argomento: Principi generali e fonti - Giurisprudenza
La Sezione delle Autonomie della Corte dei Conti affronta il tema della potenziale estensione dell’istituto del baratto amministrativo ai crediti aventi natura extratributaria connessi all’erogazione di servizi pubblici e prestazioni a domanda individuale.
PAROLE CHIAVE: baratto amministrativo - crediti - potesta regolamentare
di Simone Ariatti
In particolare, la questione fa riferimento al potere regolamentare degli enti territoriali in punto di corretta individuazione dei limiti applicativi dei contratti di partenariato sociale. Da un lato si rinviene l’orientamento estensivo della sezione lombarda volta a valorizzare l’autonomia negoziale della pubblica amministrazione inglobando nel baratto anche i crediti non prettamente tributari. Dall’altro lato, invece, si riscontra un approccio più rigoroso nella tesi espressa dalla sezione veneta, aderente alla formulazione letterale della norma che, a ben vedere, fa riferimento ai soli tributi locali.
In primo luogo per la “piena capacità di diritto privato dell’Ente locale, alla luce del principio normativo scolpito nell’art. 1, comma 1bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241, secondo cui la pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme del diritto privato”. Nonché, in aggiunta, per “l’assenza di una norma specifica di divieto” nel contenuto dispositivo dell’art. 190, D.lgs 18 aprile 2016, n. 50.
Trattasi di una apertura significativa, tuttavia ben contemperata da alcuni paletti e tutele, volte a delimitare tempi e modalità delle attività socialmente utile rese dai cittadini (a), ed a quantificare – in via predeterminata e proporzionata – i benefici compensatori ad esse connessi (b); ferma, comunque, la necessità che la prestazione sostitutiva sia effettivamente eseguita ed ultimata prima della concessione dell’agevolazione, mediante opportune verifiche e controlli (c).
Di diverso avviso, invece, la sezione Veneto n. 313 del 2016, la quale, come accennato, con più stringata motivazione, limita il beneficio scaturente dalle attività socialmente utili alle sole entrate tributarie afferenti il comparto della finanza locale “dovendosi escludere l’applicabilità dell’istituto ad entrate extratributarie, alla luce del chiaro dettato della norma”.
Dal quadro fornito emerge che l’art. 190, D.lgs. n. 50/2016 è espressione diretta del principio di sussidiarietà orizzontale. Una espressione che, nella prospettiva delineata, si manifesta attraverso la realizzazione di opere di interesse comune, da parte di cittadini guidati da uno spirito solidaristico e volontaristico, non certo lucrativo e nemmeno coercitivo, attuate attraverso lo scambio (baratto) tra la prestazione e il vantaggio agevolativo ottenuto. Un beneficio che trae origine necessariamente dal previo esercizio di una potestà impositiva in capo all’Ente che decide di riconoscere l’esenzione o la riduzione di tributi purché preventivamente parametrati e commisurati al servizio reso, e preservando le garanzie di bilancio e di finanza pubblica.
Valorizzato il carattere di norma eccezionale, la Corte compie il passaggio logico ed argomentativo più importante. L’operatività del baratto incontra i limiti sanciti dall’art. 14 delle disposizioni preliminari al codice civile, vale a dire l’inapplicabilità dell’istituto oltre i casi ed i tempi in esso considerati, e quindi, traslando il principio al caso di specie, al di fuori delle fattispecie qualificabili come “riduzioni o esenzioni di tributi”.
Eppure, la deliberazione sulla potestà regolamentare degli Enti sul fronte delle entrate extra-tributarie merita alcune ulteriori precisazione.
Le preclusioni rinvenute nell’infelice formulazione del baratto amministrativo non limitano, infatti, la capacità giuridica di agire in ambito privatistico.
In altre parole, detto che il baratto non consente di “remunerare” l’attività socialmente utile con la riduzione di entrate extra-tributarie per espressa carenza dispositiva in tal senso, resta comunque sempre ferma la possibilità per gli enti territoriali di “predeterminare, in sede regolamentare, i casi in cui, in ossequio al principio di sussidiarietà orizzontale (art. 118 Cost.) … lo svolgimento di attività socialmente utili nella gestione di aree e beni immobili” (quali pulizia, manutenzione, abbellimento di aree verdi, piazze, strade, interventi di decoro urbano, iniziative culturali, recupero e riuso di aree e beni immobili inutilizzati), possa essere compensata “con la riduzione o l’estinzione di crediti extra-tributari disponibili”. E questo purché sia assicurato il rispetto delle regole di contabilità pubblica, di salvaguardia dei vincoli ed equilibri finanziari dell’ente locale, i principi di trasparenza, di parità di trattamento e di non discriminazione.
Tuttavia, la sentita e diffusa esigenza manifestata dai Comuni per addivenire ad un utilizzo generalizzato dell’istituto anche alle entrate non tributarie è stata in qualche modo avvertita dalla Corte, che ha deciso di far leva sui principi generali del nostro ordinamento.
In tale prospettiva, seppur al di fuori dal dato positivo di cui al D.lgs. n. 50/2016 e rinviando direttamente alla Costituzione ed alla sussidiarietà orizzontale, si è affermato che è “compito dell’ente locale favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini prevista dal 4° comma dell’art. 118 della Costituzione, anche attraverso la predeterminazione di fattispecie convenzionali tipizzate dirette allo svolgimento di attività socialmente utili nella gestione di aree e beni immobili, da compensare con la riduzione o l’estinzione di crediti extra-tributari disponibili”.
In altre parole, l’ostacolo incontrato nel tessuto del baratto amministrativo è stato in qualche modo aggirato e superato facendo leva sui principi generali e sulla preservata e inalterata capacità degli enti di agire sul versante privatistico, con tutte le garanzie e tutele disciplinate dai canoni di buon andamento e trasparenza della pubblica amministrazione.