<p>Le nuove sanzioni tributarie - Lattanzi</p>
Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

25/06/2021 - Le operazioni iva “complesse” tra accessorietà, autonomia ed unicità delle prestazioni

argomento: IVA - Giurisprudenza

Secondo la sentenza in commento, l’articolo 135, paragrafo 1, lettera g), della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, dev’essere interpretato nel senso che una prestazione unica di servizi di gestione fornita da una piattaforma informatica appartenente a un fornitore terzo a favore di una società di gestione di fondi che comprende nel contempo fondi comuni d’investimento e altri fondi non rientra nell’esenzione prevista da tale disposizione.

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PAROLE CHIAVE: operazioni complesse - esenzione IVA - accessorietà


di Chiara Lattanzi

1. La Corte di Giustizia, con la recente sentenza, nella causa C-231/19 del 2 luglio 2020, è tornata a pronunciarsi sul tema delle operazioni Iva complesse, nel solco di una giurisprudenza europea che si sta via via consolidando (in argomento cfr. Logozzo, La qualificazione unitaria dell’operazione ai fini Iva in Riv. Giur. Trib., GT, 2006, 210). Tale insieme di principi giurisprudenziali si pone come “prezioso alleato” dei giudici nazionali i quali, a fronte delle lacune della legislazione nazionale (o, comunque, delle incertezze interpretative della disciplina Iva), si sono pronunciati avendo come costante punto di riferimento i principi espressi dai Giudici del Lussemburgo (i quali, come noto, in materia di tributi armonizzati vincolano le istituzioni degli Stati membri). Basti pensare, in tale prospettiva, che le Sezione Unite (Cass. SS.UU., 16 febbraio 2018, n. 3872), nonché la successiva giurisprudenza delle sezioni semplici (tra le altre Cass. 14 gennaio 2020, n. 419) si pongono perfettamente in linea con i principi enunciati dalla giurisprudenza europea, pur essendo, invece, ancora ravvisabili nella prassi amministrativa talune “zone d’ombra” (per un confronto tra i principi dettati dalla giurisprudenza e la posizione assunta dall’Agenzia delle Entrate vd., da ultimo, C. De Ieso, L’iva sulle prestazioni complesse: un labirinto con una via di uscita? in Corr. Trib., 2021, 440.).

 

Più nel dettaglio, il caso in esame riguarda una società appartenente ad un gruppo IVA stabilito nel Regno Unito di cui essa è rappresentante. Tale gruppo riunisce in sé varie società che esercitano l’attività di gestione di fondi. Per tale gestione, la società beneficia di una serie di prestazioni di servizi fornite da una società di diritto statunitense appartenente allo stesso gruppo e operante per mezzo di una piattaforma informatica.

Tra il 1º gennaio 2010 e il 31 gennaio 2013, la società inglese assolveva (con il meccanismo dell’inversione contabile?) l’imposta dovuta unicamente sui servizi utilizzati per la gestione degli altri fondi ed applicava l’esenzione IVA ai servizi utilizzati per la gestione dei fondi comuni d’investimento ai sensi dell’articolo 135, paragrafo 1, lettera g), della direttiva IVA. Secondo tale norma, come noto, “gli Stati membri esentano le operazioni seguenti…. g) la gestione di fondi comuni d'investimento quali sono definiti dagli Stati membri”. L’amministrazione finanziaria inglese emetteva, tuttavia, una serie di avvisi di accertamento, impugnati dalla società dinanzi al First-tier Tribunal (Tax Chamber), non ritenendo corretto l’inquadramento giuridico prospettato.

La società, risultando soccombente, proponeva appello affermando che le prestazioni di servizi rese attraverso la piattaforma per la gestione dei fondi comuni di investimento dovrebbero, comunque, essere assoggettate al regime di esenzione. Il “valore” di tali prestazioni dovrebbe, altresì, essere determinato proporzionalmente all’importo di tali fondi rispetto all’importo totale dei fondi gestiti.

L’Upper Tribunal, ha sospeso il procedimento e ha sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale: se l’articolo 135, paragrafo 1, lettera g), della direttiva IVA debba essere interpretato nel senso che una prestazione unica di servizi di gestione, fornita da una piattaforma informatica appartenente a un fornitore terzo a favore di una società di gestione di fondi che comprende sia fondi comuni d’investimento che altri fondi, rientri nell’esenzione dall’IVA prevista da tale disposizione e, in caso affermativo, quali siano le modalità di applicazione di detta esenzione.

  1. La Corte, secondo un approccio ormai consolidato precisa, preliminarmente, che le esenzioni di cui all’art. 134, par. 1, della direttiva mirano ad evitare divergenze nell’applicazione del sistema IVA da uno Stato membro all’altro. Viene ribadito, poi, che i termini con i quali sono state designate le esenzioni di cui all’articolo 135, paragrafo 1, della direttiva IVA devono essere interpretati in senso restrittivo, rappresentando esse deroghe al principio generale secondo cui l’IVA è riscossa per ogni prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso da un soggetto passivo (per considerazioni di ordine sistematico si veda F. Montanari, Le operazioni esenti nel sistema dell’Iva, Torino, 2013; AA.VV., Vat Exemptions – Consequences and Design alternatives, a cura di R. De la Feria, Amsterdam, 2013). Infatti, costituisce principio generale quello secondo cui ciascuna operazione assume autonoma rilevanza agli effetti dell'IVA secondo il regime impositivo proprio (cioè, imponibilità o esenzione); tale regola generale, tuttavia, può essere derogata in presenza di operazioni complesse in relazione alle quali è necessario verificare se le stesse costituiscano, da un punto di vista economico-funzionale, un unicum inscindibile.

Tanto premesso, la Corte passa, quindi, ad esaminare se, nel caso di specie, anche l’insieme delle prestazioni fornite nel caso di specie dalla società statunitense possa essere considerato alla stregua di una prestazione unica “complessa”, e se, di conseguenza, debba essere assoggettata ad un aliquota unica, ovvero se il corrispettivo di tale prestazione debba essere ripartito in funzione dell’uso dei servizi di gestione in modo da considerare una parte della prestazione come esente e l’altra parte come imponibile.

  1. Il nucleo centrale della questione attiene ad una categoria nota – ma assai complessa e ancora oggi foriera di notevoli incertezze – e cioè quella delle cosiddette operazioni accessorie le quali, pur essendo assolutamente centrali nel sistema dell’Iva, non trovano disciplina organica, né sul piano europeo, né, tanto meno, nazionale (sul diritto interno cfr., da ultimo, G. De Pretis, Accessorietà delle prestazioni ai fini Iva e criterio distintivi dell’unicità dell’operazione economica: luci e ombre di un recente intervento della Corte di Cassazione in Dir. prat. trib., 2019, II, 1283).

Nell’affrontare tale tematica, la Corte prende le mosse dal proprio consolidato orientamento secondo cui, per verificare se ci si trovi di fronte ad un’unica prestazione, è necessario verificare se due o più elementi o atti della prestazione fornita dal soggetto passivo al cliente sono connessi al punto tale da formare, oggettivamente, una sola prestazione economica indissociabile la cui scomposizione avrebbe “carattere artificiale” (sentenza del 18 gennaio 2018, Stadion Amsterdam, C-463/16,  punto 22). E’, peraltro, interessante notare che la giurisprudenza della Corte di Cassazione, già citata in precedenza (cfr. SS.UU., 16 febbraio 2018, n. 3872) adotta, pedissequamente, tale schema interpretativo, con ampi richiami a quella europea.

Più nel dettaglio, secondo i Giudici di Lussemburgo, la nozione di «prestazione unica» può ricomprendere, così come è stata delineata negli anni dalla giurisprudenza della Corte, due tipi di situazioni.

In primo luogo, si configura una prestazione unica nel caso in cui uno o più elementi debbano essere considerati costitutivi della prestazione principale, mentre altri elementi devono considerarsi come prestazioni secondarie, tra loro collegate attraverso un vincolo di accessorietà, cui si applica la stessa disciplina tributaria della prestazione principale.

In quest’ottica, una prestazione è considerata accessoria ad una prestazione principale quando costituisce per la clientela non già un servizio con un fine a sé stante, bensì il mezzo per fruire nelle migliori condizioni del servizio principale offerto dal prestatore (sentenze del 25 febbraio 1999, CPP, C-349/96, punto 30, e del 18 gennaio 2018, Stadion Amsterdam, C-463/16, punto 23). In base al principio secondo cui "accessorium sequitur principale", le operazioni accessorie concorrono alla formazione della base imponibile dell'operazione principale, ne assumono lo stesso trattamento fiscale e sono soggette alla medesima aliquota IVA) (in argomento, e segnatamente con riferimento alla distinzione tra “operazione connessa” ed “operazione accessoria” vd., ancora, F. Montanari, cit., pag. 142 e ss.gg., nonché, da ultimo, A. Comelli, La frammentazione delle prestazioni di servizi culturali esenti ai fini della disciplina dell’iva europea e nazionale in Dir. prat. trib., 2019, I, 1561). Anche da tale angolo visuale, peraltro, la giurisprudenza di legittimità si pone perfettamente (ed esplicitamente) in linea con tali monolitici principi (cfr. Cass.17 ottobre 2019, n. 419, cit.).

In particolare, è stato rilevato nelle pronunce fornite nel corso del tempo dalla Corte, che affinché un’operazione possa considerarsi accessoria ad una operazione principale è necessario che vengano rispettati vincoli di natura oggettiva e soggettiva.

In primo luogo occorre che sussista un nesso di dipendenza funzionale tra l’operazione principale e quella secondaria. L’operazione che riveste posizione secondaria, oltre a costituire un unicum sotto il profilo economico con altre operazioni rilevanti ai fini dell’IVA, deve essere collegata a quella avente carattere principale da un nesso di condizionalità imprescindibile/necessaria; la sussistenza del rapporto di accessorietà non può prescindere da questo nesso di dipendenza funzionale tra le prestazioni (tra le tante, Corte di Giustizia UE 16.4.2015 causa C-42/14).

Quanto, poi, al profilo soggettivo, secondo un più risalente orientamento della giurisprudenza europea, la qualificazione di un’operazione come accessoria presupponeva che l’operazione stessa fosse posta in essere dal medesimo soggetto che realizzava l’operazione principale (Corte di Giustizia UE 25.2.1999 causa C-349/96). Successivamente, la Corte ha tuttavia modificato tale orientamento, ritenendo che la suddetta coincidenza possa anche mancare. Il noto caso in questione riguardava le indennità (cd. “diritti di trasferimento”) percepite da un laboratorio di analisi a fronte della trasmissione, ad altro laboratorio specializzato, dei prelievi effettuati sui pazienti. La Corte ha ritenuto che tali diritti di trasferimento beneficiano dello stesso regime IVA delle prestazioni di analisi (sent. 11.1.2001 causa C-76/99. In argomento cfr. GREGGI, Il principio di inerenza nell’imposta sul valore aggiunto: profili nazionali e comunitari, Pisa, 2012, 130).

Come rilevano i giudici, può poi configurarsi anche una seconda situazione. Può accadere infatti, che gli elementi inscindibili della prestazione unica siano posti sullo stesso piano, con la conseguenza che non sarebbe agevole ritenere che l’uno debba essere considerato la prestazione principale e l’altro la prestazione accessoria (v., in tal senso, sentenza del 19 luglio 2012, Deutsche Bank, C-44/11, punto 27. In argomento vd. Wersand-Cazes, EU VAT and the conundrum of financial investments, in International Vat Monitor, 2013, p. 83).

In questo specifico caso, le due prestazioni non si combinano in un rapporto di tipo “verticale”, ma “orizzontale”, ma risultano pur sempre entrambe indispensabili per la realizzazione della prestazione complessiva; in questo caso,. secondo i Giudici, occorre dichiarare che i suddetti elementi sono a tal punto strettamente connessi da formare, oggettivamente, una sola prestazione economica la cui scomposizione avrebbe carattere artificiale (v., in tal senso, sentenza del 19 luglio 2012, Deutsche Bank, C-44/11, punto 28).

In conclusione, perché si delinei un vincolo di accessorietà tra due operazioni, è necessario che le stesse convergano verso la realizzazione di un unico obiettivo, rispondendo all'esigenza di offrire al cliente, secondo le proprie specifiche esigenze, il miglior risultato atteso (ma sempre nella logica della inscindibilità).

  1. Una volta individuata, prima facie, l’esistenza del requisito della unicità, dunque, il passaggio ulteriore che la Corte di Giustizia è chiamata a compiere consiste nell’identificazione della cessione o prestazione che, fra le diverse che formano la prestazione complessa, può dirsi predominante, ai fini dell’applicazione del regime impositivo.

Per individuarla, è stato fatto riferimento a una serie di criteri, primo fra tutti quello della volontà contrattuale, riferendosi in particolar modo al vero ed essenziale obiettivo che il cliente-committente intende ottenere mediante la conclusione del contratto. Ne deriva che tale prestazione finisce per attrarre nella propria sfera le altre cessioni o prestazioni secondarie le quali, grazie alla loro funzione ausiliaria, consentono comunque alla clientela una migliore fruizione dell’operazione che si trova in una posizione di prevalenza rispetto agli interessi delle parti contraenti.

La Corte di Lussemburgo concentra, perciò, l’attenzione sull’elemento predominante sottolineando, in particolare, che esso va reperito attraverso un’analisi che non si arresti agli aspetti quantitativi, ma si estenda a quelli qualitativi, ponendosi dal punto di vista soggettivo del consumatore “medio” e, quindi, tenendo conto dell’obiettivo del cliente tipico (si veda in questo senso, CGE 10 marzo 2011, Manfred Bog, cause riunite C-497/09, causa C-499/09, causa C-501/09 e C-502/09, punto 62).

Sempre secondo la giurisprudenza europea, la previsione di un prezzo unitario è un indizio ulteriore che potrebbe suggerire l'esistenza di una prestazione unica; resta fermo, però, che, a prescindere dalle modalità di determinazione del prezzo stabilito in contratto, occorre accertare, sulla base delle circostanze di fatto, l'effettivo interesse economico del cliente all'acquisto, o meno, di operazioni autonome, funzionalmente distinte tra loro.

Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio non è possibile isolare, nell’ambito della prestazione fornita tramite la piattaforma, le prestazioni principali da quelle accessorie. I servizi di analisi di mercato, di monitoraggio delle prestazioni, di valutazione dei rischi, di controllo del rispetto della normativa e di esecuzione delle operazioni corrispondono a fasi successive, tutte parimenti indispensabili alla realizzazione in condizioni adeguate delle operazioni di investimento. Di conseguenza, si configura una prestazione unica composta da diversi elementi di importanza equivalente, rientrando così nella seconda fattispecie individuata dalla giurisprudenza.

Nel caso in esame, infatti, l’insieme delle prestazioni acquistato dalla società inglese per la gestione dell’attività d’investimento dei fondi di sua proprietà è unico e inscindibile. Non solo: esso si configura come il risultato dell’aggregazione di vari elementi, non scorporabili, che uniti formano una operazione peculiare nella quale non è in alcun modo possibile isolare la prestazione principale. Si tratta, dunque, di un’unica prestazione complessa ma, allo stesso tempo, atipica perché polifunzionale, e come tale, soggetta unitariamente al regime IVA ordinario con applicazione dell’aliquota IVA standard.

Come hanno del resto statuito gli stessi giudici, le parti nel procedimento principale concordano nell’ammettere che il servizio in questione è stato concepito ai fini della gestione di investimenti di varia natura e che il medesimo può essere utilizzato indifferentemente sia per la gestione di fondi comuni d’investimento che per quella di altri fondi. Quindi tale servizio non può essere considerato specifico per la gestione di fondi comuni d’investimento e, come tale, non può fruire dell’esenzione di cui all’articolo 135, paragrafo 1, lettera g), della direttiva IVA.

In tale prospettiva, la decisione in esame è perfettamente coerente con l’impostazione sistematica del giudice europeo secondo il quale, alla prestazione non tipizzata - e cioè la gestione di “altri fondi” -  viene negata l’esenzione perché non è inquadrabile in alcuna delle tipologie di operazioni che beneficiano del regime agevolativo, pur essendo ricompresa nel medesimo “pacchetto” di servizi finanziari. Di ciò è data prova dal fatto che, nel caso in esame, il Regno Unito non riesce a isolare un elemento principale e un elemento accessorio della prestazione, ma si limita semplicemente a differenziare due distinti utilizzi dell’insieme dei servizi offerti dalla piattaforma, uno consistente nel gestire i fondi comuni d’investimento, l’altro nel gestire gli altri fondi. È chiaro, dunque, che nel caso in esame in nesso non possa essere di natura funzionale, ma unicamente strumentale alla vendita (per talune considerazioni di ordine sistematico, vd., da ultimo, G. Fransoni, Prestazioni di intermediazione esenti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto e “comparatori di prezzo” in Rass. Trib., 2020, 342).

Per concludere, in siffatto contesto, a nulla potrebbe valere la considerazione opposta dalla società vertente sull’operatività del principio di neutralità fiscale. Secondo tale principio gli operatori devono poter scegliere il modello organizzativo a loro più confacente dal punto di vista strettamente economico, senza correre il rischio che le loro operazioni vengano escluse dall’esenzione prevista all’articolo 135, paragrafo 1, lettera g), della direttiva IVA.

Secondo i giudici, nel caso di specie tale principio non potrebbe operare poiché esso si configura come una regola d’interpretazione della direttiva IVA e non una norma di rango superiore alla stessa, e pertanto non può consentire di ampliare l’ambito di applicazione di un’esenzione (v., in tal senso, sentenza del 19 luglio 2012, Deutsche Bank, C-44/11, EU:C:2012:484, punto 45) e, pertanto, non può rendere applicabile l’articolo 135, paragrafo 1, lettera g), della direttiva IVA a una prestazione, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che non ne soddisfa le condizioni.

IL presente commento si riferisce alla sentenza della Corte di Giustizia Corte di Giustizia, causa C-231/19 del 2 luglio 2020