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G. Giappichelli Editore

27/08/2021 - Patteggiamento e reati tributari: la Corte di Cassazione ritorna sulla questione

argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza

Come è noto l’applicazione della pena su richiesta delle parti, il c.d. patteggiamento, ex art. 444 c.p.p. per quanto concerne i reati tributari è stato subordinato dal legislatore all’estinzione del debito con l’erario prima dell’apertura del dibattimento. In sostanza il contribuente imputato ha la possibilità di risolvere il procedimento penale ottenendo un significativo sconto di pena solamente se adempie quanto contestato dall’Agenzia delle entrate. Recentemente la Corte di Cassazione si è pronunciata nuovamente sulla questione prospettando alcune tematiche di particolare rilievo.

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PAROLE CHIAVE: patteggiamento - reati tributari - riti alternativi


di Francesco Martin

  1. La tematica inerenti i reati tributari ha, specialmente negli ultimi anni, sempre più interessato i tribunali di merito nonché la Corte di Cassazione.

Difatti complice anche una volontà legislativa volta a punire in maniera severa e sistematica il fenomeno dell’evasione fiscale, sono aumentati in maniera endemica i procedimenti penali per i reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74.

Come noto tale disposizione pone sotto il manto della protezione ed anche della sanzione penale alcuni interessi ritenuti meritevoli di tutela, prevedendo che la condotta incriminata configuri un reato.

In tale ottica risulta, anche in ragione dei notevoli benefici non solo in quantum di pena, ma anche con riferimento alle pene accessorie, di particolare interesse per la strategia difensiva l’accesso ai riti alternativi.

Ed ecco la vexata quaestio.

L’art. 13 D.Lgs. 74/00 subordina la possibilità di accedere al patteggiamento all’integrale pagamento del debito tributario da parte del contribuente imputato; in sostanza la pretesa punitiva dello Stato in qualche modo arretra solamente in cambio del pagamento di quanto non corrisposto.

Orbene, come spesso accade, anche con riferimento all’interpretazione di tale disposizione, i cui effetti sono particolarmente incisivi sulla situazione processuale del singolo individuo, la giurisprudenza di legittimità ha tracciato un solco che si è costantemente evoluto.

Come si evidenzia l’art. 13 D.Lgs. n.74/00 prevede una causa di non punibilità che si sostanzia nella scelta del legislatore di non sottoporre ad un procedimento penale il soggetto che, pur avendo commesso uno dei delitti di omesso versamento, abbia provveduto all’integrale pagamento del debito tributario prima dell’apertura del dibattimento.

Si tratta a ben vedere a tutti gli effetti di una sorta di incentivo che permette allo Stato di recuperare il quantum non ricevuto e all’autore materiale della condotta di evitare la sottoposizione a tutto l’iter che contraddistingue il procedimento penale.

A seguito della riforma in ambito penal-tributario apportata dal decreto fiscale 2020 (D.L. n. 124/2019), è stata estesa alle fattispecie di frode fiscale (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti di cui all’art. 2, D.Lgs. n. 74/2000 e dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici di cui all’art. 3 dello stesso decreto) la causa di non punibilità prevista dall’art. 13, comma 2, D.Lgs. n. 74/2000, che sino al 25 dicembre 2019 - data di entrata in vigore della legge n. 157/2019, di conversione del D.L. n. 12/2019 - era applicabile alle sole fattispecie di dichiarazione infedele (art. 4) e di omessa dichiarazione (art. 5).

Con l’entrata in vigore della legge, dunque, anche i delitti di cui agli articoli 2 e 3 possono essere dichiarati non punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso sempreché il ravvedimento sia intervenuto prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali (S.LOCONTE, Frodi fiscali: patteggiamento anche senza pagare il debito, Ipsoa, 27.04.20).

Di conseguenza il secondo comma dell’art. 13 D.Lgs. 74/00, innovato appunto dall’art. 39, c. 1, lett. q-bis), D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 dicembre 2019, n. 157, contiene delle modifiche.

Tale norma infatti prevede che i reati elencati in precedenza non siano punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, siano stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano avvenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.

Orbene qui la ratio è profondamente differente.

I delitti di omesso versamento, per la sussistenza della causa di non punibilità prevista dall’art. 13 D.Lgs. 74/00, necessitano che il soggetto agente provveda all’estinzione del debito tributario entro la dichiarazione di apertura del dibattimento, mentre per i delitti dichiarativi è richiesto un quid pluris.

Per tali ultimi reati, oltre alla doverosa estinzione del debito tributario (che può avvenire tramite ravvedimento operoso, ovvero presentando la dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta dell’anno successivo) è necessario, altresì, che tale ravvedimento intervenga prima che il soggetto abbia una formale conoscenza relativa ad ispezioni od accertamenti di carattere tributario, amministrativo o penale; uno schema, quest’ultimo, utilizzato dal legislatore anche in materia di reati contro la Pubblica Amministrazione per l’operatività della causa di non punibilità di cui all’art. 323 ter c.p.

È chiaro quindi che se i presupposti della causa di non punibilità prevista dall’art. 13, cc 1 e 2, sono simili quanto a natura giuridica i requisiti sono differenti.

 

  1. Se dunque le questioni circa l’applicabilità dell’art. 13 D.Lgs. 74/00 non destano ulteriori problematiche, così non si può dire dell’art. 13-bis della medesima disposizione normativa.

Tale articolo infatti stabilisce che le pene per i delitti di cui al D.Lgs. 74/00 sono diminuite fino alla metà e non si applicano le pene accessorie se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti.

Il legislatore ha quindi configurato una circostanza attenuante ad effetto speciale mediante la quale il soggetto agente, estinguendo il debito tributario entro l’apertura del dibattimento, ha la possibilità di ottenere una sensibile riduzione di pena.

Il vero fulcro del nodo gordiano è rappresentato dal secondo comma dell’art. 13-bis D.Lgs. 74/00 che subordina l’accesso al rito previsto dall’art. 444 c.p.p. alla sussistenza della circostanza di cui al comma 1, nonché il ravvedimento operoso, fatte salve le ipotesi di cui all’articolo 13, cc 1 e 2.

Sul punto quindi la problematica è complessa: dato che il riferimento al primo comma concerne l’estinzione del debito tributario, appare – con un certo grado di realismo – che il legislatore richieda, quale condizione ineludibile, il pagamento del debito tributario entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento.

La questione, le cui conseguenze possono incidere notevolmente sulla prassi quotidiana, ha interessato anche la giurisprudenza di legittimità che sul punto presenta due orientamenti contrastanti.

Un primo orientamento (Cass. pen., sez. III, 23.09.20, n. 26529) più rigorista ritiene che per i delitti dichiarativi, sarebbe sempre necessario addivenire al pagamento del debito prima della dichiarazione di apertura del dibattimento per poter fruire del rito speciale.

In tale ottica quindi l’adempimento del debito tributario sarebbe conditio sine qua non affinché l’imputato possa essere ammesso al rito previsto dall’art. 444 c.p.p. e quindi beneficiare dello sconto di pena previsto.

In definitiva la disposizione di cui all’art. 13-bis D.Lgs. 74/00, secondo tale filone giurisprudenziale, viene  interpretata in maniera più stringente, in aderenza letterale a quanto stabilito dal legislatore (D.QUARANTA, Patteggiamento e reati fiscali: il nodo gordiano della previa estinzione del debito tributario per i delitti dichiarativi, in Ius in itinere, 14.05.21).

Tale posizione è stata anche confermata dalla Corte Costituzionale (Corte Cost., 28.05.15, n. 95) che ha ritenuto legittimo l’accesso al patteggiamento, per i reati tributari, subordinato all’estinzione del debito, in quanto pur essendo vero che la facoltà di chiedere l’applicazione di riti alternativi estrinseca una modalità di esercizio del fondamentale diritto di difesa, tuttavia la negazione di questa facoltà, solo per una determinata categoria di reati, non ne determina una compressione decisiva.

Pertanto, la norma ha continuato ad essere legittimamente applicata dai giudici che, attraverso un evoluzione nomofilattica, ne hanno limitato la portata applicativa, fino ad arrivare alla consacrazione dell’orientamento più garantista con la sentenza in esame.

A tale orientamento tuttavia se ne contrappone un secondo (Cass. pen., sez. III, 12.03.19, n. 10800; Cass. pen., sez. III, 26.11.19,  n. 48029; Cass. pen., sez. III, 26.03.21, n. 11620), ad oggi maggioritario, per il quale l’estinzione del debito tributario non rappresenta un obbligo per poter accedere al rito alternativo.

Il pagamento del debito tributario, da effettuarsi entro la dichiarazione di apertura del dibattimento rappresenta quindi una causa di non punibilità dei reati ex artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, lo stesso non può logicamente, allo stesso tempo e per le stesse ipotesi, fungere anche da presupposto di legittimità di applicazione della pena che, fisiologicamente, non potrebbe certo riguardare reati non punibili

Per i delitti di omesso versamento, infatti, le condizioni per accedere alla causa di non punibilità paiono le medesime rispetto a quelle necessarie per poter beneficiare del rito speciale.

Ed allora, delle due l’una: o il contribuente estingue il debito nei termini previsti, usufruendo quindi della non punibilità, oppure accede al rito speciale, anche al di fuori dei limiti previsti dalle norme della legge speciale, in quanto il pagamento potrebbe solamente rendere il reato non punibile.

Sul punto è evidente che l’integrale pagamento del debito tributario prima della dichiarazione dell’apertura del dibattimento di primo grado non può mai costituire presupposto per l’accesso al rito del patteggiamento, perché se si verifica, dà già luogo alla non punibilità, ovvero, se non si verifica, anche tenuto conto della minore gravità di tali reati, il legislatore avrebbe comunque optato per concedere la possibilità di usufruire del rito alternativo.

Quadro differente andrebbe invece delineato per i delitti di dichiarazione infedele ed omessa, per i quali il pagamento del debito non rappresenta automaticamente una causa di non punibilità, bensì solo quando, congiuntamente avvenga in collegamento con il ravvedimento operoso o la presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo, ovvero il ravvedimento o la presentazione siano spontanei, ovvero intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali (S.LOCONTE, Op. cit.).

La questione è tornata alla luce in tutta la sua complessità a seguito di una recente pronuncia della Corte di Cassazione (Cass. Pen., sez. III, 26.03.21, n. 11620).

 

  1. La pronuncia origina da ricorso per cassazione presentato dal difensore dell’imputato contro la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Firenze che aveva confermato la decisione del Tribunale di Lucca, in forza della quale l’imputato nella qualità di legale rappresentante era stato condannato alla pena, sospesa, di anni uno di reclusione per il reato di cui all’art. 10-ter D.Lgs. 74/00, in relazione all'imposta dovuta pari ad Euro 530.990.

Il primo motivo di gravame, la violazione di legge in relazione all’art. 444 c.p.p., riguardava il fatto che a suo tempo la richiesta di applicazione di pena era stata rigettata in considerazione del fatto che la società, di cui l'imputata era legale rappresentante, era stata dichiarata fallita, e che pertanto non vi era possibilità di pagare il debito tributario a norma dell’art. 13-bis, c. 2., D.Lgs. n. 74/00.

Col secondo motivo è stata censurata l'erronea applicazione della norma incriminatrice in relazione alla presenza di crediti verso la P.A. superiori rispetto all'entità del debito Iva e col terzo motivo, infine, si evidenziava che la società, trovatasi in difficoltà finanziaria, aveva scelto di privilegiare i profili occupazionali dei propri dipendenti rispetto all'adempimento tributario.

La Corte di Cassazione, ritenendo ammissibile solamente il primo motivo, afferma che in relazione ai delitti previsti dagli artt. 5 e 10-quater D.Lgs. 74/00 l'estinzione dei debiti tributari, comprese le sanzioni amministrative e gli interessi, mediante integrale pagamento degli importi dovuti prima dell'apertura del dibattimento, non costituisce presupposto di legittimità dell'applicazione della pena ai sensi dell'art. 13-bis.

Difatti il medesimo art. 13 configura tale comportamento come causa di non punibilità dei delitti previsti dagli artt. 2, 3, 4, 5, 10-bis, 10-ter e 10-quater, c. 1, D.Lgs. 74/00 e, conseguentemente, il patteggiamento non potrebbe certamente riguardare reati non punibili.

La Suprema Corte ritiene quindi che l’integrale pagamento del debito tributario prima della dichiarazione dell’apertura del dibattimento di primo grado non può mai costituire presupposto per l’accesso al rito del patteggiamento, perché se si verifica, dà già luogo alla non punibilità; e, al contrario, se non si verifica il legislatore avrebbe comunque optato per concedere la possibilità di usufruire del rito alternativo (G. DE SANTIS, La cassazione ribadisce il sì al patteggiamento senza pagamento del debito tributario, in Osservatorio dei reati tributari, 31.03.21).

I giudici di legittimità sono infatti chiari, con riferimento a tale punto, nel ritenere che: ”O l'imputato provvede, entro l'apertura del dibattimento, al pagamento del debito a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, in tal modo ottenendo la declaratoria di assoluzione per non punibilità di uno dei reati di cui agli artt. 4, 5, 10-bis, 10-ter e 10-quater, ovvero non provvede ad alcun pagamento, restando in tal modo logicamente del tutto impregiudicata la possibilità di richiedere ed ottenere l'applicazione della pena per i medesimi reati”.

Mediante tale pronuncia la Corte ha dimostrato di volersi discostare da quell’orientamento (Cass. pen., sez. III, 22.10.19, n. 48029) meno garantista e più limitativo del diritto di difesa dell’imputato, aderendo invece a quello interpretativo più favorevole.

Per quanto concerne i rimanenti motivi di appello, la Suprema Corte ritiene il secondo  manifestamente infondato per irrilevanza mentre ritiene sussistente l’elemento soggettivo del dolo generico richiesto dall’art. 10-ter D.Lgs. 74/00 in quanto: “la colpevolezza del contribuente non è esclusa dalla crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo e, nel caso in cui l'omesso versamento dipenda dal mancato incasso dell'Iva per altrui inadempimento, non siano provati i motivi che hanno determinato l'emissione della fattura antecedentemente alla ricezione del corrispettivo. (…) La forza maggiore sussiste solo e in tutti quei casi in cui la realizzazione dell'evento stesso o la consumazione della condotta antigiuridica è dovuta all'assoluta ed incolpevole impossibilità dell'agente di uniformarsi al comando, e non può quindi ricollegarsi in alcun modo ad un'azione od omissione cosciente e volontaria dell'agente. In tal modo è stato sempre escluso, quando la specifica questione è stata posta, che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante”.

La Corte di Cassazione ha quindi annullato la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinviato per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Firenze.

 

 

  1. Dovendo tirare le fila di quello che, nella sua semplicità, risulta essere un argomento foriero di molteplici contrasti e interpretazioni differenti che conseguentemente si possono ripercuotere in maniera granitica sul versante processual-penalistico non si può non evidenziare che la Suprema Corte ha deciso di percorrere la strada del garantismo, dando applicazione al principio del favor rei.

La pronuncia del caso de quo evidenzia come la giurisprudenza di legittimità si stia orientando in maniera sempre più chiara e incisiva verso l’ottica di ritenere che l’integrale estinzione del debito tributario non sia più una condizione necessaria e vincolante per accedere al patteggiamento anche per i reati di cui agli artt. 2,3, 4 e 5 D.Lgs. 74/00.

Ed in effetti tale soluzione risolve positivamente tutti gli interessi in gioco.

Da un lato infatti permette allo Stato di recuperare il quantum dovuto e di evitare i costi di un procedimento penale comprensivo dei tre gradi di giudizio e dall’altro permette al contribuente imputato di accedere al rito del patteggiamento potendo beneficiare di tutte le conseguenze da esso derivanti ed anche, sussistendone i presupposti, della sospensione condizionale della pena ex art. 163 c.p..

 

Il presente commento si riferisce alla sentenza n. 11620 della Corte di Cassazione pen., sez. III del  21/10/2020,