Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

08/11/2022 - Obbligazione doganale e iva all'importazione. La responsabilità solidale del rappresentante indiretto

argomento: IVA - Giurisprudenza

La Corte di giustizia dell’Unione europea, con la sentenza del 12 maggio 2022, causa C-714/20, ha affermato che l’iva all’importazione non rientra nella definizione di obbligazione doganale. Difatti, l’art. 5, punto 18, del Codice doganale dell’Unione (Reg. UE n. 952/2013), dispone che per obbligazione doganale si intende esclusivamente l’obbligo di un soggetto di essere gravato (solo) dei dazi conseguenti all’importazione. Sicché, quando l’autorità doganale accerta che l’irregolare introduzione di merci nel territorio europeo è imputabile sia all’importatore che al rappresentante indiretto, a quest’ultimo può essere intimata – solidalmente con l’importatore – la pretesa per il maggior dazio, ma non la maggiore iva all’importazione, in quanto nessuna responsabilità solidale sussiste in ordine a tale tributo interno.

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PAROLE CHIAVE: obbligazione doganale - iva all - responsabilità solidale - rappresentanza in dogana


di Alessandro Tropea

  1. La Corte di giustizia dell’Unione europea, con la sentenza del 12 maggio 2022, causa C-714/20, ha maturato il corretto convincimento secondo il quale nella defizione di obbligazione doganale, data dall’art. 5, punto 18, Reg. Ue n. 952/2013 (Codice doganale dell’Unione), non rientra l’iva all’importazione. La sentenza è condivisibile nella conclusione, non convince invece il ragionamento logico sottostante. La vicenda trae origine dal controllo effettuato dall’Agenzia delle Dogane italiana su specifiche importazioni di merci. Sono scaturiti atti impositivi emessi nei confronti sia dell’importatore che del rappresentante indiretto. Entrambi sono stati ritenuti solidalmente responsabili per il maggior dazio e per la maggiore iva all’importazione. Precisamente, secondo l’autorità doganale, l’iva all’importazione e i dazi sarebbero sacrifici impositivi che scaturirebbero dall’introduzione di merci estere nel territorio europeo. Il rappresentante indiretto ha impugnato la pretesa della maggiore iva all’importazione avanti la Commissione tributaria provinciale di Venezia, specificando che – a differenza del dazio – la pretesa iva deve essere pretesa solo dall’importatore, atteso che la responsabilità solidale tra loro intercorrente attiene solo ai maggiori dazi. Il Collegio giudicante di primo grado ha rimesso la questione ai giudici europei, chiedendo come interpretare l’art. 201 della Direttiva 2006/112/CE, concernente i debitori dell’iva all’importazione, in seno all’art. 77, par. 3, del Codice doganale dell’Unione, che attiene invece alla responsabilità solidale del rappresentante doganale indiretto con l’importatore (in dottrina, si veda Vismara, L’obbligazione doganale nel diritto dell’Unione europea, Torino, 2019, p. 29. Per una ricostruzione storica dell’argomento, cfr. S. Fiorenza, Dichiarazione e destinazione doganale, Padova, 1982, p. 194. Con riferimento ai temi iva, si veda A. Comelli, Iva comunitaria e Iva nazionale, Padova, 2000, p. 560).
  2. La Corte europea ha saputo rilevare l’equivoco interpretativo commesso dall’autorità doganale italiana, ma non è stata in grado di spiegare la differenza che sussiste tra “riscossione solidale” del dazio nei confronti del rappresentante indiretto e dell’importatore, da una parte, e la “pretesa unilaterale” dell’iva all’importazione solo nei confronti dell’importatore, dall’altra. Come rilevato dalla Corte europea, gli accertatori avevano giustifato la pretesa dell’iva all’importazione nei confronti del rappresentante indiretto in forza di una errata interpretazione dell’art. 77, par. 3, Cdu. Invero, esso dispone che “Il debitore è il dichiarante. In caso di rappresentanza indiretta, è debitrice anche la persona per conto della quale è fatta la dichiarazione in dogana” (per una approfondita disamina, si veda Scuffi – F. Vismara, Il Codice doganale dell’Unione. Commento sistematico, Milano, 2021, p. 253). Sicché, secondo la fallace ricostruzione dell’amministrazione doganale, se il dichiarante indiretto è colui che agisce in dogana in nome proprio, ma per conto d’altri, allora anche a questi dovrebbe essere richiesto il debito dei maggiori tributi che sorgono per effetto dell’importazione, quali indistintamente il dazio e l’iva all’importazione. Ma, come ha affermato il Giudice europeo con questa sentenza, il Codice doganale dell’Unione, al punto 18 dell’art. 5, dispone che per obbligazione doganale si intende “l’obbligo di una persona di corrispondere l’importo del dazio all’importazione”, nulla disponendo per l’iva all’importazione (sul punto, F. Marrella – P. Marotta, Codice doganale dell’Unione europea commentato, Milano, 2019, p. 67). Dunque, la Corte di giustizia ha concluso che il rappresentante doganale indiretto, ossia – come detto – colui che dichiara in dogana per conto d’altri, ma senza spenderne il nome, può essere considerato responsabile, in solido con l’importatore non palesato, solo del maggior dazio, ma mai dell’iva all’importazione, la quale non è inclusa nel paragrafo 3 dell’articolo 77 del Codice doganale dell’Unione (i temi della rappresentanza in dogana sono stati sviluppati da P. Bellante, Il sistema doganale, Torino, 2020, p. 245. Per un inquadramento dogmatico, si veda S. Armella, Diritto doganale dell’Unione europa, Milano, 2017, p. 114. Il rapporto doganale è stato osservato anche da V. Mercurio, Lezioni di diritto doganale tributario, Bologna, 2021, p. 45).
  3. Il punto critico della sentenza rigurda l’iva. Il ragionamento dei giuduci europei è condivisibile quando affermano che l’iva all’importazione è un tributo interno, ma non convince invece la ricostruzione intorno al soggetto passivo del tributo sorto per effetto dell’importazione (si veda Cordeiro Guerra, L’imposta sul valore aggiunto, in P. Russo (a cura di), Manuale di diritto tributario, ed. II, 1996, p. 671). Nello specifico, la sentenza – aderente alla consolidata giurisprudenza unionale – ha ribadito che l’iva all’importazione, pur essendo liquidata e riscossa con modalità operative analoghe a quelle dei diritti doganali (art. 70, par. 2, Direttiva 2006/112/CE), non può essere accomunata al “dazio” in senso proprio (Corte giust. UE, sent., 3 marzo 2021, causa C-7/2020). L’iva – afferma la Corte – è semplicemente un tributo interno allo Stato membro, funzionale ad incidere i consumi di beni e servizi (cfr. Corte giust. UE, sent., 8 ottobre 2020, causa C-621/19; Corte giust. UE, sent., 10 luglio 2019, causa C-26/18; Corte giust. UE, sent., 2 giugno 2016, cause riunite C-226/14 e C-228/14; Corte giust. UE, sent., 29 luglio 2010, causa C-248/09. Già la nota sentenza Equoland del 17 luglio 2014 causa C-272/13 aveva precisato che l’iva all’importazione è un tributo di diritto interno). L’iva – specifica la sentenza – a differenza del dazio, è un tributo interno, nel senso che la legislazione europea è adottata prevalentemente con direttive che, per essere operative, devono essere trasposte negli ordinamenti dei singoli Stati membri attraverso disposizoni interne. In buona sostanza, tramite le direttive iva, il legislatore europeo ha attribuito ai singoli ordinamenti domestici ampie facoltà procedurali di attuazione dell’imposta (cfr. P. Filippi, L’imposta sul valore aggiunto, in A. Amatucci (a cura di), Trattato di diritto tributario, vol. IV, Padova 2001, p. 266. Con riferimento alla matrice europea dell’iva, si veda P. Boria, Diritto tributario europo, ed. III, Milano, 2017, p. 349). Il punto critico, che non si condivide, riguarda l’interpretazione data all’art. 201 della Direttva 2006/112/CE. Con esso i singoli Stati europei decidono chi debba essere il soggetto chiamato a corrispondere l’iva all’importazione. In forza di ciò, la sentenza afferma che nell’ordinamento italiano – al momento della verificazione dell’importazione oggetto di accertamento – non era vigente alcuna legge, di recepimento dell’art. 201 della Direttiva Iva, che imponesse al rappresentante doganale (diretto e indiretto) di corrispondere l’iva in solido con l’importatore. Difatti, il quadro normativo nazionale, perimetrato dalla lettera congiunta degli artt. 17 e 70 del d.p.r. 633/1972 (ad oggi non mutato), impone che il soggetto passivo dell’iva all’importazione è solo il soggetto che importa la merce, nulla disponendo in relazione al rappresentante doganale (in argomento, si veda L. Tosi – R. Baggio, Lineamenti di diritto tributario internazonale, ed. II, Milano, 2022, p. 319. Più recentemente, cfr. M. Spera, Temi speciali di Iva nelle transazioni internazionali, in Aa.Vv. (a cura di), Manuale di fiscalità internazionale, ed. IX, Milano, 2022, p. 2301). Pertanto, secondo la sentenza qui in commento, il rappresentante doganale (diretto e indiretto) non può essere considerato debitore in solido dell’iva all’importazione non versata dall’importatore, se non vi è una specifica legge nazionale che lo preveda esplicitamente (in vigenza del precedente Codice doganale comunitario, le responsabilità doganali del rappresentante indiretto sono state esaminate da M. Trivellin, Rappresentanza indiretta nel regime dell’immissione in libera pratica: problematiche aperte sulla soggettività passiva in materia di dazi e di iva all’importazione, in Dir. prat. trib., 2004, p. 551).
  4. Seguendo il ragionamento della Corte di giustizia, il creditore pubblico europeo, quando deve incamerare il maggior dazio accertato (tributo proprio dell’Unione), godrebbe di un’ampia platea di soggetti, solidalmente responsabili, verso i quali potersi rifare (importatore e rappresentante indiretto), perché ciò è previsto esplicitamente l’art. 77, par. 3, Cdu. Invece, il creditore erariale italiano, quando deve riscuotere l’iva all’importazione (tributo nazionale), in assenza di una specifica legge che estenda la platea dei debitori, potrebbe solo rifarsi nei confronti dell’importatore. Quindi, secondo i Giudici europei, dalla medesima importazione accertata emergerebbe che l’ordinamento europeo (creditore del dazio), vista la solidarietà passiva intercorrente tra importatore e rappresentante indiretto, sarebbe maggiormente garantito in raffronto all’ordinamento italiano (creditore dell’iva all’importazione) solo per il fatto che quest’ultimo si sarebbe dimenticato di disciplinare, attraverso una norma interna, la soggettività passiva dell’iva all’importazione anche nei confronti del rappresentante doganale indiretto. Quindi, semplificando, il medesimo fatto (importazione) provocherebbe due diversi effetti riscossivi, uno per il dazio e l’altro per l’iva all’importazione, in ragione della dimenticanza o, comunque, dell’inesistenza di una legge nazionale che attribuisca al rappresentante indiretto le responsabilità passive già previste per l’importatore. Ciò non è condivisibile. Invero, il legislatore italiano non si è dimenticato di istituire una norma di estensione della responsabilità a soggetti diversi dall’importatore, in forza dell’art. 201 della Direttiva Iva. Una siffatta disposizione non collimerebbe con i principi che reggono e governano l’imposta sul valore aggiunto, la quale è stata istituita per colpire il “consumo” di beni e servizi avvenuto entro il territorio europeo, come disposto dall’art. 1, par. 2, Direttiva 2006/112/CE. Per “consumo” si intende la capacità di ritrarre le utilità dall’uso del bene o dal godimento del servizio. Col consumo, quindi, il bene o il servizio compravenduto devono risultare non più trasferibili ad altri, perché privi di una seconda utilità. Per cui, l’unico soggetto che potrebbe essere inciso da questo tributo è il consumatore finale, visto che egli, a seguito dell’uso dei beni o del godimento dei servizi acquistati, esaurisce tutte le utilità in esse incorporate. Sicché, il soggetto situato a monte del consumatore finale, attraverso i meccanismi dell’obbligo di rivalsa e del diritto di detrazione, deve risultare neutrale al tributo, in quanto non consuma (la dottrina sul punto è ampia; per tutti, si veda, Bosello, L’imposta sul valore aggiunto. Aspetti giuridici, Bologna, 1979, p. 21; R. Perrone Capano, L’imposta sul valore aggiunto. Disciplina legislativa ed effetti. Spunti ricostruttivi, Napoli, 1977, p. 5; F. Gallo, Profili di una teoria dell’imposta sul valore aggiunto, Roma, 1974, p. 44. Ai nostri fini, si rinvia altresì a E. Forte, Immissione in libera pratica, in Aa.Vv., Il diritto tributario comunitario, Milano, 2004, p. 250). Rapportando tali postulati al caso di nostro interesse emerge che qualora la legge nazionale individuasse il rappresentante doganale indiretto come responsabile in solido con l’importatore per l’iva dovuta all’ingresso della merce nel territorio europeo, il tributo – per assurdo – sarebbe corrisposto da un soggetto, il rappresentante, in conseguenza del consumo effettuato o effettuabile da altri, l’importatore o i suoi cessionari. Infatti, nel concreto, il rappresentante in dogana, sia esso diretto che indiretto, svolge il limitato compito di dichiarare la volontà di importazione (o di esportazione) per conto dell’importatore, spendendo o meno il nome di questi avanti l’autorità di confine. Sicché, mai il rappresentante potrebbe essere astrattamente idoneo a consumare questa merce e trarne le relative utilità all’interno del territorio europeo. Pertanto, diversamente da quanto affermato dalla Corte di giustizia con la sentenza qui in commento, l’art. 201 della Direttiva Iva non può essere interpretato nel senso che ogni ordinamento nazionale può liberamente scegliere chi nominare come soggetto passivo dell’iva all’importazione. Esso andrebbe interpretato, invece, nel senso che l’obbligo di corresponsione del tributo in seno all’importazione di merci deve essere un obbligo gravante in capo a colui che, almeno potenzialmente, sarebbe in grado di consumare la merce, cioè di ritrarre le utilità per via dell’uso dei beni importati o, comunque, di farla consumare ad altri soggetti situati a valle della catena distributiva. Ampliando il tema dell’estensione di responsabilità in materia di iva, è noto che non la legge nazionale, bensì la giurisprudenza comunitaria ha già statuito il principio in ordine al quale la debenza del tributo, al ricorrere di specifiche circostanze, può essere rivolta a colui che sapeva o avrebbero dovuto ragionevolmente sapere che l’operazione si iscriveva nell’ambito di una frode. Quindi, semplificando, il sistema iva è vagamente capace di garanrtire il creditore pubblico circa la corretta riscossione dell’iva evasa, ampliando la platea dei debitori. Purtroppo, come detto, si tratta di una garanzia non disciplinata da leggi, ma estrapolata dalla giurisprudenza unionale. Ciò provoca inevitabilmente la non uniforme applicazione della disciplina (sul punto, A. Giovanardi, Le frodi Iva. Profili ricostruttivi, Torino, 2013, p. 69).
  5. Invece, il dazio, diversamente dall’iva all’importazione, può correttamente essere attribuito solidalmente all’importatore e al rappresentante doganale indiretto. L’art. 77, par. 3, Cdu è aderente ai principi che reggono il diritto doganale. Difatti, la nascita dell’obbligazione daziaria all’importazione è correlata alla realizzazione congiunta di due circostanze: (i) occorre che la merce estera oltrepassi la linea di confine doganale; (ii) occore la manifestazione di volontà (“tacitita = fatto concludente” o “esplicita = dichiarazione d’importazione”) di introdurre permanentemente i beni esteri nel circuito economico dell’Unione europea (c.d. “immissione in libera pratica”). Sia la fisica introduzione della merce in Europa, che la manifestazione di volontà d’importazione sono circostanze che certamente il rappresentante doganale indiretto esegue per conto dell’importatore, rimasto anonimo nella dichiarazione doganale trasmessa all’autorità di confine. Per cui, appare conforme ai principi generali dell’obbligazione doganale definire responsabile solidale il rappresentante indiretto, visto che è colui che rappresenta l’importatore ed esegue per suo conto l’introduzione della merce e la manifestazione di volontà dell’importazione (per gli approfondimenti sui presupposti dell’obbligazione doganale si rimanda a Vismara, L’obbligazione doganale nel diritto dell’Unione europea, cit., p. 32. Nello stesso senso, si veda C. Corrado Oliva, Il presupposto di accise e dazi doganali, Milano, 2018, p. 49).
  6. Il distinguo tra soggetti passivi ai fini daziari e ai fini dell’iva all’importazione non è adoperato correttamente nemmeno dalla Corte di cassazione. È ondivago l’indirizzo giurisprudenziale sulla responsabilità solidale del rappresentante doganale in materia di iva all’importazione. Per un verso, i giudici di legittimità, con la sentenza n. 11029 del 27 aprile 2021, avevano affermato che “(…) del pagamento dell’IVA all’importazione risponde non soltanto l’importatore, ma anche solidalmente il suo rappresentante indiretto, che abbia presentato la dichiarazione doganale (…). L’obbligazione per l’IVA all’importazione infatti deve sicuramente ricomprendersi tra gli oneri doganali (ancorchè non sia classificabile come “diritto di confine”) e pertanto deve essere accertata e riscossa nel momento in cui si verifica il presupposto impositivo ossia il fatto dell’importazione” (in questo senso, si veda anche Cass., 4 dicembre 2019, n. 31611; Cass., 18 aprile 2018, n. 9455; Cass., 19 settembre 2014, n. 19749; Cass., 27 marzo 2013, n. 7720). Invece, un contrapposto orientamento, quasi in aderenza a quello espresso dalla sentenza della Corte di giustizia qui in commento, è rivenibile dalla Cass., 12 novembre 2019, n. 29195, confermativa delle sentenze n. 23674 del 24 settembre 2019 e n. 4384 del 14 febbraio 2019. Dette pronunce hanno ribadito che il fatto generatore e l’esigibilità dell’iva all’importazione sono collegati a quelli dei dazi (cfr. art. 70, par. 1 e 2, Direttiva 2006/112/CE), pur rimanendo comunque tributi distinti. Infatti, la natura interna dell’iva non ne consente l’assimilazione ai dazi, anche se l’iva all’importazione condivide con essi la caratteristica di trarre origine dal fatto dell’importazione della merce nell’Unione e della conseguente introduzione di esse nel circuito economico degli Stati membri. Avuto riguardo a quanto precede, anche nella giurisprudenza nazionale, come in quella europea, il soggetto passivo del dazio e dell’iva all’importazione non è individuato ricorrendo ai principi cardine delle due materie, tributaria e doganale (per una visione unitaria del tema, si veda Filippi, L’imposta sul valore aggiunto nei rapporti internazionali, in V. Uckmar (a cura di), Corso di diritto tributario internazionale, Padova, 2002, p. 1044. Con riferimento alla distinzione tra fatto generatore, esigibilità e momento impositivo dell’iva, si veda G. Fransoni, Il momento impositivo dell’imposta sul valore aggiunto, Milano, 2019, p. 33).  
  7. Occorre dare merito all’Agenzia delle Entrate, la quale, col principio di diritto n. 13 del 29 settembre 2021, anticipando la sentenza della Corte di giustizia qui in commento, ha affermato che il soggetto passivo iva è sempre l’effettivo proprietario dei beni e che nessuna responsabilità può essere imputabile al rappresentante in dogana in relazione all’iva all’importazione dovuta per l’introduzione dei merci nel territorio europeo. Tale principio è stato ribadito dalla seguente risposta all’interpello n. 644 del 1° ottobre 2021, in forza della quale è stato ripetuto che l’unico soggetto legittimato a esercitare il diritto di detrazione dell’iva all’importazione, anche in caso di accertamento doganale, è solo l’importatore della merce e mai il suo rappresentante in dogana. Quindi, in caso di rettifica del tributo interno all’importazione, l’unico soggetto che ne deve rispondere è colui che ha goduto o può ancora godere del diritto alla detrazione iva. Questo è il propretario della merce, cioè colui che può consumarla e goderne le utilità, e mai il suo rappresentante doganale. In definitiva, l’Agenzia delle Dogane, oltre ad uniformarsi alla sentenza del Giudice del Lussemburgo, è chiamata inevitabilmente a recepire il quadro regolamentare emanato dalle Entrate, giungendo così all’eliminazione della litigiosità sull’errata intimazione dell’iva all’importazione rivolta ai rappresentanti doganali per la solidarietà passiva con gli importatori.
  8. In conclusione, la Corte di giustizia dell’Unione europea, con la sentenza del 12 maggio 2022, causa C-714/20, chiarisce il perimetro nozionistico dell’obbligazione doganale. In essa non può rientrare l’iva all’importazione. Dazio e iva sono due tributi distinti per presupposto, momento impositivo, fatto generatore. Essi sono accomunati solo dalle modalità di esigibilità. Il dazio, tributo proprio dell’Unione europea, è richiesto a seguito dell’immissione della merce in libera pratica, ovvero quando l’importatore esprime la volontà (attraverso una regolare dichiarazione o mediante un fatto concludente) di modificare lo status della merce da non europea a europea. Invece, l’iva all’importazione, tributo proprio del singolo Stato membro, di cui una parte è devoluta indirettamente al bilancio comunitario, è dovuta per effetto dell’immissione della merce in consumo entro i confini europei, ovvero quando la merce, potendo essere consumata in Europa, è qui che il destinatario finale può trarne le utilità (consumo personale o consumo imprenditoriale). Sicché, in caso di acclarata irregolarità dell’importazione di merce da parte dell’autorità doganale, per l’intimazione dei maggiori dazi rispondono solidalmente l’importatore e il suo rappresentante, in quanto entrambi possono far sorgere i presupposti daziari di introduzione della merce estera in Europa e di espressione di volontà di introduzione della stessa nel mercato comune dell’Unione. Invece, per la pretesa della maggiore iva all’importazione deve risponde solo l’importatore, che è proprietario della merce importata. Solo questi può consumare la merce, ritraendone i benefici in essi incorporati, o può consentire tale consumo ai cessionari (soggetti situati a valle della catena distributiva). Mai una legge nazionale può prevedere l’estensione della responsabilità dell’iva al rappresentante doganale, diretto o indiretto che sia. Questi non può mai essere messo nelle condizioni di integrare il presupposto impositivo del consumo o, in caso di non consumo per via della seguente cessione, eseguire la detrazione del tributo corrisposto alla dogana all’atto dell’importazione (con riferimento alla detrazione iva, si rimanda a Logozzo, L’obbligo di fatturazione nell’Iva, Milano, 2004, p. 41; Id., Il diritto alla detrazione dell'IVA tra principi comunitari e disposizioni interne, in Rass. trib., 2011, p. 1069. Limitatamente ai temi dell’iva all’importazione nell’ambito del rapporti doganali, si veda S. Armella, EU Customs Code, Milano, 2017, p. 45. Per una ricostruzione della natura del dazio e dei presupposti legislativi, si vedano A. Pezzinga, La legge doganale, ed. II, Milano, 1993, p. 63. Per un approfondimento storico del momento impositivo in dogana, si osservi M. Di Lorenzo, Istituzioni di diritto doganale. Parte generale, Roma, 1954).