argomento: Profili europei e Internazionali - Giurisprudenza
La sentenza Engie costituisce un importante novità nel tema del sindacato dei rulings fiscali alla luce del divieto di aiuti di Stato. In questa sede si sancisce la necessità che lo Stato membro valuti che il trattamento fiscale concesso sia allineato a tutto il quadro normativo nazionale in materia fiscale, compreso il divieto di abuso del diritto. Costituisce un aiuto vietato il ruling fiscale concesso ad una costruzione giuridica che viola il divieto di abuso del diritto.
PAROLE CHIAVE: diritto tributario - ruling - aiuto di Stato
di Rossella Miceli
Una recente sentenza del Tribunale europeo (Tribunale UE 12.5.2021, T-516/18; T-525/18, causa Engie Global Lng Holding Sarl) riaccende l’interesse scientifico sul noto tema della sindacabilità dei rulings fiscali, concessi dagli Stati membri alle società multinazionali, in ragione della presunta violazione del divieto di aiuti di Stato, contenuto nell’art. 107 TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea).
Si tratta di un tema molto delicato e dall’enorme impatto mediatico in considerazione dei soggetti coinvolti, delle questioni giuridiche affrontate, delle conseguenze delle decisioni.
Rispetto agli importanti precedenti sull’argomento (cfr., ex pluribus sul tema, Tribunale UE 24.9.2019, cause riunite T-755/15, Lussemburgo v Commissione, e T-759/15, Fiat c. Commissione; Tribunale UE 24.9.2019, T-760/15, Paesi Bassi c. Commissione e T-636/15 Starbucks c. Commissione; Tribunale UE 14.2.2019, cause riunite T-131/16, Belgio c. Commissione, e T-263/16, Magnetrol International c. Commissione; Tribunale UE 15.7.2020, cause T-778/16, Irlanda c. Commissione, e T-892/16, Apple Sales International e Apple Operating Europe c. Commissione) la suddetta pronuncia apre un varco, effettuando un passaggio interpretativo di estrema importanza nell’assetto complessivo della materia.
Il Tribunale europeo, con la sentenza Engie, sancisce che costituisce un aiuto di Stato vietato il ruling concesso dallo Stato membro con riferimento a costruzioni giuridiche che violano il principio di abuso del diritto, rilevando in capo allo Stato membro un obbligo di verifica in ordine alla legittimità formale e sostanziale della realtà economica sottoposta alla sua cognizione dal contribuente.
Si tratta di un’affermazione di estrema importanza che mette in luce elementi significativi del tema del sindacato dei rulings alla luce del paradigma dell’art. 107 e - ad avviso di chi scrive - pone il medesimo tema su un percorso di sviluppo del tutto condivisibile.
La comprensione di tale passaggio impone una breve sintesi degli aspetti essenziali che caratterizzano il sindacato dei rulings fiscali alla luce della disciplina degli aiuti di Stato e degli importanti precedenti registrati sul tema.
Il primo aspetto da evidenziare attiene ai caratteri della disciplina degli aiuti di Stato, che hanno reso possibile un’azione così importante nel contesto europeo.
La disciplina degli aiuti di Stato è contenuta negli artt. 107-109 del TFUE, in una poderosa normativa del Consiglio e della Commissione europea e in diverse Comunicazioni ed orientamenti della Commissione stessa.
In tale assetto il divieto di aiuti di Stato, contenuto nell’art. 107, par. 1, TFUE impone in capo agli Stati membri all’introduzione di trattamenti selettivi di favore idonei a falsare la concorrenza e ad incidere sugli scambi. Il divieto in esame esprime un principio importante dell’economia liberista in base al quale lo Stato non deve intervenire nel mercato che, ove possibile, deve trovare il suo equilibrio in modo naturale. Tale principio, come noto, deve essere oggi letto in collegamento ai par. 2 e 3 del medesimo art. 107 TFUE che regolano gli aiuti ammessi ovvero gli interventi che lo Stato può effettuare nel mercato in quanto considerati positivi per contribuire ad uno sviluppo economico e sociale dell’Europa. Si tratta dell’applicazione dei principi dell’economia sociale di mercato che trovano nell’assetto degli aiuti di Stato un primo veicolo di promozione.
La Commissione ha rivestito un ruolo fondamentale nello sviluppo di questa materia, detenendo, sulla base del Trattato, la competenza esclusiva alla definizione degli aiuti ammessi. Tale istituzione costituisce l’organo esecutivo dell’Unione europea preposto alla difesa della concorrenza e del mercato che, da sempre, con uno spirito innovativo e progressista, si rende promotrice di politiche evolutive e di progetti di crescita. La Commissione ha così lentamente declinato la materia degli aiuti di Stato nei diversi contesti economico e sociali, secondo le due predette prospettive (aiuti vietati ed aiuti ammessi).
Tale attività è stata agevolata anche dai caratteri strutturali della disciplina; la presenza di concetti molto flessibili nella struttura della normativa (concorrenza, mercato, selettività) e gli obiettivi inesauribili sottostanti alla disciplina stessa (la difesa della concorrenza) hanno reso la materia in esame sempre molto attuale ed estremamente adattabile nei contenuti alle esigenze del mercato e della concorrenza.
I caratteri suddetti hanno consentito gradualmente la riferibilità della disciplina degli aiuti di Stato anche alla materia tributaria.
La suddetta riferibilità è nata da esigenze specifiche, avvertite in seno all’Unione europea, alle quali la Commissione ha dato voce utilizzando il suo ruolo di organo esecutivo ed i suoi poteri di orientamento delle politiche dell’Unione stessa, attraverso l’emanazione di atti di soft law.
Completato il processo di armonizzazione delle imposte indirette si affermava la necessità di tamponare l’emersione della concorrenza fiscale sleale fra Stati e di attuare una politica di coordinamento delle imposte dirette in assenza di strumenti e di attribuzioni europee specificamente preposti a tali fini (cfr. GALLO, Mercato unico e fiscalità: aspetti giuridici del coordinamento fiscale, in Rass. trib., 2000, p. 725; MELIS, Coordinamento fiscale nell’Unione europea, in Enciclopedia del Diritto, Annali, I, Milano, 2007, ad vocem).
L’importanza dei problemi che sono gradualmente emersi nella politica comunitaria è stato il fattore che ha favorito azioni in materia di imposte dirette in assenza di competenze espressamente attribuite all’Unione europea, anche attraverso l’utilizzo del paradigma della disciplina degli aiuti di Stato (cfr. WEBER, In search of a (new) equilibrium beetween tax sovereignty and the freedom of movement, in EC Tax Review, 2006, p. 585; PISTONE – SZUDOCZKY, The coordination of tax policies in the EU, in Introduction to European tax law: direct taxation, in Introduction to European tax law: direct taxation, Vienna, 2016, p. 29; ORLANDI, Le discriminazioni fiscali e gli aiuti di stato nel diritto dell’Unione europea, Roma, 2018, cap. 1).
Si è così definita una politica che afferma principi propri e che si qualifica per aver causato un importante depotenziamento del potere fiscale statale.
Il divieto di aiuti di Stato è stato utilizzato dalla Commissione europea nella materia fiscale per perseguire due tipi di obiettivi: la tutela della concorrenza all’interno degli Stati e il contrasto alla concorrenza fiscale sleale tra Stati stessi. Tale ultimo è un obiettivo proprio della materia fiscale ed esulerebbe dagli scopi della disciplina degli aiuti di Stato strettamente intesi (cfr. BOCCACCIO, La disciplina degli aiuti fiscali tra la funzione di controllo e quella di armonizzazione impropria: il ruolo della selettività, in E-Public Finance Research Papers, 2016, n. 20; Id, Alcune riflessioni sulle recenti decisioni della Commissione in materia di rulings fiscali, in Public Finance Research Papers, 2016, n. 28).
La Commissione europea ha invece avviato un percorso inarrestabile, che ha piegato il suddetto divieto ad una significativa lotta alla concorrenza fiscale sleale (cfr. FANTOZZI, The applicability of State Aid rules to tax competition misures: a process of “De facto” harmonization in the tax field?, in AA. VV., a cura di W. Schon, Tax competition in Europe, Amsterdam, 2003, p. 121).
Nell’ambito di tale ultima attività si colloca la questione in esame ovvero l’azione avviata dalla Commissione europea al fine di contrastare la concorrenza fiscale sleale tra Stati che, con riferimento specifico ai rulings, si è conclamata nella dottrina Vestager e nelle relative decisioni della Commissione stessa (cfr. PEPE, Sulla tenuta giuridica e sulla praticabilità geo-politica della “dottrina Vestager” in materia di tax rulings e aiuti di Stato alle imprese multinazionali, in Riv. trim. dir. trib., 2017, p. 703).
I rulings costituiscono accordi preventivi tra l’Amministrazione di uno Stato membro e l’impresa multinazionale residente nel medesimo Stato, volti a definire la materia imponibile ed i criteri di determinazione delle imposte, con riferimento a tutte le fattispecie giuridiche che, a causa di elementi di trans-nazionalità, si connotato per una certa complessità.
In concreto, la politica di contrasto ai rulings fiscali, effettuata dalla Commissione Europea, si è sostanziata nella qualificazione in termini di aiuto vietato dell’atto (il ruling) sottoscritto tra lo Stato membro e il contribuente, laddove attraverso tale atto fossero concessi benefici fiscali alle imprese multinazionali.
Secondo l’impostazione della Commissione europea, i rulings fiscali costituiscono uno strumento suscettibile di essere qualificato come aiuto vietato ex art. 107, comma 1, TFUE, nel momento in cui attribuiscono un vantaggio rivolto all’impresa, di tipo selettivo, imputabile allo Stato, idoneo a falsare la concorrenza e ad incidere sugli scambi.
I casi analizzati dalla Commissione hanno presentato caratteri ricorrenti.
Sono stati sindacati rulings fiscali sottoscritti tra uno Stato membro e una società multinazionale; quest’ultima, nelle totalità delle ipotesi analizzate, aveva fatto confluire all’interno dello Stato membro la gran parte dei profitti realizzati, attraverso forme di pianificazione fiscale molto articolate e complesse. In tal modo la multinazionale otteneva un trattamento fiscale unitario accordato dal suddetto Stato il quale (a sua volta) traeva da tale operazione numerosi benefici indiretti legati alle attività che la multinazionale avrebbe implementato nello Stato stesso (cfr. MICELI, Il divieto di aiuti di Stato nel contrasto ai ruling fiscali: limiti ed opportunità, in Riv. dir. trib. int., n. 1, 2021, p. 4)
Nella maggior parte dei casi il trattamento fiscale accordato attraverso il ruling era talmente agevolato nei contenuti da definire un carico impositivo quasi inesistente.
Numerosi gli istituti coinvolti nelle diverse fattispecie di ruling; in particolare la residenza delle società, la stabile organizzazione, il principio di trasparenza, il transfer price.
Nell’ambito di tali questioni il transfer price è stato oggetto di numerose decisioni, costituendo, secondo la Commissione, il veicolo giuridico preposto al trasferimento degli utili della multinazionale nello Stato che sottoscriveva il ruling.
In merito al transfer price il problema di fondo non è consistito nell’utilizzo della disciplina giuridica (pacificamente ammessa a livello mondiale) ma nella scelta strumentale di un metodo di valutazione dei prezzi di trasferimento non adeguato alla realtà in essere che determinava (quale effetto) una definizione al ribasso della pretesa impositiva.
In tutti i casi analizzati era evidente la pianificazione fiscale aggressiva effettuata dalla società multinazionale volta a concentrare nello Stato membro (concedente il ruling) le attività e i profitti realizzati in totale violazione dei canoni di territorialità della tassazione del reddito.
L’importanza di tale azione si rinviene soprattutto nella posizione ufficiale assunta dalla Commissione europea che nella Comunicazione sulla nozione di aiuti di Stato del 2016 dedica ai rulings un apposito paragrafo, definendo principi generali sul punto (cfr. Comunicazione della Commissione sulla nozione di aiuto di Stato ex art. 107, TFUE 19.7.2016, C-2016/C- 262/01, par. 5.4.4.1). In questa sede si rileva che sono ammessi i rulings che riconoscono una tassazione “normale” ovvero la medesima tassazione che riceverebbe una impresa indipendente nella stessa posizione giuridica della multinazionale. Sono giustificati, rispetto a questo modello, solo ragionevoli scostamenti.
La giurisprudenza europea sul tema dei rulings ha avuto un approccio più oscillante e meno rigoroso in ossequio al quale in alcune ipotesi è stata riconosciuta l’esistenza dell’aiuto (confermando giudizialmente la posizione della Commissione) ed in altre ipotesi tale esistenza è stata subordinata ad un ulteriore e più accurato impianto probatorio. In particolare, nei casi Amazon, Apple e Fiat è stata richiesta una dimostrazione più accurata della selettività della selettività dell’aiuto volta a definire quali sarebbero state le imposte dovute dalla società in assenza della sottoscrizione del ruling.
La richiesta in esame ha definito, a nostro avviso, una forma di probatio diabolica.
La suddetta richiesta, infatti, mal si adatta alle fattispecie in esame, che hanno analizzato una realtà operativa artificiosa e complessa, predisposta al solo fine di ridurre al minimo il carico impositivo.
L’impianto probatorio richiesto, pertanto, oltre ad essere impossibile da mettere a punto per la Commissione europea, non è conferente alla prova richiesta, dal momento che non farebbe altro che esplicitare un’imposizione tributaria del tutto arbitraria e non effettiva in quanto computata su una realtà economica artificiosa.
Come rilevato, esiste un problema di fondo nella costruzione sottesa alla dottrina Vestager ovvero la circostanza che colga fattispecie che si connotano per una pianificazione fiscale aggressiva.
Tale elemento non è emerso fino a questo momento nelle decisioni della Commissione e del Tribunale di primo grado, definendo le suddette complessità soprattutto sul piano della prova e della selettività.
In questo aspetto il caso Engie compie finalmente l’atteso passaggio.
La questione giuridica del suddetto caso riguarda il regime applicabile, ai fini delle imposte sul reddito, a due società residenti nello Stato del Lussemburgo che hanno realizzato due strutture di finanziamento atipiche, il cui operare congiunto ha definito una sostanziale detassazione di entrambe le società nel suddetto Stato. Si tratta, anche in questo caso, di una forma di pianificazione fiscale aggressiva predisposta dal gruppo francese nello Stato del Lussemburgo.
Con riferimento a tale fattispecie, la Commissione europea prima e il Tribunale dopo affermano che deve considerarsi un aiuto di Stato vietato quello che concede un livello di tassazione differente rispetto a quello ordinario.
La valutazione di un aiuto impone un approccio sostanziale e non formale alla applicazione delle disposizioni nazionali, sostenendo la necessità di un’analisi giuridica basata sulla prevalenza della sostanza sulla forma.
Nell’affermare la (suddetta) necessità entrambe le istituzioni (la Commissione in sede di decisione e il Tribunale in sede di sentenza) stabiliscono che lo Stato sia tenuto nel momento in cui concede il ruling a valutare non solo il rispetto formale delle norme nazionali ma anche quello sostanziale, analizzando anche una possibile violazione del principio dell’abuso del diritto.
In altre parole, lo Stato deve valutare se la fattispecie posta alla sua attenzione violi i paradigmi nazionali antiabuso, in quanto costituisce un aiuto vietato anche quello concesso attraverso un ruling che applica i principi generali di una tassazione ordinaria a costruzioni abusive. In questo caso l’aiuto deriva dalla violazione dei principi antiabuso.
Si afferma un principio nuovo, ma necessario nell’attuale sistema di sindacato dei rulings
Ogni Stato è chiamato a valutare in sede di ruling che la fattispecie posta alla sua attenzione non esprima operazioni abusive sulla base degli strumenti previsti dalla normativa nazionale.
Si tratta di una valutazione necessaria, basata su un principio generale di prevalenza della sostanza sulla forma di matrice europea e condiviso da tutti gli Stati membri.
Tale passaggio impone, quindi, di non prendere in esame costruzioni artificiose e complesse che non esprimono la realtà economica delle multinazionali in quanto frutto esclusivamente di una pianificazione aggressiva e (soprattutto) strumentale alla localizzazione del reddito in Stati estranei al processo di formazione.
Allo stesso modo la Commissione europea può sindacare il ruling concesso da uno Stato membro alla multinazionale nei casi in cui la mancata valutazione del principio antiabuso abbia determinato un trattamento impositivo che risponde a tutti i requisiti dell’art. 107 TFUE.
La Commissione in questo modo può infatti utilizzare quale paradigma generale non solo le norme impositive nazionali ma anche le clausole antiabuso o antielusive, che costituiscono parte di un quadro generale cui ogni Stato si deve attenere.
Il passo in esame risulta importante ed assolutamente condivisibile per una corretta qualificazione delle fattispecie soggette al divieto di aiuti di Stato, soprattutto nel momento in cui tale divieto è posto a presidio della concorrenza fiscale sleale.
Nella pianificazione fiscale aggressiva, come dimostrato, le operazioni economiche contrarie alla clausola antiabuso costituiscono un elemento ricorrente.
Prospettive e problemi si collegano a questo passaggio, che soltanto l’evoluzione del tema sarà in grado di definire più chiaramente.
Tale passaggio registra un’ulteriore perdita di sovranità fiscale dello Stato membro, la cui Amministrazione fiscale subisce un controllo dalla Commissione europea non solo dal punto di vista della corretta applicazione delle norme sostanziali, ma anche con riferimento alla verifica della clausola antiabuso.
Si tratta, a nostro avviso, di una perdita necessaria per il controllo della concorrenza fiscale dannosa a livello europeo, fenomeno che gli Stati (da soli) non sarebbero in grado di individuare e regolare. In questo senso si ritiene che la suddetta perdita di sovranità costituisca un’opportunità per tutti gli Stati membri di contrastare il problema ed evitare sempre più cospicue perdite di gettito.
Altro profilo riguarda il grado di resistenza di questo principio e la forza che gli organi europei avranno per sostenerlo in altre fattispecie.
La pronuncia Engie è stata adottata nello stesso giorno della sentenza Amazon che, come sopra indicato, ha deciso definendo una carenza probatoria della fattispecie ed adeguandosi ai precedenti sul punto. Anche nel caso Amazon emergeva la presenza di una pianificazione fiscale molto aggressiva effettuata dal gruppo, ma tale elemento non è stato evidenziato né nel corso del procedimento amministrativo né nell’ambito di quello giudiziario.
Si ritiene che le caratteristiche del caso Engie abbiano agevolato il suddetto passaggio e che le medesime caratteristiche non si riscontravano nella fattispecie Amazon.
Engie è sostanzialmente “una questione europea” che riguarda una parte di profitti spostati dalla Francia al Lussemburgo.
A livello contenutistico la fattispecie presenta minori implicazioni teoriche. Non è una vicenda di prezzi di trasferimento e questo alleggerisce il tenore della pronuncia che si basa sulla sostanziale utilizzazione abusiva di due formule di finanziamento atipiche ed irrituali, predisposte al solo fine di non assolvere all’onere impositivo.
Amazon costituisce invece una vicenda internazionale che coinvolge numerosi istituti giuridici, tra cui i criteri di valutazione dei prezzi di trasferimento nell’ambito del transfer price.
Le fattispecie giuridiche, il grado di coinvolgimento degli Stati e le possibilità di una effettiva giustizia sostanziale costituiscono, a nostro avviso, la giustificazione del diverso contenuto delle due sentenze rese nel medesimo giorno, che definiscono un approccio unitario al tema analizzato, ove le questioni tecniche ed un paradigma flessibile devono bilanciarsi con gli equilibri politici ed economici internazionali.
In questo percorso aver messo in luce il divieto di abuso del diritto all’interno della questione del sindacato dei rulings definisce un passaggio che contribuisce alla certezza del diritto ed alla corretta definizione delle fattispecie giuridiche.
La disciplina degli aiuti di Stato è posta a presidio della concorrenza fiscale tra Stati. Nell’attuale società globalizzata tale fenomeno si manifesta in modo intrecciato con forme di pianificazione fiscale aggressiva delle multinazionali che effettuato operazioni elusive sfruttando i varchi che gli Stati offrono.
In tal senso un approccio corretto al problema non può prescindere da un monito agli Stati membri di non legittimare senza alcun filtro realtà fiscali che non corrispondono ad una effettiva presenza economica sul territorio.
Su questa direzione e con tutti i valori da contemperare, si auspica che la sentenza Engie non sia soltanto una meteora ma definisca il primo passo verso una posizione consolidata della Commissione europea.