argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza
La sentenza affronta la questione del giudice giurisdizionalmente competente nei casi di diniego di transazione fiscale da parte dell’Amministrazione finanziaria. La vicenda, a lungo dibattuta in dottrina ed in giurisprudenza, sembra aver trovato la sua conclusione con l’attribuzione al giudice ordinario della fattispecie.
» visualizza: il documento (Corte di Cassazione, SS. UU., ordinanza, 25 marzo 2021, n. 8504)PAROLE CHIAVE: transazione fiscale - giurisdizione - diniego
di Anna Rita Ciarcia
1.La sentenza in commento ha forse definitivamente chiarito la questione su quale sia il giudice legittimato nell’ipotesi di diniego, da parte dell’Agenzia delle Entrate, di transazione fiscale, disciplinata dall’art. 182-ter del R.D. n. 267/1942 (cd. Legge fallimentare).
Sul punto, tuttavia, prima ancora di quale fosse il giudice competente, era sorto il dubbio se l’assenso o il diniego, da parte dell’Ufficio finanziario, fossero possibili d’impugnazione.
Una parte della dottrina tributaria (U. Perrucci, Quale Giudice per la transazione fiscale?, in Boll. trib., n. 10/2009, 779; G. Marini, Indisponibilità e transazione fiscale, in Studi in onore di Enrico De Mita, Napoli, 2012, 559; Del Federico, Profili evolutivi della transazione fiscale, in Jorio – Fabiani (a cura di), Il nuovo diritto fallimentare, Bologna – Torino, 2010, 1226; R. Bogoni – E. Artuso, Ancora sul “diniego” alla proposta di transazione fiscale ex art. 182-ter l. fall., tra impugnabilità ed obbligo di motivazione: brevi note a margine di una condivisibile pronuncia di merito, in Dir. e prat. trib., n. 5/2020, 2257) e la giurisprudenza di merito (CTP di Milano, sez. XXV, sent. n. 1541 del 14 febbraio 2014, in Dir. e prat. trib., n. 2/2015, II, 260, con commento di Golisano, Prime pronunce giurisprudenziali in tema di impugnabilità del diniego di transazione fiscale; CTP di Roma, sez. XXVIII, sent. n. 26135 del 1 dicembre 2017) ritenevano l’impugnazione del provvedimento dell’Agenzia necessaria per il contribuente-debitore soprattutto se il voto contrario impediva il concordato facendo conseguentemente aprire la procedura fallimentare, con i relativi pesanti risvolti economici e morali per il fallito. Inoltre, dovrebbe ammettersi la ricorribilità giurisdizionale di un eventuale diniego di transazione; infatti l’interesse ad agire del privato è ben presente nello sfondo della proposta di transazione fiscale per cui difficilmente potrà eccepirsi l’inammissibilità dell’impugnativa per carenza d’interesse ai sensi e per gli effetti dell’art. 100 c.p.c. (C. Attardi, Transazione fiscale: questioni procedurali, effetti sui crediti e sulla tutela giurisdizionale, in Il fisco, n. 46/2017, 4448).
Altra parte della dottrina (L. Tosi, La transazione fiscale, in Rass trib., n. 4/2006, 1072, ; Randazzo, Il “consolidamento” del debito tributario nella transazione fiscale, in Riv. dir trib., 2008, I, 836) e l’Agenzia delle Entrate, invece, con la circolare n. 19/E del 6 maggio 2015, in considerazione della natura endoprocedimentale della transazione fiscale, propendevano per la non impugnabilità dell’assenso e del diniego alla proposta di transazione.
L’art. 3, comma 1 bis, della Legge n. 159 del 27 novembre 2020 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 ottobre 2020, n. 125, recante misure urgenti connesse con la proroga della dichiarazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19 e per la continuità’ operativa del sistema di allerta COVID, nonché’ per l’attuazione della direttiva (UE) 2020/739 del 3 giugno 2020 – pubblicata sulla G.U. del 3 dicembre 2020), di conversione del D.L. n. 125 del 7 ottobre 2020, ha modificato gli artt. 180, 182 bis e 182 ter della legge fallimentare. Le novità introdotte potrebbero assicurare alle imprese debitrici quella necessaria tutela giurisdizionale verso i provvedimenti di rigetto delle proposte di transazione, emessi dall’Amministrazione finanziaria in contrasto con i principi affermati dalla legge fallimentare (G. Andreani - A. Tubelli, Transazione fiscale omologabile anche con il rigetto del fisco, in il fisco, n. 6/2021, 507).
L’art. 182-ter, nella nuova formulazione, prevede che l’Ufficio debba valutare le proposte che gli giungono nel rispetto del principio della convenienza; tale formulazione, dunque, non rimette alla discrezionalità dell’A.F. la valutazione della proposta. Pertanto, nelle ipotesi di decisioni emesse in violazione del suddetto principio, queste potranno essere impugnate dai contribuenti.
Infatti, considerando che la valutazione in merito alla transazione fiscale parte dalla verifica delle posizioni tributarie e, quindi, oggetto della transazione è comunque una questione di natura tributaria basata su una verifica fondata sull’interpretazione e sulla corretta applicazione di norme tributarie, deve ritenersi che il provvedimento di diniego possa essere impugnato davanti al Giudice tributario ogni qual volta vi sia un collegamento fra atti della Amministrazione e rapporto tributario; nel senso che tali provvedimenti debbano essere idonei ad incidere sui rapporto tributario, dovendosi ritenere possibile una interpretazione non solo estensiva ed anche analogica della categoria degli atti impugnabili previsti dal citato art. 19, D.Lgs. n. 546 del 1992.
Pertanto, nonostante l’elencazione tassativa degli atti impugnabili, contenuta nell’art. 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992, il contribuente può impugnare anche atti diversi da quelli contenuti in detto elenco, purché espressione di una compiuta pretesa tributaria. Infatti, l’elencazione degli “atti impugnabili” contenuta nell’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992, tenuto conto dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la Legge n. 448/2001, deve essere interpretata alla luce delle norme costituzionali di buon andamento della Pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.), riconoscendo la impugnabilità davanti al giudice tributario di tutti gli atti adottati dall’ente impositore che portino, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, con l’esplicitazione delle concrete ragioni che la sorreggono, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento a cui è naturalmente preordinato, si vesta della forma impositiva di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’art. 19 citato (S. Capolupo, Dubbi sulla impugnabilità del diniego nella transazione fiscale, in Il fisco, n. 26/2019, 2534).
L’art. 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992, infatti, anche se non indica l’impugnazione alla transazione fiscale nell’elenco degli atti tassativamente indicati, devolve esplicitamente al giudice tributario l’impugnazione del rigetto di domande di definizione agevolata del rapporto tributario (R. Bogoni - E. Artuso, Spunti e osservazioni sull’impugnabilità del diniego alla proposta di ‘transazione fiscale’ ex art. 182-ter l.f., in Riv. dir. trib. del 15 novembre 2019).
In tal senso si è espresso anche il Consiglio di Stato (sez. IV, sent. n. 4021 del 14 luglio 2016) secondo cui la giurisdizione sull’impugnazione in parola spetti al giudice tributario in quanto la possibilità di pervenire alla transazione fiscale da parte dell’Erario è condizionata a valutazioni che non possono prescindere dalle ragioni del soddisfacimento della pretesa impositiva, dovendo comunque essere effettuato un giudizio valutativo circa il miglior grado di soddisfazione che la stessa pretesa troverebbe per il tramite della via transattiva rispetto all’eventuale fallimento, con conseguenti valutazioni di merito ed opportunità rispetto alle quali non è possibile l’esercizio di un sindacato del Giudice Amministrativo.
Si è pronunciata, poi, anche la Corte di cassazione a Sezioni Unite (sent. n. 25632 del 14 dicembre 2016) che ha affermato che la natura discrezionale del provvedimento non limita la giurisdizione del giudice tributario sul diniego alla transazione fiscale, posta la natura generale della giurisdizione stessa.
Conformemente alla Suprema Corte, la giurisprudenza di legittimità ha confermato l’impugnabilità avanti al giudice tributario del diniego opposto alla transazione da parte dell’Agenzia, nel caso de quo, e riportandosi a quando visto in precedenza, la Commissione ha ritenuto illegittimo il diniego in quanto era stata dimostrata la maggior convenienza della proposta transattiva rispetto a quella meramente liquidatoria: dalla documentazione versata in atti dalla ricorrente e in particolare dalla relazione di stima del patrimonio aziendale e relative osservazioni redatta da un soggetto abilitato come da suddetta normativa emerge con sufficiente chiarezza che l’importo proposto e articolato come dettagliato in fatto sebbene versato a rate risulta sicuramente superiore a quello eventuale ricavabile in sede di liquidazione del patrimonio aziendale in sede fallimentare (CTP di Roma, sez. XXVIII, sent. n. 26135 del 1 dicembre 2017).
Ancora, secondo l’orientamento della Commissione tributaria provinciale di Salerno (sez. XIV, sent. n. 240 del 26 febbraio 2020, in GT – Riv. di giur. trib., n. 7/2020, 634 con commento di S. Cacopardo, Appartiene al giudice tributario la controversia sul diniego della transazione fiscale - Il diniego alla transazione fiscale: - mezzi di tutela ed ambito del giudizio) non è soltanto l’astratta possibilità di soddisfacimento del debito erariale in misura maggiore rispetto a procedure di liquidazione a rappresentare il solo criterio di scelta per l’Agenzia delle Entrate; è anche necessario che venga valutata la serietà della proposta, allo scopo di evitare di dar corso a un risanamento a favore di soggetti che (come nel caso analizzato dai giudici) hanno sistematicamente e volontariamente omesso nel corso degli anni il versamento delle imposte dovute, accrescendo l’importo dei debiti tributari a vantaggio di altri creditori, così come occorre evitare di concedere stralci a favore di soggetti che hanno compiuto atti distrattivi. Se lo scopo della transazione fiscale è quello di consentire al Fisco il recupero dei propri crediti nella misura più elevata possibile, non può tuttavia prescindersi da una valutazione, di stretto dominio dell’Ufficio, più ampia, dovendo considerarsi ai fini della determinazione delle somme realizzabili in caso di liquidazione e di fallimento il possibile esercizio di azioni revocatorie e di responsabilità verso gli organi sociali che entrano in tal modo nel calcolo di convenienza economica comparata avente a oggetto le alternative possibilità di recupero del credito. Entra poi nella valutazione dell’Ufficio la capacità dell’impresa risanata di generare, direttamente e indirettamente, futuri redditi su cui si renderanno dovute ulteriori imposte da parte dell’impresa stessa, dei suoi dipendenti e dei suoi fornitori, che certamente non verrebbero prodotti in caso di fallimento di quest’ultima, valutazione che (nel caso di specie) è stata nettamente negativa come dimostra la mancanza di meritevolezza riconosciuta dall’Agenzia.
4.Nonostante l’unanime orientamento giurisprudenziale, l’Agenzia delle entrate ha continuato a rinvenire nel Tribunale fallimentare la giurisdizione in materia di impugnazione del diniego alla proposta di transazione fiscale.
Secondo alcuni (M. Leo, Impugnazione del diniego di transazione fiscale: la cognizione va riconosciuta al giudice tributario, in Corr. trib., n. 11/2020, 956), la tesi dell’Amministrazione sembra muovere dall’assunto che il “diniego di transazione” non può essere ricompreso tra gli atti previsti dall’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992 né, tantomeno, tra quelli di cui alla lett. h) del citato articolo. La collocazione sistematica dell’istituto tra le procedure di composizione negoziale della crisi d’impresa implica che le valutazioni di merito, da parte dell’Amministrazione finanziaria, possono riflettersi sull’intera procedura concordataria nel cui ambito la transazione fiscale, se azionata, si innesta quale sub-procedimento endoconcorsuale, condividendone le sorti. Dunque, poiché la manifestazione del voto da parte dell’Amministrazione finanziaria si rifletterebbe sul raggiungimento della maggioranza richiesta nonché sul contenuto stesso della proposta concordataria, la sua legittimità (del voto) rientrerebbe nelle competenze del giudice ordinario deputato al controllo della procedura stessa, in quanto istituzionalmente investito della verifica del rispetto dei precetti stabiliti dall’art. 182-ter cit. Altresì, secondo l’Amministrazione finanziaria, gli interessi che il legislatore intende tutelare mediante l’istituto della transazione fiscale, non si limitano all’interesse erariale all’introito del gettito, ma si estendono all’interesse dell’economia nazionale ad evitare la necrosi delle imprese e di assicurare la continuazione delle produzioni. Tale gamma di interessi orienta il quantum della falcidia del credito erariale che viene accordata in sede di transazione che, pertanto, sarebbe avulsa da ogni considerazione sulla effettiva capacità contributiva del debitore d’imposta. Una siffatta ricostruzione apparrebbe, invero, parziale, in quanto trascura di considerare che la “transazione” non consiste in una mera decurtazione dei crediti tributari, ma piuttosto nel consolidamento del rapporto con il Fisco, postulando una fase di quantificazione del debito fiscale sulla quale si innesta l’eventuale definizione transattiva che deve, necessariamente, conseguire ad un’approfondita ed immediata verifica della posizione debitoria del contribuente. In effetti, la valutazione in merito alla transazione fiscale parte, pur sempre, dalla verifica delle posizioni tributarie; oggetto della transazione fiscale è, dunque, una questione di natura tributaria basata innanzitutto sulla identificazione del debito tributario determinato dall’Amministrazione finanziaria, nell’ambito di una attività di consolidamento dello stesso che può essere anche successiva ad una attività di verifica e di accertamenti. È proprio in questa prospettiva che si ritiene che l’eventuale diniego sia rimesso alla cognizione della giustizia tributaria. Tale giurisdizione è quella che, certamente, si presenta la più adatta al fine di ottenere una (eventuale) revisio sia con riferimento alle modalità di manifestazione del diniego che in relazione ai fatti e agli elementi su cui si poggia la decisione di respingere la proposta. Ciò trova supporto anche in ragione della circostanza che, al fine di pervenire alla “transazione fiscale”, è presupposta, da parte dell’Erario, una valutazione che non può prescindere dalle ragioni del soddisfacimento della pretesa impositiva, dovendo, in ogni caso, essere effettuato un giudizio valutativo circa il miglior grado di soddisfazione e convenienza che la stessa pretesa troverebbe per il tramite della via transattiva rispetto all’eventuale fallimento, con conseguenti valutazioni di merito e opportunità rispetto alle quali non è possibile l’esercizio di un sindacato del giudice amministrativo.
Si condivide, tuttavia, l’orientamento dell’Agenzia sulla giurisdizione del giudice ordinario, nella considerazione che il diniego, ancora di più a seguito della riforma indicata, ha natura di atto “discrezionale” (discrezionalità tecnica), non incidente, in senso stretto, né sull’an, né sul quantum della pretesa fiscale.
Infatti, il legislatore della riforma ha incastonato la transazione fiscale con maggior chiarezza nel campo del diritto fallimentare, ancorché ne siano evidenti i riflessi di diritto tributario.
La questione, infine, ha probabilmente trovato la sua definitiva soluzione con l’intervento, a Sezioni Unite, della Corte di Cassazione (ord. del 25 marzo 2021, n. 8504) che ha dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario nella declinazione del giudice in ordine alle procedure concorsuali in esame; per i giudici non può ritenersi sufficiente a fare rientrare nella sfera di applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2 (limite esterno della giurisdizione tributaria speciale) la mera natura giuridica delle obbligazioni oggetto della transazione fiscale, ma è necessario valorizzare la prevalente/assorbente finalità concorsuale dell'accordo transattivo e quindi del suo mancato raggiungimento a causa del dissenso opposto dall'Ente impositore, mentre la sussumibilità di tale rifiuto in una delle fattispecie indicate nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 (limite interno della giurisdizione tributaria speciale) non risulta rilevante ai fini della questione di giurisdizione in esame. Infatti è indirizzo consolidato nella giurisprudenza di questa Corte ritenere che tale disposizione processuale speciale, indicando, con elencazione suscettibile di interpretazione estensiva, in ossequio ai principi costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento della P.A. (art. 97 Cost.), la tipologia degli atti oggetto di impugnazione, riguarda la diversa questione della proponibilità della domanda dinanzi al giudice tributario, in ragione della inclusione o meno dell'atto nel citato elenco (tra le molte, cfr. Cass., SS.UU., n. 3774 del 18 febbraio 2014).