argomento: Imposte sui trasferimenti e altri tributi - Giurisprudenza
Secondo la Cassazione il decreto di omologa del concordato fallimentare con intervento di terzo assuntore deve essere tassato in misura proporzionale ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, tariffa, parte prima, allegata, art. 8, lett. a), in ragione degli effetti immediatamente traslativi del provvedimento, il successivo decreto di trasferimento ha valore meramente attuativo del titolo giurisdizionale
» visualizza: il documento ()PAROLE CHIAVE: concordato fallimentare - terzo assuntore - omologa del concordato
di Susanna Cannizzaro
Sul punto i numerosi precedenti citati nella pronuncia testimoniano appunto la maturazione di un indirizzo volto ad individuare il regime fiscale ai fini dell’imposta di registro in relazione agli effetti del provvedimento giurisdizionale di omologa, distinguendo in particolare l’ipotesi di concordato fallimentare con assuntore, tassabile con imposta proporzionale, dai provvedimenti di omologa con cessione di beni o con garanzia. Gli approdi ora consolidati sono però frutto di un complesso percorso esegetico probabilmente non ancora giunto ad uno sviluppo completo.
La giurisprudenza (Comm. Trib. centr. 889/1981; Cass. 681/1986; Cass. 7767/90; Cass. 2970/90), di contro, pareva sposare la visione “contrattualistica” mostrandosi propensa all'applicazione dell'imposta proporzionale ai sensi dall’ art. 8 lettera c), prima parte della tariffa, concernente gli «atti giudiziali aventi ad oggetto beni o diritti diversi da quelli indicati nelle precedenti lettere a) e b)», cioè diversi da quelli relativi agli immobili, ai terreni agricoli ed agli autoveicoli (Per la prospettiva "contrattualistica" in dottrina si veda Laurini, Il concordato preventivo e fallimentare nell'imposta di registro, Giur. Comm., 1981, II, 1010 ss. che riteneva applicabile l'imposta proporzionale di registro ai sensi dell'allora vigente art. 9 della tariffa, nel presupposto che l'omologazione riguardasse sempre "a monte" un atto o negozio, autonomamente soggetto a registrazione in termine fisso se di natura patrimoniale, o con l'imposta prevista ad hoc dalla tariffa ovvero tassato in sede di registrazione del provvedimento che, omologandolo, l'enuncia).
Nella prassi (Circ. n. 35 del 5 luglio 1991; Ris. n. 244/E del 30 ottobre 1996), anche dopo l'entrata in vigore del nuovo TUR (DPR 131/1986), emergeva con evidenza l’allineamento all’approccio interpretativo della Cassazione (Cass. 681/1986) che guardava al concordato come atto avente effetti negoziali. La sentenza di omologa, in quest’ottica, veniva apprezzata quale step conclusivo di un negozio volto a trasformare l'originaria obbligazione in un nuovo vincolo giuridicamente rilevante tra l'imprenditore fallito ed i suoi creditori, pertanto non assimilabile ad altri provvedimenti giurisdizionali di omologazione e soggetta all'imposta di registro in misura proporzionale.
La giurisprudenza riteneva, in particolare, che effetto tipico del concordato fosse «la costituzione di un particolare diritto al pagamento, nella struttura non diverso dal diritto originariamente spettante al creditore, ma tuttavia costitutivamente contrassegnato, in senso negativo, dalla riduzione che esso autoritativamente subisce in termini di quantità (falcidia concordataria) ed, in senso positivo, dal fatto che il suo soddisfacimento si svolge sotto la sorveglianza degli organi della procedura, e con il corredo di una particolare sanzione».
L'amministrazione finanziaria conseguentemente riconosceva alla sentenza di omologa valenza costitutiva di una nuova situazione soggettiva attiva di natura patrimoniale, ritenendola soggetta, pertanto, all’imposta proporzionale. Il provvedimento giurisdizionale veniva inoltre scomposto e tassato in relazione a ciascuna disposizione concordataria, con la conseguente applicazione dell’IVA e del registro fisso in ragione dell’alternatività ove fosse previsto il pagamento di corrispettivi per cessioni di beni o prestazioni di servizi rientranti nell'ambito di applicazione dell'imposta sul valore aggiunto, poiché l'imprenditore, anche nel concordato fallimentare rimane soggetto passivo (Circ. n. 35 del 5 luglio 1991).
Coloro che ritenevano si applicasse l’imposta fissa, si riferivano, invece, alla previsione specifica contenuta nello stesso articolo e dedicata ai provvedimenti di omologa.
Il quadro normativo nel tempo è però mutato. L'art. 8 della tariffa a seguito dell'entrata in vigore del testo unico di cui al DPR 131/1986, non contempla più gli atti aventi ad oggetto beni o diritti diversi da quelli relativi agli immobili, ai terreni agricoli ed agli autoveicoli indicati nella prima parte della vecchia lettera c), ma annovera invece, alle prime tre voci (a, b e c) rispettivamente le sentenze costitutive, di condanna e di accertamento, prevedendo l'aliquota proporzionale del tre per cento, solo per le seconde.
In ragione della novellato assetto normativo, la stessa Corte di Cassazione ha mutato il suo originario orientamento, ed escludendo che l’omologa potesse rientrare nelle ipotesi di cui alla lettera a) e, tantomeno, in quelle di cui alle lettere da b) a f) ha ritenuto applicabile l'art. 8 lettera g) e, quindi, l'imposta fissa di registro (Cass. 10352/2007 Cass. 1941/2010; Cass. 19596/2015).
Tra l’altro, il riferimento soggettivo all’autorità giurisdizionale, contenuto nell’art. 2, menzionato proprio in ragione della parziale “de-giurisdizionalizzazione” di determinate procedure, potrebbe non assumere rilevanza determinante nell’individuazione dell’ambito applicativo della stessa disposizione, potendo farvi in essa rientrare gli atti che abbiano funzione endoprocedimentale anche se emanati da soggetti diversi dal giudice. In altri termini, nell’applicazione dell’esenzione da registrazione di cui all’art. 2 menzionato si dovrebbe aver riguardo agli atti endoprocedimentali dando prevalenza alla valutazione circa la funzione oggettiva dell’atto stesso rispetto alla sua riferibilità soggettiva all’autorità giurisdizionale.
In definitiva, risulta che i provvedimenti giurisdizionali in questione, agli effetti dell'imposta di registro debbano essere valutati in ragione della loro «intrinseca natura» e degli effetti - selezionati fra quelli che l’art. 8 della tariffa, parte prima, individua - che dagli stessi derivano concretamente. Accettando tali premesse – che sono ormai confortate dalla prassi e dalla giurisprudenza - da un lato che le singole pattuizioni contenute nel concordato omologato non possono avere una autonoma rilevanza ai fini dell’imposizione di registro e, d’altro canto, lo stesso decreto di omologa è suscettibile di essere assoggettato a tassazione, ai sensi dell’art. 8, in ragione dei suoi specifici effetti, anche traslativi, ove effettivamente ricorrano.
Tale conclusione, proposta dapprima nella prassi e successivamente avvalorata dalla giurisprudenza sembra tuttavia una sorta di compromesso tra il risalente e il nuovo trend interpretativo, “gattopardescamente” ancorata alle precedenti logiche impositive, benché ufficialmente giustificata dalla necessità di dar rilevanza al principio cardine del tributo di registro contenuto nell’art. 20.
In realtà il mutamento del suo indirizzo consolidato e l’adozione di un criterio puramente “nominalistico” rappresentava per la giurisprudenza di legittimità (cfr. spec. 10352/2007), non già il ripiego su una interpretazione formalistica, ma il tentativo di avvalorare una costruzione dogmatica dell'istituto del concordato in termini processualistici, e quindi pubblicistici, indentificando la natura del provvedimento di omologa non con un mero momento di controllo rispetto al patto concordatario ma come l'atto conclusivo di un peculiare procedimento giurisdizionale. Insomma, per i giudici di legittimità, in questi casi, il legislatore tam dixit quam voluit (cfr. in questo senso in dottrina Tinelli, “Il regime fiscale del concordato preventivo”, in F. Paparella (a cura di), Il diritto tributario delle procedure concorsuali e delle imprese in crisi, 855 ss.): il trattamento “speciale” dei provvedimenti di omologa dovrebbe trovare giustificazione nella “specialità” dei procedimenti in cui l’omologa stessa interviene, forse - come qualcuno ha sostenuto (cfr. infra)- anche in un’ottica latamente agevolativa.
Dunque, la posizione assunta, sulla scorta dell’interpretazione ministeriale, dalla giurisprudenza qui in commento, volta nuovamente a svalutare il criterio “nominalistico” adottato nell’art. 8 della tariffa, non è dunque esente da critiche che alimentano già un contenzioso e che potrebbero condurre all’adozione di un diverso approccio.
In definitiva la storia potrebbe non finire qui.