Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

25/01/2019 - Il patto di famiglia per la prima volta sotto la lente della Cassazione

argomento: Imposte sui trasferimenti e altri tributi - Giurisprudenza

La Corte di Cassazione (ord. 32823/2018) si occupa per la prima volta del patto di famiglia, con importanti ma discutibili prese di posizione sulla struttura contrattuale e sui conseguenti riflessi tributari ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni.

PAROLE CHIAVE: patto di famiglia - imposta sulle successioni e donazioni - donazione indiretta - donazione modale


di Andrea Branca

  1. L’ordinanza della Corte di Cassazione, sezione V, n. 32823 del 19 dicembre 2018 è destinata a lasciare il segno. È, infatti, la prima volta che i giudici di legittimità si occupano del “patto di famiglia” e lo fanno con importanti prese di posizione tanto sulla disciplina civilistica quanto sui suoi riflessi tributari.
  2. Che si tratti di una “inaugurazione” lo si intuisce già dalla lettura dell’ordinanza, caratterizzata da un’impostazione che potremmo quasi definire didattica: le motivazioni sono infatti introdotte da un’ampia e particolareggiata analisi della normativa, attraverso la quale i giudici non mancano di mettere in luce non soltanto gli elementi essenziali dell’istituto, ma anche gli obiettivi perseguiti dal legislatore.
  3. Il patto di famiglia è disciplinato dagli artt.768-bise ss. del Codice Civile, introdotti dall’art. 1 della L. 55/2006. Si tratta, com’è noto, di un nuovo tipo contrattuale pensato per agevolare la trasmissione generazionale delle aziende, nell’ottica di salvaguardarne l’unitarietà e le potenzialità produttive.  Con questo strumento, l’imprenditore (disponente) è posto nelle condizioni di scegliere liberamente il discendente che ritiene dotato di miglior capacità (legittimario assegnatario) e di trasferirgli la propria azienda, anticipando e meglio regolando l’apertura della successione.  Si intende così tutelare l’integrità dell’impresa, altrimenti destinata con molta probabilità alla disgregazione al momento del trapasso generazionale, a causa della ripartizione tra gli eredi legittimari secondo le ordinarie regole successorie.  Il contratto, comunque, tutelale ragioni di tutti coloro che sarebbero eredi necessari se la successione si aprisse al momento della stipula del patto (legittimari non assegnatari): non solo essi «devono partecipare» al contratto ma, soprattutto, in capo all’assegnatario sorge l’obbligo di «liquidare gli altri partecipanti al contratto, ove questi non vi rinunzino in tutto o in parte, con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote previste dagli articoli 536 e seguenti» (art. 768-quater c.c.).  Proprio su quest’ultimo aspetto, come si vedrà tra poco, si è pronunciata l’ordinanza in commento.
  4. Prima di entrare nel merito della decisione, è però opportuno ricordare sinteticamente che gli interpreti si sono fin da subito divisi in relazione al profilo causale del patto di famiglia. Al riguardo, in dottrina possono essenzialmente rinvenirsi due impostazioni: da un lato, la teoria c.d. “unitaria”, secondo cui tutti i trasferimenti patrimoniali che compongono il patto – quello del disponente al legittimario assegnatario e quelli dell’assegnatario agli altri legittimari – sarebbero accomunati da un’unica causa; dall’altro lato, la teoria c.d. “atomistica”, in base alla quale le varie attribuzioni costituiscono autonomi negozi, seppur collegati.  Danno conto di dette divergenze interpretative, con dovizia di riferimenti bibliografici, G. Cipollina, Profili fiscali del patto di famiglia, in U. La Porta (a cura di), Il patto di famiglia, UTET 2007, pagg. 255 e ss.; G. G. Di Tillo, Il tipo negoziale, in G. Palermo (a cura di), Il patto di famiglia, Giappichelli 2009, pagg. 91 e ss.; G. Bonilini, Il patto di famiglia, in id. (a cura di), Trattato di diritto delle successioni e donazioni, Giuffrè 2009, vol. III, pagg. 633 ss..
  5. Il profilo causale assume importanza fondamentale anche in ragione dei suoi rilevanti riflessi tributari. Si consideri, infatti, che l’adozione del patto di famiglia è agevolata in àmbito fiscale dall’art. 3 comma 4-ter del D.Lgs. 346/1990 (TUSD – Testo unico dell’imposta sulle successioni e donazioni), il quale dispone: «I trasferimenti, effettuati anche tramite i patti di famiglia di cui agli articoli 768-bis e seguenti del codice civile a favore dei discendenti e del coniuge, di aziende o rami di esse, di quote sociali e di azioni non sono soggetti all’imposta. […] Il beneficio si applica a condizione che gli aventi causa proseguano l’esercizio dell’attività d’impresa o detengano il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento, rendendo, contestualmente alla presentazione della dichiarazione di successione o all’atto di donazione, apposita dichiarazione in tal senso».
  6. Ora, aderendo alla teoria “atomistica”, è evidente che l’agevolazione appena citata risulterebbe applicabile – ricorrendone le ulteriori condizioni – solo al trasferimento tra disponente e assegnatario, mentre le ulteriori attribuzioni fatte dall’assegnatario agli altri partecipanti non assegnatari, isolatamente considerate, non rientrerebbero nell’àmbito applicativo del beneficio fiscale. Diversamente, i sostenitori della teoria “unitaria”, ricostruendo il patto di famiglia come un’unica liberalità (diretta nei confronti del legittimario assegnatario dell’azienda ed indiretta nei confronti degli altri legittimari non assegnatari), pongono le basi affinché l’esenzione dall’imposta sulle successioni e donazioni si possa applicare a tutti i trasferimenti disciplinati dal patto.
  7. Nella fattispecie giunta all’esame della Suprema Corte in occasione dell’ordinanza 32823/2018, tanto le parti private quanto l’Amministrazione finanziaria aderiscono senza esitazione alla tesi “atomistica”.

In particolare, la controversia riguarda il caso di una madre (disponente) che con patto di famiglia aveva attribuito l’azienda ad un figlio (legittimario assegnatario), il quale aveva poi compensato la sorella (legittimaria non assegnataria) versandole una somma in denaro.  In sede di registrazione dell’atto, i contribuenti avevano applicato l’imposta sulle successioni e donazioni alla liquidazione fatta dall’assegnatario alla sorella.  Comportamento, questo, pienamente conforme alle istruzioni ministeriali: «L’agevolazione recata dall’articolo 3, comma 4-ter, del TUSD si applica esclusivamente con riferimento al trasferimento effettuato tramite il patto di famiglia, e non riguarda anche l’attribuzione di somme di denaro o di beni eventualmente posta in essere dall’assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni sociali in favore degli altri partecipanti al contratto.  Tali ultime attribuzioni rientrano nell’àmbito applicativo dell’imposta sulle successioni e donazioni» (par. 5.3.2 della circolare 18/E/2013 dell’Agenzia delle Entrate; negli stessi termini anche il par. 8.3.3 della circolare 3/E/2008; tutti i documenti di prassi sono consultabili sul portale ministeriale http://def.finanze.it).

Pur essendo le parti concordisull’andebeatur, la Corte di Cassazione non sorvola sul punto, cogliendo anzi l’occasione per effettuare una completa analisi del patto di famiglia.  A valle della lunga disamina, l’istituto viene inquadrato nella categoria della donazione modale.  Secondo gli Ermellini, infatti, il contratto comportauna donazione dal disponente all’assegnatario, gravata dall’onere per il donatario di procedere ad un’ulteriore donazione – autonoma – a favore dei legittimari non assegnatari: «Sul piano dell’imposizione, pertanto, è considerata donazione non soltanto l’assegnazione dell’azienda, ma anche la (eventuale) liquidazione a favore dei non assegnatari (beneficiari individualmente determinati).  La natura modale di quest’ultima prestazione, ancorché non imposta dal disponente ma prevista ex lege […], trova fondamento nel carattere liberale originario del trasferimento».  «E ciò», precisa la Corte, «indipendentemente dalla civilistica ravvisabilità, nell’istituto in esame, di una causa negoziale unitaria».

In sostanza – pur essendo tutti i trasferimenti patrimoniali accomunati da un’unica causa – ognuno di essi deve essere isolatamente considerato ai fini dell’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni.  Conclusione conforme, peraltro, a quanto disposto dall’art. 58 comma 1 del TUSD: «Gli oneri da cui è gravata la donazione, che hanno per oggetto prestazioni a soggetti terzi determinati individualmente, si considerano donazioni a favore dei beneficiari».  Donazioni autonome, dunque, chesono conseguentemente assoggettate all’imposta e non possono esserne esentate: è infatti inapplicabile il citato art. 3 comma 4-ter del TUSD, per l’evidente ragione che i legittimari non assegnatari – non proseguendo l’esercizio dell’impresa – non rispettano uno dei requisiti prescritti dalla norma agevolativa.

Appurato che la liquidazione dei legittimari non assegnatariè soggetta all’imposta sulle successioni e donazioni, il vero punto controverso riguarda il quantum debeatur.In effetti, il citato art. 58 comma 1 del TUSD– pur stabilendo che il modus si considera donazione in favore del beneficiario – non precisa chi sia la sua controparte: se l’originario donante oppure il donatario-onerato.

  1. La questione è rilevante poiché, com’è noto, la base imponibile e l’aliquota del tributo variano a seconda dell’eventuale rapporto di parentela intercorrente tra donante e donatario (art. 2 comma 49 del D.L. 262/2006).Infatti, nella fattispecie in esame, l’imposta era stata autoliquidata solo per la parte eccedente la franchigia di un milione di euro e con aliquota del 4%, secondo quanto previsto per i trasferimenti a favore del coniuge e dei parenti in linea retta. Questo perché i contribuentiavevano ritenuto che la liquidazione della sorellaintegrasse, in sostanza, una donazione dalla disponente alla figlia (seppure indiretta, perché eseguita tramite l’assegnatario), in quanto avvinta da causa unitaria con l’attribuzione dalla disponente all’assegnatario.  In sede di controllo, l’Agenzia delle Entrate aveva invece ritenuto applicabile l’aliquota del 6% e la più bassa franchigia di 100.000 euro, secondo quanto previsto per i trasferimenti tra fratelli e sorelle.

Prima d’ora, la questione non è mai stata affrontata in àmbito giurisprudenziale.  Neppure l’Amministrazione finanziaria ha fornito alcuna specifica direttiva in circolari o risoluzioni.  La dottrina, infine,oltre a risultare del tutto divisa (per esempio, concorde con l’Amministrazione è S. Carunchio, Patto di famiglia: l’inquadramento tributario e civilistico, documento di ricerca della Fondazione nazionale dei Commercialisti, 31/10/2016, pag. 17; contraG. Santarcangelo, Tassazione delle successioni e donazioni, Utet 2017, pag. 590; C. Bauco, V. Capozzi, Il patto di famiglia. Profili civilistici e fiscali, Giuffrè 2007, pag. 118; Assonime, circolare n. 13 del 12/03/2007, pag. 10), non si rivela mai in grado di fornire ineccepibili elementi a sostegno dell’una o dell’altra tesi.

  1. La Suprema Corte si inserisce nel dibattito prendendo una posizione netta. Rigettando la tesi dei contribuenti e cassando la doppia conforme delle Commissioni tributarie, opta per il principio in base al quale la liquidazione dei non assegnatari «è assoggettata ad imposta in base all’aliquota ed alla franchigia relative non al rapporto tra disponente ed assegnatario, e nemmeno a quello tra disponente e legittimario, bensì a quello tra assegnatario e legittimario».

Non del tutto convincenti appaiono le motivazioni poste dalla Cassazione a base della decisione.  Secondo i giudici, infatti, «lo stesso denaro (o bene in natura) necessario alle quote di liquidazione non può che provenire dall’assegnatario, non già dal disponente […].  Il che basta ad inficiare l’assunto secondo cui l’aliquota (e la franchigia) dell’imposta di donazione in concreto applicabile sarebbe quella prevista in relazione al disponente, invece di quella prevista nel rapporto assegnatario-legittimario».  In realtà, «è abbastanza scontato che possa essere il disponente ad effettuare, oltre che l’attribuzione al legittimario assegnatario, anche quelle ai legittimari non assegnatari» (G. Petrelli, La nuova disciplina del patto di famiglia, in Riv.Notar. n. I/2006, pag. 440).  È inoltre «ipotizzabile che l’attribuzione della liquidazione possa provenire da un terzo: il caso più frequente che potrebbe presentarsi è quello del coniuge del disponente che attribuisca una somma di denaro o un bene a uno o più figli che non siano assegnatari» (C. Di Marco Gentile, L’incidenza nella sfera giuridica dei legittimari, in G. Palermo, op.cit., pag. 71).  A ben vedere, la citata affermazione della Corte di Cassazione sembra piuttosto assumere le caratteristiche di un obiterdictum: funzionale alla decisione del caso concreto, ma probabilmente poco ponderata e non certo elevabile a principio rilevante al di fuori della controversia esaminata.

Pur con le riserve appena indicate, la decisione in commento ha almeno il pregio di porre una nuova base su cui fondare la riflessione accademica, in relazione ad un tema sul quale– come visto – non si era fino ad ora riuscito a formare un orientamento ben strutturatoe condiviso. 

Ciò che lascia veramente perplessi è, in realtà, la scelta del legislatore tributario, il quale si è limitato ad esentare dall’imposta sulle successioni e donazioni solo i trasferimenti a favore di discendenti e coniugi, disinteressandosi della liquidazione degli altri partecipanti al patto di famiglia.  Sembra del tutto assente, infatti, una visione d’insieme.  Questo conduce ad una regolamentazione complessiva che mal si inserisce in un sistema tributario in cui, al contrario,abbondano segnali di un nettofavor per la “neutralità fiscale” della circolazione gratuita del complesso aziendale, finalizzata ad agevolare il passaggio generazionale dell’impresa (cfr., per esempio, oltre al citato art. 58 comma 1 del TUSD per le imposte indirette, anche l’art. 58 comma 1 del TUIR per le imposte dirette; v. sul tema V. Mastroiacovo, L’imposizione indiretta del passaggio generazionale dell’azienda tra regimi agevolati e criticità di sistema, in Rass.Trib. n. 3/2012, pagg. 615; M. Di Siena, Il principio di neutralità nella circolazione di compendi aziendali, Cedam, 2017, passim).

  1. La disciplina tributaria del patto di famiglia – anche alla luce dell’interpretazione datane dalla giurisprudenza di legittimità – pone un evidente ed innegabile freno alla diffusione del nuovo tipo contrattuale, rendendolo assai poco appetibile in ragione del notevole carico fiscale che gli si accompagna. Sono quindi senz’altro comprensibili le reazioni avverse dei primissimi commentatori dell’ordinanza 32823/2018 (v. in particolare, S. Ghinassi, La Suprema Corte interviene sulla tassazione del patto di famiglia, in Riv.Dir.Trib. - supplemento online del 10/01/2019;A. Fedele, La Cassazione e il “patto di famiglia”, in Riv.Dir.Trib. - supplemento online del 22/01/2019).  Ma non sembra che di ciò si possa davverobiasimare la Suprema Corte, la quale, a ben vedere, altro non ha fatto se non mettere a nudo la scarsità di ambizione, razionalità e sistematicità spesso dimostrata dal legislatore.