argomento: Profili europei e Internazionali - Giurisprudenza
La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha stabilito che l’esenzione ICI sugli immobili di proprietà di enti ecclesiastici (e, in generale, degli enti non commerciali) vigente in Italia dal 2006 al 2011 costituisce un aiuto di Stato illegale, riformando la sentenza del Tribunale di primo grado che, ciononostante, aveva escluso un obbligo di recupero per assoluta impossibilità legata ad oggettive difficoltà tecniche. Questa decisione è altresì interessante perché, per la prima volta, dei concorrenti privati penalizzati per non aver potuto beneficiare tali misure fiscali (c.d. ricorrenti “non privilegiati”) hanno direttamente portato la causa alla Corte sulla base dell’art. 263, comma 4, TFUE. The Court of Justice of the European Union has established that the exemption from the municipal tax on real property (imposta comunale sugli immobili, ICI) applicable to buildings owned by ecclesiastical entities (and, in general, by non-commercial entities) envisaged by Italy from 2006 to 2011 constitutes illegal State aid, reforming the judgment of the Court of First Instance which, nevertheless, had considered the ‘absolute impossibility’ of recovery due to objective technical difficulties. This decision is also interesting because, for the first time, private competitors penalized for not having been able to benefit from these tax measures (so-called "non-privileged" applicants) have directly brought the case to the Court relying on Art. 263, para. 4, TFEU.
» visualizza: il documento (Nota a Corte di Giustizia UE, grande sez., 6 novembre 2018, cause riunite da C-622/16 P a C-624/16 P Montessori e Ferracci)PAROLE CHIAVE: immobili ecclesiastici - aiuti di Stato - annullamento
di Pietro Mastellone
Con l’intento di evitare un caos interpretativo, che già stava imperversando nella giurisprudenza (cfr. ex pluribus Cass. civ., sez. trib., 8 marzo 2004, n. 4645, in De Jure, secondo cui «un ente ecclesiastico può svolgere liberamente – nel rispetto delle leggi dello Stato – anche un’attività di carattere commerciale, ma non per questo si modifica la natura dell’attività stessa, e, soprattutto, le norme applicabili al suo svolgimento rimangono – anche agli effetti tributari – quelle previste per le attività commerciali, senza che rilevi che l’ente la svolga, oppure no, in via esclusiva, o prevalente»), ed assicurare che gli enti ecclesiastici potessero in ogni caso beneficiare dell’esenzione ICI, nel 2005 il Governo italiano approvava una norma di “interpretazione autentica” con cui chiariva che quest’ultima trovava applicazione agli immobili «a prescindere dalla natura eventualmente commerciale» delle attività (e.g. assistenziali, sanitarie, ricreative, sportive, culturali, etc.) svolte dal proprietario (art. 7, comma 2-bis, D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito con modificazioni dalla Legge 2 dicembre 2005, n. 248). La dottrina rilevava che l’applicazione dell’esenzione ICI anche in tali ipotesi risultasse inevitabile, «a meno che non si voglia sostenere che l’ente ecclesiastico può venire in considerazione ai fini dell’esenzione solo per le attività di culto e che quindi non possano far capo ad esso attività di tipo assistenziale» (così, E. DE MITA, Il regime tributario, in D. PERSANO (a cura di), Gli edifici di culto tra Stato e confessioni religiose, Milano, 2008, p. 245).
Avviata un’istruttoria, il 5 maggio 2006 la Commissione Europea inviava all’Italia una richiesta di informazioni e, dopo due tentativi di archiviare l’indagine, questa veniva proseguita ai sensi dell’art. 108, comma 2, TFUE, non potendosi escludere a prioriun’incompatibilità con il diritto UE delle norme italiane ritenute incompatibili, le quali, oltre alla citata esenzione ICI, erano l’art. 149, comma 4, TUIR, e la “nuova” esenzione IMU di cui all’art. 91-bis, D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, così come inserito, in sede di conversione, dalla Legge 24 marzo 2012, n. 27 (sul punto, v. M. MICCINESI, Brevi note sulla rilevanza tributaria del patrimonio immobiliare degli enti non commerciali nell’ambito della neointrodotta imposta municipale unica, in Quad. dir. e pol. eccl., vol. 20, n. 2, 2012, p. 425 ss.; P. SELICATO, L’imposta municipale unificata (IMU) e gli enti ecclesiastici: nuove norme per vecchi problemi, in Federalismi.it, vol. 10, n. 22, 2012, p. 1 ss.).
Ma a differenza del Tribunale dell’Unione Europea, la Grande Sezione ha ritenuto privo di fondamento l’argomento dell’impossibilità assoluta di procedere al recupero, rilevando che «la condizione relativa all’esistenza di un’impossibilità assoluta di esecuzione non è soddisfatta quando lo Stato membro convenuto si limiti a comunicare alla Commissione difficoltà interne, di natura giuridica, politica o pratica e imputabili alle azioni o alle omissioni delle autorità nazionali, che l’esecuzione della decisione in questione presenta, senza intraprendere alcuna vera iniziativa presso le imprese interessate al fine di recuperare l’aiuto e senza proporre alla Commissione modalità alternative di esecuzione di tale decisione che consentano di sormontare tali difficoltà […]. Pertanto, uno Stato membro che si trovi di fronte, in questa fase del procedimento, a difficoltà nel recuperare gli aiuti in questione deve sottoporre queste difficoltà alla valutazione della Commissione e cooperare lealmente con tale istituzione al fine di sormontarle, in particolare proponendole modalità alternative che consentano un recupero, anche solo parziale, di detti aiuti. In ogni caso, la Commissione è tenuta ad esaminare minuziosamente le difficoltà prospettate e le modalità alternative di recupero proposte. Solamente nel caso in cui la Commissione constati, in esito a un esame scrupoloso, che non esistono modalità alternative che consentano un recupero, anche solo parziale, degli aiuti illegali di cui trattasi, detto recupero può essere considerato, in maniera obiettiva e assoluta, impossibile da realizzare» (parr. 91-92).
Posto che l’Italia non si è rifiutata di eseguire una decisione di recupero della Commissione, non potrà aprirsi contro di essa una procedura di infrazione né irrogate le sanzioni ivi previste, proprio perché è stata la stessa Commissione ad aver reputato sussistente la situazione di “assoluta impossibilità di recupero” (poi avallata dalla sentenza del Tribunale dell’Unione Europea). Dunque, la Commissione sarà tenuta ad avviare una nuova istruttoria per accertare se vi siano strumenti diversi – rispetto all’accesso alle banche dati catastali e fiscali per identificare il tipo di attività, commerciale o non commerciale, svolta negli immobili di proprietà degli enti non commerciali – per ricostruire la platea dei beneficiari degli aiuti e quantificarli per poi, eventualmente, procedere al relativo recupero.
Non sarà un’operazione facile, considerato che in capo ai contribuenti che, tra il 2006 e il 2011, hanno beneficiato dell’esenzione da ICI non incombeva alcun obbligo dichiarativo relativo agli immobili. Questo implica che, quand’anche l’Amministrazione finanziaria riuscisse a reperire le dichiarazioni dei soggetti che hanno beneficiato dell’esenzione in parola, queste non conterrebbero alcuna descrizione di tali situazioni fattuali. In conclusione, se la nuova istruttoria dovesse concludersi con una condanna al recupero perché l’Italia non sarà stata in grado di dimostrare in concreto la situazione di effettiva ed assoluta impossibilità, sorgerebbero degli inevitabili “controlimiti” nazionali a tutela degli innumerevoli beneficiari dell’esenzione vigente in passato, quali il principio di affidamento nonché la non secondaria circostanza che per i Comuni è spirato il termine per accertare e riscuotere detta imposta, con la conseguenza che in tal caso verosimilmente spetterà al legislatore individuare regole ad hoc per ottemperare agli obblighi derivanti dal diritto UE (sul punto, v. A. GIOVANNINI, ICI, Chiesa e Terzo settore, in Il Fisco, vol. 43, n. 2, 2019, p. 147 ss.).