Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

27/04/2022 - Cooperazione amministrativa fiscale o contabilità? L’UE approva la pubblicità sulla rendicontazione paese per paese delle multinazionali evitando il voto all’unanimità

argomento: Profili europei e Internazionali - Legislazione e prassi

Dopo un lungo iter legislativo, è stata approvata la Direttiva n. 2021/2101/UE che assoggetta ad un regime di pubblicità la “rendicontazione Paese per Paese” cui le multinazionali erano già tenute ai fini dello scambio obbligatorio di informazioni (in forza della DAC 4). Il presente contributo esamina la ratio, i soggetti coinvolti, le modalità attuative ed il contenuto dei nuovi obblighi di pubblicazione, evidenziando alcuni profili critici del procedimento legislativo adottato e dando conto del complesso bilanciamento fra trasparenza e tutela dei segreti industriali o commerciali.

PAROLE CHIAVE: trasparenza - rendicontazione - pubblicità


di Chiara Francioso

  1. Introduzione. All’esito di lavori protrattisi per un lustro, nel novembre scorso è stata adottata la Direttiva UE che dispone la pubblicazione sul web della “rendicontazione Paese per Paese” da parte di alcuni gruppi multinazionali (Direttiva n. 2021/2101/UE).

La rendicontazione Paese per Paese (“CbCR”) è una forma periodica di disclosure, con cui i gruppi multinazionali illustrano, per ciascuna giurisdizione in cui operano, le attività svolte da ogni entità controllata, le consistenze reddituali e patrimoniali, il numero di addetti e le imposte maturate e versate.

L’implementazione dell’istituto nell’Unione europea si deve alle raccomandazioni contenute nell’Azione n. 13 dell’iniziativa BEPS dell’OCSE e del G20, che promuove un nuovo strumento di trasparenza contro fenomeni di manipolazione dei prezzi di trasferimento (sulla cui attuazione, cfr., da ultimo, OCSE, Country-by-Country Reporting – Compilation of 2021 Peer Review Reports: Inclusive Framework on BEPS: Action 13 , OECD/G20 Base Erosion and Profit Shifting Project, OECD Publishing, Parigi, 2021, https://doi.org/10.1787/73dc97a6-en. Si veda, altresì, M. Zago, Action 13: Transfer Pricing Documentation and Country-by-Country Reporting (Final Report), in A. Viotto (a cura di), Overview del progetto OCSE in materia di Base Erosion and Profit Shifting, Pacini, Pisa, 2019, 193 ss.).

Nello standard promosso in sede OCSE-G20, destinatarie dei report con le informazioni elencate sono le sole amministrazioni fiscali. In particolare, la società capogruppo dovrebbe rendere, all’amministrazione dello Stato di residenza, una dichiarazione su un modello ufficiale (e comune a tutte le giurisdizioni aderenti), che diviene poi oggetto di scambio automatico di informazioni.

All’indomani delle risoluzioni BEPS, la Commissione europea, pur favorevole allo scambio automatico, ha intravisto nel CbCR uno strumento di possibile controllo diffuso sul corretto riparto del carico tributario, osservando che la pubblicazione consentirebbe «ai cittadini di valutare le strategie fiscali delle multinazionali e di vedere quanto contribuiscono al welfare in ogni Paese» [COM (2016) 198, memorandum esplicativo, § 5, traduzione non ufficiale], nel senso auspicato da alcune organizzazioni non governative (cfr. A. Knobel, Country by country reports: why “automatic” is no replacement for “public”, in Tax Justice Network, 17 giugno 2018, https://www.taxjustice.net/2018/07/17/country-by-country-reports-why-automatic-is-no-replacementfor-public/).

Forse in previsione della difficoltà di raggiungere il consenso su tale misura, è stata parallelamente avviata la consultazione per l’introduzione dello scambio automatico di informazioni sul CbCR. In tempi rapidi, il Consiglio ha approvato all’unanimità un emendamento alla Direttiva sulla cooperazione amministrativa nel settore fiscale (n. 2011/16/UE, “DAC”, emendata dalla n. 2016/881/UE, “DAC 4”) in linea con l’Azione n. 13 del BEPS (già attuata in Italia dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, commi 145-146, in forza della quale – dopo la DAC 4 – è stato emanato il D.M. del MEF 23 febbraio 2017).

All’approvazione della pubblicità sui CbCR si è giunti, invece, con un iter diverso, peculiare e travagliato. Insolitamente, infatti, la Direttiva n. 2021/2101/UE è stata approvata, a maggioranza qualificata, con il procedimento legislativo ordinario, in cui Parlamento e Consiglio agiscono come “colegislatori”. Ciò è stato reso possibile grazie alla classificazione, da parte della Commissione, del meccanismo di pubblicità quale misura contabile, e non specificamente fiscale: in luogo dell’ennesimo emendamento alla DAC (che avrebbe richiesto l’approvazione all’unanimità), è stato invece proposto un emendamento alla c.d. “Accounting Directive” (Direttiva n. 2013/34/UE), in forza dell’art. 50 TFEU.

In questa sede si intende esaminare la ratio e le condizioni attuative dell’obbligo di pubblicità sui CbCR, non prima di un breve excursus critico sulla base normativa prescelta.

                         

 

  1. Il peculiare e controverso procedimento di approvazione ex art. 50 TFUE. Come noto, nella ripartizione di competenze fra l’Unione e gli Stati membri, la materia tributaria (con l’eccezione del diritto doganale) risulta di competenza statale, fatto salvo il potere di armonizzare l’imposizione indiretta nella misura in cui ciò sia necessario per assicurare il funzionamento del mercato interno e la libera concorrenza (artt. 26 e 113 TFUE). Con riguardo all’imposizione diretta, non è previsto espressamente alcun canale di armonizzazione, ma si ritiene che si possa far ricorso alla norma generale in tema di ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri (art. 115 TFUE. Cfr. P. Boria, Taxation in European Union, Giappichelli, Torino, 2017, 35; P. Pistone, Diritto tributario europeo, Giappichelli, Torino, 2018, 27; F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario. Parte speciale, aggiornato da A. Contrino-M.C. Fregni, UTET, Milano, 2019, 382). Stante la preclusione ex art. 114, comma secondo, TFUE, in entrambi i settori dell’imposizione gli atti legislativi dell’Unione devono essere adottati secondo il procedimento speciale che richiede l’unanimità in seno al Consiglio (con un ruolo meramente consultivo del Parlamento, su cui cfr. M.C. Fregni, Legitimacy in Decision-making in Tax Law: Some Remarks on Taxation, Representation and Consent to Imposition, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2017, I, 420-422). Il procedimento si risolve essenzialmente nel potere di veto dei singoli Stati membri sulle proposte avanzate in tema di fiscalità. L’attuale procedimento legislativo speciale trova giustificazione nell’assenza di una competenza generale dell’Unione in materia tributaria e di un sistema europeo di imposte. Sono comunque sempre più frequenti istanze di superamento dell’assetto attuale, a favore di una maggior cessione di sovranità fiscale all’Unione, per fare fronte a sfide comuni derivanti dalla globalizzazione, dai cambiamenti climatici e dalle crisi del debito sovrano e del “Covid-19” (sul fronte politico-istituzionale, COM(2019) 8; in dottrina, a titolo esemplificativo, Aa.Vv., European Solidarity Requires EU Taxes, in Tax Notes International, 4 maggio 2020, 577-578; A.P. Dourado-M.P. Maduro, A Plead for the European Union Fiscal Autonomy, in Intertax, 2020, 695 ss. e altri contributi pubblicati nel fascicolo n. 8-9 di Intertax dedicato a queste istanze). In questo contesto di percepita “inadeguatezza” dell’unanimità pare potersi inscrivere la scelta, per la proposta di pubblicità sui CbCR, di una base giuridica che prevede il procedimento legislativo ordinario. Questa è stata individuata nell’art. 50 [commi primo e secondo, lett. g)], secondo cui, a sostegno della libertà di stabilimento, Parlamento e Consiglio «deliberano mediante direttive secondo la procedura legislativa ordinaria» e, insieme alla Commissione, coordinano, «nella necessaria misura e al fine di renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società […] per proteggere gli interessi tanto dei soci come dei terzi». Nel preambolo della Direttiva n. 2021/UE/2101 la scelta è così giustificata: «La presente direttiva si propone di aumentare la trasparenza delle imprese e la trasparenza e il controllo pubblico in materia di informazioni dell’imposta sul reddito delle società adeguando il quadro giuridico vigente sugli obblighi imposti alle società in materia di comunicazione per la tutela degli interessi dei soci e dei terzi, a norma dell’articolo 50, paragrafo 2, lettera g), del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE)» (§ 22). La Commissione assimila la pubblicazione dei CbCR ad un “obbligo di comunicazione per la tutela dei terzi”, facendo leva sull’ampia accezione di “terzi” accolta dalla Corte di giustizia, secondo la quale il «Trattato menziona l’obiettivo di tutela dei terzi in generale senza distinguere o escludere categorie fra questi ultimi» e «[d]i conseguenza la nozione di terzi […] non può essere limitata ai soli creditori della società» (Corte giust., 4 dicembre 1997, C-97/96, Verband deutscher Daihatsu-Händler, § 19-20). Nell’impostazione della Commissione vi rientra finanche il «grande pubblico» e, «[p]oiché la presente direttiva riguarda soltanto l’obbligo di pubblicazione della comunicazione delle informazioni sull’imposta sul reddito, e non […] l’armonizzazione delle imposte, l’articolo 50, paragrafo 1, TFUE, rappresenta la base giuridica adeguata» (Preambolo, § 22).

Tuttavia, a primo impatto, non convince l’adozione di due distinte modalità di legiferare sul medesimo istituto del CbCR: dapprima, il procedimento legislativo speciale per introdurre la rendicontazione e subordinarla al meccanismo dello scambio di informazioni (con l’approvazione della DAC  4) e, successivamente, il procedimento ordinario per disporre la pubblicazione di una parte delle stesse informazioni. Se è vero che la pubblicità non rientra tra i meccanismi di “cooperazione amministrativa” regolati dalla DAC, va però osservato che lo scopo della rendicontazione pubblica appare prevalentemente fiscale. Nel preambolo si afferma, infatti, che, parallelamente all’azione svolta dal Consiglio per il contrasto all’elusione dell’imposta sul reddito delle società, «è necessario rafforzare il controllo pubblico delle imposte sul reddito delle società pagate dalle imprese multinazionali che svolgono attività nell’Unione, al fine di incoraggiare ulteriormente la trasparenza e la responsabilità da parte delle imprese contribuendo così al benessere delle nostre società» e di  «promuovere un dibattito pubblico meglio informato [sul] livello di adempimento degli obblighi fiscali di talune imprese multinazionali attive nell’Unione e l’impatto degli obblighi fiscali sull’economia reale». Proseguendo, si legge che l’adozione di misure comuni di trasparenza «servirebbe anche l’interesse economico generale prevedendo garanzie equivalenti in tutta l’Unione per la tutela degli investitori, dei creditori e di altri terzi in generale, e contribuirà in tal modo a ripristinare la fiducia dei cittadini dell’Unione nell’equità dei sistemi fiscali nazionali». Lo scopo di fornire un’informativa ai terzi parrebbe, dunque, ancillare rispetto al controllo pubblico diffuso sul corretto adempimento degli obblighi fiscali, con funzione deterrente di condotte elusive o evasive.

Ci si chiede se risulti soddisfatto il criterio di prevalenza che, secondo la Corte di giustizia, dovrebbe ispirare l’identificazione della base giuridica di un’iniziativa legislativa [profilo indagato, a seguito della proposta di Direttiva, da R. Seer-A.L. Wilms, Tax Transparency in the European Union Regarding Country by Country Reporting (BEPS Action 13), in Ec Tax Rev., 2016, 326]. Laddove, infatti, una proposta possa essere adottata in forza di più disposizioni dei Trattati (con procedimenti legislativi diversi), occorre esaminare se, dal suo fine e dal suo contenuto, derivi l’attinenza, in maniera indissociabile, a due diverse politiche (Corte giust., 23 febbraio 1999, C-42/97, Parlamento c. Consiglio, § 38). Quando sia possibile identificare una componente o una finalità «principale o preponderante» ed un’altra «accessoria», la Corte raccomanda di adottare la base normativa prescritta per la finalità prevalente (onde evitare che l’atto sia viziato da sviamento di potere, su cui, cfr. Corte giust., 13 novembre 1990, C-331/88, The Queen c. Ministry of Agriculture, § 24).

La “Accouting Directive” prevede un’altra ipotesi di pubblicazione con funzione deterrente, il cui contributo al rafforzamento della libertà di stabilimento (tramite un’adeguata informativa dei terzi, anche qui intesi come “collettività”) risulta più immediato. Il riferimento è alla comunicazione annuale pubblica sui pagamenti ai governi da parte delle grandi imprese e degli enti di interesse pubblico attivi nelle industrie estrattive o che utilizzano aree forestali primarie (artt. 41 ss.). Tale iniziativa previene il rischio che in alcuni Paesi ricchi di risorse naturali la mancata trasparenza su accordi e concessioni di sfruttamento «crei un velo opaco che facilita la corruzione e/o l’uso distorto di tali risorse utilizzate a fini privati da parte dei politici locali piuttosto che per la comunità» (S. Capaccioli, Trasparenza internazionale dell’industria estrattiva e Direttiva 2013/34/UE (Accounting Directive): dall’EITI al CbCR (Country-by-Country Report), in Contratto e impresa Europa, 2014, 372).

Nessun dubbio, invece, sulla rispondenza al principio di sussidiarietà (art. 5, comma 3, TUE) della Direttiva sul CbCR fiscale pubblico: dato il carattere transnazionale dei fenomeni da contrastare, è pacifico che l’obiettivo della direttiva non possa essere conseguito in misura sufficiente dagli Stati membri singolarmente.

Venendo al test di proporzionalità (art. 5, comma 4, TUE), occorre verificare se la pubblicità sui CbCR comporti la restrizione di diritti confliggenti delle imprese in misura adeguata – e non eccedente – rispetto a quanto necessario per il raggiungimento degli scopi menzionati (si rinvia a, infra, § 4). Va comunque considerato che non è semplice misurare l’eventuale beneficio per il gettito delle politiche di “public shaming”, in quanto rendono note al pubblico informazioni che le amministrazioni tributarie hanno già e già potrebbero impiegare per fini istruttori e accertativi.

 

 

  1. Soggetti, contenuto e modalità di pubblicazione. La Direttiva n. 2021/2101/UE novella la “Accounting Directive” aggiungendovi il capo 10-bis, “Comunicazione delle informazioni sull’imposta sul reddito”, che disciplina contenuto, modalità e soggetti sottoposti al nuovo obbligo di pubblicazione.

 

 

3.1. Soggetti. Il nuovo regime di pubblicità riguarderà i gruppi multinazionali che operano in tutto o in parte nel mercato unico, dal cui bilancio consolidato risultino per due esercizi consecutivi ricavi complessivi di almeno 750 milioni di euro. Egualmente, si applicherà alle imprese indipendenti che raggiungano la medesima soglia di ricavi, a meno che esse non operino esclusivamente nel territorio di un unico Stato membro (ossia non abbiano una stabile organizzazione altrove).

Se l’impresa capogruppo è assoggettata alla legislazione di uno Stato membro, sarà responsabile per la pubblicazione delle informazioni riguardanti se stessa e le altre entità. Diversamente, l’obbligo ricadrà sulle società controllate assoggettate alla legislazione di uno Stato membro, che dovranno rendere note anche le informazioni relative alla capogruppo e alle eventuali altre entità situate in territori terzi (in tale ipotesi, se la capogruppo non dovesse dare riscontro positivo alla richiesta di informazioni rivoltale dalla controllata, quest’ultima pubblica tutte le informazioni di cui sia in possesso ed una dichiarazione che attesti l’omissione della capogruppo). Questa estensione dell’obbligo di pubblicazione è rivolta solo alle imprese “figlie” medie e grandi, cioè a quelle che superano le soglie dimensionali indicate nell’ art. 3, commi 3-4, della “Accounting Directive”. Qualora la capogruppo assoggettata al diritto di uno Stato extra-UE non abbia controllate ma solo una stabile organizzazione nel territorio dell’Unione, l’obbligo di pubblicazione incomberà su di essa (se supera la soglia dimensionale ex art. 3, comma 2, lett. b) della “Accounting Directive”). Trova applicazione lo stesso meccanismo di segnalazione, menzionato per le controllate, in caso di omessa comunicazione delle informazioni da parte della capogruppo.

Saranno esonerati dall’obbligo di pubblicazione:

(i) gruppi non multinazionali (cioè operanti, per il tramite di tutte le proprie entità, in un solo Stato);

(ii) imprese indipendenti operanti in un solo Stato membro;

(iii) gli enti creditizi già assoggettati al CbCR previsto dalla Direttiva n. 2013/36/UE (art. 89);

(iv) gruppi extra-UE con controllate o branches in UE (o l’impresa autonoma con branches in UE) già assoggettati ad una forma equivalente di CbCR secondo il diritto di uno Stato terzo.

L’obbligo di pubblicazione viene meno – per qualsiasi entità che ne fosse destinataria – se per due esercizi consecutivi il bilancio (consolidato, per i gruppi) registra ricavi inferiori a 750 milioni di euro.

A chiusura delle disposizioni concernenti l’ambito soggettivo di applicazione della Direttiva, è inserita una previsione con finalità antielusiva, secondo cui gli Stati membri esigono che le imprese figlie o le succursali non soggette all’obbligo di pubblicazione invece vi provvedano, qualora tali entità «non abbiano altro scopo se non quello di eludere gli obblighi di comunicazione di cui al presente capo». Un possibile innesco di questa clausola si avrebbe, ad esempio, laddove un gruppo, localizzato prevalentemente fuori dall’Unione, operasse in UE per il solo tramite di una stabile organizzazione che evadesse o eludesse le imposte al fine di non oltrepassare la soglia dimensionale ex art. 3, comma 2, lett. b), della “Accounting Directive” (ricavi netti delle vendite e delle prestazioni pari a 40 milioni, al di sotto della quale non sorge l’obbligo di CbCR).

 

 

3.2. Contenuto. Come si è anticipato, la rendicontazione Paese per Paese consiste in una rappresentazione di tutte le attività di un gruppo multinazionale (o di una impresa indipendente dotata di branch estera) distinte per giurisdizione fiscale, con l’indicazione dell’imposta sui redditi maturata o versata in ciascuna, per un dato esercizio. L’art. 48-quater della novellata Direttiva “Accounting” prescrive l’indicazione delle seguenti informazioni:

(i) denominazione della capogruppo o dell’impresa indipendente;

(ii) esercizio;

(iii) valuta, che deve coincidere con quella adottata nel bilancio (con possibilità di conversione in euro secondo il tasso ed i limiti indicati nel comma 9);

(iv) elenco di tutte le controllate stabilite nell’Unione o nella lista di giurisdizioni non cooperative a fini fiscali redatta dal Consiglio (Conclusioni del 5 ottobre 2021);

(v) breve descrizione delle attività di ciascuna entità;

(vi) numero di dipendenti su base equivalente a tempo pieno;

(vii) ricavi, compresi quelli relativi alle operazioni infragruppo [secondo i criteri di cui al comma 2, lett. d)];

(viii) utile o perdita al lordo dell’imposta sul reddito;

(ix) imposta sul reddito maturata nel corso dell’esercizio distinta dall’imposta versata secondo il principio di cassa [secondo i criteri di cui al comma 2, lett. f-g)];

(x) utili non distribuiti al termine dell’esercizio.

In sede di recepimento, deve essere fatta salva la possibilità, per le imprese, di riportare le informazioni coincidenti con quelle richieste dalla DAC 4 (CbCR oggetto di scambio automatico di informazioni) secondo i criteri ivi prescritti.

In linea generale, la rendicontazione “Paese per Paese” – per definizione – deve presentare le informazioni in maniera disaggregata, cioè separatamente per ogni Stato in cui il gruppo opera. Vi sono però delle deroghe, probabilmente giustificate da esigenze di semplicità e riduzione dei costi di compliance.

All’interno dell’Unione, le informazioni elencate devono essere indicate separatamente per ogni Stato membro (se in uno Stato coesistono più giurisdizioni fiscali, devono essere aggregate per Stato).

Per le entità che operano in territori terzi occorre distinguere tra quelli classificati come “giurisdizioni non cooperative” e i restanti: per i primi, le informazioni dovranno essere disaggregate; per i secondi, aggregate. Sul punto, è inserita una apposita clausola di revisione (all’art. 48-nonies), in base alla quale, entro giugno 2027, la Commissione relazionerà – fra le altre cose – sull’efficacia della presentazione aggregata delle informazioni relative alle attività nei Paesi terzi.

 

 

3.3. Modalità. La rendicontazione pubblica Paese per Paese dev’essere redatta su un modello comune, in un formato elettronico leggibile meccanicamente (art. 48-quater, comma 4). L’obbligo di pubblicazione è stabilito su base annua e dev’essere adempiuto entro dodici mesi dalla data di chiusura del bilancio di esercizio.

Per la pubblicazione sono prescritte modalità digitali e accessibili gratuitamente. I CbCR devono essere pubblicati sul sito web dell’impresa incaricata di redigerli (secondo i criteri indicati supra, § 3.1.), in almeno una delle lingue ufficiali dell’Unione e devono poter essere consultati gratuitamente.

In sede di recepimento, i Paesi membri potranno esonerare le imprese dalla pubblicazione sul proprio sito web, purché i CbCR siano resi disponibili sul sito web del “registro delle imprese interconnesso” ex art. 16, Direttiva n. 2017/1132/UE, a titolo gratuito per qualsiasi terzo situato all’interno dell’Unione. In tal caso, il sito delle imprese o delle succursali dovrebbe dare conto di tale esonero e rinviare al sito del registro.

La permanenza delle informazioni on line è prevista per un minimo di cinque anni consecutivi.

Un primo controllo sul rispetto degli obblighi di pubblicazione è rimesso ai revisori legali dei bilanci: secondo l’art. 48-septies, gli Stati membri esigono che, qualora i bilanci di un’impresa debbano essere sottoposti a revisione legale, la relazione di audit dichiari se, per l’esercizio precedente, l’impresa fosse tenuta o meno alla pubblicazione dei CbCR e, in caso affermativo, se vi ha provveduto conformemente alla Direttiva.

Il regime sin qui descritto sarà operativo dal primo esercizio avente inizio il 22 giugno 2024 o dopo tale data (art. 48-octies), perciò i soggetti il cui esercizio coincide con l’anno solare saranno tenuti alla prima pubblicazione per l’anno 2025, entro la fine del 2026.

 

 

  1. Cenni alla tutela dei segreti con l’avvio del CbCR pubblico. L’approvazione della Direttiva è stata preceduta da un intenso dibattito dottrinale sulla compatibilità di estesi obblighi di pubblicità con la tutela dei segreti industriali o commerciali delle imprese [senza pretesa di esaustività, L. Einaudi, La pubblicità nelle imposte, in Corriere della Sera, 5 dicembre 1922, e in Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. VI, Einaudi, Torino, 1963, 977 ss.; R.S. Avi-Yonah, The One Percent Solution: Corporate Tax Returns Should Be Public (And How To Get There, in Tax Notes Int'l, 2014, 627 ss; J.D. Blank, Reconsidering corporate tax privacy, in New York University J. of L. & Business, 2014, 31 ss.; A.J. Cockfield-C.D. MacArthur, Country-by-Country Reporting and Commercial Confidentiality, in Canadian Tax J., 2015, 627 ss.; J. Hey, Transparency and Publicity, in F. Başaran Yavaşlar-J. Hey, Tax Transparency. EATLP Annual Congress Zürich, IBFD, Amsterdam, 2019, 193. Non mancano le prese di posizione giurisprudenziali, come quelle del Conseil constitutionnel francese che, bilanciando la libertà di impresa con l’interesse fiscale, ha ritenuto proporzionato il CbCR rivolto ai soli enti impositori e sproporzionato quello pubblico (rispettivamente, decisioni 29 dicembre 2015, n. 2015-725 DC; 8 dicembre 2016, n. 2016-741 DC)].

Del resto, la proposta di pubblicità è intervenuta in un settore – quello fiscale – in cui la segretezza è spesso ancora la regola, sul presupposto per cui solo la garanzia di massima confidenzialità porrebbe il contribuente in condizione di adempiere fedelmente ai propri obblighi fiscali (idonei a rivelare dettagli personali o familiari o, nel caso delle attività economiche, informazioni appetibili per i concorrenti).

In sintesi, si fronteggiano i seguenti argomenti a favore e a sfavore.

Da un lato, la pubblicità dei CbCR costituirebbe un formidabile deterrente di pratiche di pianificazione aggressiva comportanti l’erosione delle basi imponibili di più giurisdizioni. La rendicontazione evidenzierebbe, infatti, in maniera immediata e didascalica, il carico fiscale complessivo e relativo sopportato dal gruppo e dalle sue entità, con evidenti ricadute reputazionali. Inoltre, se le società rendessero conto pubblicamente del proprio apporto al gettito fiscale statale, in un certo senso compenserebbero i vantaggi infrastrutturali e giuridici che lo Stato garantisce loro (tra cui il beneficio della responsabilità limitata). Infine, la pubblicità dei dati reddituali fornirebbe informazioni utili ai creditori e agli attuali o potenziali investitori o clienti.

Dall’altro lato, come accennato poc’anzi, la pubblicità di dati reddituali e fiscali potrebbe rivelare informazioni sfruttabili a proprio vantaggio dai concorrenti (la divulgazione disaggregata per Paese potrebbe, ad esempio, rivelare l’esplorazione di nuovi mercati). Inoltre, potrebbe risultare controproducente perché alcuni gruppi, appresa l’esiguità del carico fiscale di altri, potrebbero emularne condotte di pianificazione aggressiva. Infine, a seconda della dimensione e della conduzione (familiare o meno) dell’impresa, vi sarebbero rischi più o meno concreti di lesione indiretta della privacy delle persone fisiche coinvolte.

L’analisi empirica condotta dagli economisti sull’efficacia, ed i rischi, della pubblicità sperimentata in alcuni Stati non ha dato risultati univoci, forse anche a causa di fattori culturali che influenzano il rapporto tra il Fisco ed i “grandi contribuenti” di ciascun Paese. Ciononostante, vi sono aspetti di dettaglio di sicuro interesse per l’attuazione della Direttiva UE: esaminando il caso del Giappone, ove le società furono tenute a pubblicare le proprie dichiarazioni dei redditi dal 1950 al 2004, non sono stati riscontrati diffusi comportamenti emulativi (ossia “gare al ribasso”), ma è emerso che la presenza di una soglia minima per la pubblicazione (prevista anche dalla Direttiva) ha dato luogo ad artificiose riduzioni del dichiarato per evitarne il superamento (M. Hasegawa-J.L. Hoopes-R. Ishida-J. Slemrod, The Effect of Public Disclosure on Reported Taxable Income: Evidence from Individuals and Corporations in Japan, in National Tax J., 2013, 571 ss.).

Dell’esigenza di confidenzialità il legislatore europeo ha tenuto conto, seppur “timidamente”, nella formulazione della Direttiva n. 2021/2101/UE: è stata, infatti, rimessa ai singoli Stati membri la possibilità di contemplare – in sede di recepimento – esoneri provvisori dalla pubblicazione. Più precisamente, i Paesi membri potranno consentire che una o più delle informazioni elencate siano temporaneamente omesse «qualora la loro comunicazione possa recare grave pregiudizio alla posizione commerciale delle imprese cui si riferisce la comunicazione» (art. 48-quater, comma 6). Se lo Stato membro dovesse optare per tale possibilità, le eventuali omissioni dovrebbero essere indicate «chiaramente» nella comunicazione e «debitamente motivat[e]» (ibidem). In ogni caso, entro un termine massimo di cinque anni le informazioni omesse dovrebbero essere divulgate con una successiva comunicazione dell’impresa all’autorità competente. La particolare cautela che circonda la possibilità di omissione si evince dal fatto che non vi si possa far ricorso per le entità di gruppo operanti in una delle giurisdizioni non cooperative sopra menzionate.