argomento: Profili europei e Internazionali - Giurisprudenza
La Corte di Giustizia torna sulla questione del termine per la tutela del rimborso dei tributi contrastanti con il diritto europeo. Si effettuano valutazioni innovative sul piano dell’equivalenza e dell’effettività, destinate ad avere un impatto sugli ordinamenti giuridici degli Stati membri.
PAROLE CHIAVE: rimborso - tributi incompatibili - equivalenza
di Rossella Miceli
Con una recente pronuncia la Corte di Giustizia torna su un tema molto importante per gli ordinamenti fiscali nazionali, da diversi anni al centro del dibattito giuridico.
Nella pronuncia C-677/19 del 14.10.2020 la Corte ha affrontato la questione dei termini per la tutela del rimborso dei tributi contrastanti con l’ordinamento europeo, che si colloca all’interno del quadro giuridico della protezione dei diritti di origine comunitaria (cfr. ex pluribus, L. DEL FEDERICO, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea. Contributo allo studio della prospettiva italiana, Milano, 2010, 175; A. DI PIETRO, Tutela del contribuente, primato del diritto comunitario e rimborso tributario, in Attuazione del tributo e diritti del contribuente in Europa, a cura di T. Tassani, Roma, 2009, 13; F. TESAURO, Manuale del processo tributario, Torino, 2009, 112; R. MICELI, Indebito comunitario e sistema tributario interno. Contributo allo studio del rimborso di imposta secondo il principio di effettività, Milano, 2009, passim).
La questione controversa si svolge in Romania ove un insieme di tributi definiti “tasse sull’inquinamento” sono stati dichiarati da diverse pronunce della Corte di Giustizia[1] in alcuni aspetti incompatibili con l’ordinamento europeo.
A seguito di tali statuizioni, si è proceduto ad una riforma globale sul tema con ilD.l. n. 52/2017 del 4.8.2017, entrato in vigore il 7.8.2017, che ha riformulato interamente la disciplina dei suddetti tributi (Cfr. Corte di Giustizia 9.6.2016, C-586/2014, causa Budisan; Corte di Giustizia 30.6.2016, C-200/14, causa Campean; Corte di Giustizia 30.6.2016, C-288/14, causa Ciup).
Nella legge in esame è stato previsto un termine pari ad un anno (decorrente dalla data di entrata in vigore della disciplina) per la richiesta di rimborso delle tasse sull’inquinamento indebitamente versate in ossequio alla previgente normativa. Tale termine era applicabile a tutti i contribuenti, indipendentemente dalla data in cui era avvenuto il versamento e serviva essenzialmente a consentire una rapida definizione delle situazioni pregresse in connessione all’entrata in vigore della nuova disciplina.
L’esistenza di un termine generale pari a cinque anni, previsto dal codice rumeno per la tutela della generalità dei crediti tributari, costituisce la causa della rimessione della questione alla Corte di Giustizia; quest’ultima è interpellata in via pregiudiziale per valutare l’allineamento del suddetto termine ad hoc ai generali valori europei.
Il termine in esame viene giudicato dalla Corte di Giustizia effettivo, ma cade sotto la scure del principio di equivalenza.
In tale pronuncia sembra emergere una nuova prospettiva legata all’utilizzo dei noti principi di equivalenza e di effettività.
Come si dimostrerà, il principio di effettività registra un’importante evoluzione che completa un percorso in divenire, coerente con le determinazioni attuali.
Differentemente, sul piano dell’equivalenza, si registra una certa chiusura, non giustificata dal progresso normativo e dalla situazione contingente.
L’effetto generale di tale pronuncia evidenzia una certa ambivalenza, che genera necessariamente uno stato di incertezza in capo agli Stati membri nel momento in cui dovranno prevedere termini di tutela per i rimborsi tributari, come si dimostrerà dalle riflessioni che ci apprestiamo ad effettuare.
Come noto, l’ordinamento europeo non ha predisposto in via generale una struttura amministrativa e giurisdizionale per l’attuazione del diritto (europeo) e la tutela delle posizioni giuridiche soggettive dallo stesso nascenti.
Al di fuori di ipotesi specifiche, in cui sono state introdotte discipline ad hoc, il principio generale che ha governato la suddetta attuazione del diritto europeo e la (conseguente) tutela è quello della autonomia procedimentale (Galletta, L’autonomia procedurale degli Stati Membri dell’Unione europea: “Paradise lost?”. Studio sulla c.d. autonomia procedurale: ovvero sulla competenza procedurale funzionalizzata, Torino, 2009, passim; A. ADINOLFI, La tutela giurisdizionale nazionale delle situazioni soggettive individuali conferite dal diritto comunitario, in Il dir. dell’U.e., 2001, 41. Cfr. Corte di Giustizia 14.12.1995, C-430/93 e C-431/93, causa Van Schijndel; Corte di Giustizia 29.9.1991, C-411/17; Corte di Giustizia 11.9.2019, C-360/18, causa Calin).
In base a tale principio sono utilizzabili le strutture soggettive (Pubbliche Amministrazioni e organi giudiziari) e le discipline nazionali (norme sui procedimenti e sui processi). La condizione di utilizzo di tali fattispecie, secondo la consolidata posizione europea, si identifica nel rispetto dei principi generali di equivalenza e di effettività, che costituiscono la garanzia dell’adeguamento nazionale ad uno standard uniforme di tutela, definito per tutti gli Stati dell’Unione.
In tale assetto il principio di equivalenza impone l’utilizzo di disposizioni analoghe a quelle preposte nel diritto interno alla tutela delle stesse posizioni giuridiche ed è finalizzato alla garanzia della non discriminazione nella protezione tra diritti nazionali e diritti europei (cfr. Cfr. Corte di Giustizia 10.7.1997, C-261/95, causa Palmisani; Corte di Giustizia 1.12.1998, C-326/96, causa Levez; Corte di Giustizia 16.5.2000, C-78/98, causa Preston ).
Il principio di effettività è posto, invece, a presidio della necessità che le discipline nazionali garantiscano una reale ed efficace protezione al diritto controverso. In tal senso non sono ammesse le disposizioni che limitino la tutela dei diritti europei, se non sono giustificate da alcun valore generale, quale: la difesa o la certezza del diritto (cfr. Cfr. Corte di Giustizia 14.12.1995, C-430/93 e C-431/93, causa Van Schijndel; Corte di Giustizia 10.7.1997, C-261/95, causa Palmisani; Corte di Giustizia 9.11.1983, C-199/82, causa San Giorgio).
I principi in esame hanno sostenuto un’importante produzione giurisprudenziale con riferimento alle azioni di rimborso dei tributi contrastanti con l’ordinamento europeo (Cfr., ex pluribus, Corte di Giustizia 16.12.1976, C-33/76, causa Rewe; Corte di Giustizia 16.12.1976, C-45/76, causa Comet; Corte di Giustizia 23.3.1980, C-61/79, causa Denkavit; Corte di Giustizia 27.2.1980, C-68/79, causa Just; Corte di Giustizia 9.11.1983, C-199/82, causa San Giorgio; Corte di Giustizia 14.1.1997, C-192/95 e C-218/95, causa Comateb; Corte di Giustizia 2.12.1997, C-188/95, causa Fantask; Corte di Giustizia 15.9.1998, C-279/96, C-280/96 e C-281/96, causa Ansaldo; Corte di Giustizia 15.9.1998, C-231/1996, causa Edis; Corte di Giustizia 15.9.1998, C-260/96, causa Spac; Corte di Giustizia 17.11.1998, C-228/96, causa Aprile; Corte di Giustizia 9.2.1999, C- 343/96, causa Dilexport; Corte di Giustizia 10.9.2002, C-216/99 e C-222/99, causa Prisco). La declinazione dei suddetti principi ha definito un assetto stabile della materia sintetizzabile in alcune disposizioni generali (sul tema:F. AMATUCCI, I vincoli posti dalla giurisprudenza comunitaria nei confronti della disciplina nazionale del rimborso d’imposta, in Riv. dir. trib., 2000, I, 291; R. Miceli, Indebito comunitario e sistema tributario interno, cit., passim; F. Montanari, Evoluzione del principio di effettività e rimborso dei tributi incompatibili con il diritto comunitario, in Riv. it. Dir. pubbl. com., 1, 2009, 89.[2].
La valutazione in termini di equivalenza precedeva sempre quella di effettività che costituiva un’analisi conclusiva sulla disciplina che aveva già superato il primo vaglio. In tal senso l’effettività definiva un completamento dell’analisi di una disposizione che era già risultata non discriminatoria.
In questo assetto il principio di equivalenza assumeva una duplice prospettiva. Nel caso in cui non fosse prevista una normativa specifica si sarebbe utilizzata quella equivalente ovvero quella sancita a livello nazionale per la tutela delle analoghe posizioni giuridiche. Tale utilizzo è di tipo fisiologico in quanto consente di rinvenire una disciplina utilizzabile.
Differentemente, laddove fosse stata prevista una disposizione specifica, questa non doveva presentare un carattere discriminatorio ovvero doveva essere utilizzabile sia per i diritti nazionali che per i diritti europei. La valutazione in esame imponeva una comparazione tra la fattispecie da tutelare nel caso specifico e la medesima fattispecie generata dal diritto interno e si basava sulla circostanza che (su base comparativa) non si fosse realizzata una disciplina più onerosa rispetto a quella riferibile alle medesime situazioni in ambito nazionale.
Nella materia dei rimborsi tributari diverse volte i principi in esame sono stati rivolti ai termini posti a tutela delle azioni ed al loro decorso giuridico.
Si è stabilito, a questo proposito, che un termine per essere effettivo dovesse avere una durata di almeno due anni e che il decorso dei termini dovesse sempre avvenire da un momento in cui era effettiva la possibilità di tutela.
Nella sentenza in esame sembra, invece, affermarsi un nuovo assetto.
La Corte inverte l’ordine del ragionamento, valutando prima l’effettività e poi l’equivalenza. In tal senso riconosce come discriminatorio un termine che è stato già qualificato come idoneo a garantire una tutela effettiva, creando un certo disorientamento a livello interpretativo.
Si ammette, infatti, che un termine effettivo può essere discriminatorio.
In relazione poi al duplice vaglio, come anticipato, si effettuano specifiche valutazioni.
Sul piano del principio di effettività la pronuncia in esame definisce alcune importanti evoluzioni.
Fino a questo momento, infatti, sembrava che un termine per la richiesta di rimborso - per superare il vaglio di effettività - dovesse avere una durata almeno pari a due anni, lasso di tempo ritenuto congruo per la concreta possibilità di tutela di un diritto. Nel caso in esame, la Corte sancisce l’effettività di un termine pari ad un anno, dimezzando quello che sembrava essere il minor lasso di tempo ammissibile per una protezione effettiva (Cfr. Corte di Giustizia 17.11.1998, C-228/1996, causa Aprile; Corte di Giustizia 9.2.1999, C-343/1996, causa Dilexport; Corte di Giustizia 15.9.1998, C-231/1996, causa Edis; Corte di Giustizia 10.9.2002, C-216/1999 e C-222/1999, causa Prisco; Corte di Giustizia 29.9.2002, C-255/00, causa Grundig Italiana.
Il percorso interpretativo si articola nei seguenti passaggi.
Ogni Stato membro può disporre liberamente il termine di tutela per l’esercizio delle azioni a condizione che non renda difficile o impossibile la tutela del diritto.
In tal senso l’analisi del termine si concentra sulla valutazione del dies a quo che definisce una centralità nell’attuale prospettiva. La suddetta analisi si sposta, in tal modo, sulla verifica della effettività del momento a partire dal quale decorrerà il termine (Cfr. Corte di Giustizia 15.12.2011, C-427/10, causa Banca popolare antoniana veneta; Corte di Giustizia 21.7.2010, C- 207/04, causa Vergani. Specificamente, sul tema del dies a quo del diritto al rimborso dei tributi contrastanti con l’ordinamento europeo, L. Del Federico, Azioni e termini per il rimborso dei tributi incompatibili con l’ordinamento comunitario, in Giur. imp., 2003, 271).
Il dies a quo deve essere effettivo in quanto da tale qualità dipende il buon esito dell’azione europea; in altre parole, il momento di decorrenza dell’azione deve porre il soggetto concretamente nella posizione di agire per la propria tutela ovvero quest’ultimo deve avere la disponibilità dell’azione posta a protezione del proprio diritto.
In tale prospettiva il momento di avvio del termine è più importante della sua durata e l’effettività del dies a quo giustifica l’ammissione di termini più brevi rispetto all’iniziale interpretazione della Corte di Giustizia.
La statuizione conclude, in questo modo, un cammino intrapreso da qualche anno, ove l’attenzione dei giudici europei si è spostata sul dies a quo.
L’oggettiva durata del termine diviene quindi un fattore recessivo rispetto alla effettività del momento da cui decorre il termine stesso; tale ultimo elemento afferma la necessità di azioni più effettive in quanto oggettivamente più veloci.
Alla luce di ciò, si ammette un termine della durata di un anno per la tutela del diritto al rimborso da indebito versamento, termine fino ad ora ammesso soltanto per l’esperimento di un’azione di risarcimento dei danni a fronte di un tardivo recepimento di una direttiva (cfr. Cfr. Corte di Giustizia 16.7.2009, C-69/08, causa Visciano).
Sul piano della valutazione in termini di equivalenza, al di là delle riflessioni già effettuate, emergono a nostro avviso alcune incoerenze.
Come rilevato, il termine di un anno è stato posto a tutela della richiesta di restituzione delle tasse sull’inquinamento, dichiarate in relazione ad alcuni profili incompatibili con il diritto europeo.
Alla data di entrata in vigore della legge, che ha riformato le suddette tasse, è stato previsto il decorso generale del termine di un anno per tutti coloro che avessero indebitamente versato le precedenti imposte a prescindere dalle cause da cui si era originato il versamento.
Il termine serviva a definire le pendenze relative a tali ultime fattispecie, delimitando uno spazio giuridico in cui si poteva ancora discutere in merito alle suddette imposte. Decorso tale termine non sarebbe stato più possibile far valere pretese giuridiche relative alle imposte medesime.
Il termine, pertanto, era destinato ad operare diversamente a seconda del singolo contribuente e del momento in cui quest’ultimo aveva versato le imposte; a tutti infatti è riconosciuto il termine di un anno a prescindere da quando è stato materialmente effettuato il versamento.
La disciplina, come viene presentata, risulta a nostro avviso estremamente efficace e soprattutto espressiva di effettività e di certezza del diritto.
Definire un termine ad hoc, nel transito dalla vecchia alla nuova disciplina, sembra essere un passaggio giuridicamente corretto che attenziona i contribuenti (attraverso una specifica regolamentazione) sulla possibilità di chiedere tutela.
Al di là di questa considerazione emerge poi un altro aspetto, sottolineato dal Governo rumeno. Il termine di un anno serve (nella fattispecie) a definire tutte le pendenze relative ai tributi precedentemente vigenti, indipendentemente dalla causa che ha originato l’indebito versamento.
In altre parole, il termine non serve solo alla restituzione dei tributi per incompatibilità europea, sebbene probabilmente questi saranno i maggiori profili di utilizzabilità, ma anche per le questioni (attinenti ai medesimi tributi) che non sono toccate dal diritto europeo e sono basate soltanto sul diritto interno.
Si tratta, infatti, di un termine generale, finalizzato alla regolazione fisiologica della fattispecie della restituzione di tributi che non sono più vigenti.
Alla luce di tali considerazioni, la decisione della Corte appare fortemente censurabile e si pone in una certa contraddizione con le evoluzioni registrate sul piano dell’effettività.
Il principio di equivalenza impone di non effettuare discriminazioni tra le azioni nazionali e quelle europee fondate sulla tutela dei medesimi diritti.
Nel caso in esame il termine è stato già riconosciuto effettivo rispetto alla generale protezione del diritto.
Viene, invece, censurato sulla base del confronto con il termine generale di cinque anni, previsto dal codice rumeno e riferibile alla generalità di azioni di rimborso. Secondo la Corte, infatti, il termine di un anno non rispetta il principio di equivalenza in quanto non è stato previsto dallo Stato membro per analoghe azioni di rimborso fondate sul diritto interno.
La motivazione risulta semplicistica, soprattutto dopo le evoluzioni che si sono registrate sul piano del principio di effettività.
L’attuale termine di cinque anni è un termine generale utilizzabile per tutte le vicende che attengono ai crediti tributari ed (allo stato attuale) è riferibile sia a vicende che traggono origine dal diritto nazionale, che a vicende che traggono origine dal diritto europeo. Allo stesso modo il termine di un anno è oggi previsto per la definizione di tutte le questioni di restituzione attinenti alle tasse sull’inquinamento.
Seppure, come già evidenziato, tale termine sarà utilizzato soprattutto per i rimborsi da indebito comunitario, si ritiene che non possa ritenersi leso il principio di equivalenza o che, comunque, tale supposta lesione non sia stata argomentata dalla Corte di Giustizia.
In altre parole, un termine ad hoc può compararsi solo con un altro termine che abbia la stessa natura e la Corte di Giustizia non ha effettuato tale passaggio, confrontando un termine generale con un termine ad hoc.
Un corretto utilizzo del principio di equivalenza avrebbe imposto di verificare quali termini sono stati previsti per tributi abrogati o riformati nel sistema rumeno, in quanto solo quest’ultima è una fattispecie equivalente (e quindi comparabile).
Si ritiene, infatti, che non possa essere qualificata equivalente la situazione relativa alla tutela generale dei crediti per i tributi che rimangono in vita, rispetto alla necessità di definire situazioni pendenti a fronte di tributi abrogati.
Da ultimo, lo Stato membro evidenzia anche come la previsione in esame sia giustificata dalla necessità di mantenere un equilibrio di bilancio, in una fase di crisi economica generale. Si ritiene che tali argomenti non possano essere trascurati in questo momento storico.
Una sana pianificazione delle entrate tributarie e dei rimborsi contribuisce alla certezza del diritto ed alla stabilità del sistema, ponendo un tassello anche a favore dell’effettività della tutela.
La pronuncia in esame apre alcuni orizzonti in tema di tutela dei diritti europei e - per quanto riguarda la nostra materia - in relazione al rimborso dei tributi.
Si tratta, inoltre, di una pronuncia destinata ad avere un certo rilievo negli ordinamenti statali e soprattutto in quello nazionale sul piano del principio di effettività.
In merito a tale principio si ammette la possibilità di definire termini di durata più limitata rispetto alle precedenti pronunce a condizione che il dies a quo (del termine stesso) qualifichi un momento in cui sia realmente possibile la protezione del diritto.
Si orienta, in tal modo, la visuale sulla qualità del momento di avvio del termine, in relazione alla quale la durata assume un valore recessivo. La conclusione in esame sembra proiettare la tutela verso azioni più veloci, ma espressive di effettività e di certezza del diritto.
Tale quadro normativo imporrà una riflessione sulla posizione della giurisprudenza nazionale di legittimità che, ormai da anni, è ferma nel riconoscere la decorrenza dei termini per la tutela del rimborso da indebito comunitario dal momento del versamento del tributo anche in tutti i casi in cui la contrarietà del tributo stesso al sistema europeo è stata rilevata da una sentenza della Corte di Giustizia o da atti interpretativi dell’Amministrazione finanziaria (la nota questione dell’overuling su cui si rinvia a G. FALSITTA, Tassa sulle società indebita e diritto al rimborso, in Riv. dir. trib., 1996, II, 641; F. Amatucci, L’overruling interpretativo ministeriale non incide sul dies a quo del rimborso dell’IVA, in Rass. trib., 2012, 803; G.M. Cipolla, Diritto e processo nelle azioni di indebito comunitario: quando la Corte di cassazione inventa l’overruling per rimettere in terminis i contribuenti, in Riv. giur. it., 2012, 502; R. Miceli, Nuove prospettive nazionali in materia di rimborso IVA, in Riv. trim. dir. trib., 2012, 676; Id., La decorrenza dei termini per l’esercizio dell’azione di rimborso in caso di sopravvenuta (autorevole) interpretazione di una disposizione. In attesa di una svolta decisiva, in Riv. trim. dir. trib., 2011, 547). In tal senso, una recente ordinanza del 2020 ha ribadito con riferimento ad un caso di indebito versamento di tributi per contrasto con una direttiva europea, reso noto da una sentenza della Corte di Giustizia, che “la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che la decorrenza del termine vada sempre computata dal giorno successivo al versamento poi rilevato indebito” (Cfr. Cass. ord. 12.10.2020, n. 21979; Cass. 28.5.2019, n. 14548; Cass. 6.3.2018, n. 5320; Cass. 26.02.2016, 3793; Cass. SS.UU., 16.4.2014, n. 13676).
Il sistema di tutela nazionale, infatti, risponde ai principi dell’indebito oggettivo in base ai quali la protezione di quest’ultimo deve avviarsi dal versamento della somma indebita, con la conseguenza che non vi sarà tutela se la suddetta interpretazione interviene quando sono già spirati i termini per l’esercizio dell’azione.
Si rileva un contrasto tra i principi consolidati della materia tributaria e i valori europei di effettività della tutela che dovrà trovare una necessaria composizione da parte dei giudici nazionali.
L’esperienza europea dimostra l’importanza delle interpretazioni qualificate, rese da organi amministrativi o giurisdizionali, quali fattori fondamentali di conoscenza del diritto e di applicabilità di un sistema normativo complesso e stratificato.
Di tale realtà è necessario tenere conto in sede di tutela, adattandosi ad una valutazione (meno formale e più) sostanziale delle fonti europee che valorizzi il ruolo degli atti interpretativi quali momenti in cui si comprende di essere titolari di un diritto e di avere la possibilità di farlo valere.
Sul piano, invece, del principio di equivalenza sembra registrarsi un arretramento di pensiero, che rischia di penalizzare anche la predetta evoluzione.
La Corte sindaca un termine ad hoc (già valutato come effettivo) in quanto discriminatorio rispetto ad un termine generale di 5 anni vigente nel sistema rumeno.
Tale posizione potrebbe paralizzare tutti i termini ad hoc sanciti dagli Stati in quanto non saranno mai equivalenti rispetto a quelli generali.
Il tema assume una maggiore rilevanza anche alla luce delle precedenti osservazioni.
Seppure a livello nazionale si dovesse valutare la possibilità di una rimessione in termini in relazione alle situazioni prima descritte, tale disciplina non potrebbe mai prevedere il termine generale di rimborso in quanto troppo esteso e conseguentemente poco allineato ai valori di celerità e di efficienza delle procedure che il sistema intende affermare.
L’effettività risulta il valore principale al quale improntare la tutela ed impone al suo interno una valutazione dell’equivalenza adeguata alla fattispecie e coerente con il sistema di principi europei.