Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

26/06/2022 - La nuova disciplina sull’impugnazione dell’estratto di ruolo e la sua efficacia nei processi in corso

argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza

L’impugnazione del ruolo, conosciuto occasionalmente attraverso “l’estratto di ruolo”, quale tutela giurisdizionale anticipata riconosciuta, dalla giurisprudenza di legittimità al debitore, al di là di un suo interesse “qualificato” ad agire, viene ora fortemente ridimensionata a seguito dei nuovi confini delineati dalla novella legislativa in commento, per la cui corretta interpretazione sono state investite le Sezioni Unite della Suprema Corte.

PAROLE CHIAVE: irretroattività - estratto di ruolo - interesse ad agire


di Sebastiano Napolitano

 

  1. Il Decreto Legge n. 146 del 21 ottobre 2021, convertito dalla legge n. 215 del 17 dicembre 2021, ha aggiunto all'articolo 12 del D.P.R. n. 602 del 1973, dopo il comma 4, un comma 4-bis, che così recita: “4-bis. L'estratto di ruolo non è impugnabile. Il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall'iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto, per effetto di quanto previsto nell'articolo 80, comma 4, del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all'articolo 1, comma 1, lettera a), del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche di cui all'articolo 48-bis del presente decreto o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione”.

Dal tenore di tale disposizione si ricava il totale cambiamento di rotta rispetto all’assetto interpretativo precedente: l’impugnazione diretta del ruolo, conosciuto attraverso l’estratto di ruolo, è oggi normativamente ammessa, ma la proposizione dell’azione è subordinata alla espressa prova di un interesse non generico, bensì “qualificato”, siccome preventivamente individuato dal legislatore (S. DE MATTEIS, A. PEPE, A.M. SOLDI, La sorte dell’impugnazione dell’estratto di ruolo, in Nel Labirinto del Diritto. Appendice alla rivista trimestrale di giurisprudenziale n.3 a. 2022).

Tale norma prevede - oltre alla non impugnabilità dell’ “estratto di ruolo” (dato questo ormai pacifico, come si dirà, in dottrina e giurisprudenza) - che il ruolo e la cartella di pagamento, che si assume invalidamente notificata, siano suscettibili di diretta impugnazione, nei soli casi in cui il debitore, che agisca in giudizio, dimostri che, dall’iscrizione a ruolo, possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto, per effetto di quanto previsto nell’art. 80, comma 4, del codice dei contratti pubblici, di cui al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all’art. 1, comma 1, lettera a), del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche di cui all’art. 48-bis del presente decreto o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione.

  1. Quello che sino ad oggi, dunque, è stato generalmente consentito, soprattutto dopo le Sezioni Unite del 2015, per il “doveroso rispetto del diritto del contribuente a non vedere senza motivo compresso, ritardato, reso più difficile ovvero più gravoso il primo accesso alla tutela giurisdizionale”, nell’imminenza della riscossione, da ora in poi diventerà un’ipotesi eccezionale, circoscritta a casi specifici e tipizzati, da provare a cura del debitore che dimostri, come accennato, che l’iscrizione possa procurargli “un pregiudizio” (R. Di Giulio, Estratti di ruolo e salvezza dei processi in corso, in Modulo24 Contenzioso Tributario, 20 aprile 2022 n.2. p.12).

Nell'ambito di un panorama giurisprudenziale, piuttosto composito e articolato, in materia di atti impugnabili dinanzi ai giudici tributari, era emerso, invero - sino all’intervento novellistico in commento - nella giurisprudenza di legittimità, uno specifico contrasto tra alcune pronunce secondo cui, da un lato, il ruolo non sarebbe un atto autonomamente impugnabile, in quanto atto “interno” e come tale sindacabile solo unitamente all’atto impositivo, nel quale eventualmente poteva essere trasfuso e a mezzo del quale poteva essere notificato; altre pronunce, invece, avevano affermato l’autonoma impugnabilità del ruolo (la Corte Cassazione con ordinanza interlocutoria n. 16055 del 2014 aveva sollecitato l'intervento compositivo delle Sezioni Unite).

  1. Il ruolo, come noto, è l'elenco complessivo dei contribuenti, che hanno domicilio fiscale nei comuni compresi nell’ambito territoriale a cui il ruolo si riferisce, e delle somme dagli stessi dovute, formato dall'ufficio, sulla base di titoli -dichiarazioni o avvisi di accertamento - che lo legittimano ad iscrivere il credito ai fini della successiva riscossione a mezzo del concessionario (art. 10, lett. b, del D.P.R. 602/1973).

È, dunque, un atto amministrativo, potestativo, unilaterale (provvedimento), proprio ed esclusivo dell'Ente pubblico creditore, impositivo (fiscale, contributivo o di altre entrate di cui è strumento di riscossione coattiva), tipico (quanto a forma e contenuto sostanziale specificamente disciplinato da norme legislative), che racchiude in sé un elenco di somme da riscuotere, recante l'indicazione di tributi, sanzioni e interessi (art. 11, del D.P.R. 602/1973 ).

  1. Va subito chiarito che il ruolo non va confuso con il “documento” denominato “estratto di ruolo”, tale indicato dallo stesso concessionario che lo rilascia e che non era specificamente previsto da alcuna disposizione di legge, prima dell’espresso riferimento operato dal comma 4 bis dell’art.12 cit., che, come visto, lo richiama al solo fine di escluderlo dal novero degli atti impugnabili.

L’estratto di ruolo viene formato (quindi consegnato) soltanto su richiesta del debitore e costituisce semplicemente un “elaborato informatico formato dell'esattore ... sostanzialmente contenente gli ... elementi della cartella ...” (Consiglio di Stato, IV, n. 4209 del 2014), quindi anche gli “elementi” del ruolo afferente quella cartella.

È, dunque, evidente la differenza sostanziale che esiste tra “ruolo” ed “estratto di ruolo” (termini talvolta impropriamente utilizzati come sinonimi): il “ruolo” (atto impositivo espressamente previsto e regolato dalla legge, anche quanto alla sua impugnabilità ed ai termini perentori di impugnazione) è, come già osservato, un “provvedimento” proprio dell'ente impositore (quindi un atto potestativo contenente una pretesa economica dell'ente suddetto); l' “estratto di ruolo”, invece, è (e resta sempre) solo un “documento” (un “elaborato informatico ... contenente gli ... elementi della cartella”, quindi  unicamente gli “elementi” di un atto impositivo) formato dal concessionario della riscossione, che non contiene (né, per sua natura, può contenere) nessuna pretesa impositiva, diretta o indiretta.

L’inidoneità dell'estratto di ruolo a contenere qualsivoglia (autonoma e/o nuova) pretesa impositiva, diretta o indiretta (essendo, peraltro, l'esattore carente del relativo potere) comporta indiscutibilmente la non impugnabilità dello stesso in quanto tale, innanzitutto per la assoluta mancanza di interesse (ex art. 100 c.p.c.) del debitore a richiedere ed ottenere il suo annullamento giurisdizionale, non avendo infatti alcun senso l'eliminazione dal mondo giuridico del solo documento, senza incidere su quanto in esso rappresentato (in tali chiarissimi termini Cass. SS.UU. n.19704/2015 cit.).

Peraltro, anche l'eventuale contestazione dell'attività certificativa del concessionario in sé considerata -ad esempio in relazione alla non corrispondenza tra quanto certificato nell'estratto e quanto risultante dal ruolo - avrebbe un senso solo in un ipotetico giudizio risarcitorio, per aver, in ipotesi, il contribuente confidato nella corrispondenza delle notizie riportate nell'estratto alle iscrizioni risultanti dal ruolo, non in un giudizio impugnatorio conducente esclusivamente ad un “annullamento” della certificazione.

  1. Ciò precisato, in virtù dell’art. 49 comma 1 d.P.R. 602/1973, con la sottoscrizione del titolare dell'ufficio, il ruolo diviene “titolo esecutivo” (art. 12 del d.P.R. 602/1973) senza necessità, a tal fine, di alcuna comunicazione o notificazione al debitore (Cass., SS.UU., 14 aprile 2020, n. 7822).

Il ruolo, così formato è, quindi, consegnato, in funzione dell’esecuzione forzata, in via telematica, all’agente della riscossione (cfr. art.24 del d.P.R. 602/1973), che dà comunicazioni delle singole iscrizioni ai contribuenti, mediante la “cartella di pagamento” (Cass., 8 febbraio 2018, n. 3021).

Il profilo contenutistico della cartella di pagamento, siccome indicato dal comma 2 e dal comma 2-bis dell'art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, palesa, dunque, come osservato dalla Suprema Corte (Cass. SS.UU. sent. n.7822/2020 cit.) che essa, se riguardata rispetto all'esecuzione forzata, ha una funzione equivalente al precetto, in quanto contiene l'intimazione di adempiere, con l'avvertenza che in mancanza si procederà all'esecuzione e, nel contempo, di notificazione del titolo esecutivo, dovendo indicare l'obbligazione risultante dal ruolo e, quindi, fornire una indicazione del credito per cui si procede.

La cartella così formata è notificata dal concessionario al contribuente ai sensi dell'art. 26 del d.P.R. 602/1973.

L'utilizzazione del ruolo come titolo esecutivo e, quindi, in funzione dell'esecuzione forzata, è disciplinata dall'art. 21, comma 1, secondo inciso, del d.lgs. n. 546 del 1992, secondo cui «la notificazione della cartella di pagamento vale anche come notificazione del ruolo» e dall'art. 50 del d.P.R. n. 602 del 1973, il quale dispone al comma 1 che «il concessionario procede ad espropriazione forzata quando è inutilmente decorso il termine di sessanta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento, salve le disposizioni relative alla dilazione ed alla sospensione del pagamento», e, quindi, al comma 2, che «se l'espropriazione non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, l'espropriazione stessa deve essere preceduta dalla notifica, da effettuarsi con le modalità previste dall'articolo 26, di un avviso che contiene l'intimazione ad adempiere l'obbligo risultante dal ruolo entro cinque giorni».

Sicché può affermarsi che nel sistema della riscossione coattiva a mezzo ruolo, disciplinato dal D. P. R. n. 602 del 1973, la notificazione della cartella di pagamento costituisce atto preliminare indefettibile per l'effettuazione di un pignoramento, eseguito in una delle varie modalità stabilite dalla legislazione speciale (mobile, immobile, crediti), da parte dell'agente della riscossione, atteso che “la cartella di pagamento, a mente dell'art. 25 del d.P.R. citato, assolve uno actu le funzioni svolte, ex art. 479 c.p.c., dalla notificazione del titolo esecutivo e del precetto nella espropriazione forzata codicistica, e che il disposto dell'art. 50 del medesimo d.P.R. depone univocamente in tal senso” (Cass., 8 febbraio 2018, n. 3021. Sentenza annotata da A. RUSSO, Riscossione - Riscossione coattiva - Espropriazione forzata - Intervento dell'agente della riscossione, in IL FISCO  A. 2018  Fasc. 11  Pag. 1067).

  1. È necessario, a questo punto, però, evidenziare che il ruolo fino a che non viene reso noto al debitore, attraverso la rituale notificazione della cartella di pagamento, ha rilievo solo interno all’Amministrazione che l’ha formato come titolo esecutivo.

Il contribuente può impugnare nel termine di sessanta giorni dalla notificazione dell’atto impositivo, contemporaneamente, ai sensi dell'art. 19, comma 2, lettera d, d.lgs. 546/1992, sia la cartella di pagamento sia il ruolo in essa ricompreso (S. DE MATTEIS, N. GRAZIANO, D. PAGLIUCA,  in  Riscossione coattiva dei crediti della P.A. ed opposizioni di merito” in Il Tributario, Focus, 2 settembre 2020).

A seguito della notificazione della cartella di pagamento, il contribuente potrà (impugnando l’atto impositivo nei citati termini decadenziali), dunque, sindacare tutto ciò che ha portato alla formazione del ruolo, siccome contenente l'indicazione di una pretesa tributaria, sia in senso formale (cioè come atto sostanzialmente di natura amministrativa e compiuto in autotutela), sia sotto il profilo della disciplina di diritto sostanziale.

Vale rimarcare sul punto, che come osservato in dottrina, la doppia funzione anticipatoria e recuperatoria dell’impugnazione diretta del ruolo (conosciuto attraverso l’esame dell’estratto di ruolo) ha senso solo se il procedimento di riscossione sia stato realmente avviato attraverso la formazione e trasmissione della cartella esattoriale (S. DE MATTEIS, A. PEPE, A.M. SOLDI, La sorte dell’impugnazione dell’estratto di ruolo, cit. pag.4-6).

  1. Come precisato, la formazione della cartella implica, invero, che la pretesa impositiva contenuta nel ruolo sia stata esternalizzata con la notificazione al debitore.

L’art. 19, comma 3, ultima parte, del d.lgs. n. 546 del 1992 prevede, inoltre, che “La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo”.

Detta norma laddove si riferisce alla “mancata notificazione” vuole, evidentemente, alludere: a) sia alla fattispecie in cui qualsiasi attività notificatoria dell'atto impugnabile sia stata omessa; b) sia alla fattispecie in cui un’attività notificatoria sia stata eseguita, ma con difformità tali dal modello legale, da ridondare in notificazione inesistente; c) sia ancora all’ipotesi in cui l’attività notificatoria sia stata eseguita in modo nullo, atteso che l’atto nullo è inidoneo a produrre i suoi effetti e, quindi, deve considerarsi inidoneo ad essere apprezzato come notificazione (salva la questione della possibilità di applicazione del principio della idoneità al raggiungimento dello scopo, di cui all'art. 156, terzo comma, c.p.c., in funzione di elisione della nullità formale). In tutte queste ipotesi vi è legittimazione ad impugnare l’atto impositivo presupposto.

Il debitore, in questi casi - si era sostenuto che - avrebbe dovuto, comunque, attendere un successivo atto della procedura di riscossione per recuperare la tutela di merito che non gli era stato possibile esperire prima dell’avvio del procedimento di riscossione esattoriale o, comunque, dopo il suo avvio. Progressione del procedimento riscossivo non affatto scontata, però, in quanto non è escluso che l’Ente impositore (fermo il principio della cd. indisponibilità dell’obbligazione tributaria, cui sopra si è fatto cenno), non notifichi gli atti impositivi, disinteressandosi alla prosecuzione dell’attività di recupero del credito.

Se ciò accade (omessa notifica della cartella di pagamento), poiché il ruolo non è, in questo caso, confluito in una cartella di pagamento (esistente), secondo il modello indicato dal comma 2 e dal comma 2-bis dell'art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, e non venendo con questa notificata – ed in quanto non notificati conservando entrambi la natura di atti interni, mai esternalizzati – il ruolo non sarà impugnabile (l’ipotesi è quella dell’estratto di ruolo che indichi una cartella contraddistinta da codice interno “00” che non è appunto una cartella perché non ufficialmente formata e propalata; in argomento: S. DE MATTEIS, A. PEPE, A.M. SOLDI, La sorte dell’impugnazione dell’estratto di ruolo, cit.. pag.5. pag. 6).

  1. La non impugnabilità, in tal caso, del ruolo, conosciuto attraverso l’estratto di ruolo, è stata più volte affermata dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 22184 del 2017 e Cass. n. 13755 del 2019), che aveva escluso l’interesse ad agire del contribuente, cui non sarebbe spettata una azione di mero accertamento negativo di una pretesa dell’ente impositore ancora non esternalizzata: “mancherebbe un interesse concreto ed attuale ex art.100 c.p.c. ad impugnare una imposizione che mai è venuta ad esistenza” atteso “che il processo tributario ha semplice struttura oppositiva di manifestazioni di volontà fiscali ‘esternate’ al contribuente, senza cioè che possa farsi luogo a preventive azioni di accertamento negativo del tributo” (Cass. ord. n. 16055 del 11 luglio 2014 che ha rimesso alle Sezioni Unite la questione della impugnabilità del ruolo).

Il problema, si è posto, invece, nel caso dell’avanzamento del procedimento di imposizione e riscossione, sulla base di una notifica non valida, a fronte del quale non poteva essere esclusa, allora, la facoltà del contribuente di far valere, appena avutane conoscenza, tale invalidità, proponendo la relativa impugnazione,  sussistendo l’interesse del contribuente a contrastare l’esecuzione esattoriale il più tempestivamente possibile, specie nell’ipotesi in cui il danno poteva divenire, in certa misura, non più reversibile, se non in termini risarcitori.

Se, infatti, il contribuente avesse dovuto attendere, per proporre impugnazione, il successivo atto impositivo, il procedimento sarebbe potuto proseguire “indisturbato”, fino alla sua conclusione attraverso il compimento dell’esecuzione, senza che il contribuente avesse mai avuto modo di contestare la pretesa attraverso una impugnazione (A. GUIDARE, Riparto di giurisdizione nelle controversie sugli atti dell'esecuzione forzata, in Rivista di Giurisprudenza Tributaria,  Anno 2020,  Fasc. 6  pag. 504).

Permettere la tutela giudiziale anticipata si opinava che rispondesse, in questi casi, anche “all’interesse dell’Amministrazione di evitare i costi di una procedura esecutiva malinstaurata”.

  1. Attraverso questo articolato percorso interpretativo, si era giunti ad introdurre, quindi, in queste ipotesi, una fattispecie di tutela giurisdizionale “anticipata”.

Con l’impugnazione diretta del ruolo, conosciuto attraverso l’estratto di ruolo, in sostanza, si diceva che il contribuente avrebbe potuto recuperare l’impugnazione di merito che avrebbe potuto proporre nel termine di legge, impugnando la cartella di pagamento, nei casi in cui, ovviamente, avesse dato prova che l’impugnazione non era stata tempestivamente proposta per causa a lui non imputabile: invalidità del procedimento notificatorio della cartella.

La Suprema Corte, con pronuncia a Sezioni Unite – Cass. SS.UU.  sent. n. 19704 del 2015 –  sopra richiamata, ha avuto modo di affermare, a soluzione del contrasto, sin qui sorto, l’ammissibilità dell’impugnazione davanti al giudice tributario della cartella di pagamento, ove, a causa del difetto della sua notifica, il contribuente fosse venuto a conoscenza dell’iscrizione a ruolo, solo attraverso l’estratto di ruolo rilasciato, su sua richiesta dal concessionario della riscossione; a ciò non ostava, per gli ermellini, l'ultima parte del comma 3 dell'art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, in quanto una lettura costituzionalmente orientata imponeva di ritenere che l'impugnabilità dell’atto precedente non notificato, unitamente all’atto successivo notificato - impugnabilità prevista da tale norma - non costituisse l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente fosse comunque venuto legittimamente a conoscenza e, quindi, non escludesse la possibilità di far valere l’invalidità stessa, anche prima, giacché l’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale non può, come già ricordato, “essere compresso, ritardato, reso più difficile o gravoso, ove non ricorra la stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo, rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione” (Cass., sez. un., 2 ottobre 2015, n. 19704).

Per l’effetto si è precisato che, in realtà, non veniva ad essere impugnato l’estratto di ruolo, bensì le cartelle esattoriali delle quali si assumeva l’ignoranza per difetto di notifica, e ciò senza la necessità di dovere attendere la successiva notifica di un ulteriore atto da parte dell’amministrazione.

In altri termini, il contribuente che avesse informalmente appreso dell’iscrizione a ruolo eseguita a suo carico, apparentemente esternata dall’Amministrazione attraverso la formazione e notificazione di una cartella che il debitore avesse dichiarato di non aver mai validamente ricevuto, poteva proporre senza ritardo una opposizione di merito per chiedere l’annullamento della cartella, non solo recuperando la tutela che avrebbe potuto esperire, ove avesse ricevuto la cartella esattoriale, ma anche beneficiando di una tutela anticipatoria che non lo costringesse ad attendere il compimento della notifica degli atti esattoriali successivi.

Tali argomentazioni, per la cui illustrazione più approfondita si rimanda alla esaustiva motivazione delle Sezioni Unite, permettevano di ritenere, da un lato, ammissibile l’impugnazione della cartella della quale il contribuente assumeva di esserne venuto a conoscenza solo a seguito del rilascio di un estratto di ruolo, e dall’altro, di escludere che il contribuente difettasse di interesse ad impugnare le cartelle, ancor prima di avere ricevuto la notifica di un altro atto da parte dell’amministrazione (M. CICALA, Gli atti impugnabili ed i presupposti della impugnazione: considerazioni sparse alla luce della sentenza 19704/2015 sulla impugnabilità del ruolo, documento del 15 ottobre 2015, in Fondazione Nazionale dei Commercialisti. Sull’argomento: D. CANÈ, Sulla impugnabilità, nel processo tributario, di atti non notificati, in Giur. It., 2916, 8-9, pag. 1986; F. CERIONI, La Cassazione riforma il processo tributario: dalle azioni impugnatorie a quella di accertamento dell’obbligazione tributaria, in GT – Riv. Giur. Trib., 2016, 1, pag. 40; F. CORDA, Riflessioni in merito all’impugnabilità dell’estratto di ruolo, in Riv. Dir. Trib., 2016, 4, pag. 168; D. CARMINEO, Gli “atti tributari”, ancorché invalidamente notificati, sono sempre impugnabili dal contribuente che sia venuto “comunque” a conoscenza della loro esistenza, in Boll. Trib., 2015, 121, pag. 1574; F. RANDAZZO, Alle Sezioni Unite la questione dell’autonoma impugnabilità dell’estratto di ruolo, in Corr. Trib., 2014, 40, pag. 3121).

Tuttavia la possibilità di impugnare direttamente il ruolo conosciuto attraverso l’estratto di ruolo (impropriamente detta “impugnabilità dell’estratto di ruolo”) e non mediante la rituale notificazione di una cartella esattoriale, non poteva e non doveva, come avvertito dalla giurisprudenza costituire un mezzo per rimettere indebitamente nei termini il contribuente, che, malgrado la notifica della cartella, avesse omesso di impugnare la stessa nel termine di legge, differendo la proposizione delle contestazioni che avrebbe potuto immediatamente avanzare avverso la cartella notificatagli, al momento successivo ed eventuale (e di fatto rimesso alla stessa iniziativa del contribuente) del rilascio dell’estratto di ruolo, poiché ad opinare in tal modo sarebbe stato del tutto aggirato il regime decadenziale previsto per l’impugnazione degli atti tributari.

  1. Restava da stabilire da quando decorresse il termine di impugnazione del ruolo conosciuto dal contribuente attraverso l’estratto di ruolo, atteso che il termine previsto dall’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, decorre dalla data di notificazione degli atti tributari al contribuente. In proposito la sentenza delle Sezioni Unite, puntualmente, chiarivano che solo con la formale notifica dell’atto iniziavano a decorrere i termini per l’impugnazione, mentre le altre forme di conoscenza consentivano la proposizione del ricorso e, quindi, di anticipare la tutela (che comunque era possibile anche una volta che fosse stato notificato l’atto successivo del procedimento di riscossione),  ma non determinavano l’operatività del termine decadenziale di 60 gg per l’esercizio del diritto ad impugnare (l’acquisizione da parte del contribuente di una copia dell’estratto di ruolo, riportante l’indicazione di avvenuta iscrizione a ruolo, ha il valore di una mera informazione di un fatto verificatosi, e non può assurgere a prova della piena conoscenza dell’atto impositivo impugnabile, ai fini della decorrenza del termine di cui all’art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992; potendo legittimare appunto, al più, l’impugnazione, peraltro facoltativa, del solo estratto di ruolo: Cass., sez. 5-6, 9 settembre 2019, n. 909).

Si registravano, comunque, successive pronunzie di segno opposto: si era ritenuto, invero, inammissibile il ricorso contro l’iscrizione di ipoteca legale e la prodromica cartella di pagamento, in quanto proposto oltre il termine di 60 giorni dalla data nella quale il contribuente aveva avuto contezza della pretesa tributaria a suo carico, mediante rilascio di estratto di ruolo (Cass., sez. 5, 30 maggio 2017, n. 13584). Se, poi, la cartella era stata invalidamente notificata, ma l’iscrizione ipotecaria successiva era stata ritualmente notificata, il dies a quo per l’impugnazione della cartella era di 60 giorni dalla notificazione dell’iscrizione ipotecaria (Cass., sez. 5, 18 ottobre 2021, n. 28722).

  1. Come chiarito dalla Cassazione - Cass.Ord. 4526 dell’11 febbraio 2022 - l’ammissibilità di tutela “anticipata” non comporta l’onere, ma solo la facoltà dell’impugnazione, il cui mancato esercizio non determina alcuna conseguenza sfavorevole in ordine alla possibilità di contestare successivamente, in ipotesi, dopo la notifica di un atto “ tipico”, la pretesa della quale il contribuente si è venuto a conoscenza, eventualmente attraverso un atto “atipico” (Con riguardo l’obbligatorietà o la facoltatività per il contribuente che abbia timore di subire pregiudizi nei suoi rapporti con la pubblica amministrazione, nelle tre ipotesi sopra menzionate, di accedere in via “anticipata” alla tutela giurisdizionale “diretta” avverso il ruolo e la cartella, conosciuti “occasionalmente” attraverso la comunicazione dell’estratto di ruolo, si veda: F.RASI, Il “Canto di Natale” del legislatore: la non impugnabilità dell’estratto di ruolo, in Giustizia Insieme, 03 Febbraio 2022, pag. 6. In giurisprudenza la tutela “anticipata”, in qualche misura d’urgenza, costituiva un percorso alternativo rispetto alla impugnazione “differita”, di cui all’art. 19, terzo comma, ultima parte, del d.lgs. n. 546 del 1992, la quale prevede che la mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo: Cfr. Cass., Sez. I, sent. 8 settembre 2004, n. 18075; Cass., Sez. V, sent. 12 luglio 2013, n. 17236; Cass., Sez. V, sent. 19 febbraio 2014, n. 3938).

Ne consegue che il contribuente, in questi casi, avrebbe potuto assumere diverse condotte: tentare una soluzione concordata con l’amministrazione; impugnare immediatamente l’atto dinanzi alla commissione tributaria; attendere il primo atto impositivo o di riscossione rientrante nell’elenco di cui all’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 successivo.

  1. La giurisprudenza di legittimità successiva si è posta nel solco della pronuncia delle Sezioni Unite, con l’affermazione della possibilità per il contribuente di impugnare la cartella non notificata, ma conosciuta tramite l’estratto di ruolo (Cass., sez. 6-5, 21 gennaio 2022, n. 1971; Cass., sez. 6-5, 11 gennaio 2012, n. 587; Cass., sez. 5, 24 dicembre 2021, n. 41508; Cass., sez. 5, 10 dicembre 2021, n. 39282; Cass., sez. 5, 7 dicembre 2021, n. 38964; Cass., sez. 5, 22 novembre 2021, n. 36013; Cass., sez. 6-5, 5 ottobre 2020, n. 21289; Cass., sez. 5, 17 settembre 2019, n. 23076; Cass., sez. 6-5, 9 settembre 2019, n. 22507; Cass., sez. 6-L, 25 febbraio 2019, n. 5443; Cass., 1 giugno 2016, n. 11439; in senso contrario Cass., sez. 6-5, 22 settembre 2017, n. 22184, che esclude, senza menzionare la pronuncia a sezioni unite 19704/2015, la sussistenza di un interesse concreto e attuale, ex 100 c.p.c., ad instaurare una lite tributaria, che non ammette azioni di accertamento negativo del tributo).
  2. Da qui la proliferazione del contenzioso tributario a cui ha inteso porre rimedio il legislatore con un intervento definito dai primi commentatori realizzato “a gamba tesa”, rivolto non a risolvere “interessi corposi”, ma a perseguire mere finalità deflative del contenzioso tributario, a fronte della proliferazione di cause pretestuose di contrasto alla riscossione coattiva dei crediti validamente avviata dall’Amministrazione finanziaria.

Dalla relazione finale della Commissione interministeriale per la riforma della giustizia tributaria del 30 giugno 2021, si evidenzia, appunto, come la soluzione adottata dalle Sezioni Unite  della Corte di Cassazione, abbia comportato la possibilità per il contribuente di “far valere, spesso pretestuosamente, ogni sorta d’eccezione avverso cartelle notificate anche molti anni prima, senza che l’agente della riscossione si sia attivato in alcun modo per il recupero delle pretese ad esso sottese, e perfino nei casi in cui avesse rinunciato anche nell’esercizio della tutela” (S. DE MATTEIS, A. PEPE, A.M. SOLDI. La sorte dell’impugnazione dell’estratto di ruolo, cit. pag.10).

  1. Dal tenore del sopra citato art.4 bis si ricava il già evidenziato cambiamento di rotta.

La prima parte dell’art. 4-bis del d.P.R. n. 602 del 1973, come modificato dall’art. 3-bis del decreto-legge n. 146 del 2021, non pone alcun problema: si sancisce che “l’estratto di ruolo non è impugnabile”, principio già affermato con chiarezza dall’interpretazione del diritto vivente offerto delle sezioni unite di cui sopra si è dato conto: “L'estratto di ruolo non è atto impugnabile, per la carenza di interesse del debitore, ai sensi dell'art. 100 c.p.c., ad ottenerne annullamento giurisdizionale non avendo infatti alcun senso l’eliminazione dal mondo giuridico del solo documento, senza incidere su quanto in esso rappresentato”.

Prima dell’intervento novellistico si riteneva che l’interesse ad impugnare il ruolo fosse “in re ipsa”, senza necessità di dover allegare la circostanza che l’incolpevole impossibilità di contestare immediatamente il carico iscritto a ruolo, avrebbe potuto comportare dei pregiudizi patrimoniali al ricorrente. Di contro parte della giurisprudenza aveva, comunque, già avuto modo di affermare (si richiama sul punto l’esemplificazione enunciata nella ordinanza n. 16055 del 11 luglio 2014 che ha rimesso alle Sezioni Unite la questione della impugnabilità del ruolo) che l’interesse ad agire non discende automaticamente dalla iscrizione a ruolo, ma richiede la sussistenza di un qualche pregiudizio (quale l’utilizzazione dell’estratto ruolo al fine della promozione di una istanza di fallimento o per l’insinuazione al passivo fallimentare, oppure il diniego o la revoca di un beneficio fiscale; oppure il rifiuto di adempimento di un credito vantato nei confronti della P.A.; il diniego di un mutuo per effetto della notizia dell’esistenza di carichi iscritti a ruolo), tenuto, in generale, conto che la P.A. può avere conoscenza della pretesa fiscale soltanto iscritta a ruolo e non ancora notificata al destinatario.

  1. La seconda parte dell’art. 4-bis del d.P.R. n. 602 del 1973, come modificato dall’art. 3-bis del decreto-legge n. 146 del 2021 prevede, ora, che “il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dalla iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio[…]”, pregiudizio “qualificato” che viene, dal legislatore, non a caso, specificato esclusivamente nei rapporti con la pubblica amministrazione.

L’intento del legislatore è, dunque, quello di limitare la tutela giurisdizionale anticipata del contribuente ai casi tassativamente previsti dalla norma: a) pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto pubblico; b) pregiudizio per la riscossione di somme dovute dai soggetti pubblici, per il pagamento di importi superiori ad euro 5.000 (dal 1 ° gennaio 2018, prima euro 10.000,00); c) pregiudizio per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione.

Vale ribadire che con il citato intervento legislativo non sia del tutto venuta meno la tutela “anticipata” di creazione giurisprudenziale (assolutamente irrilevante, per quanto sopra esposto, l’espressa esclusione dell’impugnazione dell’”estratto di ruolo”), che ha trovato, a ben vedere, positiva consacrazione, sebbene in determinate ipotesi indicate nella norma, in ragione del contatto qualificato con la Pubblica Amministrazione; e ciò in ragione del fatto che la Pubblica Amministrazione, potendo avere conoscenza della pretesa fiscale “soltanto” iscritta a ruolo e non ancora notificata al destinatario, può, in virtù di detta privilegiata conoscenza, pregiudicare il contribuente (che appaia moroso) nei rapporti obbligatori che potrebbero insorgere con la stessa. La norma, dunque, in queste ipotesi codificate di pregiudizio per il contribuente, in cui il suo interesse da agire appare “in re ipsa”, amplia, dunque i margini positivi degli atti impugnabili a norma dell’art. 19 del Dlgs comma 2, lettera d, d.lgs. 546/1992, laddove l’art.4 bis prevede la possibilità della diretta impugnazione del “ruolo”, qualora la cartella di pagamento sia “invalidamente notificata”, indipendentemente, dunque, dalla sua giuridica (perché mai notificata) “esistenza” (e, dunque, dalla correlata volontà dell’Amministrazione finanziaria di dar effettivo corso al procedimento di riscossione coattiva, ponendo in essere gli atti conseguenti; che, qualora, invece, dovessero essere emessi, ed in assenza del ricorso a detta tutela anticipata, ben potrebbero essere sindacati dal contribuente ex art.3 ultima parte, del d.lgs. n. 546 del 1992).

  1. Quando all’individuazione del dies a quo per proporre ricorso giurisdizionale, poiché tale pregiudizio è inerente ai rapporti con la Pubblica Amministrazione, il termine di 60 giorni per proporre ricorso giurisdizionale dovrebbe muovere dal “contatto qualificato”, con una Pubblica Amministrazione e, quindi, andrebbe individuato nel momento in cui avviene la conoscenza in conseguenza della partecipazione ad una gara per l’affidamento di commesse pubbliche, oppure dell’atto di una richiesta di rimborso o di pagamento dalla pubblica amministrazione o dell’istanza presentata per conseguire un vantaggio o per scongiurare la perdita di un beneficio nei rapporti con la pubblica amministrazione.

La mancata attivazione di questa tutela anticipata, si ritiene, non possa, però, pregiudicare il contribuente che attenda, nelle more dei rapporti con la Pubblica Amministrazione, la notifica della cartella di pagamento per sindacare anche il ruolo.

  1. Da quest’affermazione discenderebbe, come corollario, che nei tre casi tassativamente indicati, il ruolo - ed eventualmente la cartella invalidamente notificata - conosciuti “in via occasionale”, a seguito di “contatto qualificato” con una Pubblica Amministrazione, non debbano necessariamente essere impugnati immediatamente ai sensi dell’art. 19, terzo comma, del d.lgs. n. 546 del 1992, a pena di decadenza, potendo il contribuente attendere l’ulteriore atto tributario successivo, per un eventuale impugnazione contestuale.  Non verrebbe meno, in sostanza, l’ipotesi di creazione giurisprudenziale di impugnazione facoltativa, non essendo espressamente prevista dalla norma un divieto espresso a qualsiasi forma di tutela “differita”.
  2. Il legislatore non ha adottato alcuna disposizione di carattere transitorio. La nuova norma, dunque, si applica da subito, e precisamente dal 21 dicembre 2021, giorno successivo alla pubblicazione della legge di conversione nella Gazzetta Ufficiale (art. 1 comma 2 legge n. 215 del 2021).

Deve, a questo punto, verificarsi se lo ius superveniens suindicato abbia o meno valore retroattivo, con eventuale applicabilità anche ai giudizi tributari in corso.

Nella giurisprudenza di merito si sono registrate posizioni discordanti (nel senso dell’irretroattività CTP Cosenza sent. 505/2022; CTP  Latina, n. 53 del 2022; CTP Siracusa, n. 400 del 2022; in senso contrario CTP Catania n.357/22 nella quale la Commissione osserva: “Invero la ratio della suddetta norma non è altro che una specificazione dell’interesse ad agire…di conseguenza anche i ricorsi tributari notificati prima della novellata norma vanno dichiarati inammissibili in forza del principio consolidato in giurisprudenza -ex plurimis Cass. 14073/20- secondo il quale l’interesse ad agire in giudizio -di qualunque tipo ed in qualunque fase- deve sussistere non solo alla proposizione della domanda ma anche al momento della decisione”. In sostanza si afferma che il legislatore ha individuato “un interesse qualificato” alla impugnazione immediata da proporre avverso il ruolo e la cartella di pagamento invalidamente notificata, fermo restando l’esclusione tout court dell’impugnazione contro l’estratto di ruolo; mancando l’interesse ad agire, il giudice non giungerà ad affrontare il merito del ricorso, ma dovrà dichiarare il difetto di interesse e, quindi, il difetto di azione;  sicché, la nuova normativa produrrebbe l’inammissibilità sopravvenuta in tutti i casi di ricorsi proposti al di fuori delle ipotesi tassative di cui al nuovo comma 4-bis dell’art. 12 del d.P.R. n. 602 del 1973, aggiunto dall’art. 3-bis del decreto-legge n. 146 del 2021, convertito in legge n. 215 del 2021. Questa interpretazione è stata fatta propria dall’Agenzia delle entrate in occasione di Telefisco 2022, in cui si è affermato che “il legislatore si è posto nel solco già tracciato dalla giurisprudenza di cassazione ed è intervenuto per ribadire la non impugnabilità dell’estratto di ruolo e prevedere le casistiche in cui vi è l’interesse del debitore ad impugnare direttamente il ruolo e la cartella di pagamento che si assume validamente notificata, senza attendere la notifica dell’atto successivo”. Viene, dunque, sostenuta la non impugnabilità dell’estratto di ruolo anche prima del 21 dicembre 2021, data di entrata in vigore della nuova norma).

  1. Sulla scorta delle superiori considerazioni la norma non può, evidentemente, essere qualificata come di interpretazione autentica, con valore retroattivo, non essendosi, il legislatore, limitato a precisare il significato di altre disposizioni legislative sul base del diritto vivente, avendo, piuttosto, introdotto condizioni all’impugnazione del ruolo, prima non previste ed una tutela anticipata a fronte di un ruolo non esternato dall’amministrazione finanziaria (Cfr. Corte Cost. n. 111 del 1998, l’affidamento del cittadino deve valere anche in materia processuale, dove si traduce nell’esigenza che le parti conoscono il momento in cui sorgono oneri con effetti per loro pregiudizievoli, nonché nel legittimo affidamento delle parti stesse nello svolgimento del giudizio, secondo le regole vigenti all’epoca del compimento degli atti processuali).

Appare, dunque, preferibile la tesi dell’irretroattività della novella, poiché la stessa riveste natura processuale, essendo intervenuta in modo innovativo, come visto, sull’art.19 del Dlgs 546/1992, ed in quanto tale, deve ritenersi applicabile solo per le azioni giurisdizionali proposte successivamente alla sua introduzione, non potendo incidere sui processi in corso, in forza del principio processuale del tempus regit actum, a mente del quale, gli atti perfezionatisi prima dell’entrata in vigore di una novella in materia processuale, ancorché applicabile al processo in corso, in difetto di una disciplina transitoria o di esplicite disposizioni di segno contrario, restano regolati, anche negli effetti, dalla norma sotto il cui imperio sono stati posti in essere (per l’irretroattività, tra gli altri, L.LOVECCHIO, l’efficacia sostanziale del divieto d’impugnazione dell’estratto di ruolo ne limita l’applicazione solo pro futuro”, in Il Fisco Fasc.8, a.2022 pag.745; Cass. 2276/2017, Cass. 6099/2000; Cass. 20414/2006; Cass. 24491/2008; Cass. 3688/2011, in difetto di esplicite previsioni contrarie, il principio dell'immediata applicazione della legge processuale sopravvenuta ha riguardo soltanto agli atti processuali successivi all'entrata in vigore della legge stessa, alla quale non è dato incidere, pertanto, sugli atti anteriormente compiuti, i cui effetti restano regolati, secondo il fondamentale principio del "tempus regit actum", dalla norma sotto il cui imperio siano stati posti in essere).

Va, inoltre, ricordato che l’art. 1, secondo comma, della legge n. 212 del 2000 (statuto del contribuente), prevede che “l’adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta solo in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica”; qualificazione che nella specie, come detto mancherebbe.

Un generale principio di "affidamento" legislativo (desumibile dall'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale) preclude, infine, la possibilità di ritenere che gli effetti dell'atto processuale già formato al momento dell'entrata in vigore della nuova disposizione siano da quest’ultima regolati, quantomeno nei casi in cui la retroattività della disciplina verrebbe a comprimere la tutela della parte, senza limitarsi a modificare la mera tecnica del processo. Come osservato dalla giurisprudenza di merito (CTP Cosenza sez.6 del 14 febbraio 2022 rel. N. Durante) “in subiecta materia, va ribadito il principio di tutela dell’affidamento che, secondo la Corte costituzionale, quale elemento essenziale dello Stato di diritto, non può essere leso da norme con effetti retroattivi che incidano irragionevolmente su situazioni regolate da leggi precedenti” e “deve valere anche in materia processuale, dove si traduce nell’esigenza che le parti conoscano il momento in cui sorgono oneri con effetti per loro pregiudizievoli, nonché nel legittimo affidamento delle parti stesse nello svolgimento del giudizio secondo le regole vigenti all’epoca del compimento degli atti processuali” (cfr. C. cost. 22 novembre 2000, n. 525). Non solo, ma la Corte europea dei diritti dell’Uomo ha ribadito come “il principio della preminenza del diritto e la nozione di processo equo, consacrati dall’art. 6 della Convenzione, si oppongono, salvo per imperative esigenze di interesse generale, all’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia con lo scopo di influire sullo svolgimento giudiziario di una causa” (cfr. CEDU, Grande Chambre, 29 marzo 2006, Scordino vs. Italia, sull’applicazione, con effetto retroattivo ai giudizi pendenti, dei nuovi e peggiorativi criteri di determinazione dell’indennità di espropriazione stabiliti dall’art. 5-bis della legge italiana 8 agosto 1992, n. 359). Tant’è che, la stessa Corte ha affermato la contrarietà alle garanzie di un equo processo la disposizione legislativa immediatamente efficace che abbia manifestamente per oggetto, o comunque per effetto, di modificare la disciplina applicabile nei procedimenti giudiziari in corso, nei quali lo Stato sia parte ed in senso favorevole a quest’ultimo (cfr. CEDU, sentenza n. 39374/1998, Anagnostopoulos e altri vs. Grecia).

  1. La Cassazione, al fine di risolvere le questioni intertemporali, ritenute di massima e particolare importanza (ai sensi del comma 2 dell’art.374 c.p.c.), insorte a seguito dei nuovi confini delineati dalla novella legislativa di cui in epigrafe, con ordinanza interlocutoria – ord. n. 4526 dell’11 febbraio 2022 - ha rimesso alle Sezioni Unite, complessivamente, il tema della tutela giurisdizionale “anticipata”, sin ora accordata, come visto, dal formante giurisprudenziale, al contribuente che assuma di non aver ricevuto la rituale notifica di provvedimenti impositivi tributari (cartella di pagamento, intimazione di pagamento, avviso di iscrizione ipotecaria), consentendogli di impugnare, direttamente e preventivamente, il ruolo conosciuto, “occasionalmente”, attraverso l’estratto di ruolo, al di là di un interesse “qualificato” ad agire.

Nella consapevolezza che l’intervento normativo con dichiarata finalità deflativa del contenzioso, creerà maggiori problemi di quelli che intende risolvere, segnatamente per la comprensibile incertezza che sta generando negli operatori del diritto circa i confini della tutela giurisdizionale a cui può far ricorso il contribuente incolpevole, non resta che attendere che le sezioni unite gettino un lume di chiarezza su questi temi.