediata nell’esercizio di sostenimento e la deduzione in quote costanti nell’esercizio stesso e nei quattro successivi.
Nella concreta fattispecie il contribuente aveva trattato l’intera operazione di acquisto e successivo adattamento /trasformazione in modo unitario, applicando il regime di ammortamento a partire dall’anno di messa in funzione.
La Corte di Cassazione ricostruisce il quadro normativo valorizzando, in particolare, tre elementi: il fascio di diritti esercitabili sul software sulla base della disciplina sulle opere dell’ingegno, i principi contabili e, segnatamente, il n. 24 redatto dall’Organismo Italiano di Contabilità e la nozione di “acquisto proprietario”.
I Giudici osservano, quindi, che la normativa in tema di programma per elaboratore di cui all’art. 64 bis della Legge n. 633 del 1941 prevede che i diritti esclusivi sui programmi per elaboratore comprendono, fra gli altri, il diritto di effettuare o autorizzare a) la riproduzione, permanente o temporanea, totale o parziale, del programma per elaboratore con qualsiasi mezzo o in qualsiasi forma; b) la traduzione, l’adattamento, la trasformazione e ogni altra modificazione del programma per elaboratore, nonché la riproduzione dell’opera che ne risulti, senza pregiudizio dei diritti di chi modifica il programma.
L’ampiezza dei diritti trasferibili concorre, quindi, a determinare la fattispecie di “acquisto” del software, includendovi, per quanto rilevante ai fini della decisione in commento, anche il diritto di modifica e trasformazione del bene medesimo.
Nel primo caso, infatti, l’ammortamento decorre dall’esercizio di acquisto, essendo immesso nel ciclo produttivo un prodotto funzionante e, dunque, idoneo all’uso; diversamente, nel secondo caso, l’ammortamento decorrerà solo dal momento in cui il software è effettivamente disponibile per essere utilizzato nell’attività.
Nella ricostruzione della Suprema Corte, l’acquisto proprietario è saldamente ancorato ai diritti ceduti e all’elemento della durata. È a tal proposito ricorrente l’assunto della Suprema Corte secondo cui il programma per elaboratore di cui all’art. 64 bis della Legge n. 633 del 1941 “rende bene l'idea dell'ampiezza dei diritti cedibili o trasferibili a vario titolo, in relazione a queste particolari opere dell'ingegno; ne consegue che l'applicazione dell'art. 68 del TUIR, deve necessariamente passare per la individuazione concreta del diritto sul quale si controverta e delle sue specifiche caratteristiche, tra cui rientra anche la durata” (così Cassazione civile sez. trib., 9 agosto 2016, n. 16673).
Ciò prelude alla distinzione tra i due commi dell’art. 68 TUIR, con considerazioni certamente applicabili, mutatis mutandis, anche all’attuale art. 103 TUIR. La giurisprudenza, infatti, è solita ritenere che i differenti ambiti operativi debbano essere distinti in ragione dell'ampiezza e del contenuto del diritto acquisito.
Così il primo comma disciplina l'ammortamento dei costi dei diritti di utilizzazione delle opere dell'ingegno nella misura di un terzo annuo (oggi 50%), ed è da ricondurre, in ragione della assenza di limitazioni all'esercizio del diritto, sostanzialmente allo “statuto proprietario”.
Il secondo comma disciplina, quindi, tutte le fattispecie residuali che il legislatore tributario sceglie di connotare sulla scorta di un unico elemento caratterizzante, costituito dalla durata limitata nel tempo dei diritti esercitabili sul bene immateriale attribuito, tanto che vi ricomprende anche le concessioni (in questi termini, Cass. n. 16673/2016 cit.)
Invero, la “suddivisione” tra i due commi dell’art. 103 non può dirsi pacifica in dottrina.
Vi è, infatti, chi ha sostenuto che il secondo comma abbia una portata generale, valida per qualsiasi diritto derivante da rapporti di durata, non limitata a quelli ricollegabili all’utilizzazione delle opere dell’ingegno; mentre il primo comma sarebbe circoscritto ai soli beni ivi espressamente elencati (MASCHIO, I beni immateriali, cit., p. 599. Cfr. anche circolare Assonime 10 maggio 2000, n. 32 e, in giurisprudenza, Cass. 26 gennaio 2000, n. 848).
Altri commentatori, di converso, estendono la portata del primo comma al di là delle fattispecie menzionate e a prescindere dal titolo giuridico (proprietà o diritto di sfruttamento temporaneo), comprimendo, di conseguenza, il raggio operativo del secondo comma, raramente applicabile alle opere dell’ingegno (BUSCAROLI - PETTINATO, Il trattamento dei beni immateriali nel calcolo del reddito d’impresa, in Corr. trib., 1991, 27, p. 1991).
La terza via, sostenuta dalla più recente Cassazione, ma, comunque, non ignota in ambito dottrinale (soprattutto da chi più diffusamente si è dedicato allo studio dei “beni”, PIERRO, Beni e servizi nel diritto tributario, Padova, 2003, p. 235), riconduce i diritti di licenza – e tutte le forme di sfruttamento temporaneo - nell’alveo dell’art. 103, comma 2°, valorizzando la temporaneità del diritto. In definitiva, il secondo comma ospiterebbe tutti i diritti che trovano la loro fonte in rapporti di durata, a prescindere dal fatto che si tratti delle fattispecie “nominate” di cui all’art. 68/103 TUIR, comma primo (opere dell’ingegno, brevetti industriali, formule, marchi).
Così il legislatore fiscale, pur recependo il criterio temporale di origine civilistica, quale discrimen tra i due commi (e speculari regimi) in tema di ammortamento dei beni immateriali valorizza la specifica previsione contrattuale intercorsa tra le parti, piuttosto che caratteristiche intrinseche del bene immateriale, "naturalisticamente" suscettibile di utilizzo limitato o illimitato nel tempo.
Va da sé che la licenza a tempo indeterminato, secondo un approccio sostanzialista comune alla disciplina contabile e fiscale, venga equiparata all’acquisto proprietario (per più ampie considerazioni sia consentito rinviare a GIORGI, I beni immateriali nel reddito d’impresa tra “forma” e “sostanza, in Riv. dir. fin., 2015, 1, p. 120).
In entrambi i casi, tuttavia, non sembra replicarsi l’annosa querelle sviluppatasi con riferimento all’ammortamento dei beni materiali circa il requisito dell’effettiva “entrata in funzione” (non essendo sufficiente la mera utilizzabilità, espressamente ammessa, invece, dalla disciplina previgente di cui al DPR 1973, n. 597, là dove faceva riferimento al periodo nel quale “il bene è stato utilizzato o avrebbe potuto essere utilizzato”).
Poste tali articolate premesse, la Corte conclude correttamente che le mere attività di adattamento e modifica del software necessarie a rendere il bene funzionale alle esigenze aziendali non esorbitano dalla fattispecie dell’acquisto proprietario. Ciò in quanto la stessa disciplina in tema di programmi per elaboratore include nell’ampia nozione di “diritti di utilizzazione” anche l’adattamento, la trasformazione a ogni altra modificazione del programma.
Con il conseguente corollario per cui, pur rimanendo nell’alveo dell’acquisto proprietario e, dunque, del regime di ammortamento (non già nell’attività di studi e ricerche) l’esercizio di imputazione decorre dal momento di “effettiva utilizzabilità” del software.
Sembra così confermarsi che, rispetto al regime di ammortamento dei beni materiali per i quali l’art. 102 TUIR pare abbastanza netto nell’ancorare la decorrenza del piano all’effettiva “entrata in funzione” del cespite (se pur con talune deroghe in caso di beni destinati alla immediata sostituzione di altri in uso continuativo, cfr. Cass., sez. trib., 4 aprile 2008, n. 8773, in Corr. trib., 2008, 21, 1693, con nota di MURARO, Ricambi, ammortamento tecnico ed “entrata in funzione del bene”), per i beni immateriali sia sufficiente la mera utilizzabilità, da intendersi come astratta idoneità all’uso.
In secondo luogo, non può che apprezzarsi la concezione sostanzialista -e non formalista – ad essa sottesa, concezione che va progressivamente diffondendosi nel reddito d’impresa (in argomento vd. diffusamente, MONTANARI, Il principio di prevalenza della sostanza sulla forma, Padova, 2019) e particolarmente congeniale alla categoria dei beni immateriali.