argomento: Profili europei e Internazionali - Giurisprudenza
La sentenza conferma l’indirizzo della Corte di Giustizia verso il riconoscimento di diritti, azionabili in giudizio, dei soggetti coinvolti nelle procedure di scambio di informazioni. Permane ancora, peraltro, il principio della tutela differita per il contribuente cui le informazioni si riferiscono.
» visualizza: il documento ()PAROLE CHIAVE: scambio informazioni - diritti del contribuente - tutela giurisdizionale
di Stefano Dorigo
Nell'ambito dell'Unione, sulla base di quanto desumibile dalla Carta dei diritti fondamentali, che è parte integrante del diritto dell'UE e quindi obbligatoria per gli Stati membri e le istituzioni comunitarie, si è ritenuto che il contribuente debba poter essere informato dell'esistenza della procedura di scambio al fine di difendere efficacemente i propri diritti. Tuttavia, ad oggi, non esistono norme che attuino effettivamente la protezione delle persone coinvolte nello scambio di informazioni, siano esse il contribuente o i terzi che detengono le informazioni.
Tuttavia, un impulso a superare questi limiti proviene dalla giurisprudenza della CGUE. Nella sentenza Sabou (ECJ (Grand Chamber), C-276/12, 22 ottobre 2013, Sabou, ECLI:EU:C:2013:678), essa ha inizialmente negato che le direttive sullo scambio di informazioni possano far nascere dei diritti che il contribuente sia libero di esercitare immediatamente nel corso della procedura. Secondo la Corte, il diritto di difesa è comunque tutelato nella fase successiva della procedura, come regolato dai singoli ordinamenti statali. Tuttavia, non era chiaro se, in quella fase, il contribuente potesse contestare la legalità della procedura di scambio di informazioni tra Stati.
Nella sentenza Berlioz (CJEU (Grand Chamber), C-682/15, 16 maggio 2017, Berlioz Investment Fund S.A. v Directeur de l'administration des contributions directes, ECLI:EU:C:2017:373), pur riconoscendo che la procedura di scambio di informazioni avviene tra Stati, la Grande Camera della CGUE ha ribadito l'importanza di rispettare "i diritti fondamentali garantiti nell'ordinamento giuridico dell'Unione", compresi quelli sanciti dall'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali. Di conseguenza, il diritto dell'Unione impone a ciascuno Stato di consentire ai terzi ai quali sia stato ordinato di consegnare documenti relativi al contribuente nell'ambito di una procedura di cooperazione internazionale di contestare sia la legittimità delle decisioni che impongono una sanzione per la mancata consegna di tali documenti sia gli eventuali vizi della domanda di assistenza amministrativa internazionale dinanzi alle autorità giudiziarie del loro Stato di residenza.
Per garantire l'effettività di questo diritto, la Corte ha riconosciuto a questi terzi il diritto di accedere ai documenti oggetto della procedura di cooperazione interstatale. Su questo punto, la Grande Camera ha sottolineato la necessità di non alterare il "principio di uguaglianza delle armi, che è un corollario del concetto stesso di processo equo". Esiste quindi un equilibrio tra le due opposte esigenze (dello Stato e del soggetto privato), considerando che il risultato non deve sacrificare completamente un'esigenza all'altra.
Le sentenze Sabou e Berlioz hanno entrambe ritenuto che i diritti del contribuente possano essere adeguatamente garantiti nello Stato richiedente, dopo la chiusura della procedura di scambio di informazioni, impugnando l'accertamento basato sui dati scambiati. Berlioz, a differenza della decisione precedente, si spinge fino a riconoscere un diritto del terzo che detiene informazioni sul contribuente a una protezione giudiziaria immediata contro la richiesta di cooperazione fiscale tra i due Stati membri, con conseguente ordine nei suoi confronti di produrre tali informazioni. Tuttavia, ci sono alcuni punti che continuano a suscitare dubbi: in primo luogo, la protezione processuale differita del contribuente può arrivare in un momento in cui i suoi diritti sono già stati compromessi; in secondo luogo, l'impossibilità per il medesimo di contestare la legalità della richiesta di cooperazione fiscale davanti ai giudici dello Stato del terzo detentore delle informazioni è in conflitto con altri diritti fondamentali, diversi dal diritto alla protezione giudiziaria effettiva, come il diritto alla protezione della privacy e al corretto trattamento dei suoi dati personali.
Nelle sue conclusioni alla Corte, l'avvocato generale Kokott ha sostenuto con forza che i diritti del contribuente devono essere protetti nello Stato di residenza del detentore delle informazioni sotto due aspetti. Dopo aver confermato l'approccio già adottato nella causa Berlioz, secondo cui "il destinatario di un ordine di informazioni emesso nell'ambito di uno scambio tra autorità fiscali degli Stati membri ai sensi della direttiva 2011/16 ha diritto, ai sensi dell'articolo 47 della Carta, al controllo giurisdizionale della legittimità di tale decisione", l'avvocato generale ha confermato il diritto del contribuente di impugnare direttamente gli atti della procedura di scambio di informazioni, che "riguarda informazioni su conti, saldi di conti, altri beni e partecipazioni di una persona fisica, cioè dati personali" (Opinion of AG Kokott, 2 luglio 2020, ECLI:EU:C:2020:516, par. 58). Di conseguenza, per quanto riguarda questi dati viene preso in considerazione il diritto alla protezione dei propri dati personali di cui all'articolo 8 della Carta dei diritti fondamentali, poiché "l'obbligo del destinatario dell'ordine di informazioni di trasmettere questi dati all'amministrazione fiscale costituisce, di per sé, un'interferenza nel diritto fondamentale del contribuente" (ibid., par. 65).
Secondo l'avvocato generale, quindi, è necessario - come richiesto sia dall'articolo 47 della Carta che dalle disposizioni (articoli 7 e 8) relative al rispetto della vita privata - che il contribuente possa impugnare direttamente la richiesta di scambio di informazioni, nonché i conseguenti ordini di produrre informazioni rivolti dalle autorità dello Stato richiesto al titolare delle informazioni, non essendo sufficiente tutelare i diritti del primo mediante un'impugnazione differita dell'atto di accertamento basato sui dati scambiati. Come si legge nelle conclusioni dell'AG, infatti, se nello Stato richiedente tali informazioni non fossero considerate rilevanti e quindi non venisse emesso alcun accertamento, il contribuente rimarrebbe senza tutela giurisdizionale contro una violazione del suo diritto alla privacy già avvenuta.
In questa prospettiva, quindi, la giurisprudenza Berlioz dovrebbe essere completamente superata, in particolare riconoscendo al contribuente il pieno diritto - non solo procedurale ma anche, come detto, sostanziale - di contestare davanti ai giudici dello Stato richiesto la legittimità della richiesta di informazioni in nome del diritto alla protezione della vita privata e dei dati personali riconosciuto dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Se questa posizione fosse stata sostenuta dalla Corte, oggi saremmo in grado di parlare del pieno riconoscimento dei diritti dei contribuenti nelle procedure di scambio di informazioni nel sistema UE. Al contrario, la CGUE ha mantenuto una posizione cauta, superando in parte i limiti dei propri precedenti, ma evitando comunque un'apertura generale a favore del contribuente come richiesto dall'avvocato generale.
Al contrario, secondo la Corte, i contribuenti coinvolti nell'indagine da cui ha avuto origine la richiesta di scambio di informazioni non hanno lo stesso diritto. Anche se, teoricamente, l'articolo 47 della Carta concede al contribuente il diritto a una protezione giudiziaria effettiva nelle procedure che riguardano i suoi dati, ciò non giustifica la sua azione diretta contro la decisione dello Stato richiesto rivolta a un terzo che possiede i dati del contribuente. Infatti, secondo la sentenza, il contribuente ha diritto a una protezione effettiva davanti alle autorità del suo Stato di residenza, e può esercitarla contro qualsiasi accertamento basato su dati scambiati.
Tuttavia, questo diritto, che il tribunale riafferma in continuità con la sentenza Sabou, sembra ora aver acquisito una portata più ampia. In quanto tale, il contribuente deve anche avere in ogni caso la possibilità di far valere, davanti al proprio giudice nazionale, i vizi della richiesta originaria e di contestare la conseguente decisione emessa dalle autorità interpellate nei confronti del titolare dei suoi dati.
La sentenza in questione, quindi, da un lato ribadisce le conclusioni della precedente sentenza Berlioz sia per quanto riguarda il diritto diretto del titolare delle informazioni che quello indiretto del contribuente. Dall'altro, però, estende la tutela al contribuente coinvolto nella procedura di scambio di informazioni, consentendogli - anche se solo una volta conclusa la procedura di cooperazione internazionale - di mettere in discussione l'originaria richiesta di assistenza dello Stato richiedente.
La sentenza della CGUE riconosce che il diritto di un contribuente di contestare davanti a un giudice i motivi di una richiesta di scambio di informazioni tra due Stati membri riguarda non solo l'aspetto procedurale (cioè il diritto a un ricorso effettivo ai sensi dell'articolo 47 della Carta), ma soprattutto l'aspetto sostanziale, essendo il primo il mezzo per proteggere il diritto di ogni persona al rispetto della sua vita privata. Tuttavia, la Corte non ha avuto il coraggio di arrivare a riconoscere la possibilità per il contribuente di avere una protezione diretta contro gli atti della procedura di cooperazione internazionale davanti ai giudici dello Stato richiesto. In breve, il contribuente deve aspettare che le informazioni scambiate siano alla base di un accertamento da parte delle autorità fiscali del proprio Stato per poter contestare, attraverso un ricorso contro tale accertamento, i vizi della domanda iniziale che ha dato origine alla procedura di scambio di informazioni. (
La sentenza in commento non innova molto rispetto ai precedenti della Corte. Ne è testimonianza il costante rinvio che viene effettuato, in molti passaggi della motivazione, ai precedenti sopra citati. Tuttavia, alcuni brani meritano di essere sottolineati, siccome in grado di rivelare nuovi approdi nella ricostruzione teorica dei diritti del contribuente durante le procedure di scambio di informazioni da parte della Corte.
La vicenda non appare particolarmente singolare. Si trattava della richiesta di informazioni che l’amministrazione fiscale francese aveva indirizzato alle omologhe autorità del Lussemburgo nel contesto di una indagine nei confronti di una società francese titolare di alcuni immobili. Tale richiesta mirava ad ottenere notizie circa i soci della società lussemburghese che appariva detenere il capitale della prima, in particolare per individuare i beneficiari effettivi degli immobili in questione. Ancora una volta, quindi, le autorità lussemburghesi avevano indirizzato una ingiunzione di esibizione documentale alla società locale e, a fronte del suo rifiuto, irrogato una sanzione pecuniaria, che era stata infine impugnata dinanzi all’autorità giudiziaria, dando origine al rinvio pregiudiziale.
Come si anticipava, rispetto alla tutela dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali nel contesto di una procedura di scambio su richiesta, la Corte conferma i propri precedenti. Da un lato, essa ricorda che il diritto ad un ricorso effettivo deve comportare la possibilità, per il giudice nazionale adìto, di avere accesso alla richiesta di informazioni sulla cui base è stata emessa l’ingiunzione di esibizione e la conseguente sanzione; dall’altro, conferma che al fine del suo sindacato non è necessario che egli abbia accesso all’intera richiesta, bensì solo “alle informazioni minime di cui all’articolo 20, paragrafo 2, della direttiva 2011/16, vale a dire l’identità della persona oggetto della verifica o indagine e il fine fiscale per il quale si richiedono le informazioni” (par. 91).
Allo stesso tempo, viene ribadito il diritto del destinatario dell’ingiunzione di conoscere la motivazione della stessa con riguardo alla domanda di scambio di informazioni, al fine di valutare la legittimità e la fondatezza di quest’ultima e di definire conseguentemente il proprio contegno processuale.
Deve, al contrario, essere garantito al medesimo soggetto il diritto di conoscere la motivazione dell’ingiunzione e, quindi, di impugnarla dinanzi ad un giudice nazionale competente. Con una conseguenza di non poco conto: laddove questo giudizio confermasse la legittimità dell’ingiunzione, la persona che ne è la destinataria deve poter essere rimessa in termini al fine di adempiere senza incorrere in sanzioni. Si tratta di un approdo rilevante, che enfatizza il diritto individuale alla conoscenza della richiesta di scambio di informazioni presupposta all’ingiunzione di consegna e nega che un contenzioso attivato per avere piena contezza della prima possa configurare una violazione sanzionabile. Detto altrimenti, nessun ritardo nella fornitura di documenti può condurre ad una sanzione fino al momento in cui il soggetto obbligato non sia stato messo nella condizione di comprendere l’ingiunzione ed il suo fondamento e, quindi, di decidere efficacemente (e consapevolmente) la propria condotta.
Il secondo passaggio rilevante della sentenza in commento riguarda i caratteri essenziali che una richiesta di scambio di informazioni deve avere per essere conforme alla disciplina europea in materia. Il tema è quello, assai risalente, della “prevedibile rilevanza” che le informazioni richieste manifestano in relazione all’indagine tributaria dello Stato richiedente. Secondo l’indirizzo più volte confermato dalla Corte, l’onere di specificare tale requisito discende dal principio di sovrana uguaglianza tra gli Stati, il quale sarebbe violato se uno Stato fosse libero di porre a carico delle autorità amministrative di un altro ordinamento attività meramente esplorative rispetto ad una fattispecie non ancora sufficientemente indagata dal primo.
Nel caso di specie, il ragionamento della Corte ruota attorno all’individuazione dell’identità del contribuente al quale l’indagine svolta nello Stato richiedente si riferisce. Un primo aspetto degno di nota riguarda il modo attraverso il quale ricostruire tale requisito. La Corte, infatti, afferma che -essendo collegato all’applicazione di una disciplina di matrice europea- esso costituisce “nozione autonoma del diritto dell’Unione” (par. 50) e, come tale, deve essere interpretato a prescindere da eventuali definizioni presenti negli ordinamenti degli Stati membri.
Sulla base di tale petizione di principio, la sentenza Lussemburgo c. L fornisce quindi gli elementi essenziali per la ricostruzione della nozione in considerazione. Come si legge nei parr. 69 e ss. della sentenza, la Corte richiama l’elaborazione già operata in ambito OCSE in relazione al divieto di fishing expeditions e con riferimento alla categoria, di recente introduzione sul piano internazionale, delle richieste di gruppo. Tuttavia, il forte sistema di tutela dei diritti che caratterizza l’ordinamento europeo rispetto a quello internazionale conduce la Corte ad effettuare una serie di precisazioni che appaiono quanto mai rilevanti.
Da un lato, essa riconosce che l’identificazione del contribuente, ancor più nel caso in cui si tratti di una persona giuridica, non può ricondursi ad una identificazione individuale attuata mediante il suo nome. Ciò, infatti, restringerebbe oltremodo la capacità di uno Stato membro di rivolgere valide richieste ad un altro, considerato tra l’altro che “la richiesta di informazioni, così come la decisione recante ingiunzione di comunicare informazioni, intervengono nel corso della fase preliminare di tale verifica o di tale indagine, il cui scopo è di raccogliere informazioni di cui si suppone che l’autorità ricorrente non abbia una conoscenza precisa e completa” (par. 60).
Tuttavia, e qui si rinviene l’attenzione della sentenza per l’esigenza di circoscrivere in modo il più possibile certo e rigoroso la discrezionalità dello Stato richiedente, nel caso in cui le autorità di quest’ultimo non siano in grado di identificare nominativamente il contribuente, occorre che il gruppo di persone cui in astratto la richiesta può riferirsi non sia troppo generica, in modo da non superare l’ambito dell’indagine fiscale in corso e porre a carico dell’autorità richiesta un onere sproporzionato. Quindi, secondo la Corte, occorre che in casi del genere venga fornita “una descrizione il più dettagliata e completa possibile del gruppo di contribuenti oggetto della verifica o indagine, specificando l’insieme comune di qualità o caratteristiche distintive delle persone che ne fanno parte in modo da consentire all’autorità interpellata di procedere alla loro identificazione”; e che, inoltre, vengano spiegati “gli obblighi fiscali specifici che gravano su tali persone e, in terzo luogo, di illustrare le ragioni per le quali dette persone sono sospettate di aver commesso le omissioni o le violazioni oggetto della verifica o dell’indagine” (par. 67).
Si coglie, in questo brano, la preoccupazione della Corte di non esporre tanto lo Stato richiesto, quanto la persona alla quale verrà indirizzata l’ingiunzione di esibizione ad un onere, da un lato, sproporzionato, dall’altro disancorato da elementi sufficientemente precisi e, quindi, tale da non consentire un adeguato margine di valutazione (secondo i parametri di cui si è parlato sopra).
Allo stesso tempo, peraltro, la Corte dimostra di voler realizzare un bilanciamento tra i diritti individuali e l’esigenza -propria dell’ordinamento europeo nel suo complesso- di non ostacolare il meccanismo di scambio di informazioni e soprattutto di non privarlo di efficacia nella lotta alla frode ed all’evasione fiscale internazionale che ne costituiscono lo scopo principale. Si afferma, perciò, che l’ampiezza del metodo con il quale può essere ricostruita la nozione di identità della persona oggetto di indagine si giustifica proprio con l’esigenza (più che mai sentita nel contesto della crisi economica globale in atto) di non creare nel sistema della cooperazione amministrativa europea delle facili scappatoie protette da una applicazione troppo rigorosa delle sue norme.
In secondo luogo, la Corte delinea il perimetro di tale possibilità di sindacato da parte dei giudici nazionali, ancorandolo ancora una volta al requisito della prevedibile rilevanza declinata, tuttavia, con riferimento all’individuazione del contribuente sottoposto a verifica. Il punto di approdo è solo apparentemente coerente con gli indirizzi internazionali in merito alla legittimità delle richieste di gruppo. Viene, infatti, delineato in modo rigoroso il complesso delle motivazioni che lo Stato richiedente deve fornire al fine di ottenere la collaborazione delle autorità dello Stato richiesto. In questo modo, viene ad essere ulteriormente rafforzata la tutela giurisdizionale del soggetto detentore delle informazioni, dal momento che maggiore è il dettaglio delle indicazioni che devono essere fornite nella richiesta, più ampio è il potenziale sindacato del giudice dello Stato richiesto.
Nel complesso, quindi, esce ulteriormente rafforzata l’esigenza che la cooperazione fiscale in ambito europeo si svolga in un contesto di rigoroso rispetto dei diritti, in particolare quello concernente la tutela giurisdizionale. Resta ancora una volta fuori dalle considerazioni della Corte la posizione del contribuente sottoposto alle indagini nello Stato richiesto e potenziale destinatario dell’accertamento fondato sui documenti scambiati tra Stato richiedente e Stato richiesto. Tuttavia, l’ampiezza dell’approccio della Corte sul tema del rispetto dei diritti nello scambio di informazioni, lascia presagire che -laddove un rinvio pregiudiziale riguardi direttamente l’applicabilità dell’art. 47 della Carta al contribuente sottoposto a verifica nello Stato richiedente- possa essere anche in questo caso superato il principio della tutela differita che, il più delle volte (e la Corte dimostra di esserne ben consapevole), si traduce in un sostanziale diniego di tutela.