argomento: Sanzioni e contenzioso -
Giurisprudenza
Nell’ordinanza n. 18119 del 24 giugno 2021, la Suprema Corte ha statuito il seguente principio di diritto: nei casi in cui un’eccezione di merito sia stata respinta in primo grado e la parte comunque vittoriosa per altre ragioni ne abbia devoluto la cognizione al Giudice d’appello, non mediante appello incidentale ma mediante mera riproposizione, un simile errore può essere superato procedendo alla sua riqualificazione in applicazione del principio della idoneità dell’atto al raggiungimento dello scopo (ex art. 156, co. 3, c.p.c.).
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PAROLE CHIAVE: appello incidentale -
riproposizione -
raggiungimento scopo
di Stefano Zagā
- Nell’ordinanza in commento (ribadendo quanto già statuito nella precedente ordinanza del 3 novembre 2020, n. 24456), la Corte di cassazione ha inteso “sminuire”, con specifico riferimento al processo tributario, le conseguenze processuali derivanti da un errore nella scelta del corretto strumento processuale (riproposizione invece di appello incidentale) da utilizzare per continuare a coltivare anche nel giudizio d’appello le eccezioni respinte dal Giudice di primo grado. Più precisamente, nell’ordinanza in commento la Suprema Corte ha statuito il principio di diritto in forza del quale, nei casi in cui «un’eccezione di merito sia stata respinta in primo grado e la parte comunque vittoriosa per altre ragioni ne abbia devoluto la cognizione al giudice d’appello, erroneamente indicandola come mera riproposizione e non come gravame incidentale condizionato, si può procedere alla sua riqualificazione in applicazione del principio della idoneità dell’atto al raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156, comma 3, c.p.c.». Peraltro, la Suprema Corte ha ritenuto opportuno precisare che nella vicenda processuale ivi esaminata l’esercizio di questo «generale potere di riqualificazione» del Giudice in ordine alla formulazione della domanda era “giustificato” dalla «non equivoca volontà della parte – nella forma e nella sostanza – di contestare l’assunto del Giudice di prime cure circa le eccezioni pregiudiziali sollevate». Inoltre, a questa constatazione fattuale la Suprema Corte ha aggiunto l’ulteriore constatazione giuridica secondo cui «nel processo tributario l’appello incidentale non deve essere notificato, ma è contenuto nelle controdeduzioni da depositare nel termine ordinatorio di costituzione dell’appellato, donde viene affievolita la distinzione fra appello incidentale, riproposizione dei motivi e difesa del resistente».
- Si tratta, senza dubbio, di un principio di diritto pienamente condivisibile; tuttavia, non è in grado di risolvere in modo completo le incertezze processuali che de iure condito continuano a sussistere nei casi di pronuncia indiretta o implicita di rigetto di questioni ed eccezioni. Difatti, anche dopo gli interventi delle Sezioni Unite della Corte di cassazione con le sentenze n. 7700 del 19 aprile 2016 e n. 11799 del 12 maggio 2017, continuano a sussistere profili di incertezza sui confini tra appello incidentale e mera riproposizione in sede d’appello con riferimento alle questioni ed eccezioni fatte valere in primo grado rispetto alle quali non sia rintracciabile in sentenza una pronuncia espressa di rigetto. In particolare, le incertezze scaturiscono dalla oggettiva difficoltà a distinguere in concreto i casi in cui sia configurabile una decisione di rigetto indiretta o implicita di una specifica eccezione che “viene prima” (da un punto di vista logico e/o giuridico) rispetto a quella accolta, dai casi in cui il Giudice di primo grado si sia “disinteressato” di tale eccezione.
- Come noto, l’art. 56, d.lgs. n. 546/1992, con una formulazione che sostanzialmente riproduce la formulazione dell’art. 346 c.p.c., stabilisce per la parte vittoriosa in primo grado (id est per la parte che ha visto accolta la propria domanda) l’onere di riproposizione in sede d’appello dei motivi, delle questioni e delle eccezioni «non accolte» dal Giudice di primo grado, con la precisazione che l’espressione «non accolte» va intesa nel significato sostanziale di non rigettate in modo espresso oppure in modo indiretto o implicito, ovvero non considerate dal Giudice di primo grado nella propria decisione né espressamente, né indirettamente (cfr. M Fanni – L. Salvaneschi, Gli incerti confini tra gravame incidentale e riproposizione delle questioni in appello – appello incidentale e mera riproposizione: la complessa delimitazione del concetto di motivazione indiretta o implicita, in GT- Rivista di giurisprudenza tributaria, 8-9 2018, 700 ss.). Difatti, come chiarito dalle Sezioni Unite della Suprema Corte (sin dalla prima sentenza n. 7700 del 19 aprile 2016), lo strumento processuale della riproposizione trova applicazione soltanto nei casi in cui non vi sia una parte di sentenza da impugnare ovvero non vi sia alcuna statuizione del Giudice di primo grado da criticare (sul tema cfr. Pistolesi, L’appello nel processo tributario, Torino, 2002, 94 ss.; Id., Il processo tributario, Torino, 2021, 247 ss.). Pertanto, la riproposizione rappresenta uno strumento processuale di tipo “residuale”, che si esaurisce nel reiterare (senza alcuna critica) la medesima attività già svolta in primo grado rispetto a motivi, questioni ed eccezioni che il Giudice di primo grado, per “disinteresse”, non ha considerato né in modo espresso né in modo indiretto o implicito e rispetto a cui non è neppure configurabile una omessa pronuncia su una domanda (che darebbe luogo ad un error in procedendo da far valere mediante specifica critica in sede di appello incidentale). Peraltro, come chiarito in più occasioni dalla giurisprudenza di legittimità, l’onere di riproposizione dei motivi rimasti assorbiti nella decisione favorevole di primo grado implica, comunque, una chiara e precisa menzione (nell’atto di controdeduzioni) di una simile volontà [cfr. F. Tesauro, Manuale del processo tributario, 5° Ed. (aggiornamento a cura di A. Turchi), Torino, 2020, 248], nel senso che, ai fini della riproposizione dei «motivi assorbiti» (nel significato poc’anzi descritto), se, da un lato, non è necessario l’utilizzo di «formule sacramentali», tuttavia, dall’altro, non è neppure sufficiente un «generico rinvio» alle difese svolte in primo grado. In particolare, la Suprema Corte sul punto ha chiarito che la riproposizione ex art. 56, d.lgs. n. 546/1992, richiede una «specifica» ed «espressa» riformulazione, sia pure per relationem, la quale, in ogni caso, non può risolversi «nel generico richiamo del complessivo contenuto di atti della precedente fase processuale. Non è sufficiente, dunque, ai fini della rituale riproposizione di una questione, che deve essere effettuata in maniera chiara e univoca, il generico quanto vacuo riferimento a tutte le difese e/o alle argomentazioni difensive prospettate nel ricorso di primo grado» (in questi termini Cass. 27 novembre 2015, n. 24267; in senso conforme, ex multis, Cass., 27 ottobre 2000, n. 14196).
- Ciò posto, la difficoltà interpretativa è la seguente: stabilire quando sia ravvisabile una decisione di rigetto indiretta o implicita che determini una situazione di c.d. soccombenza virtuale (o teorica) per l’appellato che ha visto accolta la propria domanda. Peraltro, questa difficoltà interpretativa riguarda le sole questioni ed eccezioni di merito e non anche quelle di rito, per le quali, invece, eventuali dubbi interpretativi andrebbero risolti (come chiarito dalle Sezioni Unite della Suprema Corte nelle sentenze poc’anzi citate) in base alla previsione di cui all’art. 276, c.p.c. (applicabile anche al processo tributario in forza del rinvio espresso a tale disposizione ad opera dell’art. 35, co. 3, d.lgs. n. 546 del 1992). In particolare, la questione più problematica riguarda i casi in cui, a fronte di più eccezioni di merito fatte valere in giudizio, il Giudice di primo grado ometta di esaminare le eccezioni di merito che hanno una priorità logica e/o giuridica rispetto a quella espressamente esaminata e accolta in sentenza. In questi casi, infatti, occorre stabilire se sia ravvisabile o meno una decisione indiretta o implicita di rigetto delle eccezioni preliminari di merito non esaminate espressamente dal Giudice di primo grado, perché da ciò dipende la scelta tra appello incidentale e mera riproposizione qualora l’appellato voglia continuare a coltivarle. Peraltro, la questione è resa ancora più complicata dal fatto che il Giudice di primo grado potrebbe aver deciso in questo modo in applicazione del principio (di economia processuale) della c.d. «ragione più liquida» (Cass., SS.UU., sent. 12 dicembre 2014 n. 26242 e sent. 8 maggio 2014, n. 9936), in forza del quale la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole e immediata soluzione anche se logicamente e/o giuridicamente subordinata rispetto a quella “pretermessa”.
- Come detto, in base a quanto statuito dalle Sezioni Unite della Suprema Corte nelle citate sentenze, l’ambito di applicazione della riproposizione (ex 56, d.lgs. n. 546/1992 e 346 c.p.c.) deve essere riferito alle sole eccezioni «non accolte» per mero «disinteresse del giudice», il quale non le ha considerate, né espressamente, né indirettamente, nella propria decisione. Tuttavia, questa soluzione interpretativa, seppure chiara sotto il profilo teorico, si scontra con indubbie difficoltà applicative, nel senso che, nonostante le indicazioni interpretative (comunque, complesse) fornite dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, restano delle zone d’ombra in ragione della difficoltà, di volta a volta, a stabilire se si è di fronte ad una decisione implicita o indiretta di rigetto della eccezione (preliminare) di merito “pretermessa” (da criticare con appello incidentale) oppure, più semplicemente, ad un mero “disinteresse” del Giudice di primo grado per tale eccezione (preliminare) di merito (“disinteresse”, se del caso, imputabile all’applicazione del principio della «ragione più liquida»). Per questi motivi, in presenza di eccezioni di merito connotate da una evidente priorità logica e/o giuridica rispetto a quella accolta dal Giudice di primo grado, spesse volte si finisce per essere “indotti”, in via “prudenziale”, a ravvisare, comunque, una decisione implicita o indiretta di rigetto dell’eccezione di merito “pretermessa” e, quindi, a “veicolarla” nel giudizio di secondo grado mediante lo strumento dell’appello incidentale.
- Le brevi considerazioni sopra svolte dovrebbero essere in grado di dimostrare l’insufficienza della soluzione interpretativa prospettata dalla Corte di cassazione nell’ordinanza in commento, in quanto la “riqualificazione” processuale in applicazione del principio del raggiungimento dello scopo (secondo quanto da quest’ultima precisato) dovrebbe trovare applicazione solo nei casi in cui dal contenuto dell’atto di controdeduzioni emerga la «non equivoca volontà della parte – nella forma e nella sostanza – di contestare l’assunto del Giudice di prime cure circa le eccezioni pregiudiziali sollevate». Tuttavia, una simile «non equivoca volontà» potrebbe mancare tutte le volte in cui la parte resistente in appello, “fuorviata” dal “silenzio” del Giudice di primo grado, (erroneamente) non abbia ravvisato la sussistenza di una decisione di rigetto indiretta o implicita di una specifica eccezione, ritenendola, quindi, meramente assorbita e, pertanto, si sia limitata solo a riproporla (magari utilizzando una «formula di stile»), omettendo di formulare sul punto una contestazione/critica della sentenza di primo grado, con conseguente impossibilità, per il Giudice d’appello, di esercitare il potere di riqualificazione in esame.
- In altri termini, la riqualificazione (ex 156, co. 3, c.p.c. e 1, co. 2, d.lgs. n. 546/1992) della riproposizione in appello incidentale può trovare applicazione solo nel caso in cui la parte resistente nell’atto di controdeduzioni abbia di fatto formulato una contestazione/critica dell’«assunto del Giudice di prime cure circa le eccezioni pregiudiziali sollevate»; in mancanza non potrà operare la riqualificazione. Tutto ciò appare in linea con la giurisprudenza di legittimità in tema di “specificità” dei motivi d’appello nel processo tributario. Difatti, secondo la Suprema Corte «nel processo tributario la sanzione di inammissibilità dell’appello, per difetto di specificità dei motivi, prevista» dall’art. 53, d.lgs. n. 546/1992, «deve essere interpretata restrittivamente (…) trattandosi di una disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, ogni qual volta nell'atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l'effettività del sindacato sul merito dell'impugnazione (…)» (in questi termini, Cass., ord. 4 dicembre 2020, n. 27784; in senso conforme cfr., ex multis, ord. 25 maggio 2021, n. 14352). Peraltro, come sottolineato dalla Suprema Corte nelle citate pronunce, la formulazione dell’art. 53, d.lgs. n. 546/1992, si discosta dalla formulazione della corrispondente norma dettata per il processo civile (art. 342, c.p.c.), a cui è invece riferita la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione del 16 novembre 2017, n. 27199, in tema di specificità dei motivi di appello, ed in cui, comunque, è stato ribadito che: i) il giudizio d’appello ha natura di revisio prioris instantiae; ii) l'appello non deve rivestire particolari formule sacramentali.
- Ciò posto, non vi è dubbio che in presenza di una decisione implicita o indiretta di rigetto dell’eccezione di merito “pretermessa”, la parte resistente potrebbe essere (erroneamente) indotta ad astenersi dall’effettuare una contestazione/critica della decisione di primo grado, limitandosi ad una mera riproposizione con «formule di stile», rendendo così “difficoltosa” l’individuazione, da parte del Giudice d’appello, di una «non equivoca volontà della parte – nella forma e nella sostanza – di contestare l’assunto del Giudice di prime cure circa le eccezioni pregiudiziali sollevate». Ciò impedirebbe l’esercizio del potere di riqualificazione in esame.
- Per questi motivi, nonostante i tentativi chiarificatori della Corte di cassazione (da ultimo, nell’ordinanza in commento), sarebbe comunque auspicabile – se del caso in sede di riforma del processo tributario - l’individuazione di una soluzione normativa in grado di eliminare ogni profilo di incertezza ancora sussistente. In particolare, sarebbe preferibile introdurre una disposizione in grado di chiarire che la «riproposizione in via devolutiva» è ammessa esclusivamente con riferimento a questioni ed eccezioni sulle quali il giudice di primo grado non si sia espressamente pronunciato (riproposizione per l’appellante da effettuarsi nel ricorso in appello e per l’appellato da effettuarsi all’atto della costituzione in giudizio). Pertanto, andrebbe utilizzato lo strumento dell’appello incidentale solo in presenza di una pronuncia espressa di rigetto di questioni ed eccezioni; in tutti gli altri casi (dunque, anche nei casi in cui risulterebbe configurabile una pronuncia indiretta o implicita di rigetto di questioni ed eccezioni) andrebbe utilizzato, invece, lo strumento della mera riproposizione.