argomento: IVA -
Giurisprudenza
La Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, affronta il tema del principio di inerenza del bene (rectius: del suo acquisto) all’esercizio dell’impresa, ai fini della detrazione dell’IVA, ai sensi dell’art. 19 comma 1 d.p.r. 633/1972.
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il documento (Corte di Cass., sent. 26 novembre 2021, n. 36835)
PAROLE CHIAVE: inerenza del bene -
esercizio d -
onere della prova
di Simone Ariatti
- La decisione in commento attiene ai presupposti di operatività del diritto alla detrazione dell’I.V.A. sugli acquisti, ai sensi dell’art. 19, comma, 1, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633. Segnatamente, una impresa – operante nel settore della compravendita immobiliare – acquistava un immobile, poi concesso in locazione, inquadrato nella categoria catastale “A/10”. Come è noto, nella predetta categoria rientrano gli immobili adibiti ad “uffici e servizi”, vale a dire destinati ad attività chiaramente professionale e/o commerciale. Pacifica, dunque, sembrerebbe prima facie la qualifica del bene come inerente all’attività d’impresa “per destinazione naturale”, alla luce, in particolare, dell’inquadramento catastale. La Corte di Cassazione, tuttavia, aderendo ai rilievi critici sollevati dall’Agenzia delle Entrate, negava il riconoscimento del diritto alla detraibilità – pur trattandosi quantomeno formalmente di acquisto di immobile destinato ad attività imprenditoriale – perché, di fatto, mancava la prova di detta destinazione in concreto, non essendo sufficiente il mero inquadramento nella categoria A/10. La sentenza affronta dunque il tema relativo all’onere della prova insistente sul requisito dell’inerenza del bene (rectius: del suo acquisto) all’esercizio d’impresa, sancendo che l’inerenza non si presume ma deve essere provata caso per caso, e che detto stringente onere probatorio ricade sul contribuente. Il mero requisito della “strumentalità per natura” non trova cittadinanza nel campo di applicazione dell’IVA; in altre parole, non può presumersi che un bene, solo perché astrattamente destinato all’esercizio dell’impresa (come un determinato macchinario) ricada per ciò stesso nell’ambito operativo della detrazione (S. SALVATORE, Destinazione dell’immobile e diritto alla detrazione IVA, in Cooperative ed enti no profit, 2020, fasc. 10, pag. 26 e ss. ;P. CENTORE, La revisione in chiave europea dell’inerenza dell’I.V.A., in prat. trib., 2019, vol. 90, fasc. 3, II, p. 1269 e ss.; F. PEDROTTI, La detrazione dell’I.V.A. e il principio di inerenza ricavabile dall’art. 19 comma 1 DPR n. 633/1972: note critiche all’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità [nota a Cassazione, sez. trib., n. 11425/2015], in Riv. dir. trib., 2015, fasc. 5, II, p. 330 e ss.; A. VIGNOLI, Riflessioni sulla nozione di inerenza e sulla antieconomicità delle scelte imprenditoriali, in Riv. trim. dir. trib., 2018, vol. 3/4, p. 715 e ss.)
- Come accennato in premessa, la pronuncia in esame afferma, riprendendo un consolidato orientamento della stessa Cassazione (Cass. 03/06/2015 n. 11425), oltre che della giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea (CGUE, sentenza 11 luglio 1991, in C-97/90, Lennartz; sentenza 18 dicembre 2008, in C-488/07, Royal Bank of Scotland), che ai fini della detraibilità dell’I.V.A., ai sensi degli artt. 4 e 19 del d.p.r. n. 633/1972, è necessaria la prova della concreta destinazione del bene, non essendo sufficiente la c.d. “strumentalità per natura” dello stesso. Tale principio riprende quanto già espresso, in termini analoghi, nel citato precedente del 2015, relativo all’acquisto di una porzione di immobile adibito (almeno inizialmente) ad ufficio, da parte di un’azienda che produceva frutta e verdura. In tal caso il beneficio fiscale era stato concesso ma successivamente revocato, in considerazione della diversa destinazione, per l’appunto, cui era stato adibito l’ufficio acquistato. Anche in una ulteriore decisione dello stesso anno, la n. 8628 del 2015, la Corte aveva sancito identico principio, ammettendo però in quel caso la detrazione in relazione a spese sostenute per la ristrutturazione di un immobile avente catastalmente destinazione abitativa, ma che in concreto era utilizzato per lo svolgimento di attività di affittacamere di case vacanza (F. NAPOLITANO, ASD: detrazione IVA ammessa sull’immobile di terzi purché strumentale all’attività (anche solo potenziale), in Il Fisco, 2020, vol. 2, fasc. 43, pag. 4175 e ss.). Tali considerazioni aprono ad alcune riflessioni più approfondite sul versante squisitamente probatorio e processuale, riprendendo quanto sancito dalla Cassazione con ulteriore argomentazione nel precedente n. 2224 del 2021 - ove si ribadisce che la prova circa l’inerenza del bene all’attività d’azienda deve essere dato dal contribuente, secondo il normale criterio di riparto dell’onere probatorio valevole in sede processuale ex 2697 c.c., non essendo sufficiente una sua inerenza astratta o formale, necessitando un utilizzo “concretamente” destinato all’impresa. Ecco che allora nel caso passato in rassegna non è stato ritenuto sufficiente il mero criterio della categoria A/10, da cui invero ben si potrebbe sussumere l’inerenza sulla base di una determinata classificazione catastale. Elementi più convincenti avrebbero potuto, e dovuto, essere forniti da eventuali riscontri rinvenuti ad esempio in sede di rogito notarile, dove è quindi opportuno per il contribuente- parte stipulante - far inserire apposita menzione circa la funzionalità dell’unità all’impresa. È chiaro che in assenza di dette specifiche il contribuente dovrà, in sede giudiziaria, far riferimento a scritture private correlate, a dichiarazioni delle parti e, in definitiva, ad ulteriori prove presuntive idonee a comprovare in concreto il diritto alla detrazione per oggettiva strumentalità del locale.
- In tale prospettiva preme ricordare che il principio di inerenza rileva, a ben vedere, non solo sotto il profilo della detrazione dell’IVA, ma altresì ai fini delle imposte dirette per la determinazione del reddito d’impresa (v. art. 109 P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, c.d. Tuir). Più precisamente, a tal riguardo, la prassi ministeriale (Circolare n. 30/9/944 del 07/07/1983 e Risoluzione n. 158/E del 28/10/1998) ha chiarito come il concetto di inerenza non sia legato ai ricavi dell’impresa, bensì all’attività di questa e che, pertanto, possono essere considerati deducibili anche costi e oneri sostenuti in proiezione futura, quali le spese promozionali e, comunque, quelle dalle quali si attendono ricavi in tempi successivi. Sul punto, peraltro, anche la giurisprudenza è unanimemente orientata a richiedere, per la deducibilità dei costi e degli oneri, che gli stessi siano rapportati come causa a effetto nel circuito della produzione del reddito. Si assiste dunque a una dialettica parallela tra giurisprudenza in tema di I.R.P.E.F. (art. 109 t.u.i.r.) e in tema di I.V.A. (art. 19 comma 1, Dpr 633/1973), che si riflette anche nel concetto di “destinazione per natura”. In relazione alla strumentalità per natura degli immobili, infatti, si ricorda l’art. 43, comma 2, secondo periodo, del Tuir (giusto richiamo di cui all’art. 65, relativo ai beni dell’impresa), in base al quale “si considerano strumentali gli immobili che, per le loro caratteristiche, non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni, ancorché non utilizzati ovvero dati in locazione o comodato”. E sul punto è alquanto singolare ravvisare come l’Amministrazione finanziaria avesse originariamente adottato un approccio squisitamente formalistico, volto a considerare la strumentalità come un “carattere oggettivo”. Erano state così individuate alcune categorie catastali – fra le quali vi rientra peraltro proprio la A/10 (“uffici e studi privati”) a cui appartiene l’immobile in questione – tali per cui, se un immobile è in esse ricompreso, questo è da considerarsi quale strumento dell’attività commerciale del soggetto possessore anche quando non è impiegato nel ciclo produttivo dell’impresa, o non lo è direttamente perché dato in locazione o comodato a terzi (Min. Finanze, ris. 3 febbraio 1989, n. 330; Agenzia delle Entrate, ris. 9 aprile 2004, n. 56/E). Tuttavia la prassi si è presto assestata su valutazioni diverse, prontamente avallate dalla giurisprudenza (Cassazione, 4 giugno 2007, n. 12999), che ha affermano come l’appartenenza di un immobile alla categoria degli immobili strumentali, non debba essere intesa come “una sorta di riconoscimento della strumentalità del bene a prescindere dalle caratteristiche del medesimo in rapporto con l’attività dell’azienda”, ritenendo piuttosto che occorra la prova della funzione strumentale del bene in relazione all’azienda, e, solo nei casi in cui risulti provata l’insuscettibilità (senza radicali trasformazioni) di una destinazione del bene diversa (da quella accertata dal rapporto strumentale con l’attività aziendale), è prevista la possibilità di prescindere (ai fini della ritenuta strumentalità del bene) dall’utilizzo diretto dello stesso da parte dell’azienda, ferma in ogni caso restando l’imprescindibilità dell’accertamento, sia pure astratta, della funzionalità del bene.
La suindicata convergenza dei criteri nell’imposizione tanto diretta quanto indiretta non deve comunque sorprendere, anzi, stante il principio di unitarietà dell’ordinamento tributario, che non può prescindere da concetti giuridici (e prima ancora economici) come tratti unificanti di tutte le imposte (si v. A. VIGNOLI; La determinazione differenziale della ricchezza ai fini tributari. Riflessioni sull’inerenza nella tassazione attraverso le aziende, Roma, 2013; M. PROCOPIO, Il principio dell’inerenza e il suo stretto collegamento con quello della capacità con-tributiva, in Dir. prat. trib., 2018, fasc. 4, p. 1667: P. ANTONINI, La Cassazione sulla inerenza predica bene ma razzola male, in GT-Riv.giur.trib., 2018, fasc. 4, pag. 323 e ss). La giurisprudenza (ordinanza n. 450 del 2018) ha del pari precisato che la valutazione circa l’inerenza di un bene comporta un giudizio “qualitativo” e non (meramente) “quantitativo”.
- Il problema inevitabile che si pone, in definitiva, una volta appurato che l’onere della prova grava sul contribuente e che non è possibile parlare di inerenza presunta, è capire come si può nel concreto determinare l’inerenza di un bene all’attività d’impresa, ai fini della detrazione dell’I.V.A., nonché se vi possono essere beni intrinsecamente “inerenti”. Una possibile soluzione (S. BARUZZI, Strumentalità degli immobili da valutare in fatto ai fini della detrazione IVA, in Il Fisco, 2020, vol. 2, fasc. 28, pag. 2785 e ss.; F. PEDROTTI, Note in merito al requisito di inerenza dei componenti del reddito d’impresa, al presupposto oggettivo irpef e irap e al presupposto soggettivo iva in un caso patologico di conferimento aziendale, in prat. trib., 2018, vol. 89, fasc. 3, II, p. 1260) potrebbe essere quella di cercare un’applicazione analogica con norme di leggi tributarie che, come l’art. 65 t.u.i.r. o l’art. 109 t.u.i.r., definiscono beni che si presumono inerenti all’esercizio dell’impresa. Del resto, se le presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti (art. 2729 c.c.), possono essere ammesse quali prove dal giudice, è evidente che, salvo diversa indicazione di destinazione nell’atto di acquisto, è difficile pensare che un macchinario o un attrezzo tipico dell’agricoltura o dell’attività industriale, sia acquistato per logiche estranee all’esercizio dell’impresa. Il problema si presenta più complesso con riferimento a beni a destinazione variabile, come un locale. In tal caso è dunque buona prassi, nell’ottica della tutela preventiva del contribuente, far inserire del rogito un riferimento all’attività di impresa che in quel locale o su quel terreno si svolgerà.
In ogni caso, la sentenza risulta certamente condivisibile, per quanto non generalizzabile a ogni tipologia di cespite; la stessa del resto si pone nel solco di un consolidato orientamento, anche comunitario, Ciò, inevitabilmente, in ragione delle diversità delle situazioni fattuali e, non da ultimo, delle menzioni notarili sulla destinazione di un immobile, di un terreno, di un fabbricato, di un macchinario o di un utensile. Ecco che allora, se certamente, i beni “patrimoniali” possono reputarsi inerenti all’esercizio dell’impresa, in linea di massima vale il principio espresso dalla sentenza in esame, e cioè che è onere del contribuente fornire la prova dell’inerenza anche mediante presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti. La tematica, peraltro, deve leggersi assieme a quella parapenalistica (M. PEIROLO, Detrazione IVA in caso di operazioni inesistenti senza danno erariale, in Il Fisco, 2019, vol. 2, fasc. 22, pag. 2168 e ss.; A. MARCHESELLI, Frodi fiscali e frodi nella riscossione Iva, carosello fra onere della prova, inesistenza e inerenza, in Dir. prat. trib., 2012, vol. 83, fasc. 6, I, p. 1335) volta a giustificare un approccio sostanziale ed in concreto anche al fine di evitare che il contribuente compia operazioni fiscali indebite sulla base di operazioni inesistenti o fuori dal campo di applicazione della I.V.A., sulla base ad esempio di fatture false. Ecco che allora si spiega la necessità dell’onere per il contribuente di fornire la prova della destinazione dell’immobile, la quale invece non può, almeno in linea di massima, ritenersi tale unicamente “in re ipsa”.