Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

07/02/2022 - Patto di famiglia e imposta di successione: luci ed ombre nella giurisprudenza

argomento: Imposte sui trasferimenti e altri tributi - Giurisprudenza

Le sentenze in commento definiscono il trattamento tributario, ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni, delle attribuzioni derivanti dal patto di famiglia, superando il precedente orientamento accolto in sede di legittimità. Viene altresì in considerazione l’ambito di estensione dell’esenzione disposta dall’art. 3, comma 4-ter), d.lgs. n. 346/1990.

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PAROLE CHIAVE: patto di famiglia - eredi legittimi - compensazioni


di Antonio Marinello

  1. Le sentenze in commento (Cass., 24 dicembre 2020 n. 29506 e CTR Abruzzo, 12 luglio 2021 n. 552) si soffermano sul trattamento tributario, ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni, delle attribuzioni derivanti dal patto di famiglia, con particolare riferimento alle “liquidazioni” dei legittimari non assegnatari dell’azienda, di cui all’art. 768-quater), co. 2, c.c.

In dettaglio, con la pronuncia del 24 dicembre 2020, n. 29506, la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ha in parte superato il proprio precedente orientamento – espresso con la sentenza n. 32823 del 2018 – e, all’esito di una approfondita disamina della disciplina civilistica dell’istituto, ha anzitutto affermato che l’intera operazione negoziale richiede una lettura unitaria del patto di famiglia e delle diverse attribuzioni realizzate attraverso di esso.

In questa logica, nota la Suprema Corte, l’elemento che caratterizza il patto di famiglia - distinguendolo da una qualsiasi donazione che abbia ad oggetto gli stessi beni - è proprio l’obbligo imposto agli assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni societarie di liquidare gli altri legittimari partecipanti al contratto, a cui si affianca l’impossibilità di assoggettare a collazione e riduzione le attribuzioni così effettuate.

In relazione a tale obbligo, la sentenza è lapidaria (così come del resto il precedente del 2018) nell’accogliere l’idea che si tratti di un onere ex lege. Più precisamente, secondo la Corte, il trasferimento dell’azienda effettuato dall’imprenditore disponente in favore dell’assegnatario deve essere qualificato alla stregua di una donazione modale, con la puntualizzazione - attinente al momento genetico dell’apposizione del modus - che quest’ultimo ha nel patto di famiglia fonte legale e che si configura come elemento necessario e non accidentale della fattispecie.

Sul piano tributario, da ciò deriva che alle attribuzioni effettuate ai sensi dell’art. 768-quater) c.c. dovrà applicarsi la disciplina prevista per la donazione modale dall’art. 58, co. 1, d.lgs. n. 346/1990, secondo cui “gli oneri di cui è gravata la donazione, che hanno per oggetto prestazioni a soggetti terzi determinati individualmente, si considerano donazioni a favore dei beneficiari”.

Segue, poi, un ulteriore profilo, che assume rilievo centrale anche nella conseguente pronuncia di merito (Comm. Trib. Reg. Abruzzo, 12 luglio 2021, n. 552), concernente l’ambito di applicazione del regime di esenzione previsto dall’art. 3, co. 4-ter), d.lgs. n. 346/1990. Nelle due sentenze viene accolta una interpretazione restrittiva della disposizione in esame, nel senso di ritenere agevolabili i soli trasferimenti diretti di azienda e partecipazioni sociali, ossia quelli effettuati nel primo step dell’operazione, dal disponente all’assegnatario individuato. In questi termini, viene così valorizzato il dato letterale della norma che, nota la Suprema Corte, non fa “alcun richiamo alle liquidazioni dei conguagli in favore dei legittimari non assegnatari”, giustificando la “stretta interpretazione” con la natura agevolativa della disposizione.

 

  1. Procedendo con ordine, il primo aspetto che viene in considerazione riguarda il trattamento fiscale delle attribuzioni cui il beneficiario del patto è tenuto, ex lege ed in forza del negozio stipulato, a favore dei legittimari non assegnatari del compendio aziendale.

Una volta ricollegato il patto di famiglia alla disciplina fiscale di cui all’art. 58, co. 1, TUS, la liquidazione del conguaglio effettuata dall’assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni sociali dovrà giocoforza essere qualificata ai fini tributari come liberalità dell’imprenditore originario nei confronti dei legittimari non assegnatari.

E nella prospettiva che qui interessa, non assume alcun rilievo il fatto che la liquidazione sia eseguita dal beneficiario del trasferimento con denaro o altri beni propri; ciò che rileva è, piuttosto, la circostanza che tale attribuzione viene considerata, in virtù del richiamo all’art. 58, come liberalità del disponente iniziale del patto di famiglia in favore dei legittimari pretermessi (FEDELE, La Cassazione aggiusta il tiro sul regime fiscale del patto di famiglia, in Riv. dir. trib. online, 30 dicembre 2020; TASSANI, La Cassazione (ri)definisce il regime fiscale del patto di famiglia, in Fiscalità Patrimoniale, 24 gennaio 2021).

Stando alla ricostruzione operata dalla Corte di Cassazione, l’impianto sistematico complessivo dell’imposta sulle successioni e donazioni si regge, tra l’altro, sul principio per cui “l’incremento patrimoniale (e quindi l’imponibile) per l’erede ed il legatario è decurtato dell’importo di legati ed oneri loro imposti”. E, al tempo stesso, gli “oneri posti a carico del beneficiario dell’attribuzione e a favore di altri soggetti individualmente determinati, ai fini fiscali, rilevano come attribuzioni provenienti, rispettivamente dal de cuius o dal donante”.

Vengono così in rilevo, oltre che il già menzionato art. 58, anche gli artt. 8, co. 3 e 46, co. 3, del Testo unico, nonché l’art. 2, co. 49, d.l. n. 262/2006, che considera testualmente il modus a favore di un soggetto determinato alla stregua di un’altra donazione. Nel caso delle attribuzioni dovute ai legittimari non assegnatari del compendio aziendale, l’effetto giuridico può dunque considerarsi in tutto e per tutto simile all’apposizione di un onere e, sul piano dell’imposizione, al patto di famiglia si rende applicabile la disciplina prevista per le donazioni modali.

Ciò comporta che trovano applicazione le aliquote e le franchigie relative al vincolo di parentela o di coniugio con l’imprenditore disponente in entrambi i momenti impositivi: da un lato, con riferimento al trasferimento in favore del successore designato, dall’altro anche in relazione alla connessa liquidazione dei non assegnatari.

Nella fattispecie qui decisa dalla Suprema Corte, pertanto, la liquidazione della somma di denaro operata nel contesto del patto di famiglia dal beneficiario del trasferimento della partecipazione societaria (figlio del disponente) in favore della legittimaria (anch’essa figlia del disponente, ma non assegnataria di alcuna partecipazione nella società), avrebbe dovuto essere assoggettata al tributo successorio tenendo conto dell’aliquota del 4% e della franchigia di 1.000.000 euro, corrispondenti al rapporto padre-figlia, e non al rapporto fratello-sorella (caso nel quale l’imposta sarebbe stata pari al 6%, con franchigia ridotta a 100.000 euro).

 

  1. A conclusione ben diverse – è bene ricordarlo – la Corte di Cassazione era pervenuta nella prima pronuncia resa in materia, la n. 32823 del 19 dicembre 2018.

Anche in quel precedente, la controversia era stata originata da un avviso di liquidazione per il recupero della maggiore imposta di donazione relativa al trasferimento di somme di denaro tra fratelli. In particolare, si trattava di un patto di famiglia in base al quale l’imprenditrice disponente trasferiva le quote societarie al figlio (assegnatario), con obbligo per quest’ultimo di liquidare la quota spettante alla sorella (legittimaria non assegnataria).

Secondo l’Agenzia delle Entrate, il trasferimento di beni dall’assegnatario alla legittimaria era da considerare come una donazione tra fratelli, mentre le parti avevano tassato l’atto come se si trattasse di una donazione della disponente alla figlia non assegnataria.

Ebbene, in quel caso, la Corte aveva deciso nel senso che il prelievo fiscale doveva essere determinato in ragione del rapporto intercorrente tra il beneficiario del patto ed il legittimario non assegnatario, non già di quello intercorrente tra il disponente originario e il legittimario. Nel motivare tale opzione ermeneutica, i giudici di legittimità avevano attribuito un rilievo decisivo al fatto che il “denaro (o bene in natura) necessario alle quote di liquidazione non può che provenire dall’assegnatario, non già dal disponente”.

In tal modo, però, veniva privilegiato il mero dato finanziario rappresentato dal trasferimento effettuato in favore del legittimario non assegnatario, qualificandolo come donazione autonoma e senza indagare la causa originaria di tale trasferimento, necessariamente riconducibile alla volontà dell’imprenditore disponente. (FEDELE, La Cassazione e il “patto di famiglia”, in Riv. dir. trib. online, 22 gennaio 2019; BASILAVECCHIA, Il patto di famiglia: dove il diritto unisce, il Fisco (e la giurisprudenza) dividono, in Corr. trib., 2019, 267 ss.).

Sotto questo aspetto, mi sembra dunque che il più recente orientamento della Corte colga con maggiore esattezza le implicazioni fiscali del patto di famiglia, valorizzando in modo adeguato la ratio sottesa all’istituto. Si tratta, in definitiva, di apprezzare il comune denominatore giuridico-economico delle diverse attribuzioni patrimoniali e di collocarle nel contesto della funzione unitaria dello strumento, nonostante i diversi effetti giuridici soggettivi che promanano dalle disposizioni previste dalla legge (FICARI, La fiscalità della trasmissione familiare della ricchezza e dei patti di famiglia, in Riv. trim. dir. trib., 2021, 317).

Per quanto qui interessa, d’altronde, l’impostazione accolta in sede di legittimità alla fine del 2020 risulta integralmente condivisa anche dalle più recenti pronunce rese dalle corti di merito (oltre a Comm. Trib. Reg. Abruzzo, 12 luglio 2021 n. 552, si vedano Comm. Trib. Reg. Lombardia, 29 luglio 2021, n. 2969; Comm. Trib. Prov. Reggio Emilia, 15 settembre 2021, n. 222).

 

  1. Come anticipato, tuttavia, un secondo profilo merita qui di essere considerato. Una volta definito il trattamento tributario delle attribuzioni a favore dei legittimari non assegnatari, la sentenza n. 29506/2020 indaga infatti altresì il differente tema dell’ambito di estensione del regime agevolativo previsto dall’art. 3, comma 4-ter), d.lgs. n. 346/1990.

Come noto, la norma in esame esenta da tassazione i trasferimenti aventi ad oggetto aziende o partecipazioni societarie effettuati “anche tramite patti di famiglia” a favore dei discendenti e – a seguito delle modifiche apportate dall’art. 1, co. 31, l. n. 244/2007 – anche al coniuge del dante causa, a condizione che gli aventi causa proseguano l’esercizio dell’attività di impresa o mantengano, attraverso le partecipazioni ricevute, il controllo della società (sul fondamento costituzionale della disposizione, cfr. Corte Cost., sentenza n. 120/2020; in dottrina, STEVANATO, Successioni d’impresa e agevolazioni fiscali tra discrezionalità del legislatore e principio di uguaglianza, in Riv. dir. trib., 2021, 5; TRIVELLIN, L’originaria esclusione del coniuge dall’agevolazione fiscale sui trasferimenti di imprese. Un’occasione per riflettere sull’approccio metodologico alla soluzione di un problema di costituzionalità, in Riv. dir. trib., 2021, 145).

Secondo la dottrina prevalente, il regime di favore dovrebbe applicarsi a tutte le attribuzioni contenute nel patto di famiglia: sia a quelle effettuate direttamente dal disponente all’assegnatario, sia a quelle indirette a favore dei legittimari non assegnatari.

Tale conclusione, invero, appare suffragata da due ordini di ragioni. In primo luogo, per la già richiamata considerazione unitaria dell’assetto negoziale che, considerato nel suo complesso, evidenzia un coordinamento necessario ed una identità funzionale inscindibile tra l’assegnazione dell’azienda e le attribuzioni ai legittimari non assegnatari (CORASANITI, I profili tributari del passaggio generazionale delle imprese tra condizioni di obiettiva incertezza interpretativa e (probabili) interventi di riforma, in Dir. prat. trib., 2020, 1885; FICARI, La fiscalità della trasmissione familiare della ricchezza e dei patti di famiglia, cit., 318). In seconda battuta, per l’ampia finalità agevolativa che occorre riconoscere all’art. 3, co. 4-ter), derivante anche da precise sollecitazioni di origine comunitaria (Racc. 94/1069/CE della Commissione europea del 7 dicembre 1994; Comunicazione della Commissione 98/C 93/02 del 28 marzo 1998): ciò nel senso che l’intento agevolativo deve essere inteso ad ampio raggio, in una prospettiva teleologica che non può limitarsi ad esentare il solo trasferimento diretto all’assegnatario, ma deve logicamente abbracciare anche tutte le liquidazioni ad esso correlate (G. GAFFURI, L’imposta sulle successioni e donazioni, Padova, 2008, 510; FEDELE, Profilo fiscale del patto di famiglia, in Riv. dir. trib., 2014, 526 ss.).

Ebbene, nonostante la solidità argomentativa di tali considerazioni, la Corte di Cassazione si muove lungo un diverso crinale e finisce per accogliere una “stretta interpretazione” dell’art. 3, comma 4-ter), ritenendo agevolabile il solo trasferimento diretto dell’azienda o delle partecipazioni sociali, effettuato dal disponente all’assegnatario. Ad avviso della Corte, in particolare, questa conclusione sarebbe obbligata in virtù del tenore letterale della disposizione agevolativa, che non contiene alcun riferimento esplicito alle liquidazioni dei conguagli in favore dei legittimari non assegnatari.

Su questa linea ricostruttiva, peraltro, si attesta anche la giurisprudenza di merito. Con la pronuncia del 12 luglio 2021, n. 552, la Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo ha infatti integralmente recepito l’orientamento della Suprema Corte, affermando che l’esenzione interessa il patto di famiglia soltanto per ciò che riguarda “i trasferimenti effettuati in favore del discendente beneficiario, non anche le liquidazioni operate da quest’ultimo in favore degli altri legittimari”.

Anche volendo valorizzare il mero dato testuale dell’art. 3, co. 4-ter), invero, questo orientamento non appare del tutto convincente. La disposizione stabilisce infatti un trattamento preferenziale per i “trasferimenti” di aziende e di partecipazioni, il cui valore non può che risultare composto anche dalle liquidazioni che l’assegnatario è tenuto ex lege ad effettuare nei confronti dei legittimari pretermessi. E se tali attribuzioni rappresentano una parte del valore dell’azienda o delle partecipazioni trasferite, l’agevolazione dovrebbe ragionevolmente riferirsi alla vicenda “oggettiva” del trasferimento, considerata nel suo complesso.

Del resto, anche in una prospettiva costituzionale, sarebbe difficilmente giustificabile esentare il primo segmento attributivo, per poi concentrare la tassazione su soggetti (e su presupposti) che presentano comunque una chiara connessione funzionale con l’assegnazione dell’azienda. Collocando le attribuzioni ai legittimari al di fuori del perimetro dell’agevolazione, anzi, verrebbe a determinarsi un’esenzione solo parziale, contraria allo spirito ed alla lettera della legge nonché, probabilmente, al principio di capacità contributiva, considerato nella dimensione della ragionevolezza.

 

  1. La sentenza della Corte di Cassazione in commento si discosta in modo significativo dal precedente arresto del 2018 e le conclusioni a cui perviene risultano in buona parte condivisibili.

In primo luogo, dal punto di vista metodologico, giacché valorizza i profili causali del patto di famiglia per affermare principi e soluzioni applicative destinati ad orientare l’interpretazione giurisprudenziale in ambito tributario. Quanto al punto cruciale, poi, la sentenza conclude esattamente nel senso che gli importi delle attribuzioni di cui all’art. 768-quater), co. 2, c.c. vanno dedotti dall’imponibile per le liberalità disposte in favore dell’assegnatario e tassati come ulteriori liberalità del disponente originario in favore dei legittimari “virtuali”, con l’applicazione delle relative franchigie ed aliquote.

Meno convincente è invece il richiamo – fatto proprio anche dalla conseguente sentenza qui ricordata della C.T.R. dell’Abruzzo - alla necessità della cosiddetta “stretta interpretazione” delle norme di agevolazione fiscale, che condurrebbe alla inapplicabilità del regime esentativo stabilito dall’art. 3, co. 4-ter), TUS, alle liquidazioni operate dall’assegnatario in favore degli altri legittimari. A ben vedere, si tratta di una lettura eccessivamente formalistica, che non tiene in considerazione la struttura e la funzione del progetto convenzionale del patto familiare e che, anzi, riporta inopinatamente a galla una visione atomistica dell’istituto, scindendolo di fatto in due distinti atti: il trasferimento dell’azienda (agevolabile) e la liquidazione del legittimario non assegnatario (a cui l’esenzione non verrebbe riconosciuta).

Da questi punti fermi, in ogni caso, occorrerà muovere per la soluzione di ulteriori questioni, che interesseranno in futuro i profili fiscali dell’istituto. Basti pensare, ad esempio, al regime tributario delle attribuzioni disposte con successivo contratto [ex art. 768-quater), co. 3], o delle attribuzioni ai legittimari “sopravvenuti”, ex art. 768-sexies); alle conseguenze impositive della rinunzia alla liquidazione da parte dei legittimari non assegnatari dell’azienda; o, ancora, ai profili tributari dello scioglimento del patto di famiglia.