argomento: Imposte sui trasferimenti e altri tributi - Legislazione e prassi
Con la bozza di agosto, l’Agenzia delle Entrate procede ad una decisa revisione dell’orientamento precedentemente espresso in ordine alla tassazione indiretta del trust, prevendendo l’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni al momento del trasferimento dei beni del trust ai beneficiari, in linea con le posizioni maggioritarie della Corte di Cassazione. Il documento non pare tuttavia esaminare in maniera esauriente il tema in quanto da un lato trascura l’analisi di alcune problematiche applicative, dall’altro non fornisce indicazioni con riguardo al passaggio dalla vecchia alla nuova impostazione.
PAROLE CHIAVE: trust - imposte indirette - imposta sulle successioni
di Antonio Viotto
Con la circolare, diffusa in bozza per ottenere indicazioni da parte degli operatori interessati (sulla quale, con riferimento alle questioni legate al monitoraggio, vd. TASSANI T., Trust e monitoraggio fiscale: considerazioni critiche sulla recente bozza di circolare dell’agenzia delle entrate, in questa Rivista, 2021), l’Agenzia delle entrate manifesta l’intento di recepire – per quanto attiene all’imposizione indiretta – l’orientamento che si è andato via via consolidando nella giurisprudenza della Corte di cassazione, superando le indicazioni già fornite nelle circolari precedenti (in particolare, la n. 48/E del 2007 e la n. 3/E del 2008), sulla scorta delle quali si era sviluppato un voluminoso contenzioso, più volte approdato all’attenzione del Supremo collegio.
In effetti, la posizione originaria dell’Agenzia era incentrata sulla tassazione «in entrata», da realizzarsi con l’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni sugli atti di apporto di beni in trust (oltre che delle imposte ipocatastali, nel caso di immobili), e sulla esclusione da tassazione «in uscita», nel momento del trasferimento del c.d. trust fund ai beneficiari del trust. Ciò in quanto il trust veniva inteso come un rapporto giuridico complesso, con un’unica causa fiduciaria, nel quale la costituzione del vincolo sui beni avviene sin dall’origine a favore dei beneficiari ed è espressione di un unico disegno volto a consentire la realizzazione dell’attribuzione liberale, per l’appunto a vantaggio dei beneficiari.
Ai fini dell’applicazione del tributo successorio, si riteneva che dovesse farsi riferimento al momento dell’apporto in trust, sia per individuare l’aliquota e le franchigie da applicare (come noto, dipendenti dal legame di parentela esistente tra de cuius/donante e eredi/donatari), sia per valutare la spettanza di agevolazioni ed esenzioni, sia per determinare il valore dei beni da assoggettare a tassazione. Con la conseguenza che, nel caso in cui i beneficiari non fossero individuati al momento dell’apporto, e dunque non fosse ravvisabile, nemmeno per categorie, il legame tra essi ed il disponente, si sarebbe dovuta applicare l’aliquota massima (8%), senza alcuna franchigia. Lo stesso sarebbe dovuto accadere nei trust di scopo, in quelli caritatevoli e in quelli non liberali (onerosi o commerciali).
In ogni caso, l’Agenzia attribuiva la soggettività passiva tributaria in capo al trust.
Si tratta di un orientamento assai discutibile, che la stessa Corte ha ben presto abbandonato (già con la sent. n. 21614 del 26 ottobre 2016), preferendo attestarsi su un’impostazione che baricentra l’applicazione del tributo successorio sul trasferimento di beni e diritti, un’impostazione che sembra più coerente rispetto alle caratteristiche dell’imposta di successione, anche nella versione reintrodotta nel 2006, nella quale il tributo viene posto a carico dell’erede (o del donatario) e la misura viene modulata in funzione del rapporto intercorso (o intercorrente) tra questo e il disponente. Dunque, un tributo che non è un’imposta d’atto (sull’atto in sé), ma sulla ricchezza che viene trasferita e che trova la sua giustificazione costituzionale in ragione dell’arricchimento del beneficiario, in coerenza con una concezione più rigorosa del principio di capacità contributiva (vd. Corte Cost., sent. n. 120 del 23 giugno 2020: «l'imposizione delle successioni e donazioni "giustificata dall'arricchimento dell'erede o del beneficiario e quindi in ragione della capacità contributiva di questi ultimi, che risulta nuova e autonoma anche rispetto alle imposte a suo tempo versate dal dante causa" (sentenza n. 54 del 2020)»).
Sia pure con qualche successivo distinguo (vd. ord. n. 31445 del 5 dicembre 2018, su cui tornerò in seguito, la quale introduce la distinzione tra trust con effetto traslativo immediato e trust con effetto traslativo differito), anch’esso espressamente superato, la Corte approda ad un orientamento che si consolida nelle pronunce degli ultimi tre anni (vd. ord. n. 1131 del 17 gennaio 2019; ord. , n. 10256 del 29 maggio 2020; ord. n. 28796 del 16 dicembre 2020; ord. n. 29199 del 21 dicembre 2020; Sent. n. 8082 del 23 aprile 2020; ord. 22568 del 10 agosto 2021), nelle quali si individua una soluzione “unitaria”, valida «per tutte le tipologie di trust», nella quale l’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni – e lo stesso si dice per le imposte ipocatastali (vd. ord. n. 27995 del 7 dicembre 2020) – viene fissata al momento di trasferimento dei beni del trustee ai beneficiari, secondo una logica che concepisce il trust come un programma negoziale, stabilito per attuare una donazione indiretta, nella quale il trasferimento al trustee non è definitivo ed è meramente funzionale alla realizzazione del programma negoziale (nella sent. n. 8082/2020 si parla di «attribuzione patrimoniale al trustee … meramente formale, transitoria, vincolata e strumentale»).
Il tutto mantenendo ferma la configurazione del trust che aveva ispirato l’impostazione originaria, quale rapporto giuridico complesso, con unica causa fiduciaria.
Senonchè, tale impostazione, all’apparenza chiara e lineare, necessita in realtà di più di una precisazione e solleva più di un dubbio, la cui soluzione, peraltro, non si rinviene nella giurisprudenza della Cassazione che l’ha ispirata, la quale, ancorché impegnata in una significativa opera di ricostruzione sistematica, in mancanza di solidi parametri normativi, è, per forza di cose, vincolata e limitata nel suo agire dall’oggetto del giudizio, incentrato sulle sentenze concernenti la legittimità degli atti impositivi, emessi per contestare la mancata applicazione dell’imposta al momento dell’apporto dei beni in trust.
Qui la bozza della circolare ritiene che, per individuare il momento di «attribuzione stabile dei beni confluiti nel trust a favore del beneficiario», debba farsi riferimento «alle clausole statutarie che disciplinano il concreto assetto degli interessi patrimoniali e giuridici dell’istituto in esame»: una formula che fa sorgere il dubbio che l’Agenzia intenda far rientrare dalla finestra quella tesi “intermedia” – prospettata dalla Corte di cassazione nel 2018, che postulava la distinzione tra trust con effetto traslativo immediato e trust con effetto traslativo differito – che la stessa Corte aveva però fatto uscire dalla porta, superandola espressamente con le sentenze successive.
Si tratta, peraltro, di una tesi che era stata ripresa dalla dottrina (CONTRINO A., Contributo al completamento della teoria giurisprudenziale di tassazione dei trust ai fini delle imposte indirette sui trasferimenti (con uno sguardo all’indietro di tre lustri), cit., p. 1234 s.), la quale, pur condividendo, in linea di principio, l’idea che il momento impositivo vada ravvisato nel trasferimento del trust fund ai beneficiari, riteneva (e ritiene) che, in determinati casi, ciò si possa verificare in un frangente anteriore al formale passaggio dei beni dalla sfera giuridica del trustee a quella dei beneficiari, in ragione delle “posizioni giuridiche assolute” (c.d. vested in possession) o “quesite” (c.d. vested interest) di cui possono godere i beneficiari, in virtù delle clausole contenute nell’atto istitutivo e di quanto previsto dalla legge applicabile, che attribuiscono loro il diritto di ottenere dal trustee la consegna dei beni in qualunque momento ovvero il trasferimento della proprietà dei beni medesimi.
Come detto, tuttavia, la Cassazione, anche nella pronuncia n. 8082/2020 che viene richiamata dall’Agenzia, ha inteso espressamente superare anche questa tesi “intermedia”, sia pure in modo piuttosto superficiale, accomunando nella categoria dei trust «trasparenti», la variegata serie di situazioni che potrebbero prospettarsi, per approdare ad una concezione “unitaria”, considerata valida per ogni tipologia di trust, nella quale l’imposizione viene agganciata all’attribuzione finale e definitiva dei beni ai beneficiari.
Il che dovrebbe condurre ad accettare l’idea che la tassazione possa essere spostata anche molto in avanti nel tempo, rispetto al momento della costituzione e della dotazione del trust, e che, attraverso il trust si possa realizzare, anche sul piano dell’imposizione indiretta, quell’effetto di generation skipping che è tipico dei trust di stampo statunitense (e sanmarinese).
Ciò a prescindere dalle posizioni vested di cui possono essere titolari i beneficiari, prima del formale trasferimento nei loro confronti dei beni costituenti il trust fund.
Su questi profili, invero fondamentali, la bozza di circolare non è sempre chiarissima, in quanto, ad esempio, con riferimento alle aliquote e alle franchigie, si dice che «occorre far riferimento al rapporto di parentela tra il disponente e il beneficiario», senza espressamente precisare che questa valutazione va fatta al momento del trasferimento dei beni dal trustee ai beneficiari e, dunque, va fatta considerando il rapporto di parentela tra il disponente (che nel frattempo potrebbe essere defunto) e coloro che ottengono la proprietà del trust fund, all’esito delle assegnazioni operate dal trustee. Questa dovrebbe essere, per ragioni di coerenza, l’impostazione, ma la precisazione sarebbe stata opportuna, visto che la formula adottata è analoga a quella usata nelle precedenti circolari in cui l’Agenzia si riferiva al momento del conferimento dei beni in trust.
Segnalo, peraltro, che, se questa è l’impostazione che l’Agenzia intende seguire, ne deriva come conseguenza il venir meno alla radice del problema che si verificava in passato nel caso dei trust con beneficiari non individuati, neppure per categorie, al momento dell’istituzione del trust e dell’apporto dei beni, problema che l’Agenzia aveva pensato di risolvere prevedendo l’applicazione dell’aliquota massima, senza franchigie.
7.1 In primo luogo, si tratta di stabilire come si coordini questa nuova impostazione rispetto all’applicazione dell’agevolazione di cui all’art. 3, co. 4 ter, del D.Lgs. n. 346/90, allorquando i beni apportati in trust siano aziende o partecipazioni di controllo.
In passato, l’Agenzia era giunta ad un’interpretazione elastica che consentiva di evitare l’imposizione «in entrata» (ed anche quella «in uscita», visto che il momento impositivo veniva individuato nell’apporto al trust), a condizione che il trust avesse avuto una durata non inferiore a 5 anni, a decorrere dal conferimento in trust, che i beni apportati fossero partecipazioni di controllo (ex art. 2359, co. 1, n. 1, c.c.) o aziende, che i beneficiari fossero individuati nei discendenti o nel coniuge del disponente, che il trust fosse non discrezionale e non revocabile e che il trustee dovesse proseguire l’esercizio dell’impresa (in caso di azienda) o dovesse mantenere il controllo per più di cinque anni e dovesse rendere la dichiarazione di impegno in tal senso prevista dalla norma (vd. Ris. n. 110 del 23 aprile 2009).
Ebbene, nella bozza di circolare si dice che «l’eventuale spettanza di esenzioni e/o agevolazioni sarà valutata al momento dell’atto di attribuzione dei beni sulla base della presenza dei relativi presupposti» e, alla nota 22, si cita espressamente l’art. 3, co. 4 ter, del D.Lgs. n. 346/90. A quanto pare, dunque, a prescindere dalla durata del trust, si dovrebbe ora verificare se, all’atto di assegnazione dei beni ai beneficiari, sussistano i presupposti per l’applicazione dell’agevolazione, ovverosia se i beneficiari siano discendenti o coniuge del disponente e se quanto ad essi devoluto sia un’azienda o una partecipazione di controllo (o che consenta ai beneficiari di integrare il controllo). Inoltre, i beneficiari dovrebbero impegnarsi a proseguire l’esercizio dell’impresa o a mantenere il controllo per ulteriori cinque anni e, nel caso in cui i beneficiari assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni siano più d’uno, i beni dovrebbero formare oggetto di una comunione tra i beneficiari (stando all’impostazione seguita dall’Agenzia delle entrate nella circolare n. 11/E del 16 febbraio 2007, punto 12.1).
Tuttavia, onde evitare che la funzione dell’agevolazione (così come ricostruita anche dalla Corte Cost. nella citata sent. n. 120/2020, laddove si riconosce che «l’esenzione in discorso mira dunque ad agevolare – attraverso l’eliminazione dell’onere fiscale correlato al trasferimento per successione o donazione – la continuità generazionale dell’impresa nell’ambito dei discendenti nella famiglia in occasione della successione mortis causa, rispetto alla quale il trasferimento a seguito di donazione può rappresentare una vicenda sostanzialmente anticipatoria»; in dottrina, sul tema, vd. FICARI V., La fiscalità della trasmissione familiare della ricchezza e dei patti di famiglia, in Riv. Trim. Dir. Trib., 2021, p. 293 s.; FEDELE Profilo fiscale del patto di famiglia in Riv. dir. trib., 2014, I, p. 527 e ss.; BASILAVECCHIA Il patto di famiglia: dove il diritto civile unisce, il Fisco e la giurisprudenza dividono, in Corr. Trib., 2019, 267 e ss.; CORASANITI Gli aspetti tributari del passaggio generazionale delle imprese alla luce della recente prassi dell’Agenzia delle Entrate in Riv. trim. dir. trib., 2020, 293 e ss.; PURI Prime riflessioni sul trattamento fiscale del patto di famiglia in Dir. prat. trib., 2008, 279 e ss.; CIPOLLINA Profili fiscali del patto di famiglia in AA.VV. Il patto di famiglia (a cura di La Porta), Torino, 2007, 255 e ss..) venga snaturata, mi sembra che, nella valutazione dei presupposti, non si possa prescindere da quanto apportato in trust dal disponente e che, dunque, non rilevi solo quanto ricevuto dai beneficiari (che potrebbe anche essere il frutto di operazioni compiute dal trustee), ma che – proprio al fine di assicurare la continuità – sia necessario che ciò corrisponda a quanto apportato in trust dal disponente, ovverosia che quanto ricevuto siano l’azienda o le partecipazioni in origine apportate.
7.2 In secondo luogo, il riferimento al momento di «uscita» dal trust, dovrebbe condurre ad interrogarsi su quale sia la rilevanza delle vicende medio tempore intervenute nel corso della “vita” del trust.
Tali vicende possono riguardare, ad esempio, il mutamento della tipologia dei beni, con effetti che potrebbero riguardare i criteri di valutazione degli stessi (si pensi al caso in cui il trustee decida di investire il denaro ricevuto nell’acquisto di partecipazioni, la cui valutazione, come noto, è legata al patrimonio netto contabile della società, e non al costo sostenuto per l’acquisto o al valore di mercato) o anche la spettanza di agevolazioni (si pensi al caso in cui il trustee decida di investire il denaro ricevuto nell’acquisto di beni culturali vincolati, il cui trasferimento per successione o donazione è escluso da imposizione, ex artt. 13 e 59 del D.Lgs. n. 346/90, o di altri beni esentati da imposta per legge): in tal casi, non sussistendo le ragioni di coerenza sopra individuate per l’agevolazione concernente il trasferimento delle aziende e delle partecipazioni di controllo, la tassazione al momento del trasferimento non potrebbe che realizzarsi sui beni trasferiti ai beneficiari, applicando le regole ad essi riferibili.
7.3 Inoltre, le suddette vicende possono riguardare il realizzo di redditi da parte del trustee, già tassati in capo al trust o ai beneficiari (se individuati) secondo le regole dettate dal TUIR ed eventualmente capitalizzati, ossia reinvestiti in altri beni.
Ebbene, la devoluzione ai beneficiari di quanto corrisponde ai redditi prodotti dal trust fund pone il dubbio se anche tale parte del patrimonio debba essere assoggettata all’imposta sulle successioni e donazioni. Si tratta di una tematica che, per la sua complessità, va al di là del perimetro delle presenti annotazioni, in quanto impone di indagare in modo sistematico i rapporti che sussistono tra tributi diversi (quali sono le imposte sui redditi e le imposte sulle successioni e donazioni), che, anche se in linea teorica potrebbero essere sovrapponibili, in diverse occasioni il legislatore ha considerato come alternativi (si pensi, ad esempio, al caso dei terreni edificabili trasferiti per donazione, per i quali il costo fiscalmente riconosciuto per il donatario, ai fini del calcolo della plusvalenza, è dato dal valore dichiarato ai fini dell’imposta di donazione).
Per quanto qui interessa, sembra che la bozza di circolare sia orientata nel senso dell’alternatività, laddove, con riferimento ai trust esteri (par. 3.3.2) - dopo aver ricordato che, ai fini delle imposte sui redditi, la tassazione del reddito prodotto dal trust deve avvenire una sola volta e che il trustee è tenuto a distinguere e a documentare ciò che viene attribuito come “patrimonio” e ciò che viene attribuito come “reddito” – afferma che l’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni riguardi le «predette attribuzioni di patrimonio» e che «nel caso in cui il disponente del trust sia residente in Italia, agli atti di attribuzioni di patrimonio sarà applicabile l’imposta proporzionale sulle successioni e donazioni».
7.4 In termini più generali, poi, l’idea che il presupposto dell’imposizione successoria si perfezioni nel momento dell’attribuzione dei beni ai beneficiari crea una divaricazione tra il momento della disposizione (da parte del disponente) e quello dell’acquisizione della ricchezza (da parte del beneficiario) che rischia di esporre i contribuenti all’alea delle modifiche normative che potrebbero intervenire medio tempore (si pensi, ad esempio, ad eventuali mutamenti di aliquote, di franchigie o delle agevolazioni previste), le quali, peraltro, potrebbero essere tali che, se fossero state conosciute dal disponente all’atto della disposizione, lo avrebbero dissuaso dal procedere. Il che non mi sembra del tutto coerente con quelle che sono le caratteristiche essenziali della figura del trust (e, se vogliamo, neppure con le basi concettuali su cui poggia l’impostazione dell’Agenzia, incentrata sulla configurazione del «rapporto giuridico complesso con un’unica causa fiduciaria») , in quanto, se è vero che con l’atto di assegnazione ai beneficiari si porta a compimento il programma negoziale del trust e si realizza l’effettivo arricchimento dei beneficiari, è altrettanto vero che detto programma negoziale e detto arricchimento trovano la loro origine nell’atto istitutivo e nel successivo atto di dotazione del trust. Ed è altrettanto vero che i due estremi (dotazione e assegnazione) sono legati dalla fase nella quale i beni sono sì intestati al trustee, ma vengono da questo amministrati secondo le indicazioni del disponente, nell’interesse dei beneficiari.
Ed allora, volendo cercare di individuare un modello normativo a cui fare riferimento, in attesa che il legislatore decida di intervenire per disciplinare compiutamente la materia, si potrebbe pensare di mutuare quello previsto per le donazioni e per gli atti di liberalità diversi dalle donazioni sottoposti a condizione sospensiva, per i quali l’art. 58 del TUS prevede che si applichino le disposizioni dettate ai fini dell’imposta di registro. A sua volta, l’art. 27 del DPR n. 131 del 1986 dispone che la tassazione avvenga in due momenti, con l’applicazione dell’imposta in misura fissa al momento della registrazione dell’atto sottoposto a condizione sospensiva e con l’applicazione dell’imposta proporzionale nel momento dell’avveramento della condizione (o comunque del prodursi degli effetti prima di tale evento), ma specifica che ciò deve avvenire «secondo le norme vigenti al momento della formazione dell’atto». Ai fini dell’imposta sulle donazioni, dunque, essa dovrebbe applicarsi al momento in cui si verifica la condizione – e, pertanto, si realizza l’arricchimento del donatario – ma seguendo le disposizioni vigenti al momento in cui la donazione è stata stipulata. Ora, senza con ciò volermi spingere fino ad inquadrare la poliedrica e multiforme figura del trust nell’ambito della fattispecie degli atti di donazione o di liberalità sottoposti a condizione sospensiva, essendo ben conscio della differenza che intercorre tra le diverse figure, mi sembra che – in mancanza di una specifica regolamentazione – lo schema normativo previsto per le liberalità condizionate potrebbe – meglio di altri – attagliarsi alle caratteristiche del trust, sopra sommariamente indicate, e potrebbe consentire di dare attuazione all’orientamento giurisprudenziale che tende a baricentrare la tassazione nel momento del trasferimento del trust fund ai beneficiari, senza tuttavia prescindere da quello – altrettanto rilevante nella logica del tributo successorio (che, a mio modo di vedere, colpisce la ricchezza in quanto oggetto di trasferimento e non solo in quanto arricchimento del destinatario) – dell’assegnazione dei beni in trust ad opera del disponente. Dovrebbe dunque essere questo il momento in cui cristallizzare le regole da applicare per quantificare l’imposta che sarà dovuta dai beneficiari nel momento in cui si realizzerà il definitivo e stabile trasferimento ad essi dei beni che costituiscono il trust fund.
8.1 In primo luogo, non è stata presa in considerazione la (variegata) categoria dei trust di scopo (costituiti per il conseguimento di determinati scopi istituzionali, ma senza la previsione di beneficiari in senso tecnico-giuridico), rispetto ai quali si registra tuttora un orientamento non univoco da parte della Cassazione: questa, infatti, con riferimento ad un trust caritatevole, pur aderendo all’orientamento che fissa il momento impositivo nel trasferimento ai beneficiari, nondimeno ha ritenuto che la tassazione debba realizzarsi all’atto del conferimento in trust, considerando il trust stesso quale destinatario della donazione diretta voluta dal disponente per conseguire il perseguimento dello scopo istituzionale (vd. sent. n. 22758 del 12 settembre 2019); nel contempo, la stessa Corte, con riferimento ad un trust di scopo (avente lo scopo di provvedere alla manutenzione ordinaria e straordinaria, alla riqualificazione ed allo sviluppo dell'aeroporto umbro di S. Egidio nel quinquennio 2005-2010), ha ribadito che la tassazione dovrebbe comunque realizzarsi nel momento del trasferimento al beneficiario effettivo (vd. ord. n. 1131/2019).
8.2 In secondo luogo, nulla viene detto con riguardo ai casi di reintestazione al disponente dei beni in trust, la quale può derivare sia al termine del trust, quale effetto voluto e connesso allo scopo per il quale il trust è stato istituito (è il caso del c.d. blind trust), sia per effetto della revoca del trust da parte del disponente, sia nel caso in cui il disponente sia esso stesso un beneficiario. Ebbene, la mancanza di trasferimento intersoggettivo di ricchezza è stata valorizzata dalla stessa Agenzia delle entrate quale motivo sufficiente per escludere l’applicazione dell’imposta di donazione, sia nella Risposta ad interpello 15 febbraio 2021, n. 106, sia nella successiva Risposta 18 maggio 2021, n. 352, nella quale l’Agenzia sembra tuttavia subordinare la mancata applicazione dell’imposta alla circostanza che i beni restituiti siano i medesimi di quelli segregati. Va detto, peraltro, che tale profilo è stato reputato non rilevante dalla Corte di cassazione, nella sentenza n. 8719 del 30 marzo 2021, nella quale la retrocessione è stata considerata alla stregua di un atto neutro rispetto all’imposta di donazione, inidoneo a realizzare un effettivo arricchimento del disponente, anche nel caso in cui i beni retrocessi non siano gli stessi di quelli in precedenza segregati. Ed in effetti, a me pare che (pur comprendendo le preoccupazioni segnalate in dottrina circa il rischio che si verifichino salti d’imposta sul versante dell’imposizione diretta: vd. CONTRINO A., I trust c.d. “di ritorno” in senso stretto (blind trust, resulting trust e simili) e in senso lato (trust interposti e simili) al cospetto del tributo successorio: la prassi amministrativa e la recentissima giurisprudenza di legittimità convincono solo a metà, in Riv. dir. trib. online, 2 aprile 2021) nella logica che fissa la tassazione nel momento dell’attribuzione ai beneficiari, in ragione del loro rapporto con il disponente, la circostanza che il trust fund venga ri-trasferito al disponente dovrebbe essere un evento privo di rilevanza rispetto all’imposta di donazione, attesa la natura temporanea e meramente funzionale alla realizzazione del programma negoziale del trust dell’intestazione dei beni al trustee.
8.3 In terzo luogo, nessuna menzione viene fatta dalla bozza di circolare ai trust non liberali (onerosi o commerciali), quali possono essere i trust solutori e quelli di garanzia. Va detto che, rispetto a tali figure, l’orientamento della Cassazione è piuttosto consolidato nel senso di escludere l’applicazione dell’imposta di donazione, sia nel momento del conferimento dei beni in trust, sia nel successivo momento della ripartizione del ricavato tra i creditori beneficiari (vd. sent. n. 19167 del 17 luglio 2019, laddove si afferma che «si tratterà di individuare e tassare gli atti traslativi propriamente detti, non potendo assurgere ad espressione di ricchezza imponibile nè l'assegnazione-dotazione di taluni beni alla liquidazione del trustee in funzione solutoria e nemmeno, in tal caso, la ripartizione del ricavato ai beneficiari a dovuta soddisfazione dei loro crediti»; nonché ord. n. 28839 del 16 dicembre 2020; ord. n. 27995/2020 e n. 22568/2021), e l’impostazione sembra condivisibile, attesa l’impossibilità di configurare l’esistenza di un atto di donazione o di liberalità che costituisce il presupposto del tributo.
8.4 Infine, ed è forse la carenza più eclatante, nulla viene detto dall’Agenzia con riguardo alle problematiche connesse al passaggio dalla vecchia alla nuova impostazione, per quelle situazioni nelle quali i contribuenti, vuoi perché a ciò tenuti in forza di un giudicato, vuoi perché a ciò indotti in ossequio alle circolari dell’Agenzia o alle risposte agli interpelli ad essa proposti, hanno corrisposto l’imposta sulle successioni e donazioni al momento del conferimento dei beni in trust ovvero hanno beneficiato di un’agevolazione, quale ad esempio quella di cui all’art. 3, co. 4-ter, del TUS per il trasferimento di aziende o partecipazioni di controllo. Ebbene, per tutte queste situazioni, si tratterà di stabilire quale sarà il trattamento da riservare nel momento del trasferimento dei beni ai beneficiari.
In caso di precedente assolvimento dell’imposta all’atto del conferimento in trust, l’esclusione da imposizione nel momento del trasferimento ai beneficiari dovrebbe trovare fondamento anzitutto nel generale divieto di doppia imposizione che, pur in mancanza di una previsione ad hoc nell’ambito del tributo successorio, dovrebbe derivare direttamente dall’art. 53 Cost. in considerazione del fatto che la ricchezza già sottoposta a tassazione, peraltro in relazione al medesimo presupposto (sia pure diversamente ricostruito dall’Agenzia), ancorché formalmente in capo a soggetti diversi, dovrebbe avere già esaurito la sua idoneità a costituire indice di capacità contributiva.
Non secondaria, poi, mi pare sia la rilevanza che in questi casi può rivestire il principio di affidamento del contribuente rispetto agli atti dell’Amministrazione (peraltro rafforzata nel caso di assolvimento dell’imposta in aderenza ad una eventuale risposta ad interpello) (sulla rilevanza delle circolari dell’Agenzia nell’ingenerare il legittimo affidamento del contribuente vd., tra gli altri, DELLA VALLE E., Affidamento e certezza del diritto tributario, Milano, 2001, p. 114 s.; DI PIETRO, I regolamenti, le circolari e le atre norme ammnistrative per l’applicazione della legge tributaria, in Trattato di diritto tributario, diretto da Amatucci A., Padova, 1994, Vol. I, 2°, pag. 650 s.; FALSITTA G., Rilevanza delle circolari “interpretative” e tutela giurisdizionale del contribuente, in Rass. trib., 1988, p. 11 s.; DE MITA, La tutela del contribuente contro la “dottrina” del fisco, in Rass. trib., 1987, II, p. 537 s.; SAMMARTINO, Le circolari interpretative delle norme tributarie emesse dall’Amministrazione finanziaria, in Studi in onore di V. Uckmar, Padova, 1997, tomo II, p. 1077 s.; SERRANO’ M.V., Il diritto all’informazione e la tutela della buona fede nell’ordinamento tributario italiano, in Riv. dir. trib., 2001, I, p. 328-329), principio che potrebbe essere invocato anche nei casi in cui il conferimento in trust avesse beneficiato di un’agevolazione, in ossequio alle direttive diramate dall’Agenzia o ad una risposta ad istanza di interpello.
Giova invero rammentare che la portata di tale fondamentale principio non è affatto limitata alla non applicabilità delle sanzioni, giusta quanto disposto dall’art. 10. co. 2, dello Statuto del contribuente, ma si ritiene possa giungere fino al riconoscimento della non debenza del tributo (in tal senso vd. MARONGIU G., Statuto del contribuente, affidamento e buona fede, in Rass. Trib., 2001, p. 1275 s.; VIOTTO A., Tutela dell’affidamento, consulenza giuridica e interpello, in Riv. Dir. Trib., I, 2017, p. 698 s.; COLLI VIGNARELLI, Considerazioni sulla tutela dell’affidamento e della buona fede nello Statuto dei diritti del contribuente, in Riv. dir. Trib., 2001, I, p. 700 s. Per un diverso orientamento, vd. STEVANATO, Tutela dell’affidamento e limiti all’accertamento del tributo, in Rass. Trib., 2003, p. 815 s.), attraverso la valorizzazione del principio della buona fede (su cui vd., tra i molti, DE MITA E., La buona fede in diritto tributario (quando l’Amministrazione cambia orientamento), in Interesse fiscale e tutela del contribuente, Milano, 2006, p. 334 s.; TRIVELLIN M., il principio di buona fede nel diritto tributario, Milano, 2010; FREGNI M.C., Obbligazione tributaria e codice civile, Torino, 1998, 232-233; DELLA VALLE E., Revirement ministeriale e buona fede nell’esercizio della funzione impositiva, in Riv. dir. Trib., 1995, I, p. 617 s.;), inteso, da una parte, quale dovere dell’amministrazione di agire in modo coerente e non contraddittorio, senza tradire le aspettative del contribuente, e, dall’altra parte, quale dovere del contribuente di agire in modo corretto, tenendo comportamenti che siano fondati sul ragionevole convincimento delle apparenti legittimità e coerenza dell’attività amministrativa.
Molto importante, in questa direzione, è l’apporto dato dalla Corte di Giustizia la quale, dopo aver ripetutamente riconosciuto la rilevanza, quali principi fondamentali dell’ordinamento comunitario, dei principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento (vd. sent. 26 aprile 2005, causa C-376/02; sent. 7 giugno 2005, Causa C-17/03; sent. 10 settembre 2009, n. 201; sent. 12 dicembre 2013, n. 362), nella pronuncia 9 luglio 2015, causa C-144/14, ha stabilito che il principio dell’affidamento può consentire di non dover corrispondere il tributo (l’IVA nel caso di specie), a condizione che, da un lato, l’amministrazione abbia dato indicazioni precise e dettagliate, e, dall’altro lato, tali indicazioni siano state valutate con prudenza e accortezza dal contribuente.
Mi sembra, dunque, che vi sia più di un argomento per considerare cristallizzata la spettanza dell’agevolazione riconosciuta nel momento del conferimento in trust e per escludere la successiva tassazione all’atto del trasferimento dei beni ai beneficiari, ancorché nessuna imposta sia stata applicata in fase di conferimento.