Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

09/07/2021 - Il reato di riciclaggio e le condotte prodromiche alla presentazione della dichiarazione dei redditi fraudolenta

argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza

La Suprema Corte di Cassazione afferma il principio di non configurabilità del reato di riciclaggio di utilità oggetto di attività prodromiche all’evasione e nega l’imputabilità dell’agente per condotte di sostituzione di denaro avvenute prima della presentazione della dichiarazione dei redditi fraudolenta ex art. 3 D.lgs. 74/2000. Tale principio, sebbene possa scontrarsi con ragioni di politica criminale, rappresenta il giusto contrappeso per garantire la corretta interpretazione delle norme penali antiriciclaggio e la presunzione di non colpevolezza del contribuente fino al termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi.

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PAROLE CHIAVE: riciclaggio - reato tributario - dichiarazione


di Alessandra Interdonato

  1. Con la sentenza n. 30889 del 5 novembre 2020 (ud. 9 settembre 2020), la Corte di Cassazione, Sezione seconda, ritorna sul tema del rapporto tra riciclaggio e delitti-presupposto di natura tributaria, in particolare prendendo posizione in merito alla configurabilità del primo reato ove esso sia attuato con denaro derivante dalla commissione di un illecito fiscale di tipo “dichiarativo”. Come noto, sono definiti tali tutti quei delitti contro il fisco - rientranti nel Titolo II, Capo I, d.lgs. 74/2000 (esclusi, quindi, quelli disciplinati al Capo II, ‘Delitti in materia di documenti e pagamento di imposte’) - che si consumano con la presentazione della dichiarazione dei redditi o, nel caso di omessa dichiarazione, una volta trascorsi 90 giorni dalla scadenza del termine di presentazione del suddetto documento (ci si riferisce agli artt. 2, 3, 4, 5 del D.lgs. n. 74/2000).

Orbene, come si avrà modo di vedere, la particolare struttura di questi delitti può consentire la creazione e la circolazione del profitto fiscale - che si configurerà solo in seguito come illecito risparmio d’imposta - ben prima della presentazione della dichiarazione tributaria (o trascorso il termine per farlo). È ipotizzabile, cioè, che le somme - dimostratesi, poi, sopra soglia - che dovrebbero essere accantonate per ottemperare all’obbligazione tributaria, vengano <<sostituite, trasferite o impiegate>> (tipiche condotte di riciclaggio) prima dell’effettiva realizzazione del reato stesso (nel momento dichiarativo), forse proprio con l’intenzione di sottrarle all’Erario.

Si individua, quindi, un lasso temporale tra la condotta che origina il profitto e il perfezionamento del reato tributario, nel quale l’ammontare evaso può essere investito. In tali ipotesi – tra cui rientra la vicenda oggetto di pronuncia della Corte – ci si chiede se tale investimento, avvenuto prima della consumazione effettiva del delitto presupposto di frode fiscale a cui farà capo, possa o meno configurare un fatto tipico di riciclaggio o autoriciclaggio.

 

  1. Con la sentenza in esame, i giudici di legittimità, accogliendo le doglianze del ricorrente, affermano il principio di diritto secondo cui “il delitto di riciclaggio non è configurabile nelle attività di sostituzione di somme sottratte al pagamento delle imposte mediante delitti in materia di dichiarazione se il termine di presentazione della dichiarazione non è ancora decorso e la stessa non è stata ancora presentata”, stante la carenza del carattere illecito del denaro oggetto di ripulitura, elemento tipico della fattispecie in esame.

Non dissimile era l’impostazione adottata della Corte penale in merito alla definizione dei rapporti tra il reato di omessa dichiarazione e quello di riciclaggio, la quale negava la configurazione di “una sorta di “riciclaggio anticipato” caratterizzato da un’azione di sostituzione o trasferimento di denaro prima che lo stesso assuma le caratteristiche di provenienza da delitto” (Cass. pen., sez. II, 13 gennaio 2015, n. 981; di diverso avviso, invece, la Corte con la sent. n. 18308/2017 che, pur esprimendosi in materia di applicabilità di misure cautelari, riteneva di non potersi escludere quantomeno il fumus del reato di autoriciclaggio di somme non risultanti in dichiarazione, pur a fronte di un delitto fiscale non ancora perfezionatosi con la presentazione della dichiarazione dei redditi).

Ritornando al caso di specie, l’imputato veniva, nel giudizio di merito, chiamato a rispondere del reato di riciclaggio per aver incassato e successivamente restituito al professionista titoli di credito spettanti a quest’ultimo per le prestazioni di servizi rese alla propria clientela. A sua volta, quest’ultimo soggetto ometteva ogni dichiarazione dei corrispettivi integrando, in tal modo, il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici di cui all’art. 3 del D.lgs. 74/2000.

Avverso la sentenza di condanna veniva dunque proposto ricorso in Cassazione adducendo come motivazione principale l’erronea applicazione della legge, stante l’impossibilità di configurare il reato di riciclaggio, di cui all’art. 648 bis c.p., a fronte di condotte meramente strumentali al delitto fiscale e prima ancora del suo perfezionarsi con la presentazione della dichiarazione dei redditi mendace.

La Corte di Cassazione è stata quindi chiamata a dirimere, con la sentenza in commento, una questione già dibattuta in dottrina (GUAZZARINI V. – MATTHEUDAKIS M. L., I rapporti tra i reati tributari e di contrabbando e la disciplina del riciclaggio e dell’autoriciclaggio, in CADOPPI A. – CANESTRARI S. – MANNA A. – PAPA M. (a cura di), Diritto penale dell’economia, Milano, 2019, 1044 e 1045) relativa alla possibilità di configurare i reati di carattere riciclatorio (artt. 648 bis cod. pen. ss.) anticipatamente rispetto alla consumazione del reato presupposto di stampo fiscale coincidente col momento di invio – od omesso invio – del documento dichiarativo.

Orbene, i giudici di legittimità, prima di esprimersi – favorevolmente per l’imputato – sulla risoluzione della vertenza, hanno ritenuto di fondamentale importanza confrontarsi con tre principali questioni: i) la prima, attinente all’interpretazione della disposizione di cui all’art. 648 bis e simili, ii) la seconda riguardante  il rapporto tra quest’ultimo reato e i delitti fiscali di natura dichiarativa e iii) la terza concernente il momento consumativo dei reati fiscali de quo, quali delitti non colposi presupposto del reato di riciclaggio, impiego e autoriciclaggio.

 

  1. Quanto alla prima questione, la Corte esordisce nella parte motiva della sentenza partendo dalla fattispecie di contenuto generale di ricettazione, considerato l’antesignano storico (PADOVANI T., Codice penale commentato, II, Giuffrè, Milano, VII edizione, 4706 ss.) del successivo reato di riciclaggio.

A fondamento dell’introduzione dell’art 648 bis c. p. - ricordano i giudici - vi era una ratio di politica criminale rinvenibile nell’esigenza di reprimere le condotte post delictum di circolazione dei proventi di natura illecita.

La crescente necessità di tutelare le dinamiche del mercato ha portato il legislatore, nel tempo, a tipizzare diverse ed autonome fattispecie come deterrente penale alla lecito-vestizione e circolazione delle utilità ottenute attraverso la violazione di altra norma penale. Sul solco tracciato dal predetto reato di ricettazione del Codice Rocco (prima di tale previsione, le condotte di ricettazione erano considerate come mero post delictum, venendo punite a titolo di concorso nel delitto prodromico), il legislatore ha nel tempo modellato e ampliato la portata applicativa del reato di riciclaggio (per una ricostruzione dell’evoluzione della normativa in materia si veda DELL’OSSO A. M., Riciclaggio di proventi illeciti e sistema penale, Torino, 2017), in particolare eliminando la categoria chiusa dei reati presupposto - estendendola a tutti i reati non colposi - ed allargando il novero delle condotte già previste a tutte quelle “altre operazioni” esercitate sul profitto derivante da reato ed idonee ad ostacolarne l’origine illecita (la recente introduzione del reato di autoriciclaggio, e la conseguente possibilità di punire per condotte di riciclaggio o impiego anche l’autore del reato presupposto, è il frutto della graduale autonomizzazione della fattispecie).

Stante l’attuale conformazione sistematica e strutturale di queste norme, poste come deterrenti alla ripulitura di denaro, beni e altre utilità <>, ad avviso dei giudici di legittimità “non vi è dubbio alcuno, che il presupposto normativo delle fattispecie previste e punite dagli artt. 648, 648 bis 648 ter, 648 ter1 c.p. è sempre costituito dalla necessità che la condotta dell’agente, per essere punibile, sia posta in essere su beni o denaro provento di precedente delitto come può agevolmente ricavarsi dal testo della norma di contenuto generale che è quella dell’art. 648 c.p(...)”.

 

  1. Con riguardo ai rapporti tra riciclaggio e reati tributari di stampo dichiarativo, la S.C. ha anzitutto ritenuto opportuno brevemente ripercorre l’iter normativo e giuridico che ha consentito, ad oggi, di ritenere ammissibili tra i reati presupposto degli illeciti penali riguardanti il riciclaggio e l’impiego, anche i reati tributari, ivi compresi quelli che comportano un mero risparmio d’imposta, oggetto della presente trattazione. A tal proposito, si sottolinea il più recente orientamento della giurisprudenza che, contestualmente all’evoluzione normativa delle fattispecie di riciclaggio, muta e si allinea con le raccomandazioni di rango sovranazionale (vedi le Raccomandazioni del GAFI del 2015 alle quali si deve aggiungere l’art. 2 della Direttiva UE 2018/1673, c.d. sesta direttiva antiriciclaggio), accogliendo pacificamente, sia sotto il profilo dei reati presupposto ammissibili, sia sotto quello dell’oggetto materiale ex artt. 648 bis e 648 ter1 c.p. - esteso ora anche alle “altre utilità” - la riciclabilità del provento derivato da reato tributario, compreso il risparmio fiscale (vedi Cass. pen., sez. II, 15 febbraio 2012, n. 6061; ritiene, al contrario, parte della dottrina che i reati tributari non possano costituire presupposto delle fattispecie di riciclaggio, CASTALDO A.R., Riciclaggio e impiego di beni di provenienza illecita, in PULITANÒ D. (a cura di), Diritto penale – Parte speciale, Torino, 2013, p. 231, sull’assunto che il concetto di <> andrebbe limitato ai soli valori che entrano ab externo nella disponibilità dell’autore e FAIELLA S., Riciclaggio e crimine organizzato transnazionale, Milano, 2009, 68, secondo il quale il provento fiscale non consisterebbe in una utilità strettamente illecita, bensì in proventi conseguiti attraverso una attività consentita dalla legge ma sottratti illegalmente all’Erario).

Ne consegue che possono ritenersi oggetto di attività di riciclaggio non solo i proventi che tangibilmente accrescono il patrimonio del reo (si pensi all’indebito rimborso ottenuto in violazione di norma penal-tributaria o alla ricompensa sottobanco che l’agente ottiene per l’emissione di fatture per operazioni inesistenti ex art. 8 del D.lgs. 74/2000), ma anche i frutti di attività illecite tramite le quali si evita una decurtazione del patrimonio (in questo senso si veda SEMINARA S., I soggetti attivi del reato di riciclaggio tra diritto vivente e proposte di riforma, in Dir. pen. proc., 2005, nota 29, 238; IZZO G., La frode fiscale quale possibile delitto-presupposto del riciclaggio, in Il fisco, 1996, 21, 5291; contra, tra i tanti, CORDEIRO GUERRA R., Reati fiscali e riciclaggio, in Riv. dir. trib., 2013, 1, 1163 ss. e il Consiglio Nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, Brevi osservazioni sulle Disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero nonché per il potenziamento della lotta all’evasione fiscale. Disposizioni in materia di autoriciclaggio. In relazione all’autoriciclaggio v., nello stesso senso, TROYER L. – CAVALLINI S., Apocalittici o integrati? Il nuovo reato di autoriciclaggio: ragionevoli sentieri ermeneutici all’ombra del “vicino ingombrante”, in Dir. pen. cont., 1/2015, 105).

 

 

  1. Se tuttavia, secondo la Corte, non sussiste ostacolo ontologico alla derivazione del provento illecito dal reato di natura tributaria, presupposto imprescindibile della configurazione del reato di riciclaggio rimane quello della previa consumazione del reato fiscale presupposto.

Pertanto, il coordinamento dei principi sopra analizzati in tema di integrazione del reato di riciclaggio (e simili) e di riciclabilità del risparmio fiscale non può prescindere dall’individuazione del momento consumativo dei reati in materia di dichiarazione dei redditi e Iva.

Non ponendosi particolari problemi di coordinamento a fronte di reati fiscali in materia di documenti e pagamento di imposte (Capo II, Titolo II del d.lgs. 74/2000), maggiore attenzione va riservata, come anticipato, alla struttura dei reati del Capo I, Titolo II, del d.lgs. 74/2000, giacchè il maneggiamento fraudolento, mediante artifici, di denaro e utilità può avvenire nell’arco temporale che precede la presentazione (o la definitiva non presentazione) del documento fiscale che attesta la nascita di un illecito profitto o risparmio, attraverso fatti analoghi a quelli che possono verificarsi successivamente al momento dichiarativo o allo scadere del suo termine.

La Corte, tuttavia, ribadisce come, con riguardo ai reati fiscali dichiarativi – e precipuamente a quello ex art. 3, sub iudice nell’ipotesi in esame – rappresenti orientamento consolidato in seno alla giurisprudenza delle S.U. (Sent, n. 27 del 25/10/2000) e della Corte Costituzionale (sent. n. 49 del 2002) quello secondo cui non hanno rilevanza penale autonoma le condotte “a monte” della dichiarazione stessa, potendosi l’evasione realizzare solamente tramite l’invio del documento mendace (o il mancato invio). La ratio di tali posizioni trova riscontro nella volontà legislativa di abbandonare, attraverso la riforma operata con il decreto n. 74 del 2000, il vecchio modello caratteristico della L. n. 516/1982 (c.d. “Manette agli evasori”), con il quale, di fatto, si perseguivano condotte di presunto pericolo meramente preparatorie all’evasione.

Come precisato in motivazione, la scelta di politica criminale assunta si evincerebbe anche dalla espressa esclusione, ex art. 6 d.lgs. 74/2000, della punibilità a titolo di tentativo dei delitti in materia di dichiarazione di tipo commissivo di cui agli artt. 2, 3 e 4 del suddetto decreto.

A tal proposito, si segnala, peraltro, come tale argomentazione possa avere minor tenuta se si tiene in considerazione che con il D.Lgs. 14 luglio 2020, n. 75 (approvato in attuazione della Direttiva (UE) 2017/1371), è stato integrato il summenzionato art. 6, reintroducendo nel sistema penale tributario, seppur a determinate condizioni ed esclusivamente in materia di IVA, l’istituto del tentativo.

In tale ipotesi, potendosi ritenere il delitto tentato ex art. 56 cod. pen. come autonomo titolo di reato, l’anticipazione dell’offesa agli atti preparatori all’evasione potrebbe incidere, quantomeno per il settore Iva, anche sul rapporto con gli eventuali e conseguenti reati di riciclaggio e autoriciclaggio.

 

 

  1. Alla luce della ricostruzione operata dalla Corte, l’apparato argomentativo utilizzato sembrerebbe potersi ritenere valido anche a fronte di contestazione per autoriciclaggio ex art. 648 ter1 c.p., in assenza di pronunce specifiche in tal senso. In effetti, i caratteri strutturali di questo reato - come la stessa giurisprudenza di legittimità ha evidenziato - richiamano quelli delle fattispecie che lo precedono. Per di più, è da ritenere che l’introduzione del reato di autoriciclaggio con la legge disciplinante la Voluntary disclosure, abbia definitivamente confermato l’idoneità dei reati tributari a generare profitti suscettibili di essere riciclati, e quindi autoriciclati.

In ogni caso, si richiedono particolari cautele nell’individuazione delle condotte di riciclaggio o autoriciclaggio rispetto a quelle richieste per l’integrazione del reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, poichè le modalità decettive con cui entrambi i reati si realizzano possono sovrapporsi. In siffatti contesti si pone, allora, il problema di accertare, per così dire, dove termina la frode fiscale e dove (e se) incomincia la condotta di riciclaggio. A tal proposito, si ritiene che, per la configurabilità e la perseguibilità dell’autoriciclaggio, l’ostacolo debba essere, “oltre che concreto, diverso ed aggiuntivo rispetto a quello in cui si sono sostanziati i mezzi fraudolenti adottati per la commissione della frode” (CORDEIRO GUERRA R., Reati fiscali e autoriciclaggio, in Rassegna Tributaria, 2016, 33).

 

 

  1. Con tale pronuncia, la Corte di Cassazione ha valorizzato il divieto costituzionale di applicazione analogica in malam partem, mancando nel caso esaminato un elemento tipico della fattispecie, ovverosia la provenienza da delitto dell’oggetto materiale.

Come anticipato, la peculiarità strutturale dei reati tributari qui in rilievo fa sì che vengano relegati ad un “limbo penale” non solo gli atti preparatori all’evasione, ma, di conseguenza, anche le condotte di sostituzione, trasferimento e impiego attuate nelle more della presentazione della dichiarazione (P. IELO, Delitti tributari e riciclaggio: spunti di riflessione alla luce del decreto sullo scudo fiscale, in Rivista 231, 2010, 12), determinando l’impunità dell’autore per tali fatti. Una simile esclusione della punibilità, quindi, può sicuramente essere suscettibile di analisi sotto il profilo di politica criminale, ma, de iure condito, non si ritiene possibile scavalcare i limiti attualmente imposti dalle normative penali ad hoc, analizzate anche dalla Corte nel suo iter argomentativo, per consentire la repressione del c.d. “(auto)riciclaggio anticipato”.

Infatti, da un lato risulta arduo andare oltre la lettera della norma penale di cui agli artt. 648 c.p. e seguenti, per cui la commissione di un altro delitto c.d. “presupposto”, richiede che lo stesso, per essere tale, debba risultare concretamente consumato e qualificabile oggettivamente in termini di illecito: deve quindi sicuramente collocarsi in un tempus anteriore o, quantomeno, contestuale rispetto a quello del momento consumativo del delitto di riciclaggio o impiego.

Ad avviso della stessa Suprema Corte “del resto, diversamente opinando, si arriverebbe all'inammissibile paradosso che la condotta ex art. 648 ter c.p., consumata da un soggetto prima del perfezionamento del delitto presupposto rimanga sottoposta ad una sorta di condizione sospensiva dipendente dall'azione di un terzo” (Cass. pen. Sez. II, sent., 29-05-2015, n. 23052); considerazione valevole anche per l’autoriciclaggio, per cui lo stesso contribuente attraverso la sua azione (ad esempio, smantellando o meno le operazioni simulate) potrebbe incidere sull'illiceità o liceità del fatto fino alla presentazione della dichiarazione dei redditi.

Dall’altro lato, l’attuale struttura dei reati tributari, come si è detto, non consente una anticipazione della tutela penale agli atti preparatori all’evasione (fatta eccezione per la nuova fattispecie di tentativo di cui al cit. art. 6 d.lgs. 74/2000, come esaminato al par. 5), potendosi riscontrare la reale volontà di utilizzo del mezzo fraudolento solo nel momento dichiarativo; ed, anzi, occorre che nella dichiarazione vi sia “effettivamente l’indicazione di elementi passivi fittizi e che le fatture ideologicamente false siano conservate nei registri contabili o nella documentazione fiscale dell’azienda, in ciò identificandosi la condotta di avvalersi delle fatture normativamente richiesta” (Cass. pen., sez. II, 17 settembre 2010, n. 42111).

Per completezza di trattazione, si evidenzia che da tale problematica giuridica possono discendere eventuali ricadute pratiche in tema di obblighi antiriciclaggio di verifica e segnalazione che, ai sensi del D.lgs. 231/2007, incombono sul professionista (si tratta di misure finalizzate all’individuazione e valutazione dei rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo che il professionista deve porre in essere relativamente alla propria attività e clientela) il quale, in ragione della sua attività, venga a conoscenza dell’operazione. Ci si chiede se lo stesso debba essere tenuto, infatti, a segnalare un’operazione di “riciclaggio anticipato” prima che sia stata depositata la dichiarazione annuale.

Sul tema, pare significativo segnalare l’intervento del Consiglio Nazionale del Notariato in relazione “ad un’operazione di compravendita immobiliare (cessione di immobile da parte di un privato entro i cinque anni dall’acquisto) rispetto alla quale sorga il sospetto che il venditore non intenda includere la relativa plusvalenza nella propria dichiarazione dei redditi, dando vita al reato di infedele dichiarazione contemplato dal menzionato art. 4 del d.lgs. n. 74/2000”; supponendo che l’atto di compravendita venga registrato nel mese di febbraio, ad avviso degli autori, solo a seguito del momento dichiarativo risulterà “eventualmente configurabile il reato tributario e potrà di conseguenza essere posta in essere un’attività di riciclaggio del relativo profitto, avente ad oggetto il risparmio fiscale conseguito tramite l’infedele dichiarazione” (Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 261-2013/B, Reati fiscali e normativa antiriciclaggio: i confini dell’obbligo di segnalazione a carico dei notai). Le conclusioni di codesto intervento risultano quindi in linea con quelle tratte dalla Suprema Corte con la sentenza pocanzi analizzata, dovendosi tuttavia evidenziare come mentre taluni professionisti potrebbero non avere la possibilità di constatare se nel prosieguo dell’operazione sia stato commesso il reato presupposto – e quindi non dovrebbero segnalare alcunché –  (ad esempio il notaio nel caso esaminato), altri potrebbero essere nelle condizioni di farlo solo in un secondo momento (come ad esempio il commercialista che abbia seguito la dismissione immobiliare e sia, al contempo, incaricato della presentazione della dichiarazione).

In quest’ultima ipotesi, gli obblighi di segnalazione dovrebbero decorrere dalla presentazione della dichiarazione dei redditi (e ci sarebbe comunque da chiedersi se il commercialista manlevato dal cliente non concorra comunque nel reato tributario).

In conclusione, la suddetta impunibilità dell’agente per attività di impiego di utilità attuate nell’intervallo di tempo che precede la consegna del documento fiscale, se dal punto di vista della politica criminale potrebbe, nei casi più gravi (relativi comunque a fatti circoscritti e infrequenti), richiedere una tutela anticipata, rappresenta, in ogni caso, il giusto contrappeso per garantire da un lato, la corretta applicazione del complesso delle norme penali antiriciclaggio, dall’altro la presunzione di non colpevolezza del contribuente che, ovviamente, prima della scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi non può essere accusato della sua infedeltà o della sua omissione.

Il presente commento si riferisce alla sentenza Corte di Cassazione, sez. II, 5 novembre 2020, n. 30889