Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

07/01/2022 - Accertamenti parziali ed impugnabilità degli atti di adesione

argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza

La Suprema Corte Corte di Cassazione, (con l'ordinanza 20 ottobre 2021, n. 29036) ha affrontato una vertenza concernente l’impugnazione di un atto di definizione di processo verbale di constatazione ai sensi del previgente art. 5-bis del D.Lgs. n. 218/1997. Dopo aver riconosciuto l’impugnabilità di tale atto, la Corte si sofferma sulla definizione di “avviso di accertamento parziale”, ponendo l’accento sulla assenza di «alcuna attività di tipo valutativo da parte dell'amministrazione finanziaria».

PAROLE CHIAVE: adesione - atti impugnabili - accertamento parziale


di Ernesto Marco Bagarotto

  1. Con la pronuncia commentata – resa in forma di ordinanza – la Corte di Cassazione ha affrontato una particolare vicenda riferita all’avvenuta impugnazione di un atto di adesione ad un processo verbale di constatazione, perfezionato ai sensi dell’art. 5-bis del D.Lgs. n. 218/1997, disposizione che – in sostanza – permetteva di aderire al contenuto dei p.v.c. che consentissero l’emissione di avvisi di accertamento parziale, beneficiando di un abbattimento delle sanzioni doppio rispetto a quello accordato in caso di accertamento con adesione [su tale istituto vd., per tutti, GIOVANARDI A., L’adesione ai processi verbali di constatazione e agli inviti a comparire tra principio di eguaglianza e deterrenza delle sanzioni, in Rass. trib., 2010, 342 e PIERRO M., I nuovi modelli di definizione anticipata del rapporto fiscale (adesione al verbale e adesione all’invito), in Rass. trib., 2009, p. 986].

Sebbene il tema trattato possa sembrare non più attuale per effetto dell’intervenuta abrogazione del citato art. 5-bis (ad opera dall'art. 1, comma 637, lett. c, n. 2, della L. n. 190/2014), la pronuncia presenta dei profili di interesse, poiché formula alcune considerazioni sulla nozione di accertamento parziale, nozione che, a tutt’oggi, rileva, non solo ai della comprensione della normativa che regola direttamente tale controversa figura (contenuta negli artt. 41-bis del DPR n. 600/1973 e 54, comma 4, del DPR n. 633/1972), ma anche nell’ambito di ulteriori istituti. Ci si riferisce, in particolare, all’obbligo di contraddittorio anticipato con riferimento agli avvisi di accertamento diversi da quelli parziali di cui al successivo art. 5-ter; nonché alla regola contenuta nel precedente art. 2, che lascia fermo l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice nei casi di definizione con adesione di avvisi di accertamento parziali.

  1. Veniamo ai fatti di causa. Stando alla motivazione della sentenza, una società ometteva di presentare la dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi con riferimento all’anno d’imposta 2009 e, successivamente, subiva una verifica fiscale che si chiudeva con la notifica di un processo verbale di constatazione, contenente la contestazione di maggiori ricavi.

La società presentava istanza di adesione al verbale in base all’art. 5-bis del D.Lgs. n. 218/1997, in forza del quale il contribuente poteva prestare adesione ai «verbali di constatazione in materia di imposte sui redditi e di imposta sul valore aggiunto … che consentano l'emissione di accertamenti parziali previsti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, comma 4. 2». La norma, va ricordato, specificava che l'adesione dovesse avere giocoforza ad oggetto il contenuto integrale del verbale di constatazione.

Alla luce dell’opzione esercitata dalla contribuente, l’Amministrazione finanziaria emetteva atto di definizione, liquidando le imposte dovute in base al p.v.c.

La Società, tuttavia, ricorreva avverso l’atto di definizione, contestando che, fermo restando che – effettivamente – la dichiarazione era stata omessa, le imposte dovute sui ricavi rilevati dai verificatori sarebbero comunque state versate. In particolare, l’errore in cui sarebbe incorsa l’Amministrazione finanziaria nel liquidare le imposte dovute sarebbe dipeso dalla mancata considerazione dei costi sostenuti e non dichiarati, ma indicati dal contribuente in sede di verifica.

I giudizi di merito si chiudevano favorevolmente alla contribuente, con il riconoscimento, da un lato, dell’impugnabilità dell’atto di adesione e, dall’altro lato, dell’erroneità dei conteggi operati dall’Agenzia, alla luce della mancata considerazione dei citati costi.

  1. L’Amministrazione finanziaria proponeva ricorso per cassazione, deducendo un unico motivo ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. e, segnatamente, per violazione degli artt. art. 5-bis e 2, comma 3, del D.Lgs. n. 218 del 1997, nonché dell’art. 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992.

In particolare, secondo l’Amministrazione finanziaria, la contribuente non poteva ritenersi legittimata ad impugnare l'atto di definizione, poiché l'Amministrazione finanziaria aveva liquidato le imposte dovute alla luce dei rilievi contenuti nel processo verbale di constatazione. A questo proposito, l’Agenzia poneva l’accento sul fatto che nel verbale di constatazione non erano stati accertati i maggiori costi dal cui riconoscimento sarebbe derivata la riduzione – invocata dalla contribuente – delle imposte richieste nell’atto di adesione.

  1. La pronuncia commentata prende le mosse dal presupposto – sia pure affrontato espressamente nella seconda parte del testo dell’ordinanza – che gli atti di adesione ex art. 5-bis del D.Lgs. n. 218/1997 rappresentino, sia pure entro gli specifici limiti di cui si dirà infra, atti impugnabili.

L’ordinanza in commento non si diffonde sul punto, limitandosi a sottolineare che l’impugnazione dell’atto di adesione deve ritenersi possibile al fine di contestare l’eventuale discordanza tra gli importi richiesti e quelli dovuti in base al processo verbale di constatazione oggetto di definizione.

Depone in tal senso una lettura costituzionalmente orientata dall’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992. Laddove l’atto di definizione fosse inoppugnabile, infatti, il contribuente rimarrebbe privo di tutela innanzi all’errata determinazione dei tributi dovuti sulla base del processo verbale di constatazione (determinazione che, nel caso della procedura di cui all’art. 5-bis, giova ricordarlo, non avviene in contraddittorio con il contribuente), in palese spregio dei principi codificati nell’art. 24 Cost., oltre che nel successivo art. 113.

D’altro canto, la possibilità di interpretare estensivamente l’art. 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992 è stata più volte affermata dalla stessa Suprema Corte, che ha considerato impugnabile ogni atto che concretizzi una pretesa tributaria nei confronti del contribuente (si veda, per tutte, oltre alla giurisprudenza richiamata nell’ordinanza commentata, la sentenza Cass. 30 dicembre 2016, n. 27494).

Peraltro, come segnalato dalla Suprema Corte, già la sentenza 21 febbraio 2020, n. 4566 aveva recentemente riconosciuto l’impugnabilità dell’atto di adesione di cui all’art. 5-bis del D.Lgs. n. 218/1997 «per far valere la non corrispondenza tra gli importi in esso esposti e quelli dovuti per effetto dell'acquiescenza prestata al P.v.c.» (in dottrina, a sostegno dell’impugnabilità dell’atto di adesione, vd. G. SEPIO, Adesione al processo verbale di constatazione e impugnabilità del successivo atto di definizione, in Fisco, 2014, p. 2154).

Quest’ultima affermazione – ripresa nella sentenza qui commentata – merita di essere analizzata nella sua combinazione con il requisito oggettivo di applicazione del citato art. 5-bis del D.Lgs. n. 218 del 1997.

  1. Come anticipato, il presupposto previsto da quest’ultima disposizione affinché un p.v.c. fosse definibile era che esso consentisse l’emissione di avvisi di accertamento parziali.

Ora, per effetto delle modifiche progressivamente applicate all’istituto negli anni, l’avviso di accertamento parziale si è trasformato da procedura eccezionale, applicabile solamente per richiedere le maggiori imposte dovute a seguito di riscontri informatici o cartolari che non richiedevano l’espletamento di istruttorie approfondite da parte dell’amministrazione finanziaria, a procedura diffusissima, che può essere applicata dall’Amministrazione a seguito della ricezione di segnalazioni di uffici finanziari ed altre pubbliche amministrazioni, dell’esercizio di taluni poteri istruttori e dell’impiego di metodi di determinazione dell’imponibile di tipo forfetario (per un primo riferimento all’evoluzione dell’istituto ed al progressivo ampliamento delle relative “fonti di innesco”, sia consentito il rinvio a E.M. BAGAROTTO, La frammentazione dell’attività accertativa ed i principi di unicità e globalità dell’accertamento, Torino, 2014, passim).

Anche la sentenza in commento pone l’accento sul fatto che l’avviso di accertamento parziale dovrebbe essere impiegato laddove non sia necessario porre in essere «alcuna attività di tipo valutativo da parte dell'amministrazione finanziaria» (il punto, peraltro, potrebbe trovare conferma nell’avvenuto impiego da parte del legislatore, nell’ambito della disciplina degli accertamenti parziali, della locuzione «elementi che consentono di stabilire»: su tale argomento vd. PISTOLESI F., Quale sorte per gli accertamenti integrativi e modificativi?, in Riv. dir. trib., 2010, II, p. 395-396 e, precedentemente, BASILAVECCHIA M., L’accertamento parziale. Contributo allo studio della pluralità di atti di accertamento nelle imposte sui redditi, Milano, 1988, p. 170).

In altre parole, semplificando il ragionamento, laddove un atto istruttorio sia sufficientemente preciso da consentire, da parte dell’ufficio accertatore, la richiesta di maggiori imposte, tale richiesta potrà avvenire mediante un avviso di accertamento parziale (l’oggettiva frequenza con cui tale situazione si verifica ha condotto parte della dottrina a sostenere la tesi della «istituzionale frammentazione dell’azione impositiva» – così LA ROSA S., Caratteri e funzioni dell’accertamento tributario, in Dir. prat. trib., 1990, I, p. 799; Similmente, INGRAO G., Frammentazione dell’accertamento tributario e violazione del principio di unicità, in Riv. dir. trib., 2005, I, p. 895).

Questa ricostruzione ha il pregio di essere coerente con la logica alla base dell’istituto regolato dall’art. 5-bis del D.Lgs. n. 218/1997.

In caso di integrale adesione al processo verbale senza che venga instaurato alcun contraddittorio, il contribuente aveva la possibilità di definire la propria posizione, scongiurare l’emissione di un avviso di accertamento e beneficiare di un ingente abbattimento delle sanzioni: affinché fosse possibile aderire al verbale, pertanto, era necessario che questo fosse “liquidabile” dall’ufficio accertatore in modo univoco e senza necessità di espletare ulteriore attività istruttoria o attivare una fase di contraddittorio volta all’acquisizione di ulteriori elementi.

È perciò comprensibile che l’ordinanza annotata abbia negato la possibilità di prendere in considerazione – prima, in sede di emissione dell’atto di adesione e, poi, in sede giurisdizionale – i costi indicati dal contribuente, in quanto ciò avrebbe implicato una «attività di accertamento in ordine alla loro esistenza ed inerenza, dunque una attività valutativa che fuoriesce dall'ambito proprio dell'istituto in esame, caratterizzato, come detto, dalla sola contestazione delle violazioni sostanziali riscontrate».

È, invece, quantomeno discutibile che la Suprema Corte abbia ritenuto che un verbale – come quello in argomento – contenente sia contestazioni analitiche (quelle relative ai ricavi) sia segnalazioni richiedenti ulteriori approfondimenti (quelle relative ai costi) potesse essere oggetto di adesione al suo integrale contenuto con riferimento «solo alla parte che può dare luogo ad un accertamento parziale e, dunque, alla richiesta di una maggiore imposta». In altre parole, secondo la Corte di Cassazione detto verbale poteva essere oggetto di adesione con riferimento ai maggiori ricavi ma non con riferimento ai maggiori costi, in quanto per questi ultimi sarebbe stato necessario effettuare un «passaggio valutativo (in termini di certezza, inerenza, ecc.) da parte dell’Ufficio accertatore».

È, infatti, evidente la contraddittorietà del richiamo alla definizione dell’“integrale contenuto” di una “parte di un verbale”.

Semmai, si sarebbe dovuto rilevare che il p.v.c. in esame non potesse essere considerato idoneo all’emissione di avviso di accertamento parziale e, dunque, passibile di integrale adesione ai sensi del più volte citato art. 5-bis. Ma tale aspetto, giova precisarlo, non era controverso tra le parti (considerato che il contribuente aveva formulato richiesta di adesione e l’Ufficio aveva emesso l’atto di adesione) e, pertanto, non è stato oggetto di scrutinio da parte della Suprema Corte.

  1. Ad ogni buon conto – al di là di quest’ultimo punto – la pronuncia commentata è possibile trarre due interessanti conclusioni.

La prima è che la definizione agevolata di cui all’art. 5-bis del D.Lgs. n. 218/1997 era applicabile ai soli verbali idonei ad essere trasfusi in un provvedimento impositivo senza l’effettuazione di alcuna attività valutativa da parte dell’ufficio accertatore. E ciò contribuisce a confermare che l’avviso di accertamento parziale possa essere emesso nei soli casi in cui la relativa “fonte di innesco” (p.v.c., segnalazione o altro) sia, per l’appunto, sufficientemente precisa da consentire l’immediata quantificazione delle maggiori imposte dovute dal contribuente.

La seconda è che l’atto di adesione emesso ai sensi del citato art. 5-bis deve ritenersi un atto impugnabile al solo fine di far valere, sotto il profilo del quantum, i vizi legati alla liquidazione dell’imposta dovuta dal contribuente sulla base del p.v.c.