Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

30/12/2022 - Note critiche sulla soggettività tributaria dei robot

argomento: Principi generali e fonti - Legislazione e prassi

Il problema della soggettività tributaria del robot riguarda, in realtà, la definizione del presupposto di un’imposta che si correli all’uso del robot, colpisca la maggior capacità contributiva dell’utilizzatore e soddisfi criteri di efficienza e neutralità. Il robot è, cioè, oggetto di un’imposta che deve necessariamente colpire il suo utilizzatore o proprietario, non il soggetto passivo dell’imposta. Ogni riferimento al robot circoscrive dunque l’oggetto dell’imposta – che è la funzione normativa della soggettività tributaria. Il vero problema riguarda la discriminazione qualitativa della tassazione di chi utilizzi il robot.

PAROLE CHIAVE: teoria giuridica dell - soggettività tributaria - tassazione dei robot - discriminazione qualitativa dell


di Daniele Canè

Con una certa sintesi, si può dire che il problema della tassazione dei robot è stato per lo più affrontato con approccio economico, specie all’estero. Ci si è cioè chiesti come progettare, secondo criteri di efficienza, un’imposta in grado di sostituire il gettito, contributivo e tributario, oggi garantito dai redditi di lavoro, che i robot verosimilmente sostituiranno. L’imposizione sui robot è stata così presentata come sostituto finanziario dell’imposizione sui redditi di lavoro e come (ulteriore) strumento di redistribuzione di una ricchezza sempre più disegualmente distribuita.

Il problema della soggettività passiva dei robot nasce, quindi, da una discussione sulle potenzialità regolatorie del tributo, e diviene problema di tax design, cioè di assumere il robot come soggetto passivo – meglio: contribuente – o come oggetto d’imposizione (per le varie proposte: Dorigo, La tassa sui robot tra mito (tanto) e realtà (poca), in Corr. trib., 2018, p. 2364; Uricchio, Robot tax: modelli di prelievo e prospettive di riforma, in Giur. it., 2019, p. 1757; Parente, La soggettività tributaria delle macchine intelligenti e i nuovi modelli di tassazione dei processi produttivi automatizzati e interconnessi, in Ianus, 2021, p. 109).

Costretta in questi termini, è però questione scarsamente giuridica, involgendo questo tipo di analisi nozioni proprie della scienza delle finanze, da cui la materia tende storicamente a distinguersi (Fedele, Cultura giuridica e politica legislativa nel diritto tributario, in Jus, 1998, p. 71, sulla coerenza della sistematica elaborata dalla teoria finanziaria, cui si deve la stessa nozione di oggetto dell’imposta, e sui successivi sviluppi del pensiero giuridico, che ha inteso superarla senza però uguale coerenza).

Si è allora ipotizzata la capacità contributiva “elettronica” dei robot, riflesso di una possibile soggettività giuridica, che autorizzerebbe l’imposizione dell’attività da essi svolta, commisurata al suo valore normale (Oberson, Taxing Robots. Helping the Economy to Adapt to the Use of Artificial Intelligence, Edward Elgar Publishing Ltd., Celthenham, 2019).

Anche questa opzione tuttavia non soddisfa, se non altro perché alla capacità contributiva si è fatto dire di tutto (Lupi, Diritto amministrativo dei tributi. Ovvero: si pagano le imposte quando qualcuno le impone, Roma, 2017, p. 72; sul valore per lo più politico di questo criterio, già Min. Costituente, Rapporto della Commissione economica, presentato all’Assemblea Costituente. vol. V. Finanze. I. Relazione, Roma, 1946, p. 13). Ma soprattutto, il problema non è tanto definirne il contenuto, quanto la funzione rispetto alla concezione complessiva del fenomeno tributario (se essa indichi, cioè, al legislatore solo un criterio di riparto o anche un limite all’imposizione). È, insomma, un problema di effettività della capacità contributiva sottesa all’imposta, non di cosa si intenda per tale (per tutti Fedele, Ancora sulla nozione di capacità contributiva nella Costituzione italiana e sui limiti costituzionali all'imposizione, in Riv. dir. trib., I, 2013, p. 1035), spettando la selezione dei presupposti alla discrezionalità legislativa, nell’ambito di un giudizio di meritevolezza sociale della ricchezza.

La capacità contributiva tassabile è di chi utilizza il robot, come strumento di produzione di una ricchezza che può ritenersi più meritevole di tassazione rispetto ad altre, prodotte senza robot e dunque esprimenti una minore capacità contributiva.

Dalla soggettività dei robot si arriva, così, alla discriminazione qualitativa dell’imposizione sulla ricchezza realizzata dall’utilizzatore o dal proprietario, cioè alla differenziazione della tassazione in ragione delle modalità di produzione della ricchezza. È un problema molto diverso, che risale all’imposta di ricchezza mobile e poi all’imposta sulle società di capitali, concepita inizialmente e appunto come aggravio impositivo su redditi prodotti collettivamente (sul tema, Stevanato, La giustificazione sociale dell’imposta. Tributi e determinabilità della ricchezza tra diritto e politica, Bologna, 2014, spec. p. 683). Non possiamo perciò risolverlo in poche pagine.

  1. 2. Un recente studio presenta conclusioni che possono tornare utili anche a chi guardi al problema in chiave giuridico-tributaria (Dimitropoulou, Robot Taxation: A Normative Tax Policy Analysis - Domestic and International Tax Considerations, Ph.D. Thesis Defensio, Institute for Austrian and International Tax Law, Vienna, 2022; Id., Robot Taxes: Where Do We Stand?, in CFE Tax Advisers. 60th Anniversary - Liber Amicorum, IBFD, Amsterdam, 2019, spec. p. 67).

Pur senza rinunciare all’ottica economica, specie dove considera i possibili effetti allocativi di un’imposizione correlata ai robot, il lavoro si fa carico di chiarire su quali princìpi tributari possa fondarsi un’imposta correlata all’uso dei robot, e come essa possa conseguentemente strutturarsi. Sono in quest’ottica considerati il principio del beneficio – è possibile correlare l’imposizione ai benefici che l’utilizzatore del robot ottiene dall’azione pubblica? – e della capacità contributiva – l’uso di robot implica una maggiore capacità contributiva? – in relazione a diverse soluzioni tecniche: da un’imposizione sui redditi imputati dei lavoratori sostituiti dal robot, alle imposte commisurate al loro valore patrimoniale, fino alle imposte sul fatturato.

Al di là dei dettagli tecnici, interessa una delle idee di fondo della ricerca: che il robot non possa, di per sé, essere contribuente. Quindi il punto è, come si diceva, la progettazione di un’imposta che sia commisurata al valore del robot, inteso come oggetto d’imposta, e che colpisca la maggior capacità contributiva dell’utilizzatore.

Ci si libera così da discussioni defatiganti – i robot sentono e pensano come gli uomini e meritano dunque una tutela giuridica analoga? – che possiamo forse lasciare a filosofi e ingegneri. Inoltre, ci viene ricordato che il robot può essere, al più, oggetto di imposizione, o meglio, di commisurazione di un’imposta levata sui veri contribuenti, cioè i suoi utilizzatori, e non necessariamente correlata al reddito (potrebbe ben essere un’imposta patrimoniale).

Soprattutto, se ne può trarre un importante corollario, estensibile a tutte le imposte e perciò elevabile ad assunto generale della materia: che la soggettività tributaria può essere vista come tecnica di specificazione del presupposto, che il legislatore conforma secondo le esigenze dell’imposizione e i princìpi di ciascuna disciplina impositiva (imposte sui redditi, sul patrimonio, sul valore aggiunto e perfino nei regimi fiscali sostitutivi, dove assistiamo a prelievi commisurati a presupposti rilevati presso figure prive di soggettività comune: si pensi alla vecchia imposta sostitutiva sul risultato di gestione maturato nei fondi comuni di investimento).

Dunque, il riferimento normativo al robot può essere utile a delimitare il presupposto, e dunque a misurare la ricchezza imponibile presso chi lo utilizzi. Ma non definisce un nuovo contribuente – se per tale intendiamo chi concorre a titolo definitivo alle spese pubbliche, in ragione della propria capacità contributiva (arg. ex art. 53, Cost.; sulla necessità che il tributo si risolva comunque in una decurtazione patrimoniale definitiva, Fedele, La definizione del tributo nella giurisprudenza costituzionale, in Riv. dir. trib., 2018, I, p. 1).

Assumiamo infatti che il robot non possegga un patrimonio, sul quale possano appuntarsi gli effetti degli atti di produzione e circolazione di una ricchezza per tal via a lui riferibile, e su cui possa incidere in via definitiva il tributo. E se anche il legislatore gliene attribuisse uno, secondo lo schema del peculium romano (prospettato ad es. da Rizzuti, Il peculium del robot. Spunti sul problema della soggettivizzazione dell’intelligenza artificiale, in Dorigo (cur.), Il ragionamento giuridico nell’era dell’intelligenza artificiale, Pisa, 2020, p. 283), comunque il nostro ordinamento non ne autorizzerebbe l’inserimento fra i soggetti passivi d’imposta, perché pone precisi vincoli sulla rilevazione e sull’imputazione del presupposto.

  1. 3. Prendiamo l’imposta sul reddito degli enti collettivi (Ires) e ipotizziamo che proprietario del robot sia una società di capitali.

Nessuna norma del Tuir autorizza a elevare a soggetto passivo il robot per assegnargli un proprio reddito. Anzi, si ricava un preciso divieto di “frantumazione” dei soggetti passivi, salva l’esigenza di attrarre a imposizione redditi non già tassati presso altri contribuenti – nel qual caso l’organizzazione, di cui parla l’art. 73, comma 2, da fonte del reddito si fa soggetto passivo.

Il ragionamento va svolto per gradi, partendo dalle norme sulla rilevazione e la determinazione del presupposto dell’imposta.

Si sa che è reddito quel che il legislatore definisce tale, discostandosi dai modelli economici per esigenze di certezza, semplicità, precisa misurazione della ricchezza, prevenzione di evasione ed elusione (Corte cost., sent. 410/1995; Id., sent. 201/2020, punto 3.5). E, per il principio dell’inscindibilità del reddito societario, portato dell’inscindibilità del bilancio da cui deriva, il reddito degli enti commerciali deriva, salvo variazioni, da quello civilistico e non può in alcun modo tassarsi separatamente, pena duplicazioni o salti d’imposta. È una regola antica quanto l’imposta sui redditi di ricchezza mobile, ricavabile dagli artt. 6, 9, 1° comma, e 81, e solo eccezionalmente derogata – vedasi la tassazione separata del reddito imputato in base alla disciplina Cfc – perché concilia la semplificazione dell’accertamento e la precisa misurazione della capacità contributiva.

Ora, questi princìpi valgono anche in presenza di vincoli di destinazione relativi a una parte del patrimonio della società. Si pensi alle società che gestiscono patrimoni destinati a specifici affari o fondi di investimento, o al patrimonio separato attribuito appunto al robot.

La norma che eleva i fondi ad autonomi soggetti passivi Ires – art. 73, lett. c), Tuir – si è in effetti resa necessaria per superare l’inscindibilità del reddito della società di gestione, che avrebbe comportato la confluenza, nell’imponibile di questa, del reddito rilevato nel fondo, così alterando la misurazione della capacità contributiva della società, che non può disporre di quel reddito, e degli stessi partecipanti, che ne sono invece i beneficiari. Effetto che si è invece verificato per i patrimoni destinati a specifici affari, ex art. 2447-bis c.c., per i redditi prodotti dai quali non è stata prevista alcuna separazione fiscale.

In questi casi, era opportuno elevare i fondi a soggetti passivi, per consentire la separata determinazione di un reddito destinato, in ultimo, ai partecipanti e non ai soci della società – oltre che per evitare che la società di gestione opponesse al fisco la separazione patrimoniale rispetto alla quota d’imposta riferibile ai redditi rilevati presso il fondo (su questo effetto, Laroma Jezzi, Separazione patrimoniale e imposizione sui redditi, Milano, 2006).

Lo stesso effetto non si verifica invece per il nostro robot, la cui autonoma tassazione si risolverebbe in un’impropria separazione di un imponibile altrimenti riferibile alla società proprietaria, fuori però da quelle esigenze che hanno giustificato la soggettività dei fondi. Il reddito riferibile al robot non è infatti destinato a nessun altro – al contrario dei redditi della società, realizzati in ultimo dai soci, e del fondo, destinati ai partecipanti.

E comunque, se si volessero evitare i perniciosi effetti della separazione patrimoniale cui si accennava, potrebbe serenamente prevedersi la tassazione separata del reddito riferibile al robot. Vista l’aliquota proporzionale dell’Ires, l’effetto sarebbe lo stesso che istituire un nuovo soggetto passivo: la determinazione e l’imposizione separata del relativo imponibile.

Proprio questa equivalenza fra tassazione separata del reddito di un unico contribuente e sdoppiamento dei soggetti passivi – società di gestione-fondo; società-robot – che fra l’altro ricorda quella fra personalità giuridica e separazione patrimoniale, conferma la funzione tecnica, sotto questo profilo, della soggettività tributaria.

Soprattutto, indica che è inutile, oltre che contrario ai princìpi dell’imposta reddituale, elevare il robot a soggetto passivo per attribuirgli un reddito comunque già tassabile presso la società (Per un’esposizione più distesa di questi passaggi, si consenta il rinvio a Canè, Soggettività tributaria e giusta imposizione. Presupposti, discipline, sistema, Milano, 2021, spec. Capitoli II e III).

Il punto resta, allora, come giustificare un aggravio impositivo su chi utilizzi i robot e come progettare un’imposta che sia commisurata alla maggior capacità contributiva di costui e soddisfi, al contempo, quei criteri di efficienza e gettito, di cui si diceva.

  1. I civilisti parlano proprio di soggettività “strumentale”, in base alla considerazione che la soggettività non è necessariamente una qualificazione generale, ma può essere riconosciuta anche solo per certi fini, cioè per soddisfare interessi rilevanti per alcuni settori dell’ordinamento, o alcune discipline soltanto (Mazzù, La soggettività contingente, in Comp. dir. civ., 2012, p. 1, su www.comparazionedirittocivile.it; Landini, Rizzuti, Bassi, Rumine, Brevi riflessioni sulla soggettività. Giurisprudenza e prassi, in Ianus, 2015, p. 115).

Questa teoria spiega bene il particolare profilo della soggettività tributaria appena indicato, che dipende proprio dalle regole di determinazione del presupposto impositivo e si atteggia diversamente da imposta a imposta (per un’impostazione normativista del problema, già Fiorentino, Contributo allo studio della soggettività tributaria, Napoli, 2000; Ragucci, Soggettività e tassazione degli utili non distribuiti nell’insegnamento di Ezio Vanoni. Riflessioni in attesa dell’imposta sul reddito d’impresa, in Id. (cur.), Ezio Vanoni. Giurista ed economista, Milano, 2016, p. 232). Regole che non richiedono, anzi rendono superfluo, un nuovo soggetto passivo, nella misura in cui il reddito prodotto col contributo del robot fluisca nell’imponibile del proprietario.

È questa la ragione per cui l’art. 73, comma 2, Tuir, richiede che l’organizzazione non appartenga ad altri soggetti passivi, non sfuggendo in tal caso il relativo reddito a tassazione. Norma antica, sorta per consentire la determinazione separata dei redditi prodotti da più aziende gestite da uno stesso soggetto, e la concentrazione di redditi prodotti collettivamente da più individui; rimasta per allargare l’imposizione a redditi non già tassati; e oggi praticamente inapplicata, essendo le ipotesi più problematiche regolate (trust, fondi di investimento) o intenzionalmente trascurate (patrimoni destinati a specifici affari). Non se ne può quindi trarre la definizione generale di soggetto passivo delle imposte, come pure si è ritenuto (per tutti, Gallo, I soggetti del libro I del codice civile e l’Irpeg: problematiche e possibili evoluzioni, in Riv. dir. trib., 1993, I, p. 346).

Se si accetta questa “cifra tecnica” della soggettività tributaria, si ridimensiona il problema dei presunti soggetti di diritto tributario, che tali non sarebbero per il diritto comune, e ci si concentra su questioni più urgenti, come appunto la discriminazione qualitativa (o soggettiva) del reddito prodotto da chi usi il robot – che è quanto lo studio di Dimitropoulou ci rammenta.