argomento: IVA - Giurisprudenza
La sussistenza dell'appalto “genuino” è identificata dalla combinazione dell'indice dell'assunzione del rischio d'impresa e di quello dell'etero direzione, con rilievo preminente attribuito a quest’ultimo elemento. Tale distinzione ha degli importanti riflessi fiscali, dal momento che l’inquadramento come appalto è essenziale ai fini del riconoscimento del diritto alla detrazione dell’Iva e della deducibilità dei costi per lavoro ai fini IRAP.
PAROLE CHIAVE: appalto - somministrazione lavoro - etero direzione
di Alessia Vignoli
Sempre più frequentemente gli operatori economici cercano forza lavoro flessibile ad un costo minore rispetto al rapporto di lavoro subordinato; si parla in generale di esternalizzazione o outsourcing, meccanismo attraverso il quale vengono affidati a soggetti esterni una o più fasi del ciclo produttivo, prima gestite in via diretta.
Lo strumento giuridico tradizionalmente utilizzato per gestire tale esigenza è il contratto di appalto caratterizzato dalla prevalenza della forza lavoro sugli altri fattori produttivi (labour intensive), da uno scarso impiego di beni strumentali, e spesso dall'esecuzione del servizio all'interno dell'azienda del committente (c.d. appalto endoaziendale).
Il ricorso sempre più frequente al fenomeno dell'esternalizzazione è dovuto ai benefici che genera per le imprese tra cui possiamo segnalare: l’ottimizzazione dei costi aziendali; la possibilità di affidare lo svolgimento di servizi strategici a soggetti altamente specializzati oppure il trasferimento dei rischi derivanti dall'attività esternalizzata su un soggetto terzo.
Tuttavia, la legittimità dell'appalto è sottoposta a vincoli stringenti finalizzati ad escludere la sussistenza di un'interposizione illecita di manodopera (sul tema si vedano: Ichino, Somministrazione di lavoro, appalto di servizi, distacco, in AA.VV., Il nuovo mercato del lavoro, Bologna, 2004, 258; Del Punta, Art. 1, 2° co., lett. m), n), o). Appalto, divieto di interposizione, somministrazione di manodopera, comando, in La legge delega in materia di occupazione e mercato del lavoro, a cura di M. T. Carinci, Milano, 2003, 64; Id., Il nuovo divieto di appalto di manodopera, DPLav, 2005, n. 36, 1953; De Luca Tamajo, Diritto del lavoro e decentramento produttivo in una prospettiva comparata; scenari e strumenti, RIDL, 2007, 3; Chieco, I tratti salienti della somministrazione di lavoro, del distacco e dell'appalto labour intensive, in Percorsi di diritto del lavoro, a cura di D. Garofalo-Ricci, Bari, 2003, 513). L’individuazione di una linea di demarcazione tra i due istituti non rileva però soltanto ai fini del diritto del lavoro, ma per quanto di nostro interesse, anche ai fini fiscali dal momento che nel caso di una prestazione di servizi, la configurazione della somministrazione di manodopera in luogo del contratto di appalto comporta l’indetraibilità dell’Iva e l’indeducibilità dell’Irap.
In linea generale e in base a quanto stabilito nell’art. 1655 C.C. con il contratto di appalto, l'appaltatore assume, con organizzazione dei mezzi e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio dietro corrispettivo in denaro.
Nel contratto di somministrazione di lavoro, regolato invece nel capo IV del decreto legislativo n.81/2015, un'agenzia autorizzata ed iscritta all'apposito albo presso il Ministero del Lavoro si obbliga a mettere a disposizione di un utilizzatore dei lavoratori suoi dipendenti, affinchè svolgano la propria attività nell'interesse e sotto la direzione e il controllo dell'utilizzatore medesimo.
La somministrazione, può essere esercitata solo nei casi e nelle forme stabiliti dagli articoli 30 e seguenti del D.lgs. n.81/2015 e si differenzia dall'appalto di servizi perché quest'ultimo è connotato dall'organizzazione dei mezzi e dall'assunzione del rischio d'impresa da parte dell'appaltatore.
Questi tratti distintivi sono stati più volte richiamati dalla giurisprudenza; si consideri ad esempio quanto si legge nell’ordinanza n. 12551/2020 della sezione lavoro della Corte di Cassazione in cui si sottolinea che un appalto di opere o servizi può essere considerato genuino quanto “all'appaltatore sia stata affidata la realizzazione di un risultato in sé autonomo, da conseguire attraverso una effettiva e autonoma organizzazione del lavoro, con reale assoggettamento al potere direttivo e di controllo sui propri dipendenti, impiego di propri mezzi e assunzione da parte sua del rischio d'impresa, dovendosi invece ravvisare un'interposizione illecita di manodopera nel caso in cui il potere direttivo e organizzativo sia interamente affidato al formale committente, restando irrilevante che manchi, in capo a quest'ultimo, l''intuitus personae' nella scelta del personale”.
La linea di confine tra le due fattispecie è dunque individuata anche da un. punto di vista pratico nella presenza o meno, nel contratto di appalto, dell'organizzazione dei mezzi necessari e dall'assunzione del rischio d'impresa da parte dell'appaltatore.
In passato (durante la vigenza della legge n.1369/1960) vi era una normativa più stringente che ravvisava una presunzione assoluta di appalto illecito di manodopera in tutte le ipotesi in cui l'appaltatore non apportava mezzi, attrezzature e strumenti "necessari" per lo svolgimento dell'appalto, escludendo a priori la legittimità degli appalti con alta intensità di manodopera che, invece, è diventato uno strumento ormai sempre più diffuso.
Nello specifico, si configurava un appalto illecito ogni volta in cui il conferimento di mezzi era marginale e accessorio rispetto all'apporto dell'appaltatore, come nel caso in cui l'appaltatore usasse capitali, macchine, ed attrezzature fornite dal committente (in tal senso, ma come detto in applicazione della normativa preesistente risalente al 1960, si vedano ad esempio la sentenza n. 23615/2020 o la n. 14371/2020 che possono essere interessanti perché ricostruiscono l’evoluzione normativa sulla distinzione).
Successivamente alle modifiche normative ed in particolare all’adozione dell’art.29 del D.lgs. n.276/2003, il requisito della "organizzazione dei mezzi necessari" richiesto dalla disposizione precedente non è stato più ritenuto necessario, a condizione però che l’appaltatore potesse presentare apprezzabili indici di autonomia organizzativa.
Allo stato attuale della normativa così come modificatasi negli anni, l'appaltatore deve dunque:
- provvedere all'organizzazione dei mezzi necessari; detta circostanza può essere apprezzata diversamente, a seconda delle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, ma richiede necessariamente l'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto;
- assumere il rischio d'impresa.
In altri termini, l'appalto si caratterizza per un "fare" (concretizzantesi nel potere organizzativo e direttivo) da parte dell'appaltatore secondo lo schema dell’obbligazione di risultato con conseguente assunzione del rischio d’impresa, mentre la somministrazione di personale consiste in un “dare” dal momento che l’appaltatore mette a disposizione il proprio personale, secondo lo schema dell’obbligazione di mezzi.
Alla luce del mutato assetto normativo, la sussistenza dell'appalto è identificata secondo una approfondita ricostruzione effettuata in più occasioni dalla Corte di Cassazione (cfr. ad esempio l’ordinanza n.18808 del 28 luglio 2017), dalla combinazione dell'indice dell'assunzione del rischio d'impresa e di quello dell'etero direzione, con rilievo preminente attribuito a quest’ultimo elemento.
Tali requisiti possono però presentare delle caratteristiche diverse a seconda della tipologia di appalto, infatti, negli appalti c.d. pesanti, ossia quelli che richiedono l'impiego di importanti mezzi o materiali, il requisito dell'autonomia organizzativa deve essere calibrato, se non più sulla titolarità, quanto meno sull'organizzazione di questi mezzi; negli appalti cd. "leggeri" in cui l'attività si risolve prevalentemente o quasi esclusivamente nel lavoro, è sufficiente che in capo all'appaltatore sussista una effettiva gestione dei propri dipendenti (in termini, Cass. civ., n. 21413 del 2019).
In altra occasione è stato precisato che quello che conta per poter considerare genuino, cioè conforme alle previsioni di cui al suddetto intervento normativo, un appalto di opere o servizi espletato con mere prestazioni di manodopera è il fatto che: il requisito della "organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore" costituisca un servizio in sè, svolto con organizzazione e gestione autonoma dell'appaltatore, senza che l'appaltante, al di là del mero coordinamento necessario per la confezione del prodotto, eserciti diretti interventi dispositivi e di controllo sui dipendenti dell'appaltatore (Cass. n. 15557 del 2019). Inoltre, il requisito della "organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore", previsto dal citato art. 29, può essere individuato, in presenza di particolari esigenze dell'opera o del servizio, anche solo nell'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nel contratto (Cass. n. 30694 del 2018).
La riforma ha avuto dunque l’indubbio vantaggio di far superare in fase applicativa tutti gli equivoci legati al presupposto della titolarità dei mezzi di produzione in capo all’appaltatore e ha definitivamente individuato nell’etero-direzione, l’elemento distintivo che ha un rusolo determinante nel rendere legittimo a tutti gli effetti il contratto di appalto. Insomma, all'appaltatore, per vedere riconosciuto il suo ruolo e per veder riconosciuta la sussistenza del contratto di appalto, si richiede non solo di organizzare, ma anche di dirigere i suoi dipendenti, utilizzandoli in prima persona (Cass. civ., 7 dicembre 2018, n. 31720).
Se, invece, l’appaltatore si limita a mettere a disposizione del committente mere prestazioni lavorative di propri dipendenti che in qualche modo possono considerarsi subordinati al committente (ad esempio perché da quest’ultimo ricevono indicazioni relativamente all’organizzazione dei turni di lavoro o sulle mansioni che sono chiamati a svolgere) vi potrebbe essere il rischio di vedersi contestare la somministrazione di manodopera.
Essendo ormai pacificamente ammessa la legittimità dei contratti labour intensive, va però sottolineata l'incertezza legata alla possibilità di individuare un limite massimo entro cui il committente può ingerirsi nella gestione del personale dell'appaltatore, senza sconfinare nella somministrazione di manodopera. Certo è che l’appaltatore deve essere in possesso di una reale organizzazione che gli consenta il raggiungimento, con contestuale assunzione del rischio di impresa, di un risultato produttivo autonomo. Tuttavia appare ragionevole ritenere, supportati in questa conclusione anche dalle pronunce giurisprudenziali che sono state richiamate, che tale valutazione debba essere compiuta caso per caso essendo influenza dalle caratteristiche della prestazione resa e dal settore produttivo di riferimento.
Come anticipato l’elemento dell’etero-direzione pur ritenuto prevalente non è di per sé sufficiente a delineare una distinzione netta tra il contratto di appalto e l’intermediazione di manodopera; va, infatti, dimostrata anche l’assunzione del rischio d’impresa in capo all’appaltatore.
Per individuare tale elemento tradizionalmente si fa riferimento alla tipologia e natura del compenso spettante all'appaltatore. Elementi sintomatici di un appalto illecito potrebbero essere ad esempio: il corrispettivo irrisorio e il calcolo dello stesso sulla base della retribuzione oraria dei dipendenti o sulla base del costo di spese assicurative e contributive del personale.
Un approccio eccessivamente formalistico legato esclusivamente alla remunerazione oraria rischia però di essere fuorviante dal momento che negli appalti di servizi c.d. labour intensive, i corrispettivi possono essere legittimamente pattuiti in diversi modi: a corpo, a pezzo, a metro, a chilo, a ora, eccetera.
Inoltre, esaurire il parametro del rischio d’impresa alla remunerazione oraria appare oltremodo riduttivo; infatti, anche se il prezzo viene pattuito ad ora lavorata, l’impresa, per evitare il rischio connesso allo svolgimento di una qualsiasi attività produttiva (ossia quello di non coprire i costi), deve comunque avere la certezza di riuscire a “vendere” un numero di ore sufficiente, tale per cui, i ricavi realizzati possano superare i propri costi. Se l’impresa non lavora, non incassa, e quindi non ottiene quanto le serve per pagare i costi dei dipendenti che nel frattempo ha assunto e gli altri costi di gestione, che comunque deve sostenere.
Dunque la pattuizione del prezzo sulla base delle ore lavorate non riesce di per sè a sollevare l’imprenditore dal rischio di impresa; inoltre un approccio così riduttivo esclude in maniera aprioristica tutti gli altri fattori che in qualche modo possono incidere sull’attività produttiva in sé, come ad esempio i rischi per inadempimenti contrattuali e/o eventuali danni, che invece rappresentano una parte essenziale di una qualsiasi attività imprenditoriale.
Dopo questo breve excursus sui tratti distintivi tra i due contratti, procediamo ad esaminare quali siano i riflessi fiscali del disconoscimento della genuinità di un contratto di appalto in favore della somministrazione di manodopera.
In tali casi, tradizionalmente gli uffici fiscali contestano la detrazione dell’Iva e la deducibilità dell’Irap; anche se recentemente va segnalata la tendenza a far sfociare tali contestazioni in ambito penale tributario, contestando l’emissione di fatture giuridicamente inesistenti ai sensi dell’art. 2, D.Lgs. n. 74/2000 (sul tema si rinvia a Leo, “Illecita somministrazione di manodopera: operazioni inesistenti e riconoscimento dell'onere sostenuto”, in Corr. Trib., n. 6/2021, 555ss.).
Per quanto attiene i profili esclusivamente fiscali nella giurisprudenza di merito si può ad esempio prendere in considerazione l’oggetto del giudizio esaminato nella sentenza n. 254/1/21 del 26 novembre 2021 della CTP di Ravenna in cui il giudice di primo grado ha confermato la pretesa fiscale nel caso di una società che aveva registrato costi per servizi di facchinaggio, resi in esecuzione di un contratto di appalto di servizi, da una cooperativa. A quest’ultima era stato però contestato di aver ricevuto dal committente sia l’attrezzatura per lo svolgimento del servizio, che le indicazioni sullo svolgimento del lavoro. Il contratto di appalto, secondo i giudici di merito, sarebbe stato dunque svuotato di contenuto venendo a mancare l’etero-direzione, intesa quale organizzazione e direzione delle maestranze, in prima persona, da parte dell’appaltatore.
Come già affermato in precedenza, l’esito dell’indagine sulle caratteristiche della fattispecie può essere particolarmente opinabile, dal momento che una costante e assidua direzione tecnica dei lavori da parte del committente o di personale da lui incaricato, può essere considerata una normale supervisione nello svolgimento di un contratto ed è una cosa ben diversa dall'esercizio del potere direttivo del datore di lavoro che viene richiesto quale elemento sintomatico del contratto di appalto. Infatti, è assolutamente ragionevole che, soprattutto qualora l’appalto riguardi una delle molteplici fasi della lavorazione del prodotto, il committente possa fornire indicazioni sulle modalità temporali e tecniche dell'esecuzione del servizio o dell'opera oggetto dell'appalto senza per questo trasformare l’appalto in somministrazione di manodopera.
Anche qualora il committente si limiti a verificare l’accesso presso la sede di lavoro che consiste nel medesimo stabilimento industriale in cui si svolgono diversi fasi di lavorazione, non può certo ragionevolmente parlarsi dell’esercizio di un potere direttivo.
Pertanto anche gli eventuali contatti quotidiani tra committente e dipendenti dell’appaltatore non possono considerarsi fatto sintomatico di non genuinità dell’appalto, purchè tali rapporti non rendano completamente inutile il coinvolgimento dell’appaltatore come ad esempio quando in capo a lui restino solamente i compiti di gestione amministrativa quali la retribuzione, la gestione delle ferie, etc., mentre l'organizzazione delle prestazioni, oggetto del contratto, ed il rischio economico derivante dall'effettivo assoggettamento dei dipendenti al potere direttivo e di controllo traslano sul committente (in tal senso Cass., Sez. lav., ord. n. 1754/2021).
Va però precisato che l’attenzione degli uffici fiscali sul tema è particolarmente alta, anche perché si tratta di accertamenti che spesso prima di poter essere annullati richiedono ben tre gradi di giudizio ed una applicazione rigorosa degli esiti della giurisprudenza della sezione lavoro della Corte di Cassazione.
Fin qui l’attenzione è stata posta sulla sostanza e le caratteristiche del rapporto tra committente, appaltatore e dipendente di quest’ultimo, tuttavia merita di essere segnalata una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 37208 del 29 novembre 2021 con commento di Furian, Costi indeducibili e IVA indetraibile se la fattura non ha i requisiti previsti, in Il fisco, n. 3/2022) in cui la Corte proprio in un caso di appalto di lavoro, è giunta ad escludere la deducibilità dei costi e la detraibilità dell’Iva, perché la fattura era priva delle indicazioni relative alla natura, qualità e quantità dei beni e servizi ossia ai requisiti di forma e contenuto prescritti dall’art.21 del D.P.R. n. 633/1972. I giudici di legittimità non hanno ritenuto integrabili detti requisiti attraverso il richiamo al contratto di appalto, perché nella fattura sarebbe stato necessario indicare (e con ciò evocando la distinzione tra contratto di appalto e quella di somministrazione di manodopera) oltre al servizio reso (consistente nel facchinaggio, accantonamento, incestamento dei prodotti commercializzati), i mezzi e l’organizzazione forniti per il compimento del servizio (ore e numero dei dipendenti impiegati).