argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza
L’impugnazione del ruolo, conosciuto occasionalmente attraverso “l’estratto di ruolo”, quale tutela giurisdizionale anticipata riconosciuta, dalla giurisprudenza di legittimità al debitore, al di là di un suo interesse “qualificato” ad agire, viene ora fortemente ridimensionata a seguito dei nuovi confini delineati dalla novella legislativa in commento, per la cui corretta interpretazione sono state investite le Sezioni Unite della Suprema Corte.
PAROLE CHIAVE: irretroattività - estratto di ruolo - interesse ad agire
di Sebastiano Napolitano
Dal tenore di tale disposizione si ricava il totale cambiamento di rotta rispetto all’assetto interpretativo precedente: l’impugnazione diretta del ruolo, conosciuto attraverso l’estratto di ruolo, è oggi normativamente ammessa, ma la proposizione dell’azione è subordinata alla espressa prova di un interesse non generico, bensì “qualificato”, siccome preventivamente individuato dal legislatore (S. DE MATTEIS, A. PEPE, A.M. SOLDI, La sorte dell’impugnazione dell’estratto di ruolo, in Nel Labirinto del Diritto. Appendice alla rivista trimestrale di giurisprudenziale n.3 a. 2022).
Tale norma prevede - oltre alla non impugnabilità dell’ “estratto di ruolo” (dato questo ormai pacifico, come si dirà, in dottrina e giurisprudenza) - che il ruolo e la cartella di pagamento, che si assume invalidamente notificata, siano suscettibili di diretta impugnazione, nei soli casi in cui il debitore, che agisca in giudizio, dimostri che, dall’iscrizione a ruolo, possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto, per effetto di quanto previsto nell’art. 80, comma 4, del codice dei contratti pubblici, di cui al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all’art. 1, comma 1, lettera a), del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche di cui all’art. 48-bis del presente decreto o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione.
Nell'ambito di un panorama giurisprudenziale, piuttosto composito e articolato, in materia di atti impugnabili dinanzi ai giudici tributari, era emerso, invero - sino all’intervento novellistico in commento - nella giurisprudenza di legittimità, uno specifico contrasto tra alcune pronunce secondo cui, da un lato, il ruolo non sarebbe un atto autonomamente impugnabile, in quanto atto “interno” e come tale sindacabile solo unitamente all’atto impositivo, nel quale eventualmente poteva essere trasfuso e a mezzo del quale poteva essere notificato; altre pronunce, invece, avevano affermato l’autonoma impugnabilità del ruolo (la Corte Cassazione con ordinanza interlocutoria n. 16055 del 2014 aveva sollecitato l'intervento compositivo delle Sezioni Unite).
È, dunque, un atto amministrativo, potestativo, unilaterale (provvedimento), proprio ed esclusivo dell'Ente pubblico creditore, impositivo (fiscale, contributivo o di altre entrate di cui è strumento di riscossione coattiva), tipico (quanto a forma e contenuto sostanziale specificamente disciplinato da norme legislative), che racchiude in sé un elenco di somme da riscuotere, recante l'indicazione di tributi, sanzioni e interessi (art. 11, del D.P.R. 602/1973 ).
L’estratto di ruolo viene formato (quindi consegnato) soltanto su richiesta del debitore e costituisce semplicemente un “elaborato informatico formato dell'esattore ... sostanzialmente contenente gli ... elementi della cartella ...” (Consiglio di Stato, IV, n. 4209 del 2014), quindi anche gli “elementi” del ruolo afferente quella cartella.
È, dunque, evidente la differenza sostanziale che esiste tra “ruolo” ed “estratto di ruolo” (termini talvolta impropriamente utilizzati come sinonimi): il “ruolo” (atto impositivo espressamente previsto e regolato dalla legge, anche quanto alla sua impugnabilità ed ai termini perentori di impugnazione) è, come già osservato, un “provvedimento” proprio dell'ente impositore (quindi un atto potestativo contenente una pretesa economica dell'ente suddetto); l' “estratto di ruolo”, invece, è (e resta sempre) solo un “documento” (un “elaborato informatico ... contenente gli ... elementi della cartella”, quindi unicamente gli “elementi” di un atto impositivo) formato dal concessionario della riscossione, che non contiene (né, per sua natura, può contenere) nessuna pretesa impositiva, diretta o indiretta.
L’inidoneità dell'estratto di ruolo a contenere qualsivoglia (autonoma e/o nuova) pretesa impositiva, diretta o indiretta (essendo, peraltro, l'esattore carente del relativo potere) comporta indiscutibilmente la non impugnabilità dello stesso in quanto tale, innanzitutto per la assoluta mancanza di interesse (ex art. 100 c.p.c.) del debitore a richiedere ed ottenere il suo annullamento giurisdizionale, non avendo infatti alcun senso l'eliminazione dal mondo giuridico del solo documento, senza incidere su quanto in esso rappresentato (in tali chiarissimi termini Cass. SS.UU. n.19704/2015 cit.).
Peraltro, anche l'eventuale contestazione dell'attività certificativa del concessionario in sé considerata -ad esempio in relazione alla non corrispondenza tra quanto certificato nell'estratto e quanto risultante dal ruolo - avrebbe un senso solo in un ipotetico giudizio risarcitorio, per aver, in ipotesi, il contribuente confidato nella corrispondenza delle notizie riportate nell'estratto alle iscrizioni risultanti dal ruolo, non in un giudizio impugnatorio conducente esclusivamente ad un “annullamento” della certificazione.
Il ruolo, così formato è, quindi, consegnato, in funzione dell’esecuzione forzata, in via telematica, all’agente della riscossione (cfr. art.24 del d.P.R. 602/1973), che dà comunicazioni delle singole iscrizioni ai contribuenti, mediante la “cartella di pagamento” (Cass., 8 febbraio 2018, n. 3021).
Il profilo contenutistico della cartella di pagamento, siccome indicato dal comma 2 e dal comma 2-bis dell'art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, palesa, dunque, come osservato dalla Suprema Corte (Cass. SS.UU. sent. n.7822/2020 cit.) che essa, se riguardata rispetto all'esecuzione forzata, ha una funzione equivalente al precetto, in quanto contiene l'intimazione di adempiere, con l'avvertenza che in mancanza si procederà all'esecuzione e, nel contempo, di notificazione del titolo esecutivo, dovendo indicare l'obbligazione risultante dal ruolo e, quindi, fornire una indicazione del credito per cui si procede.
La cartella così formata è notificata dal concessionario al contribuente ai sensi dell'art. 26 del d.P.R. 602/1973.
L'utilizzazione del ruolo come titolo esecutivo e, quindi, in funzione dell'esecuzione forzata, è disciplinata dall'art. 21, comma 1, secondo inciso, del d.lgs. n. 546 del 1992, secondo cui «la notificazione della cartella di pagamento vale anche come notificazione del ruolo» e dall'art. 50 del d.P.R. n. 602 del 1973, il quale dispone al comma 1 che «il concessionario procede ad espropriazione forzata quando è inutilmente decorso il termine di sessanta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento, salve le disposizioni relative alla dilazione ed alla sospensione del pagamento», e, quindi, al comma 2, che «se l'espropriazione non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, l'espropriazione stessa deve essere preceduta dalla notifica, da effettuarsi con le modalità previste dall'articolo 26, di un avviso che contiene l'intimazione ad adempiere l'obbligo risultante dal ruolo entro cinque giorni».
Sicché può affermarsi che nel sistema della riscossione coattiva a mezzo ruolo, disciplinato dal D. P. R. n. 602 del 1973, la notificazione della cartella di pagamento costituisce atto preliminare indefettibile per l'effettuazione di un pignoramento, eseguito in una delle varie modalità stabilite dalla legislazione speciale (mobile, immobile, crediti), da parte dell'agente della riscossione, atteso che “la cartella di pagamento, a mente dell'art. 25 del d.P.R. citato, assolve uno actu le funzioni svolte, ex art. 479 c.p.c., dalla notificazione del titolo esecutivo e del precetto nella espropriazione forzata codicistica, e che il disposto dell'art. 50 del medesimo d.P.R. depone univocamente in tal senso” (Cass., 8 febbraio 2018, n. 3021. Sentenza annotata da A. RUSSO, Riscossione - Riscossione coattiva - Espropriazione forzata - Intervento dell'agente della riscossione, in IL FISCO A. 2018 Fasc. 11 Pag. 1067).
Il contribuente può impugnare nel termine di sessanta giorni dalla notificazione dell’atto impositivo, contemporaneamente, ai sensi dell'art. 19, comma 2, lettera d, d.lgs. 546/1992, sia la cartella di pagamento sia il ruolo in essa ricompreso (S. DE MATTEIS, N. GRAZIANO, D. PAGLIUCA, in Riscossione coattiva dei crediti della P.A. ed opposizioni di merito” in Il Tributario, Focus, 2 settembre 2020).
A seguito della notificazione della cartella di pagamento, il contribuente potrà (impugnando l’atto impositivo nei citati termini decadenziali), dunque, sindacare tutto ciò che ha portato alla formazione del ruolo, siccome contenente l'indicazione di una pretesa tributaria, sia in senso formale (cioè come atto sostanzialmente di natura amministrativa e compiuto in autotutela), sia sotto il profilo della disciplina di diritto sostanziale.
Vale rimarcare sul punto, che come osservato in dottrina, la doppia funzione anticipatoria e recuperatoria dell’impugnazione diretta del ruolo (conosciuto attraverso l’esame dell’estratto di ruolo) ha senso solo se il procedimento di riscossione sia stato realmente avviato attraverso la formazione e trasmissione della cartella esattoriale (S. DE MATTEIS, A. PEPE, A.M. SOLDI, La sorte dell’impugnazione dell’estratto di ruolo, cit. pag.4-6).
L’art. 19, comma 3, ultima parte, del d.lgs. n. 546 del 1992 prevede, inoltre, che “La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo”.
Detta norma laddove si riferisce alla “mancata notificazione” vuole, evidentemente, alludere: a) sia alla fattispecie in cui qualsiasi attività notificatoria dell'atto impugnabile sia stata omessa; b) sia alla fattispecie in cui un’attività notificatoria sia stata eseguita, ma con difformità tali dal modello legale, da ridondare in notificazione inesistente; c) sia ancora all’ipotesi in cui l’attività notificatoria sia stata eseguita in modo nullo, atteso che l’atto nullo è inidoneo a produrre i suoi effetti e, quindi, deve considerarsi inidoneo ad essere apprezzato come notificazione (salva la questione della possibilità di applicazione del principio della idoneità al raggiungimento dello scopo, di cui all'art. 156, terzo comma, c.p.c., in funzione di elisione della nullità formale). In tutte queste ipotesi vi è legittimazione ad impugnare l’atto impositivo presupposto.
Il debitore, in questi casi - si era sostenuto che - avrebbe dovuto, comunque, attendere un successivo atto della procedura di riscossione per recuperare la tutela di merito che non gli era stato possibile esperire prima dell’avvio del procedimento di riscossione esattoriale o, comunque, dopo il suo avvio. Progressione del procedimento riscossivo non affatto scontata, però, in quanto non è escluso che l’Ente impositore (fermo il principio della cd. indisponibilità dell’obbligazione tributaria, cui sopra si è fatto cenno), non notifichi gli atti impositivi, disinteressandosi alla prosecuzione dell’attività di recupero del credito.
Se ciò accade (omessa notifica della cartella di pagamento), poiché il ruolo non è, in questo caso, confluito in una cartella di pagamento (esistente), secondo il modello indicato dal comma 2 e dal comma 2-bis dell'art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, e non venendo con questa notificata – ed in quanto non notificati conservando entrambi la natura di atti interni, mai esternalizzati – il ruolo non sarà impugnabile (l’ipotesi è quella dell’estratto di ruolo che indichi una cartella contraddistinta da codice interno “00” che non è appunto una cartella perché non ufficialmente formata e propalata; in argomento: S. DE MATTEIS, A. PEPE, A.M. SOLDI, La sorte dell’impugnazione dell’estratto di ruolo, cit.. pag.5. pag. 6).
Il problema, si è posto, invece, nel caso dell’avanzamento del procedimento di imposizione e riscossione, sulla base di una notifica non valida, a fronte del quale non poteva essere esclusa, allora, la facoltà del contribuente di far valere, appena avutane conoscenza, tale invalidità, proponendo la relativa impugnazione, sussistendo l’interesse del contribuente a contrastare l’esecuzione esattoriale il più tempestivamente possibile, specie nell’ipotesi in cui il danno poteva divenire, in certa misura, non più reversibile, se non in termini risarcitori.
Se, infatti, il contribuente avesse dovuto attendere, per proporre impugnazione, il successivo atto impositivo, il procedimento sarebbe potuto proseguire “indisturbato”, fino alla sua conclusione attraverso il compimento dell’esecuzione, senza che il contribuente avesse mai avuto modo di contestare la pretesa attraverso una impugnazione (A. GUIDARE, Riparto di giurisdizione nelle controversie sugli atti dell'esecuzione forzata, in Rivista di Giurisprudenza Tributaria, Anno 2020, Fasc. 6 pag. 504).
Permettere la tutela giudiziale anticipata si opinava che rispondesse, in questi casi, anche “all’interesse dell’Amministrazione di evitare i costi di una procedura esecutiva malinstaurata”.
Con l’impugnazione diretta del ruolo, conosciuto attraverso l’estratto di ruolo, in sostanza, si diceva che il contribuente avrebbe potuto recuperare l’impugnazione di merito che avrebbe potuto proporre nel termine di legge, impugnando la cartella di pagamento, nei casi in cui, ovviamente, avesse dato prova che l’impugnazione non era stata tempestivamente proposta per causa a lui non imputabile: invalidità del procedimento notificatorio della cartella.
La Suprema Corte, con pronuncia a Sezioni Unite – Cass. SS.UU. sent. n. 19704 del 2015 – sopra richiamata, ha avuto modo di affermare, a soluzione del contrasto, sin qui sorto, l’ammissibilità dell’impugnazione davanti al giudice tributario della cartella di pagamento, ove, a causa del difetto della sua notifica, il contribuente fosse venuto a conoscenza dell’iscrizione a ruolo, solo attraverso l’estratto di ruolo rilasciato, su sua richiesta dal concessionario della riscossione; a ciò non ostava, per gli ermellini, l'ultima parte del comma 3 dell'art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, in quanto una lettura costituzionalmente orientata imponeva di ritenere che l'impugnabilità dell’atto precedente non notificato, unitamente all’atto successivo notificato - impugnabilità prevista da tale norma - non costituisse l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente fosse comunque venuto legittimamente a conoscenza e, quindi, non escludesse la possibilità di far valere l’invalidità stessa, anche prima, giacché l’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale non può, come già ricordato, “essere compresso, ritardato, reso più difficile o gravoso, ove non ricorra la stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo, rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione” (Cass., sez. un., 2 ottobre 2015, n. 19704).
Per l’effetto si è precisato che, in realtà, non veniva ad essere impugnato l’estratto di ruolo, bensì le cartelle esattoriali delle quali si assumeva l’ignoranza per difetto di notifica, e ciò senza la necessità di dovere attendere la successiva notifica di un ulteriore atto da parte dell’amministrazione.
In altri termini, il contribuente che avesse informalmente appreso dell’iscrizione a ruolo eseguita a suo carico, apparentemente esternata dall’Amministrazione attraverso la formazione e notificazione di una cartella che il debitore avesse dichiarato di non aver mai validamente ricevuto, poteva proporre senza ritardo una opposizione di merito per chiedere l’annullamento della cartella, non solo recuperando la tutela che avrebbe potuto esperire, ove avesse ricevuto la cartella esattoriale, ma anche beneficiando di una tutela anticipatoria che non lo costringesse ad attendere il compimento della notifica degli atti esattoriali successivi.
Tali argomentazioni, per la cui illustrazione più approfondita si rimanda alla esaustiva motivazione delle Sezioni Unite, permettevano di ritenere, da un lato, ammissibile l’impugnazione della cartella della quale il contribuente assumeva di esserne venuto a conoscenza solo a seguito del rilascio di un estratto di ruolo, e dall’altro, di escludere che il contribuente difettasse di interesse ad impugnare le cartelle, ancor prima di avere ricevuto la notifica di un altro atto da parte dell’amministrazione (M. CICALA, Gli atti impugnabili ed i presupposti della impugnazione: considerazioni sparse alla luce della sentenza 19704/2015 sulla impugnabilità del ruolo, documento del 15 ottobre 2015, in Fondazione Nazionale dei Commercialisti. Sull’argomento: D. CANÈ, Sulla impugnabilità, nel processo tributario, di atti non notificati, in Giur. It., 2916, 8-9, pag. 1986; F. CERIONI, La Cassazione riforma il processo tributario: dalle azioni impugnatorie a quella di accertamento dell’obbligazione tributaria, in GT – Riv. Giur. Trib., 2016, 1, pag. 40; F. CORDA, Riflessioni in merito all’impugnabilità dell’estratto di ruolo, in Riv. Dir. Trib., 2016, 4, pag. 168; D. CARMINEO, Gli “atti tributari”, ancorché invalidamente notificati, sono sempre impugnabili dal contribuente che sia venuto “comunque” a conoscenza della loro esistenza, in Boll. Trib., 2015, 121, pag. 1574; F. RANDAZZO, Alle Sezioni Unite la questione dell’autonoma impugnabilità dell’estratto di ruolo, in Corr. Trib., 2014, 40, pag. 3121).
Tuttavia la possibilità di impugnare direttamente il ruolo conosciuto attraverso l’estratto di ruolo (impropriamente detta “impugnabilità dell’estratto di ruolo”) e non mediante la rituale notificazione di una cartella esattoriale, non poteva e non doveva, come avvertito dalla giurisprudenza costituire un mezzo per rimettere indebitamente nei termini il contribuente, che, malgrado la notifica della cartella, avesse omesso di impugnare la stessa nel termine di legge, differendo la proposizione delle contestazioni che avrebbe potuto immediatamente avanzare avverso la cartella notificatagli, al momento successivo ed eventuale (e di fatto rimesso alla stessa iniziativa del contribuente) del rilascio dell’estratto di ruolo, poiché ad opinare in tal modo sarebbe stato del tutto aggirato il regime decadenziale previsto per l’impugnazione degli atti tributari.
Si registravano, comunque, successive pronunzie di segno opposto: si era ritenuto, invero, inammissibile il ricorso contro l’iscrizione di ipoteca legale e la prodromica cartella di pagamento, in quanto proposto oltre il termine di 60 giorni dalla data nella quale il contribuente aveva avuto contezza della pretesa tributaria a suo carico, mediante rilascio di estratto di ruolo (Cass., sez. 5, 30 maggio 2017, n. 13584). Se, poi, la cartella era stata invalidamente notificata, ma l’iscrizione ipotecaria successiva era stata ritualmente notificata, il dies a quo per l’impugnazione della cartella era di 60 giorni dalla notificazione dell’iscrizione ipotecaria (Cass., sez. 5, 18 ottobre 2021, n. 28722).
Ne consegue che il contribuente, in questi casi, avrebbe potuto assumere diverse condotte: tentare una soluzione concordata con l’amministrazione; impugnare immediatamente l’atto dinanzi alla commissione tributaria; attendere il primo atto impositivo o di riscossione rientrante nell’elenco di cui all’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 successivo.
Dalla relazione finale della Commissione interministeriale per la riforma della giustizia tributaria del 30 giugno 2021, si evidenzia, appunto, come la soluzione adottata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, abbia comportato la possibilità per il contribuente di “far valere, spesso pretestuosamente, ogni sorta d’eccezione avverso cartelle notificate anche molti anni prima, senza che l’agente della riscossione si sia attivato in alcun modo per il recupero delle pretese ad esso sottese, e perfino nei casi in cui avesse rinunciato anche nell’esercizio della tutela” (S. DE MATTEIS, A. PEPE, A.M. SOLDI. La sorte dell’impugnazione dell’estratto di ruolo, cit. pag.10).
La prima parte dell’art. 4-bis del d.P.R. n. 602 del 1973, come modificato dall’art. 3-bis del decreto-legge n. 146 del 2021, non pone alcun problema: si sancisce che “l’estratto di ruolo non è impugnabile”, principio già affermato con chiarezza dall’interpretazione del diritto vivente offerto delle sezioni unite di cui sopra si è dato conto: “L'estratto di ruolo non è atto impugnabile, per la carenza di interesse del debitore, ai sensi dell'art. 100 c.p.c., ad ottenerne annullamento giurisdizionale non avendo infatti alcun senso l’eliminazione dal mondo giuridico del solo documento, senza incidere su quanto in esso rappresentato”.
Prima dell’intervento novellistico si riteneva che l’interesse ad impugnare il ruolo fosse “in re ipsa”, senza necessità di dover allegare la circostanza che l’incolpevole impossibilità di contestare immediatamente il carico iscritto a ruolo, avrebbe potuto comportare dei pregiudizi patrimoniali al ricorrente. Di contro parte della giurisprudenza aveva, comunque, già avuto modo di affermare (si richiama sul punto l’esemplificazione enunciata nella ordinanza n. 16055 del 11 luglio 2014 che ha rimesso alle Sezioni Unite la questione della impugnabilità del ruolo) che l’interesse ad agire non discende automaticamente dalla iscrizione a ruolo, ma richiede la sussistenza di un qualche pregiudizio (quale l’utilizzazione dell’estratto ruolo al fine della promozione di una istanza di fallimento o per l’insinuazione al passivo fallimentare, oppure il diniego o la revoca di un beneficio fiscale; oppure il rifiuto di adempimento di un credito vantato nei confronti della P.A.; il diniego di un mutuo per effetto della notizia dell’esistenza di carichi iscritti a ruolo), tenuto, in generale, conto che la P.A. può avere conoscenza della pretesa fiscale soltanto iscritta a ruolo e non ancora notificata al destinatario.
L’intento del legislatore è, dunque, quello di limitare la tutela giurisdizionale anticipata del contribuente ai casi tassativamente previsti dalla norma: a) pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto pubblico; b) pregiudizio per la riscossione di somme dovute dai soggetti pubblici, per il pagamento di importi superiori ad euro 5.000 (dal 1 ° gennaio 2018, prima euro 10.000,00); c) pregiudizio per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione.
Vale ribadire che con il citato intervento legislativo non sia del tutto venuta meno la tutela “anticipata” di creazione giurisprudenziale (assolutamente irrilevante, per quanto sopra esposto, l’espressa esclusione dell’impugnazione dell’”estratto di ruolo”), che ha trovato, a ben vedere, positiva consacrazione, sebbene in determinate ipotesi indicate nella norma, in ragione del contatto qualificato con la Pubblica Amministrazione; e ciò in ragione del fatto che la Pubblica Amministrazione, potendo avere conoscenza della pretesa fiscale “soltanto” iscritta a ruolo e non ancora notificata al destinatario, può, in virtù di detta privilegiata conoscenza, pregiudicare il contribuente (che appaia moroso) nei rapporti obbligatori che potrebbero insorgere con la stessa. La norma, dunque, in queste ipotesi codificate di pregiudizio per il contribuente, in cui il suo interesse da agire appare “in re ipsa”, amplia, dunque i margini positivi degli atti impugnabili a norma dell’art. 19 del Dlgs comma 2, lettera d, d.lgs. 546/1992, laddove l’art.4 bis prevede la possibilità della diretta impugnazione del “ruolo”, qualora la cartella di pagamento sia “invalidamente notificata”, indipendentemente, dunque, dalla sua giuridica (perché mai notificata) “esistenza” (e, dunque, dalla correlata volontà dell’Amministrazione finanziaria di dar effettivo corso al procedimento di riscossione coattiva, ponendo in essere gli atti conseguenti; che, qualora, invece, dovessero essere emessi, ed in assenza del ricorso a detta tutela anticipata, ben potrebbero essere sindacati dal contribuente ex art.3 ultima parte, del d.lgs. n. 546 del 1992).
La mancata attivazione di questa tutela anticipata, si ritiene, non possa, però, pregiudicare il contribuente che attenda, nelle more dei rapporti con la Pubblica Amministrazione, la notifica della cartella di pagamento per sindacare anche il ruolo.
Deve, a questo punto, verificarsi se lo ius superveniens suindicato abbia o meno valore retroattivo, con eventuale applicabilità anche ai giudizi tributari in corso.
Nella giurisprudenza di merito si sono registrate posizioni discordanti (nel senso dell’irretroattività CTP Cosenza sent. 505/2022; CTP Latina, n. 53 del 2022; CTP Siracusa, n. 400 del 2022; in senso contrario CTP Catania n.357/22 nella quale la Commissione osserva: “Invero la ratio della suddetta norma non è altro che una specificazione dell’interesse ad agire…di conseguenza anche i ricorsi tributari notificati prima della novellata norma vanno dichiarati inammissibili in forza del principio consolidato in giurisprudenza -ex plurimis Cass. 14073/20- secondo il quale l’interesse ad agire in giudizio -di qualunque tipo ed in qualunque fase- deve sussistere non solo alla proposizione della domanda ma anche al momento della decisione”. In sostanza si afferma che il legislatore ha individuato “un interesse qualificato” alla impugnazione immediata da proporre avverso il ruolo e la cartella di pagamento invalidamente notificata, fermo restando l’esclusione tout court dell’impugnazione contro l’estratto di ruolo; mancando l’interesse ad agire, il giudice non giungerà ad affrontare il merito del ricorso, ma dovrà dichiarare il difetto di interesse e, quindi, il difetto di azione; sicché, la nuova normativa produrrebbe l’inammissibilità sopravvenuta in tutti i casi di ricorsi proposti al di fuori delle ipotesi tassative di cui al nuovo comma 4-bis dell’art. 12 del d.P.R. n. 602 del 1973, aggiunto dall’art. 3-bis del decreto-legge n. 146 del 2021, convertito in legge n. 215 del 2021. Questa interpretazione è stata fatta propria dall’Agenzia delle entrate in occasione di Telefisco 2022, in cui si è affermato che “il legislatore si è posto nel solco già tracciato dalla giurisprudenza di cassazione ed è intervenuto per ribadire la non impugnabilità dell’estratto di ruolo e prevedere le casistiche in cui vi è l’interesse del debitore ad impugnare direttamente il ruolo e la cartella di pagamento che si assume validamente notificata, senza attendere la notifica dell’atto successivo”. Viene, dunque, sostenuta la non impugnabilità dell’estratto di ruolo anche prima del 21 dicembre 2021, data di entrata in vigore della nuova norma).
Appare, dunque, preferibile la tesi dell’irretroattività della novella, poiché la stessa riveste natura processuale, essendo intervenuta in modo innovativo, come visto, sull’art.19 del Dlgs 546/1992, ed in quanto tale, deve ritenersi applicabile solo per le azioni giurisdizionali proposte successivamente alla sua introduzione, non potendo incidere sui processi in corso, in forza del principio processuale del tempus regit actum, a mente del quale, gli atti perfezionatisi prima dell’entrata in vigore di una novella in materia processuale, ancorché applicabile al processo in corso, in difetto di una disciplina transitoria o di esplicite disposizioni di segno contrario, restano regolati, anche negli effetti, dalla norma sotto il cui imperio sono stati posti in essere (per l’irretroattività, tra gli altri, L.LOVECCHIO, l’efficacia sostanziale del divieto d’impugnazione dell’estratto di ruolo ne limita l’applicazione solo pro futuro”, in Il Fisco Fasc.8, a.2022 pag.745; Cass. 2276/2017, Cass. 6099/2000; Cass. 20414/2006; Cass. 24491/2008; Cass. 3688/2011, in difetto di esplicite previsioni contrarie, il principio dell'immediata applicazione della legge processuale sopravvenuta ha riguardo soltanto agli atti processuali successivi all'entrata in vigore della legge stessa, alla quale non è dato incidere, pertanto, sugli atti anteriormente compiuti, i cui effetti restano regolati, secondo il fondamentale principio del "tempus regit actum", dalla norma sotto il cui imperio siano stati posti in essere).
Va, inoltre, ricordato che l’art. 1, secondo comma, della legge n. 212 del 2000 (statuto del contribuente), prevede che “l’adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta solo in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica”; qualificazione che nella specie, come detto mancherebbe.
Un generale principio di "affidamento" legislativo (desumibile dall'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale) preclude, infine, la possibilità di ritenere che gli effetti dell'atto processuale già formato al momento dell'entrata in vigore della nuova disposizione siano da quest’ultima regolati, quantomeno nei casi in cui la retroattività della disciplina verrebbe a comprimere la tutela della parte, senza limitarsi a modificare la mera tecnica del processo. Come osservato dalla giurisprudenza di merito (CTP Cosenza sez.6 del 14 febbraio 2022 rel. N. Durante) “in subiecta materia, va ribadito il principio di tutela dell’affidamento che, secondo la Corte costituzionale, quale elemento essenziale dello Stato di diritto, non può essere leso da norme con effetti retroattivi che incidano irragionevolmente su situazioni regolate da leggi precedenti” e “deve valere anche in materia processuale, dove si traduce nell’esigenza che le parti conoscano il momento in cui sorgono oneri con effetti per loro pregiudizievoli, nonché nel legittimo affidamento delle parti stesse nello svolgimento del giudizio secondo le regole vigenti all’epoca del compimento degli atti processuali” (cfr. C. cost. 22 novembre 2000, n. 525). Non solo, ma la Corte europea dei diritti dell’Uomo ha ribadito come “il principio della preminenza del diritto e la nozione di processo equo, consacrati dall’art. 6 della Convenzione, si oppongono, salvo per imperative esigenze di interesse generale, all’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia con lo scopo di influire sullo svolgimento giudiziario di una causa” (cfr. CEDU, Grande Chambre, 29 marzo 2006, Scordino vs. Italia, sull’applicazione, con effetto retroattivo ai giudizi pendenti, dei nuovi e peggiorativi criteri di determinazione dell’indennità di espropriazione stabiliti dall’art. 5-bis della legge italiana 8 agosto 1992, n. 359). Tant’è che, la stessa Corte ha affermato la contrarietà alle garanzie di un equo processo la disposizione legislativa immediatamente efficace che abbia manifestamente per oggetto, o comunque per effetto, di modificare la disciplina applicabile nei procedimenti giudiziari in corso, nei quali lo Stato sia parte ed in senso favorevole a quest’ultimo (cfr. CEDU, sentenza n. 39374/1998, Anagnostopoulos e altri vs. Grecia).
Nella consapevolezza che l’intervento normativo con dichiarata finalità deflativa del contenzioso, creerà maggiori problemi di quelli che intende risolvere, segnatamente per la comprensibile incertezza che sta generando negli operatori del diritto circa i confini della tutela giurisdizionale a cui può far ricorso il contribuente incolpevole, non resta che attendere che le sezioni unite gettino un lume di chiarezza su questi temi.