Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

03/08/2022 - “Emendatio libelli” nell’appello tributario o mere questioni di “onere della prova”?

argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza

La Suprema Corte di Cassazione con le due pronunce in commento ha ribadito un orientamento secondo cui la puntuale specificazione in grado di appello delle difese proposte dal contribuente in modo più ampio in primo grado, non costituisce una domanda nuova inammissibile, ma una emendatio libelli consentita anche in assenza di una tempestiva contestazione delle avverse difese in primo grado e senza necessità di presentare una memoria ex art. 24 D.gs. n. 546/1992. Le due ordinanze in commento, quindi, pur riguardando fattispecie sostanziali del tutto diverse, sono conformi sul piano processuale rappresentando due interessanti precedenti, utili a comprendere la distinzione tra ius variandi e l’onere della prova.

» visualizza: il documento (Cass., ord. 20 ottobre 2021, n. 29061 e Cass. ord. 25 maggio 2021, n. 14285) scarica file

PAROLE CHIAVE: mutatio libelli - emendatio libelli - onere della prova


di Francesco Odoardi

  1. La prima ordinanza in commento, la n. 29061 pronunciata il 12 maggio e depositata il successivo 20 ottobre 2021, riguardava un originario ricorso avverso un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate recuperava un maggior reddito di impresa ed una maggiore IRAP a fronte del disconoscimento della deducibilità di quote di ammortamento per costi pluriennali. Il ricorso della società e così pure l’appello venivano rigettati. Avverso la sentenza di secondo grado il contribuente proponeva un ricorso per revocazione, ma la Commissione Tributaria Regionale, pur ritenendo fondata la revocazione in “fase rescindente”, decidendo nel merito, dichiarava inammissibile l’originario motivo di appello formulato con riferimento alla “validità della delega di firma conferito al funzionario che aveva sottoscritto l’atto impositivo impugnato…in quanto le contestazioni erano state sollevate solo in grado di appello mentre avrebbero dovuto essere proposte in primo grado, a seguito della produzione in quel giudizio del predetto ordine di servizio, con motivi aggiunti D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 24”. Contro tale sentenza il contribuente proponeva ricorso in cassazione.
  2. L’ordinanza n. 14285, decisa il 10 marzo e depositata il successivo 25 maggio 2021 aveva ad oggetto, invece, una originaria impugnazione di un preavviso di fermo amministrativo per una lamentata omessa notifica del prodromico avviso di accertamento. Il contribuente, soccombente in primo grado, proponeva appello sostenendo che la documentazione prodotta dalla controparte dinnanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, attestante la consegna dell’avviso di accertamento alla figlia del destinatario, non fosse idonea a dimostrare la regolarità della notificazione dell’atto prodromico, mancando la prova dell’invio della successiva raccomandata informativa, come previsto dall’art. 60, comma 1, lett. b-bis), DPR n. 600/1973. In tal caso, la Commissione Tributaria Regionale accoglieva l’appello e l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza di seconde cure, lamentando l’inammissibilità dell’eccezione riguardante l’omesso invio della raccomandata informativa, siccome proposta per la prima volta in appello.
  3. I due casi sono, dunque, accumunati da una questione processuale identica: il contribuente aveva proposto un’impugnazione affidata ad un motivo che, pur formulato in modo ampio, era astrattamente idoneo a determinare l’accoglimento del ricorso per una asserita nullità dell’atto impugnato (nel primo caso, l’invalidità della delega di firma, nel secondo, l’omessa notifica dell’atto prodromico). La controparte si costituiva nel giudizio di primo grado, affermando l’infondatezza del motivo e, a sostegno della propria difesa, produceva la relativa documentazione (nel primo caso, la delega e, nel secondo, la relata attestante il procedimento notificatorio). A seguito della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale sfavorevole al contribuente, lo stesso proponeva appello, precisando per la prima volta, nel giudizio poi deciso con Cass. n. 29061/2021, l’invalidità dell’accertamento per difetto di delega a causa dell’esistenza di limiti di valore imposti al funzionario che, dunque, non avrebbe potuto firmare l’atto impugnato e, nel giudizio deciso da Cass. 14285/2021, l’invalidità della notifica perché alla consegna a mani di un famigliare non era seguito l’invio della seconda raccomandata “informativa” prevista dall’art. 60, comma 1, lett. b-bis), DPR n. 600/73. È interessante osservare come la Suprema Corte, in entrambe le pronunce in commento, abbia ritenuto ammissibile la precisazione della domanda in appello (qualificata in termini di “emendatio libelli”), sottolineando che, in ipotesi di tal guisa, non grava sul contribuente né l’onere di contestare tempestivamente in primo grado quanto ex adverso dedotto, né, a maggior ragione, quello di proporre “motivi aggiunti” con le memorie ex art. 24 D.Lgs. n. 546/1992.
  4. Appare opportuno esaminare prioritariamente proprio questo ultimo aspetto, concernente un possibile onere in capo al contribuente di presentare motivi aggiunti, dato che, in entrambi i casi, sembra pacifica l’inesistenza del relativo presupposto. La questione in merito alla disciplina dei motivi aggiunti è probabilmente influenzata dal più ampio dibattito in ordine all’oggetto del processo tributario: per chi attribuisce al processo tributario la natura di “impugnazione-annullamento” (a tale riguardo, si veda Glendi, L’oggetto del processo tributario, Padova, 1984, in part. p. 491; Bruzzone, Commento all’art. 24, in Consolo-Glendi, Commentario breve alle leggi del Processo Tributario, Padova, 2008, p. 291), i motivi sarebbero estranei all’oggetto della domanda, costituendo semplicemente i fatti idonei a circoscrivere il thema decidendum nell’ambito del più ampio perimetro tracciato nell’atto impugnato dall’ente impositore. Ciò sarebbe dimostrato, sul piano formale, dal testo dell’articolo 18, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992 che si riferisce all’oggetto della domanda nella lett. d), ossia “l’indicazione … dell’atto impugnato e dell’oggetto della domanda” e non nella successiva lett. e) riguardante “l’indicazione … dei motivi” e, su quello sostanziale, dalla natura di eccezione delle difese del ricorrente in primo grado (a causa della inversione dei ruoli di attore formale e sostanziale nel processo tributario). In quest’ottica, i motivi aggiunti sono considerati “nuovi temi di indagine” (Bruzzone, op. cit., p. 299). Per i sostenitori della natura di “impugnazione-merito” del processo tributario (tra tutti Russo, Impugnazione e merito nel processo tributario, Riv. dir. Trib., 1993, I, 756 e ss.), i motivi costituiscono la ragione della domanda (ossia la causa petendi) che, a prescindere dai vizi dell’atto, possono consistere sia nell’inesistenza dei fatti costitutivi sia nell’esistenza di fatti estintivi, impeditivi o modificativi della pretesa contenuta nell’atto impugnato (si veda anche Fransoni, Giudicato tributario e attività dell’amministrazione finanziaria, Milano, 2001, in part. p. 260 sulla rilevanza dei cc.dd. “fatti impeditivi”). Secondo questa diversa prospettiva i motivi aggiunti sarebbero una modificazione dell’originaria domanda. Ora, nei due casi di specie, si condivide l’opinione espressa nelle pronunce in commento circa l’insussistenza dell’onere del contribuente di presentare “motivi aggiunti”, perché in nessuno dei due casi portati all’attenzione della Suprema Corte erano stati depositati in giudizio “documenti non conosciuti” (nell’accezione comunemente intesa che implica una ignoranza non imputabile alla parte; v. Bruzzone, Commento all’art. 24, cit., p. 292).
  5. I due casi oggetto di esame sono stati risolti dalla Suprema Corte richiamando la propria giurisprudenza in materia di ius variandi (non sempre univoca; si veda al riguardo quanto affermato da Glendi, La Postilla a Pellecchia-Monte, I confini tra motivi aggiunti ed “emendatio libelli”, in GT – Rivista di Giurisprudenza Tributaria, 2020, p. 134), secondo cui si incorre in una non consentita mutatio libelli “quando si avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un petitum diverso e più ampio oppure una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima e particolarmente su un fatto costitutivo radicalmente differente… si ha, invece, semplice emendatio quando si incida sulla causa petendi, in modo che risulti modificata soltanto l'interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto, oppure sul petitum, nel senso di ampliarlo o limitarlo per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa…” (nel passo citato da Cass. 29061/21 vengono richiamate anche le sentenze Cass. 20 luglio 2012, n. 12621 e Cass. 27 luglio 2009, n. 17457). Sulla base di tale assunto la Suprema Corte ha ritenuto ammissibile il rilievo mosso dal contribuente per la prima volta in appello in ordine alla inidoneità della documentazione prodotta dall’Amministrazione finanziaria in primo grado, affermando un fatto storico che, almeno in quei termini precisi, non era stato dedotto in primo grado (rappresentato, nel primo caso, dai limiti di valore della delega e, nel secondo, dal mancato invio della raccomandata informativa). Ora, pur apprezzando la scelta redazionale di evitare l’approfondimento di temi processuali eccessivamente complessi (considerato il contesto dell’art. 380-bis c.p.c. in cui le ordinanze sono state pronunciate; anche in questa sede, tali temi non possono essere toccati e, per ragioni di sintesi, quanto alla rilevanza processuale dei fatti estintivi, impeditivi e modificativi, si rinvia a Mandrioli-Carratta, Diritto processuale civile, Torino, 2019, I, 134 e ss. e II, 78 e ss.; interessanti anche Buoncristiani, Quaestio facti e quaestio iuris: il profilo statico e il profilo dinamico dell’allegazione dei fatti, in Riv. dir. proc., 2020, p. 820 e Scalvini, Ricorso per cassazione – L’omesso esame di un fatto impeditivo, modificativo o estintivo va censurato ex art. 360, n. 4, c.p.c., in Giur. It., 2022, 1385 e ss.), probabilmente sarebbe stato più opportuno dare maggiore risalto all’inidoneità delle difese in primo grado dell’Ufficio (alligata et probata) a contrastare la domanda del ricorrente (non assolvendo, così, l’onere di cui all’art. 2697, co. 2, cod. civ.; v. al riguardo Ficari, Il processo tributario, in Fantozzi (a cura di), Diritto tributario, Torino, 2013, in part. p. 1026 con ampie citazioni alla nt. 195). Infatti, a fronte del motivo di ricorso sintetizzabile come “omessa delega” o “omessa notifica”, l’Amministrazione finanziaria, nel chiederne il rigetto perché asseritamente infondato, non si sarebbe dovuta limitare a documentare l’esistenza di una delega o di un procedimento notificatorio (come in effetti ha fatto), ma avrebbe dovuto dimostrare, nel primo caso, l’esistenza di una delega idonea a conferire nella specie il potere di firma al funzionario e, nel secondo caso, l’esistenza di un procedimento notificatorio completo, corredato anche della (specificamente necessaria) “raccomandata informativa”. Così ragionando, sarebbe stato ancora più evidente che le difese del contribuente in appello non avrebbero potuto rappresentare in nessun caso una mutatio libelli, proprio perché non esistevano fatti processuali idonei a minare la fondatezza dell’originaria sua domanda.

6. Conclusivamente, quindi, le pronunce in commento sono senz’altro apprezzabili sul piano del risultato raggiunto. I due casi, apparentemente diversi, sono accumunati da un’identica questione processuale, così riassumibile: un motivo di ricorso formulato in modo ampio in Commissione Tributaria Provinciale può essere oggetto di una più puntuale specificazione anche in secondo grado da parte del contribuente appellante, tanto più se tale specificazione sia finalizzata a dimostrare l’inidoneità delle difese di primo grado dell’Ufficio a contrastare l’originaria domanda giudiziale. Le ordinanze in esame sarebbero state certamente ancora più pregevoli qualora avessero esaminato le questioni trattate sotto il profilo del mancato assolvimento dell’onere della prova in primo grado da parte dell’Ufficio con riferimento ai fatti affermati, piuttosto che sotto quello dello ius variandi dell’appellant