argomento: Profili europei e Internazionali - Legislazione e prassi
Con la proposta di Regolamento del Parlamento e del Consiglio adottata il 14 luglio 2021 dalla Commissione europea entra nel vivo il confronto, su scala globale, in ordine all’opportunità di adottare meccanismi di contrasto al fenomeno del ‘carbon leakage’, ovvero all’elusione dei sistemi di carbon pricing già esistenti mediante la delocalizzazione delle attività maggiormente inquinanti. L’Unione europea dimostra, in tal modo, di voler seriamente rafforzare le azioni di contrasto del cambiamento climatico e di individuare nella fiscalità d’impronta doganale uno strumento di indirizzo delle scelte dei propri partner commerciali e, dunque, delle maggiori economie mondiali. Le cautele adottate nell’applicazione del Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM) e il lungo periodo transitorio prima della sua entrata a regime impediscono tuttavia di apprezzarne appieno le potenziali ricadute (anche) in termini di nuova risorsa propria del bilancio europeo.
PAROLE CHIAVE: CBAM - Carbon leakage - FITX55
di Gianluca Selicato
È sufficiente leggere il testo del Regolamento COM (2021) 564 final, approvato il 14 luglio del 2021, per apprezzare le sane ambizioni del legislatore europeo: la descrizione dei motivi e degli obiettivi della proposta contenuta nella sua relazione di accompagnamento esprime una determinata volontà di contrastare il fenomeno del c.d. carbon leakage, ovvero la rilocalizzazione al di fuori del territorio europeo delle emissioni di carbonio altrimenti gravate dal meccanismo di riduzione di emissioni adottato dall’Unione Europea nel 2005 e denominato Emission Trading System (ETS) (cfr. P. Dè Capitani Di Vimercate, L'Emissions Trading Scheme: aspetti contabili e fiscali, in Dir. Prat. Trib., 2010, 15 ss.). In questo modo, il CBAM intende evitare che il gas serra non prodotto all’interno dei confini doganali europei sia comunque immesso in atmosfera altrove, concretandosi l’auspicio di un’efficacia ‘extraterritoriale’ delle misure di salvaguardia dell’ambiente all’egida degli obiettivi indicati nell’Accordo di Parigi e degli ulteriori impegni autonomamente assunti con il Green Deal Europeo e con il correlato pacchetto di misure FitX55 (cfr. A. Majocchi, Il carbon pricing in Germania e le nuove risorse proprie europee, in L’Unità europea, Luglio 28, 2020).
Le più manifeste conferme dell’ambizione di guidare il cambiamento delle politiche ambientali dei Paesi che intrattengono relazioni commerciali con gli Stati membri si ricavano dall’art. 2 del Regolamento che, nell’individuare l’ambito di applicazione del meccanismo impositivo, stabilisce un complesso sistema di eccezioni calibrato sull’atteggiamento tenuto dai Paesi o territori terzi e dunque finalizzato a premiare le convergenze con le scelte europee. Assumono rilievo, in tale prospettiva, le scelte di esenzione dall'applicazione del CBAM delle importazioni provenienti da Paesi che abbiano concluso con l'Unione accordi che comportino l'obbligo di applicare il diritto europeo nel settore dell'energia elettrica, compresa la legislazione sullo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili, nonché altre norme in materia di energia, ambiente e concorrenza; ovvero l’esenzione delle importazioni da Paesi che abbiano presentato alla Commissione una “road map” per l'adozione di misure ad effetti equivalenti rispetto a quelle europee; ovvero, ancora, dai Paesi che si siano impegnati a conseguire la neutralità climatica entro il 2050. Ma vi è di più: le eccezioni in questione sono subordinate alla verifica del concreto rispetto degli impegni assunti, accedendosi per tale via ad un’inusuale dimensione ‘dinamica’ della pretesa sinergia, poiché l’Unione europea disconoscerebbe l’esenzione dal CBAM (così prefigurandone l’impiego in forma di sanzione impropria) allorquando il Paese o territorio terzo, nell’attuare gli impegni assunti, non rispettasse la propria tabella di marcia e non dimostrasse progressi sostanziali verso l'allineamento della legislazione nazionale al diritto dell'Unione in materia di azione per il clima (cfr. art. 2, parr. 7-9, della proposta di Regolamento).
Sono questi, a mio avviso, gli elementi di maggiore interesse e originalità di una proposta che, per il resto, mira ad istituire una nuova risorsa propria del bilancio europeo dal gettito stimato in nove miliardi di euro annui (su questi temi cfr. G. Petrillo, Next Generation UE e nuovo sistema di risorse proprie: un passaggio decisivo verso la costituzione di un muovo modello fiscale europeo?, in Riv. Dir. Trib. On line, 7 dicembre 2021) ed a sopprimere il controverso meccanismo dell’assegnazione a titolo gratuito di quote degli ETS previsto dall’art. 10-bis della Direttiva 2003/87/CE. E sono queste le ragioni che, probabilmente, hanno inciso sul clima di scetticismo ed ostilità inizialmente opposto dalle istituzioni che governano le principali economie mondiali che hanno intravisto nel CBAM un pernicioso strumento di protezionismo del mercato interno europeo: in pochi mesi, infatti, l’interesse della comunità internazionale per l’istituto è cresciuto in modo significativo, collocando la scelta europea al centro di un animato dibattito che coinvolge, parallelamente, i meccanismi di attuazione dell’art. 6 dell’Accordo di Parigi su cui dovrebbe fondarsi un sistema ad adesione volontaria di riduzione delle emissioni su base interna (Nationally Determined Contribution, o NDC), mitigato dalla possibilità di “acquisto” ed utilizzo di veri e propri “certificati di credito” di carbonio generati altrove per effetto delle maggiori riduzioni conseguite da altri Paesi (Internationally Transferred Mitigation Outcomes, o ITMO).
Per quanto i documenti finali della Conferenza delle Nazioni Unite tenutasi dal 31 ottobre al 13 novembre 2021 a Glasgow (Cop 26) non abbiano previsto l’adozione di un meccanismo mondiale di fissazione del prezzo dei combustibili fossili, si iniziano a scorgere importanti ‘aperture’ per sperimentazioni in linea con le scelte europee, ergo, con l’ipotesi di un’applicazione su scala globale del CBAM o di un istituto analogo, secondo un approccio che segnerebbe un rilevantissimo salto di qualità nella strategia globale di contrasto al cambiamento climatico.
Va anzitutto precisato che, per suo tramite, gli Stati membri dell’UE, all’atto dell’immissione nel territorio doganale dell’Unione di alcune merci originarie di Paesi terzi elencate nell'allegato I al Regolamento, applicherebbero un importo monetario sotto forma di una tassa o di quote di emissioni di gas a effetto serra nell'ambito di un sistema di scambio delle quote medesime. Tale importo verrebbe calcolato proprio sulla base dei gas a effetto serra rilasciati durante la produzione delle merci stesse, all’esito di un calcolo che presenta alcuni residui profili di complessità.
L’elenco delle merci è attualmente circoscritto alle categorie rispetto alle quali è maggiormente avvertito il rischio di elusione del ‘carbon pricing’ ovvero cemento, elettricità, fertilizzanti, acciaio in lingotti e semiprodotti (con l’eccezione degli acciai inossidabili e dei tubi d’acciaio), allumino in forma grezza e semilavorata (compresi i tubi) e gli altri prodotti siderurgici. Questa delimitazione risponde anche all’esigenza di assicurare la conformità del CBAM con gli impegni già assunti in sede WTO, atteso che proprio nel rispetto degli accordi internazionali sul commercio si è da subito profilato un serio limite all’esercizio dell’autonomia impositiva europea di cui qui si discute. Peraltro, sempre all’egida della necessità di verificare la conformità del meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere con il delicato sistema di intese che si colloca alla base degli scambi internazionali, l’Unione europea intende adottare un regime transitorio che, nei fatti, rischia di depotenziare ulteriormente l’efficacia del CBAM: la sua entrata a regime, infatti, non avverrebbe prima del 2035; inoltre, fino al 2025 il sistema sarebbe implementato per mere finalità di sperimentazione e monitoraggio.
Sono queste le ragioni che inducono a prediligere, tra gli effetti attesi dalla proposta di Regolamento, proprio quella ‘moral suasion’ che le nuove regole potrebbero esercitare nei confronti di altri Ordinamenti. Del resto, almeno allo stato attuale, un così importante differimento nel tempo dell’entrata in vigore del CBAM non può che renderne difficoltosa la misurazione degli impatti sul bilancio europeo e sul sistema degli ETS. A ciò si aggiunga che il meccanismo di prelievo sulle importazioni di beni inquinanti è destinato ad incidere sul loro prezzo finale, circostanza questa che è destinata ad assumere crescente rilievo nel contesto di una vera e propria ‘crisi energetica’ che i mercati europei stanno affrontando e che in pochi mesi ha fatto schizzare il prezzo medio della CO2, nelle aste ETS, da 28 a 65 dollari per tonnellata, con punte ancor più elevate. In altri termini, se è certo che la semplice proposta del CBAM è stata in grado di suscitare un animato e costruttivo dibattito sull’opportunità di adottare congegni antielusivi delle politiche di convergenza sugli impegni internazionali per il contenimento del global warming, ovvero sulla possibilità di ricorrere ad un meccanismo impositivo su scala globale capace di disincentivare gli impieghi dei combustibili fossili, non è altrettanto certo che l’applicazione degli istituti previsti dalla proposta di Regolamento, tra cautele, eccezioni e differimenti nel tempo, possa in concreto condurre a risultati appaganti.
L’art. 4 della proposta, ad esempio, stabilisce che le merci possano essere importate nel territorio doganale dell'Unione “unicamente da un dichiarante autorizzato dall'autorità competente” (c.d. “dichiarante autorizzato”). Del tutto speculare al diritto doganale si rivelano anche la procedura e i presupposti di autorizzazione del soggetto dichiarante che vengono disciplinati dall’art. 17: tale soggetto, infatti, potrà rivolgere la domanda di autorizzazione all'autorità competente a norma dell'articolo 5, paragrafo 1, a condizione che non abbia commesso violazioni gravi o ripetute della normativa doganale e fiscale e delle norme sugli abusi di mercato e sempre che non abbia trascorsi di reati gravi connessi alla sua attività economica nei cinque anni precedenti la domanda. Inoltre, il dichiarante dovrà documentare il possesso della capacità finanziaria e operativa sufficiente all’adempimento degli obblighi assunti a norma del Regolamento. Ed anche il sistema di garanzie finanziarie previsto dai paragrafi 6, 7 e 8 del medesimo art. 17 evoca soluzioni da tempo invalse nella riscossione dei tributi doganali e delle accise.
Sufficientemente collaudati appaiono anche gli obblighi dichiarativi che, nel caso del CBAM, sono stabiliti dall’art. 6 del Regolamento. La norma prevede che entro il 31 maggio di ogni anno il dichiarante autorizzato presenti all'autorità competente una dichiarazione riassuntiva delle operazioni relative all'anno civile antecedente ("dichiarazione CBAM"), fornendo, tra le altre, le seguenti informazioni: a) quantitativo totale di ciascun tipo di merci importato nell'anno civile precedente la dichiarazione, espresso in megawatt ora per l'energia elettrica e in tonnellate per le altre merci; b) emissioni totali incorporate, espresse in tonnellate di emissioni di CO2e per megawatt ora di energia elettrica o, per le altre merci, per tonnellata di emissioni di CO2 e per tonnellata di ciascun tipo di merci, calcolate a norma dell'articolo 7; c) numero totale di certificati CBAM corrispondenti alle emissioni incorporate totali, da restituire tenuto conto della riduzione dovuta a motivo del prezzo del carbonio pagato in un Paese di origine a norma dell'articolo 9 e dell'adeguamento necessario in funzione dell'assegnazione gratuita delle quote EU ETS a norma dell'articolo 31.
Non è certamente questa la sede per indugiare sulle ipotesi più peculiari che determinano obblighi dichiarativi ulteriori (es. quella in cui le merci importate siano “merci in reintroduzione” ai sensi dell'articolo 203 del Codice doganale unico o le altre individuate dai commi 3, 4 e 5 dell’art. 6), risultando già da ciò evidente la mutuazione nella disciplina CBAM di istituti e regole attinti dal diritto doganale, con il quale il Regolamento deve necessariamente integrarsi, vertendosi in materia di importazioni.
6.Alla Commissione è conferito il potere di adottare atti di esecuzione riguardo al formato standard e alla procedura di presentazione della dichiarazione CBAM nonché alle modalità di restituzione dei certificati CBAM di cui al paragrafo 2, lettera c). Tali atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura d'esame di cui all'articolo 29, paragrafo 2.
Una certa complessità presentano i meccanismi di calcolo e la verifica delle emissioni incorporate, rispettivamente disciplinati dagli artt. 7 e 8 della proposta di Regolamento. I metodi di calcolo delle emissioni incorporate nelle merci sono infatti esposti nell’allegato III al Regolamento, che riserva regole distinte alle merci diverse dall'energia elettrica e che adotta appositi rimedi (valori predefiniti secondo i metodi di cui all'allegato III, punto 4.1.) per l’ipotesi in cui non sia possibile determinare in maniera adeguata le emissioni effettive. Spetta alla Commissione europea, inoltre, l’adozione di atti di esecuzione riguardo alle norme dettagliate su tali metodi di calcolo, tra cui “la determinazione dei limiti di sistema dei processi di produzione, i fattori di emissione, i valori specifici per impianto delle emissioni effettive e i valori predefiniti e la rispettiva applicazione alle singole merci, nonché la definizione di metodi per garantire l'affidabilità dei dati sulla base dei quali sono determinati i valori predefiniti, compreso il livello di dettaglio e la verifica dei dati”. Inoltre “se necessario”, gli atti di esecuzione dovranno prevedere “che i valori predefiniti possano essere adattati a particolari zone, regioni o Paesi per tenere conto di specifici fattori oggettivi quali la geografia, le risorse naturali, le condizioni di mercato, le fonti energetiche prevalenti o i processi industriali”.
La verifica delle emissioni incorporate riportate nella dichiarazione CBAM è poi affidata a “verificatori accreditati” a norma dell'articolo 18, ed è condotta secondo i principi stabiliti nell’Allegato V. anche a tale riguardo la Commissione disporrà del potere di adottare appositi atti di esecuzione.
Il sistema di “governance” del CBAM è descritto al Capo III del Regolamento (artt. 11-19) e si avvale di una rete di Autorità competenti designate da ciascuno Stato membro – tra le quali opera un preciso obbligo di scambio di informazioni essenziali o pertinenti all'espletamento delle loro funzioni e compiti – e della stessa Commissione europea che funge da “amministratore centrale” deputato a tenere un “catalogo delle operazioni indipendente per registrare l'acquisto, la detenzione, la restituzione, il riacquisto e l'annullamento dei certificati CBAM” e a garantire il coordinamento dei collegati registri nazionali.
Infine, il Capo IV del Regolamento (artt. 20-24) regola la vendita, il prezzo, la restituzione, il racquisto e l’annullamento dei certificati CBAM, mentre il Capo V disciplina la gestione delle merci alle frontiere. Per il resto, il Regolamento stabilisce meccanismi di raccordo e coordinamento della nuova disciplina con quella doganale preesistente e con il sistema ETS e, al Capo X, individua il regime transitorio di cui s’è già detto e che, è bene ripeterlo, potrebbe determinare il vero fattore di debolezza dell’innovativo meccanismo di riduzione delle emissioni di gas serra finalizzato, nelle intenzioni delle istituzioni europee, a produrre effetti al di fuori del territorio doganale.
Non sarà semplice, ad avviso di chi scrive, andare oltre gli interessi economici e la sfrontatezza con cui alcuni Governi alla guida delle principali economie mondiali sono soliti imbrigliare il confronto nelle conferenze delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico. Di certo, però, l’articolazione di proposte simili al CBAM, proprio perché potenzialmente gravide di conseguenze sulle loro esportazioni di prodotti strategici e sull’ostinato utilizzo di combustibili fossili, può concorrere ad accelerare quella difficoltosa convergenza tra gli ordinamenti giuridici e le indicazioni di una comunità scientifica ormai coesa sulle relazioni che legano il riscaldamento globale alle emissioni di gas serra (cfr. A. Comelli, Riflessioni sulla tassazione ambientale, all’epoca della pandemia innescatadal covid-19, nella prospettiva di un’ampia riforma tributaria, in Dir. Prat. Trib., 2021, 44 ss.).