argomento: Imposte sui trasferimenti e altri tributi - Giurisprudenza
La Cassazione rinvia alle Sezioni Unite la questione controversa riguardante l’esatta portata dell’art. 4, comma 1 lettera b) della tariffa allegata al TUR in relazione alla tassazione della scissione societaria.
» visualizza: il documento ()PAROLE CHIAVE: società - scissione - imposta di registro - enti non commerciali
di Susanna Cannizzaro
La questione controversa riguarda l’esatta portata dell’art. 4, comma 1 lettera b) della tariffa allegata al TUR in relazione alla tassazione della scissione societaria.
Nel caso di specie, l’atto prevedeva la scissione totale di una s.r.l. finanziaria, con l'integrale trasferimento del patrimonio a due società beneficiarie preesistenti una Holding s.r.l. e una società semplice, ed era stato tassato con applicazione dell’imposta fissa di registro ai sensi del menzionato art. 4.
L’Agenzia delle Entrate aveva ripreso a tassazione l’atto stesso con l’imposta proporzionale riconducendo la fattispecie all’ambito applicativo dell’art. 9 della tariffa in base ad una tesi volta a limitare il campo di applicazione dell’art. 4 alle società aventi per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali o agricole.
Le doglianze dei contribuenti, che in sede processuale insistevano per l’applicazione dell’art. 4 menzionato alle “società di ogni tipo e oggetto”, erano state accolte in entrambi i gradi di merito. L’iniziativa del ricorso in Cassazione è dunque spettata all’Agenzia delle Entrate. Invocando la falsa applicazione dell'art. 4 della Tariffa Parte Prima, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, l’amministrazione finanziaria ha censurato la sentenza della CTR per avere ritenuto che la natura commerciale o agricola dell'oggetto, quale presupposto dell'imposizione in misura fissa degli atti di scissione, riguardasse solo gli enti diversi dalle società.
Per meglio comprendere la questione occorre ricordare il dettato normativo. L’art. 4 più volte menzionato si riferisce agli «Atti propri delle società di qualunque tipo ed oggetto e degli enti diversi delle società, compresi i consorzi, le associazioni e le altre organizzazioni di persone o di beni, con o senza personalità giuridica, aventi per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali o agricole» e fra questi ricomprende, alla lettera b), «fusione tra società, scissione delle stesse, conferimento di aziende o di complessi aziendali relativi a singoli rami dell'impresa fatto da una società ad altra società esistente o da costituire; analoghe operazioni poste in essere da enti diversi dalle società».
A fronte del dato testuale, da una parte l’ordinanza rileva come, in base ad una certa visione, il riferimento all’attività commerciale o agricola possa riguardare solo gli enti diversi dalle società, atteso che gli organismi societari sono espressamente individuati dal legislatore quali destinatari della previsione indipendentemente dal tipo e dall’oggetto, atteso che la disposizione riguarda testualmente «società di qualunque tipo ed oggetto».
L’argomento letterale può essere corroborato anche dal dato sistematico. Infatti il codice del terzo settore (D.lgs. n. 117 del 2017), all'art. 82 (in tema di imposte indirette e di tributi locali), prevede che l’imposizione in misura fissa (tra l'altro) per le operazioni di scissione poste in essere dagli enti del terzo settore non si applichi alle "imprese sociali costituite in forma di società" (art. 82, commi 1 e 3) e ciò potrebbe trovare spiegazione nella circostanza che già in base alla previsione di carattere generale le operazioni di scissione coinvolgenti società di qualunque tipo ed oggetto siano soggette ad imposta fissa. L’ordinanza (sulla scorta delle difese spiegate dai contribuenti) rileva, peraltro, come l’esame del tema da un diverso angolo visuale potrebbe non mutare il risultato in termini impositivi. Assumendo infatti che una società che esercita un'attività non commerciale né agricola è una società “senza impresa”, l'attribuzione in sede di scissione di beni o partecipazioni sociali non si differenzierebbe, in sostanza, dall'assegnazione di beni ai soci. In altri termini la fuoriuscita dal processo produttivo della partecipazione sociale attribuita alla società semplice "senza impresa", non porterebbe ad un esito differente rispetto all’attribuzione diretta ai soci della scissa (nel caso di specie in parte soci anche della società semplice), ossia sconterebbe l’imposta di registro in misura fissa per il principio di alternatività con l’IVA.
D’altro canto, in una diversa ottica – fatta propria dall’amministrazione finanziaria – la Cassazione nota che, sul piano letterale, l'uso della virgola prima della proposizione «aventi per oggetto…» potrebbe servire a riferire la limitazione riguardante l'oggetto sia alle società che agli enti diversi. Conseguentemente, seguendo questa opzione interpretativa, per l’applicazione dell’art. 4 comma 1, lett. b), anche le società dovrebbero svolgere attività commerciale o agricola.
Tale impostazione sarebbe supportata - in questa visione - anche dal dettato della nota III all’art. 4 che si riferisce indifferentemente alle «società ed enti diversi da quelli indicati nel presente articolo», in tal modo presupponendo l’esistenza di società estranee all’ambito applicativo dell'art. 4 in quanto non aventi per oggetto l’esercizio di attività commerciali o agricole.
A fronte di questo disomogeneo quadro, secondo la Cassazione non parrebbe dirimente, al fine di sciogliere il nodo interpretativo, il pregresso apporto giurisprudenziale, considerato numericamente scarno e sbilanciato sulla seconda opzione interpretativa, probabilmente considerato inidoneo a fornire delle argomentazioni utili per un vaglio critico anche della prima tesi prospettata.
Valutata come indubbia la rilevanza giuridica ed economica della questione, la Cassazione ritiene quindi riscontrati i presupposti per la rimessione al Primo Presidente con successiva eventuale attribuzione alle Sezioni Unite.
In primo luogo si può osservare che la questione interpretativa sollevata non è risolvibile avendo riguardo al solo dato normativo interno. L’art. 4 della tariffa, parte I, allegata al TUR, infatti, è frutto di un intervento normativo apportato per adeguare il sistema di tassazione alle previsioni della direttiva sulla raccolta di capitali (dir. 69/335/CEE del 17 ottobre 1969 - successivamente modificata e ora trasfusa nella Direttiva 2008/7/CE - trasposta nell'ordinamento italiano col D.L. 20 giugno 1996, n. 323, convertito con L. n. 425 /1996, che ha modificato, con l'art. 10, comma 5, l'art. 4, lett. b) della Tariffa, parte I allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, accomunando le scissioni alle fusioni ed ai conferimenti di aziende e di complessi aziendali, e prevedendo, per tutti i casi, l’imposta fissa) ed è dunque alle disposizioni sovranazionali che sembra necessario guardare per individuare l’effettiva portata della norma interna.
Obiettivo dell’intervento europeo realizzato con la direttiva 69/335/CEE del 17 ottobre 1969 (ora Direttiva 2008/7/CE) era il ravvicinamento delle legislazioni nazionali che, dando luogo a discriminazioni, interferivano con la libera circolazione di capitali impedendo la creazione di un mercato interno. La direttiva mirava anche ad incentivare le operazioni di concentrazione e raggruppamento delle imprese europee, al fine di migliorarne la concorrenzialità (sul contenuto della direttiva 69/335/CEE si veda Teucci, La regolamentazione comunitaria in materia di imposte dirette sulla raccolta di capitali, Riv. Dir. Fin. Sc. fin., 1970, 563 ss.; Merone, La Direttiva n. 69/335 in materia di imposizione sulla raccolta di capitali e la VI Direttiva Iva, in Rass. trib., 2003, 357 ss.; Carmini, Il diritto tributario comunitario e la sua attuazione in Italia, Padova, 2002, 129 ss)
Sotto il profilo soggettivo, essa si rivolge alle «società di capitali» ed indica (art. 3) per i diversi ordinamenti nazionali le forme societarie definite di capitale interessate dalla normativa comunitaria (per l’Italia S.p.a., S.r.l., S.a.p.a). La direttiva prevede altresì un’assimilazione alle società di capitali di ogni altra società associazione o persona giuridica che persegua scopi di lucro. In sostanza la normativa sovranazionale definisce l’ambito soggettivo in termini molto ampi senza legarlo ad una forma sociale specifica. Tali previsioni costituiscono una vera e propria «clausola di salvaguardia» a favore degli Stati membri, che consente loro di evitare distorsioni in materia di imposizioni dipendenti dalla forma giuridica scelta per realizzare raccolte di capitali. In altri termini, la disposizione è volta ad estendere la disciplina della direttiva ai soggetti che, pur svolgendo la stessa funzione economica delle società di capitali vere e proprie, non rispondono alla definizione della stessa direttiva.
I criteri per l’equiparazione sono nel tempo emersi dall’esperienza giurisprudenziale. Basti ricordare in proposito che, per comprendere se determinati soggetti di diritto interno potessero considerarsi inclusi tra i destinatari delle previsioni della Direttiva, la giurisprudenza europea ha invocato (sulla base del disposto della Direttiva stessa) la necessaria ricorrenza di una funzione economica (minima) “tipica” consistente nella ricerca di un utile mediante la messa in comune di capitali, intendendo per utile qualsiasi utilità economica e quindi anche un risparmio di spesa o altro vantaggio patrimoniale realizzabile attraverso l’attività sociale (cfr. Corte di Giustizia, sentenza 12 novembre 1997, causa C-112/86, Amro Aandelen Fonds, in tema Medici, I soggetti, in Di Pietro (a cura di), Atti societari ed imposizione indiretta. Dalle direttive comunitarie alla nuova riforma tributaria, Padova, 2005, 140). Il problema sollevato va dunque impostato con riferimento alla coerenza delle scelte del legislatore interno nel definire, in attuazione della direttiva, l'ambito soggettivo di riferimento dell'art. 4 tariffa parte prima allegata al D.P.R. n. 131/1986 (cfr. in tema Cicognani, Le trasformazioni di società ed enti nell'imposta di registro: profili di diritto interno ed europeo, Riv. dir. fin., 2011, 394, ss.; Di Pietro - Longo, L'attuazione della Direttiva in Italia: l'imposta di registro come imposta comunitaria sulla raccolta dei capitali, in Di Pietro (a cura di), Atti societari, cit., pp. 39 ss. e 46 ss.).
Sotto questo profilo l’ordinanza in commento offre l’occasione per notare come il quadro normativo domestico possa fornire degli spunti di riflessione per la soluzione di questioni che parrebbero, invece, meramente interne al sistema del tributo di registro. Si è osservato in proposito, in relazione alle operazioni di trasformazione tra enti non commerciali, che la fuoriuscita dal perimetro applicativo dell’art. 4 più volte citato potrebbe non necessariamente portare all’applicazione dell’imposta in misura proporzionale, ma fissa ai sensi dell’art. 11 tariffa. Si è così argomentato dalla circostanza che la trasformazione non solo non importa trasferimento di beni, ma non può determinare neanche l'assunzione di obbligazioni in quanto operazione "sui soggetti" (cfr. Mastroiacovo, Considerazioni a margine dell'applicazione dell'imposta di registro alla trasformazione eterogenea regressiva, Riv. dir. trib., fasc.1, 2012, 51 ss.; Sulla tradizionale distinzione tra operazioni sui beni e operazioni sui soggetti si veda Fantozzi – Lupi, Le società per azioni nella disciplina tributaria, in Colombo- Portale (a cura di), Trattato delle società per azioni, Torino, 1993, volume 9**, 153; Fedele, Riorganizzazione delle attivita` produttive e imposizione tributaria, in Riv. dir. trib., 2000, I, 491, Zizzo, Operazioni societarie straordinarie (diritto tributario), Enc. Dir., Annali, Milano, 2007, vol. I, 875 ss.). Elementi a favore dell’imposizione in misura fissa pure nei casi sicuramente estranei all’ambito applicativo dell’art. 4 potrebbero trarsi anche dal sistema ora delineato dal codice del terzo settore (cfr. in tema Ghinassi, La tassazione degli atti degli enti del terzo settore (ETS): le imposte indirette, CNN studio n. 72-2018/T; Tassani, Codice del Terzo settore e imposte sui trasferimenti: applicazione in via transitoria e riforma “a regime”, il Fisco, 2018, 2637 ss.; Ficari, Prime osservazioni sulla “fiscalità” degli enti del terzo settore e delle imprese sociali, Riv. trim dir. trib. 2018, 80; Girelli, La disciplina tributaria degli enti del Terzo settore: un'occasione mancata, Rass. Trib., 2020 409 ss.) o anche da previsioni “speciali” (cfr. art.1, comma 737 della legge n.147/2013 relativa agli atti di riorganizzazione tra enti).
In effetti, anche in precedenza, nella prassi ministeriale diramata all’indomani dell’entrata in vigore dell’attuale testo unico (DPR 131/1986), si prospettava come necessario il coordinamento tra la disposizione di cui all’art. 4 della tariffa parte I con quella di cui all'art. 9 della tabella (che ha eliminato l'obbligo di chiedere la registrazione per gli atti "diversi" da quelli indicati nell'art. 4). Ciò in quanto la previsione della tabella appariva finalizzata a risolvere i dubbi interpretativi sorti in relazione alla previgente sancendo l’irrilevanza per il tributo di registro degli atti societari non espressamente indicati nella previsione della tariffa ad essi dedicata (Cfr. Circ. n. 37 (prot. n. 220391) del 10 giugno 1986 Dir. TT.AA.; per i dubbi sorti in relazione alla previgente disciplina cfr. Cass 11410/1990).
Insomma, l’ambito applicativo dell’art. 4 e la conseguente tassazione delle operazioni riorganizzative (fusioni, scissioni, trasformazioni) di società ed enti diversi sono condizionati, per un verso, dalle previsioni sovranazionali, per altro verso, dal sistema del tributo di registro cosi come risultante dal relativo testo normativo e dalle disposizioni “speciali”.
Ma per approfondire il tema conviene ora attendere l’eventuale pronuncia delle Sezioni Unite.