Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

19/06/2022 - Il decreto di omologa del concordato nell’imposizione di registro, ovvero «se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi»

argomento: Imposte sui trasferimenti e altri tributi - Giurisprudenza

Secondo la Cassazione il decreto di omologa del concordato fallimentare con intervento di terzo assuntore deve essere tassato in misura proporzionale ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, tariffa, parte prima, allegata, art. 8, lett. a), in ragione degli effetti immediatamente traslativi del provvedimento, il successivo decreto di trasferimento ha valore meramente attuativo del titolo giurisdizionale

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PAROLE CHIAVE: concordato fallimentare - terzo assuntore - omologa del concordato


di Susanna Cannizzaro

  1. Con l’ordinanza in esame la Cassazione conferma il suo orientamento in merito all’imposizione del decreto di omologa nel concordato fallimentare.

Sul punto i numerosi precedenti citati nella pronuncia testimoniano appunto la maturazione di un indirizzo volto ad individuare il regime fiscale ai fini dell’imposta di registro in relazione agli effetti del provvedimento giurisdizionale di omologa, distinguendo in particolare l’ipotesi di concordato fallimentare con assuntore, tassabile con imposta proporzionale, dai provvedimenti di omologa con cessione di beni o con garanzia. Gli approdi ora consolidati sono però frutto di un complesso percorso esegetico probabilmente non ancora giunto ad uno sviluppo completo.

  1. Nel vigore del DPR 634/1972, infatti, si contendevano il campo due diverse visioni in ordine alla natura del concordato che conducevano a differenti approcci sulla individuazione del regime fiscale del provvedimento giudiziale di omologa. Da un lato parte della dottrina nel solco della tesi "pubblicistica", si esprimeva per l’applicazione dell'imposta fissa di registro ai sensi dell'articolo 8 lettera f) della tariffa (Sulla previsione che assoggettava gli atti di omologazione a tassa fissa e sulla assenza di una norme che assoggettasse espressamente ad imposta proporzionale il concordato giudiziale si veda Piras, Concordato giudiziale e imposta di registro, Giur. Comm., 1977, I 968). In questa visione il concordato non poteva trattarsi alla stessa stregua di un atto negoziale e, risultava pertanto irrilevante ai fini dell’imposta di registro da applicare in ragione del provvedimento giudiziario e della norma tariffaria specifica (Mercatali, L'applicazione della imposta di registro nel concordato fallimentare ante e post riforma, Dir. e prat. trib., 1981, II, 929 ss. il quale, dal momento che nelle lettere a, b, c, d, e dell'art. 8 tariffa, del previgente DPR 643/1972 erano previsti e considerati tutti i possibili tipi di sentenza costitutive, di condanna, di accertamento e sentenze non relative a diritti a contenuto patrimoniale, riteneva che la esplicita ulteriore previsione della tassabilità a tassa fissa della sentenza di omologazione non poteva significare altro che la volontà legislativa di concedere un'agevolazione in ragione della funzione pubblica del concordato).

La giurisprudenza (Comm. Trib. centr. 889/1981; Cass. 681/1986; Cass. 7767/90; Cass. 2970/90), di contro, pareva sposare la visione “contrattualistica”  mostrandosi propensa all'applicazione dell'imposta proporzionale ai sensi dall’ art. 8 lettera c), prima parte della tariffa, concernente gli «atti giudiziali aventi ad oggetto beni o diritti diversi da quelli indicati nelle precedenti lettere a) e b)», cioè diversi da quelli relativi agli immobili, ai terreni agricoli ed agli autoveicoli (Per la prospettiva "contrattualistica" in dottrina si veda Laurini, Il concordato preventivo e fallimentare nell'imposta di registro, Giur. Comm., 1981, II, 1010 ss. che riteneva applicabile l'imposta proporzionale di registro ai sensi dell'allora vigente art. 9 della tariffa, nel presupposto che l'omologazione riguardasse sempre "a monte" un atto o negozio, autonomamente soggetto a registrazione in termine fisso se di natura patrimoniale, o con l'imposta prevista ad hoc dalla tariffa ovvero tassato in sede di registrazione del provvedimento che, omologandolo, l'enuncia).

Nella prassi (Circ. n. 35 del 5 luglio 1991; Ris. n. 244/E del 30 ottobre 1996), anche dopo l'entrata in vigore del nuovo TUR (DPR 131/1986), emergeva con evidenza l’allineamento all’approccio interpretativo della Cassazione (Cass. 681/1986) che guardava al concordato come atto avente effetti negoziali.  La sentenza di omologa, in quest’ottica, veniva apprezzata quale step conclusivo di un negozio volto a trasformare l'originaria obbligazione in un nuovo vincolo giuridicamente rilevante tra l'imprenditore fallito ed i suoi creditori, pertanto non assimilabile ad altri provvedimenti giurisdizionali di omologazione e soggetta all'imposta di registro in misura proporzionale.

La giurisprudenza riteneva, in particolare, che effetto tipico del concordato fosse «la costituzione di un particolare diritto al pagamento, nella struttura non diverso dal diritto originariamente spettante al creditore, ma tuttavia costitutivamente contrassegnato, in senso negativo, dalla riduzione che esso autoritativamente subisce in termini di quantità (falcidia concordataria) ed, in senso positivo, dal fatto che il suo soddisfacimento si svolge sotto la sorveglianza degli organi della procedura, e con il corredo di una particolare sanzione».

L'amministrazione finanziaria conseguentemente riconosceva alla sentenza di omologa valenza costitutiva di una nuova situazione soggettiva attiva di natura patrimoniale, ritenendola soggetta, pertanto, all’imposta proporzionale. Il provvedimento giurisdizionale veniva inoltre scomposto e tassato in relazione a ciascuna disposizione concordataria, con la conseguente applicazione dell’IVA e del registro fisso in ragione dell’alternatività ove fosse previsto il pagamento di corrispettivi per cessioni di beni o prestazioni di servizi rientranti nell'ambito di applicazione dell'imposta sul valore aggiunto, poiché l'imprenditore, anche nel concordato fallimentare rimane soggetto passivo (Circ. n. 35 del 5 luglio 1991).

  1. In realtà le differenti visioni in ordine alla tassazione erano dovute anche al quadro disciplinare. Chi propendeva per l’applicazione del tributo in misura proporzionale faceva leva sul disposto della lettera c), prima parte dell’art. 8 tariffa, parte prima concernente gli «atti giudiziali aventi ad oggetto beni o diritti diversi da quelli indicati nelle precedenti lettere a) e b)», cioè diversi da quelli relativi agli immobili, ai terreni agricoli ed agli autoveicoli. A tale previsione veniva attribuita una funzione in qualche misura residuale.

Coloro che ritenevano si applicasse l’imposta fissa, si riferivano, invece, alla previsione specifica contenuta nello stesso articolo e dedicata ai provvedimenti di omologa.

Il quadro normativo nel tempo è però mutato. L'art. 8 della tariffa a seguito dell'entrata in vigore del testo unico di cui al DPR 131/1986, non contempla più gli atti aventi ad oggetto beni o diritti diversi da quelli relativi agli immobili, ai terreni agricoli ed agli autoveicoli indicati nella prima parte della vecchia lettera c), ma annovera invece, alle prime tre voci (a, b e c) rispettivamente le sentenze costitutive, di condanna e di accertamento, prevedendo l'aliquota proporzionale del tre per cento, solo per le seconde.

In ragione della novellato assetto normativo, la stessa Corte di Cassazione ha mutato il suo originario orientamento, ed escludendo che l’omologa potesse rientrare nelle ipotesi di cui alla lettera a) e, tantomeno, in quelle di cui alle lettere da b) a f) ha ritenuto applicabile l'art. 8 lettera g) e, quindi, l'imposta fissa di registro (Cass. 10352/2007 Cass. 1941/2010; Cass. 19596/2015).

  1. Dunque, dopo un lungo iter, e seguendo gli stimoli provenienti da una parte della dottrina (Cfr. anche Miccinesi, Fallimento nel diritto tributario, Dig. IV disc. Priv. Sez. comm., Torino, 1990, 469, il quale affermava che il disposto della lettera g) dell'art. 8 della tariffa, che assoggetta a tassa fissa tutti indistintamente gli atti di omologazione, resta dunque l'unica norma applicabile sulla omologazione del concordato; nello stesso senso Tarzia, Aspetti fiscali del concordato fallimentare, in il Fallimento e le altre procedure concorsuali, 1989, 232 ss.), la Cassazione ha aderito alla tesi «pubblicistica», che inquadra, cioè, l’accordo raggiunto nell’ambito della procedura di concordato tra debitore e creditori in una procedura complessa culminante con il decreto di omologa. L’approdo della Cassazione è da intendere nel senso che riconoscendo la natura complessa del procedimento in ragione del quale si determinano nuovi effetti non si possa giungere all’applicazione dell’imposta in misura proporzionale. Dato il mutato assetto disciplinare, infatti, deve essere valorizzato, nell’applicazione dell’art. 8 della tariffa, parte I, il criterio nominalistico con la conseguente applicabilità della lett. g) del menzionato art. 8, comprendente, genericamente, gli atti "di omologazione". Accanto all’argomento testuale potrebbe sussistere una ragione sistematica per ritenere rilevante ai fini della tassazione con l’imposta di registro il solo provvedimento giudiziale, alla luce dei suoi effetti. Il “microsistema” relativo alla tassazione degli atti giudiziari trova i suoi riferimenti non solo nell’art. 8 della tariffa ma anche nella disposizione di cui all’art. 2 della tabella allegata al TUR ( Atti, diversi da quelli espressamente contemplati nella parte prima della tariffa, dell'Autorità giudiziaria in sede civile e penale, della Corte costituzionale, del Consiglio di Stato, della Corte dei conti, dei Tribunali Amministrativi Regionali, delle Commissioni tributarie e degli organi di giurisdizioni speciali e dei relativi procedimenti; atti del contenzioso in materia elettorale, dei procedimenti disciplinari; procure alle liti). Secondo l’orientamento dell’amministrazione finanziaria, l’ambito applicativo dell’art. 2 menzionato può individuarsi infatti per differenza rispetto all’art. 8 della tariffa parte prima, con la conseguenza che possono farsi rientrare in tale perimetro applicativo gli atti dell’autorità giudiziaria non idonei a definire anche parzialmente il giudizio (Ris. n.23/E 2017). Devono dunque ritenersi destinatari del particolare trattamento impositivo di cui all’art. 2 della tabella tutti gli atti che non siano ricompresi nella portata della norma contenuta nell’art. 8 della tariffa, ovverosia tutti i provvedimenti che esauriscono la propria funzione sul piano meramente procedimentale (Fantozzi – Tinelli, Il regime tributario del processo civile, Torino, 1994, 148-149).

Tra l’altro, il riferimento soggettivo all’autorità giurisdizionale, contenuto nell’art. 2, menzionato proprio in ragione della parziale “de-giurisdizionalizzazione” di determinate procedure, potrebbe non assumere rilevanza determinante nell’individuazione dell’ambito applicativo della stessa disposizione, potendo farvi in essa rientrare gli atti che abbiano funzione endoprocedimentale anche se emanati da soggetti diversi dal giudice. In altri termini, nell’applicazione dell’esenzione da registrazione di cui all’art. 2 menzionato si dovrebbe aver riguardo agli atti endoprocedimentali dando prevalenza alla valutazione circa la funzione oggettiva dell’atto stesso rispetto alla sua riferibilità soggettiva all’autorità giurisdizionale.

  1. In esito al percorso descritto anche l’Agenzia delle Entrate ha mutato il suo indirizzo e, riferendosi espressamente ai decreti di omologazione dei concordaticon garanzia e con cessione dei beni, ha ritenuto applicabile la sola imposta fissa di registro ( n. 27/E del 26 marzo 2012; Circ. n. 27/E del 21 giugno 2012). In linea con la giurisprudenza qui in esame, l’amministrazione finanziaria, è giunta a diversa conclusione, quanto al regime fiscale del decreto di omologa di concordato che dispone la cessione dei beni ad un terzo assuntore. Sulla scorta della giurisprudenza di legittimità (che graniticamente individua nel decreto di omologa il titolo del trasferimento all’assuntore cfr. giurisprudenza citata nella pronuncia), si è affermato, infatti, che titolo immediato e diretto del trasferimento dei beni all’assuntore è il provvedimento giudiziale. Pertanto, ritenendo che il decreto di omologa abbia le caratteristiche sostanziali per essere annoverato fra gli atti di cui alla lettera a) dell’art. 8, parte I del TUR (in quanto atto dell’autorità giudiziaria comportante un trasferimento di beni) si è affermata in questi casi l’applicabilità dell’imposta di registro in misura proporzionale.

In definitiva, risulta che i provvedimenti giurisdizionali in questione, agli effetti dell'imposta di registro debbano essere valutati in ragione della loro «intrinseca natura» e degli effetti - selezionati fra quelli che l’art. 8 della tariffa, parte prima, individua -  che dagli stessi derivano concretamente. Accettando tali premesse – che sono ormai confortate dalla prassi e dalla giurisprudenza - da un lato che le singole pattuizioni contenute nel concordato omologato non possono avere una autonoma rilevanza ai fini dell’imposizione di registro e, d’altro canto, lo stesso decreto di omologa è suscettibile di essere assoggettato a tassazione, ai sensi dell’art. 8, in ragione dei suoi specifici effetti, anche traslativi, ove effettivamente ricorrano.

Tale conclusione, proposta dapprima nella prassi e successivamente avvalorata dalla giurisprudenza sembra tuttavia una sorta di compromesso tra il risalente e il nuovo trend interpretativo, “gattopardescamente” ancorata alle precedenti logiche impositive, benché ufficialmente giustificata dalla necessità di dar rilevanza al principio cardine del tributo di registro contenuto nell’art. 20. 

In realtà il mutamento del suo indirizzo consolidato e l’adozione di un criterio puramente “nominalistico” rappresentava per la giurisprudenza di legittimità (cfr. spec. 10352/2007), non già il ripiego su una interpretazione formalistica, ma il tentativo di avvalorare una costruzione dogmatica dell'istituto del concordato in termini processualistici, e quindi pubblicistici, indentificando la natura del provvedimento di omologa non con un mero momento di controllo rispetto al patto concordatario ma come l'atto conclusivo di un peculiare procedimento giurisdizionale. Insomma, per i giudici di legittimità, in questi casi, il legislatore tam dixit quam voluit (cfr. in questo senso in dottrina Tinelli, “Il regime fiscale del concordato preventivo”, in F. Paparella (a cura di), Il diritto tributario delle procedure concorsuali e delle imprese in crisi, 855 ss.): il trattamento “speciale” dei provvedimenti di omologa dovrebbe trovare giustificazione nella “specialità” dei procedimenti in cui l’omologa stessa interviene, forse - come qualcuno ha sostenuto (cfr. infra)- anche in un’ottica latamente agevolativa.

Dunque, la posizione assunta, sulla scorta dell’interpretazione ministeriale, dalla giurisprudenza qui in commento, volta nuovamente a svalutare il criterio “nominalistico” adottato nell’art. 8 della tariffa, non è dunque esente da critiche che alimentano già un contenzioso e che potrebbero condurre all’adozione di un diverso approccio.

In definitiva la storia potrebbe non finire qui.