<p>Le nuove sanzioni tributarie - Lattanzi</p>
Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

07/03/2023 - La Risoluzione n. 41/E del 26 luglio 2022: dubbi e criticità, anche alla luce della giurisprudenza di merito, dell'interpretazione erariale sul credito d'imposta R&S nel settore della moda

argomento: Agevolazioni - Legislazione e prassi

  Le attività di design e ideazione estetica sono ammissibili al credito di imposta per attività di ricerca e sviluppo di cui all’art. 3 del d.l. 145/2013 solo nella misura in cui siano volte “alla risoluzione di un ostacolo di carattere scientifico e/o tecnologico non risolvibile sulla base delle conoscenze e capacità già disponibili nello stato dell’arte e nella prassi settore”. Questa la conclusione cui è pervenuto il Mi.S.E. in un parere tecnico reso su base dei criteri interpretativi recati dal Manuale di Frascati, fatto proprio dall’Agenzia delle Entrate nella risoluzione n. 41/E del 26 luglio 2022. Tale conclusione, tuttavia, secondo la giurisprudenza di merito oramai maggioritaria, non è condivisibile sia perché priva di una valida base giuridica, sia perché disattende il legittimo affidamento del contribuente.

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PAROLE CHIAVE: credito di imposta ricerca e sviluppo; misure tributarie; interpretazione; prassi amministrativa; Manuale di Frascati.


di Vittorio Giordano e Martina Bettarini

1. L’acceso dibattito sorto intorno al credito di imposta per attività di ricerca e sviluppo istituito dall’art. 3 del d.l. 23 dicembre 2013, n. 145 (di seguito, anche, “credito R&S”) si è di recente arricchito di alcune interessanti posizioni, sia della prassi amministrativa, sia della giurisprudenza di merito, che, non solo, offrono lo spunto per una disamina approfondita della questione ma impongono, altresì, alcune riflessioni sull’opportunità concessa ai contribuenti di accedere alla procedura di riversamento del credito prevista dall’art. 5, commi da 7 a 12, del d.l. 21 ottobre 2021, n. 146 (di seguito, anche, “d.l. 146/2021”), la cui scadenza è stata di recente prorogata dal 31 ottobre 2022 al 31 ottobre 2023.

È noto che, negli ultimi anni, le tematiche inerenti all’utilizzo in compensazione del credito R&S, abbiano rappresentato uno tra gli aspetti più controversi del panorama del diritto tributario nazionale, nell’ambito del quale si sono susseguiti interventi tanto della prassi amministrativa quanto del legislatore tributario.

Dapprima, l’Amministrazione finanziaria è intervenuta con una serie di prese di posizione (Si veda, per un dettaglio, il successivo paragrafo 2 del presente contributo) che, restringendo di molto il perimetro di applicabilità della disciplina agevolativa individuato dalla norma di legge, hanno, da un lato, ingenerato incertezza nei contribuenti potenziali beneficiari della misura e, dall’altro, posto le basi per la campagna di accertamenti avviata dall’Amministrazione finanziaria con il fine di verificare la riconducibilità delle attività di ricerca e sviluppo realizzate al novero di quelle ritenute ammissibili al credito R&S su base della restrittiva interpretazione ministeriale.

Successivamente, il legislatore, con l’evidente intento di porre rimedio alla intricata situazione venutasi a creare, è intervenuto nel giro di un biennio con due misure, tra loro distinte ma collegate. In primo luogo, rinnovando il sistema agevolativo con la sostituzione del credito R&S recato dall’art. 3 cit. con i crediti di imposta per gli investimenti in ricerca e sviluppo, in innovazione tecnologica, transizione ecologica e innovazione 4.0 e design ed ideazione estetica. 

In secondo luogo, con l’art. 5 del menzionato d.l. 146/2021 è stata introdotta una specifica procedura per la definizione delle violazioni riconducibili all’indebita compensazione di crediti R&S di cui all’art. 3 del d.l. 145/2013 maturati a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 e fino al periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2019 (E, quindi, per le attività di ricerca, sviluppo e innovazione non coperte dalla nuova versione del credito di imposta), prevedendo la possibilità di riversare l’importo del credito indebitamente compensato, tra l’altro, per errori di interpretazione nell’individuazione delle attività di ricerca e sviluppo agevolabili, senza applicazione di sanzioni ed interessi e con esclusione della punibilità per il delitto di indebita compensazione di crediti inesistenti di cui all’art. 10-quater del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74.

Anche dopo l’entrata in vigore di quest’ultimo provvedimento legislativo, non si è tuttavia allentata la campagna di verifiche ed accertamenti avviata dall’Agenzia delle Entrate che, facendo propria la restrittiva linea interpretativa espressa negli atti di prassi, ha, sovente, elevato contestazioni di indebito utilizzo in compensazione di credito di imposta, qualificandoli sistematicamente come “inesistenti” in tutti i casi in cui il contribuente, in assenza di comportamenti connotati da fraudolenza, abbia erroneamente qualificato come agevolate le attività intraprese ancorché fossero – ad avviso dell’Agenzia medesima – riconducibili a mere attività di innovazione di processo o prodotto non ammissibili al credito R&S. Ciò con la conseguenza di accompagnare a tali contestazioni l’irrogazione di sanzioni in misura non inferiore al 100 per cento del credito contestato qualificato come inesistente e la prospettazione di notitiae criminis alle competenti Procure della Repubblica ai sensi dell’art. 331 c.p.p. in ordine alla commissione del delitto di cui all’art. 10-quater dianzi citato.

In un simile contesto, la risoluzione n. 41/E del 26 luglio 2022 offre dunque lo spunto per una riflessione, oltre che sull’evoluzione interpretativa che ha interessato la disciplina agevolativa in commento, sulle implicazioni di tale evoluzione nel frastagliato panorama delle pronunce di merito che sembra indirizzarsi in direzione opposta rispetto a quella delineata dalla prassi amministrativa.

2. L’origine delle incertezze interpretative riguardanti il credito R&S è rinvenibile nell’ondivaga linea adottata dall’Amministrazione finanziaria (Il riferimento è, in questo caso, tanto all’Agenzia delle Entrate quanto al Ministero dello Sviluppo Economico, essendo l’attività istituzionale di verifica e controllo dell’agevolazione in questione demandata alla loro concorrente competenza. Ed infatti, sebbene la legge designi l’Agenzia delle Entrate a svolgere i controlli sulla corretta fruizione del credito R&S, è tuttavia accordata a tale ente la potestà di interpellare il Ministero su determinati aspetti di carattere tecnico il cui approfondimento coinvolga professionalità non appartenenti ai ranghi dell’Agenzia) in materia di corretta individuazione e classificazione delle attività agevolabili.

Ripercorrendo le principali tappe che hanno contraddistinto tale contrastato percorso interpretativo, occorre prendere le mosse dalla circolare n. 5/E del 16 marzo del 2016 con cui l’Agenzia delle Entrate, in merito alle tipologie di attività ammissibili al credito R&S, dopo aver chiarito che per l’individuazione di tali attività dovesse farsi rinvio alle “Definizioni” recate dal paragrafo 1.3, punto 15, della Comunicazione della Commissione (2014/C 198/01) del 27 giugno 2014 (Pubblicata nella GUUE C/198 del 27 giugno 2014) relative, rispettivamente, alla “ricerca fondamentale” (lettera m), alla “ricerca industriale” (lettera q) e allo “sviluppo sperimentale” (lettera j), ha precisato che dovessero quindi ritenersi “agevolabili […] le modifiche di processo o di prodotto che apportano cambiamenti o miglioramenti significativi delle linee e/o delle tecniche di produzione o dei prodotti”, così escludendo dal perimetro dell’agevolazione, in linea con il chiaro dato letterale della normativa e delle disposizioni attuative (L’art. 3 del d.l. 145/2013 elenca, in modo dettagliato e tassativo, al comma 4 le attività di ricerca e sviluppo ammissibili per la determinazione del credito d’imposta e, al comma 5, quelle considerate invece come non ammissibili alle medesime finalità. In particolare, il comma 4 stabilisce che sono ammissibili al credito d'imposta tanto le attività di “b) ricerca pianificata o indagini critiche miranti ad acquisire nuove conoscenze, da utilizzare per mettere a punto nuovi prodotti, processi o servizi o permettere un miglioramento dei prodotti, processi o servizi esistenti ovvero la creazione di componenti di sistemi complessi, necessaria per la ricerca industriale, ad esclusione dei prototipi di cui alla lettera c)” (c.d. “ricerca industriale”) quanto le attività di “c) acquisizione, combinazione, strutturazione e utilizzo delle conoscenze e capacità esistenti di natura scientifica, tecnologica e commerciale allo scopo di produrre piani, progetti o disegni per prodotti, processi o servizi nuovi, modificati o migliorati” (c.d. “sviluppo sperimentale”). Con la precisazione, al successivo comma 5, che “non si considerano attività di ricerca e sviluppo le modifiche ordinarie o periodiche apportate a prodotti, linee di produzione, processi di fabbricazione, servizi esistenti e altre operazioni in corso, anche quando tali modifiche rappresentino miglioramenti”. Dello stesso tenore le definizioni recate dall’art. 2 del DM 27 maggio 2015), le sole “modifiche non significative di prodotti e di processi”.

Con tale documento di prassi, inoltre, l’Agenzia, per la concreta individuazione delle attività da considerare ammissibili, ha ritenuto “valide, in linea generale, le indicazioni fornite dal Mi.S.E. con l’allegata circolare n. 46586 del 16 aprile 2009” relativa all’attività di ricerca e sviluppo nel settore tessile e della moda. In tale documento, il Ministero dello Sviluppo Economico (di seguito, “Mi.S.E.”) aveva chiarito che “la Commissione europea afferma e declina nelle attività di R&S il concetto di innovazione”, e ciò in quanto, secondo il Mi.S.E., “il rilievo attribuito alla innovazione discende dall’adesione ad una definizione di ricerca e sviluppo proprio del Manuale di Oslo”. Con la conseguenza che “rientrano quindi nel concetto di ricerca industriale le indagini critiche o la ricerca pianificata miranti ad acquisire nuove conoscenze da utilizzare per mettere a punto nuovi prodotti o notevolmente migliorati”. Con specifico riferimento al settore della moda, peraltro, le FAQ del Mi.S.E. del 29 settembre 2017 avevano chiarito che rientrano nelle attività ammissibili al credito R&S “anche quelle poste in essere dalle imprese operanti nel settore del tessile e della moda collegate alla ideazione e realizzazione dei nuovi campionari, evidentemente non destinati alla vendita”.

Senonché, con la circolare 9 febbraio 2018, n. 59990, lo stesso Mi.S.E., nel fornire ulteriori istruzioni sui criteri di individuazione delle attività ammissibili al beneficio nello specifico settore del software, ha riconsiderato l’orientamento espresso con i precedenti interventi di prassi individuando, quale fonte interpretativa “privilegiata” ai fini dell’individuazione delle attività ammissibili al beneficio, il c.d. Manuale di Frascati, edizione 2015, in quanto strumento richiamato al punto 75 della Comunicazione della Commissione (2014/C 198/01) del 27 giugno 2014. In particolare, con detta circolare il Mi.S.E. ha ritenuto, in base alle indicazioni contenute nel citato Manuale, che si considerano attività ammissibili al credito R&S le sole attività di ricerca e sviluppo che “presentino, quale che sia il settore di appartenenza e il prodotto o processo oggetto d’innovazione, un apprezzabile o significativo elemento di novità per il mercato, la cui realizzazione non derivi dalla semplice utilizzazione dello stato delle conoscenze e delle tecnologie già disponibili”.

Dopo tale presa di posizione, il Mi.S.E., fornendo il proprio parere a richiesta dell’Agenzia delle Entrate nell’ambito di procedimenti di interpello instaurati dal contribuente, ha a più riprese ribadito il proprio orientamento, e, perciò, ritenuto escluso dal perimetro applicativo dell’agevolazione spese riconducibili ad attività qualificabili, ad esempio, come innovazioni di processo. Ne sono un esempio le risoluzioni del 22 giugno 2018 n. 46/E e del 2 aprile 2019, n. 40/E, così come le successive risposte ad interpello del 28 febbraio 2020 n. 82 e del 17 marzo 2021 n. 188.

In tutti i citati interventi di prassi l’Agenzia delle Entrate, facendo proprie le indicazioni ricevute dal Mi.S.E., ha quindi ritenuto che, in virtù delle definizioni recate dal Manuale di Frascati, edizione 2015, non configurano costi eleggibili a titolo di ricerca e sviluppo quei costi che risultino carenti dei requisiti del rischio dell’insuccesso tecnico e del rischio finanziario, così negando l’ammissibilità degli investimenti che si limitino ad apportare innovazione sotto forma di efficientamento dei processi aziendali e che, tuttavia, non determinino l’avanzamento delle conoscenze generali attraverso il superamento di ostacoli o incertezze scientifiche o tecnologiche.

Tale approdo della prassi, pur rappresentando, uno scostamento dalle indicazioni precedentemente fornite dalla stessa Amministrazione finanziaria è stato, da questa, posta alla base degli innumerevoli atti di recupero del credito di imposta notificati all’esito delle verifiche avviate sui contribuenti beneficiari dell’agevolazione nonché della posizione assunta in tema di attività di ricerca e sviluppo nel settore della moda con la recente risoluzione n. 41/E del 26 luglio 2022.

3. Invero, con tale risoluzione l’Agenzia delle Entrate è giunta ad escludere tout court dal perimetro di applicazione della disciplina agevolativa le attività di design ed ideazione estetica tipicamente svolte dai contribuenti operanti nel settore della moda (ossia, uno dei settori di traino dell’economia italiana) (Per altri commenti sul documento di prassi, si veda: “Credito d’imposta R&S nel settore moda, il bivio della sanatoria” di Ronca, M. Barcellona, M. L. Mariella in “dirittobancario.it” del 21 settembre 2022 e “Credito d’imposta R&S sul design ma solo dal 2020” di E. Reich e F. Vernassa in “Il Sole24Ore - Norme e Tributi” del 27 luglio 2022).

La posizione assunta dall’Agenzia delle Entrate, su base di quanto espresso dal Mi.S.E. nell’apposito parere tecnico rilasciato nell’aprile 2022, prende le mosse da un’istanza di interpello presentata da una società contribuente (Alfa) “esercente l'attività di ideazione e prototipia di beni rientranti nel comparto della moda, della pelletteria, della gioielleria e dell'occhialeria” che svolge “attività di ricerca e sviluppo a partire dalle fasi di ideazione, sino alla fase di prototipia”.

A dire del Mi.S.E., anzitutto, per valutare l’ammissibilità al credito R&S delle dette attività di ricerca e sviluppo, svolte nel 2019 – ossia, in vigenza del regime agevolativo recato dall’art. 3 del d.l. 145/2013 – è necessario fare riferimento al Manuale di Frascati in quanto “come più volte precisato e ribadito da questo Ufficio e dalla stessa Agenzia delle Entrate … i principi generali e i criteri contenuti nelle suddette linee guida per le rilevazioni statistiche nazionali delle spese per ricerca e sviluppo elaborate dall'OCSE assumono diretta rilevanza anche ai fini dell'applicazione della disciplina del credito d'imposta”.

Prendendo le mosse da tale considerazione ed avendo ribadito che “secondo i principi e i criteri contenuti in tale manuale”, le attività qualificabili come ricerca e sviluppo sono esclusivamente quelle “necessariamente si caratterizzano, anzitutto, per la presenza di elementi di novità e creatività e, quindi, anche per il grado di incertezza o rischio d'insuccesso scientifico o tecnologico che, di regola, implicano”, il Mi.S.E. chiarisce che “proprio per tali contenuti e caratteristiche … le attività di ricerca e sviluppo sono potenzialmente meritevoli di essere incentivate con la concessione di contributi pubblici”.

Sennonché, il Mi.S.E. non si limita a ribadire quanto già più volte affermato in precedenti interventi di prassi, ma precisa anche che i criteri interpretativi individuati dal Manuale di Frascati, così come declinati dalla prassi amministrativa, “assumono valenza generale” (Peraltro, è significativo notare che l’Agenzia delle Entrate, per suffragare la portata generale dei chiarimenti resi nel documento di prassi in commento, abbia scelto di procedere alla pubblicazione di una risoluzione, anziché di una risposta ad interpello “ordinaria”). Con la conseguenza che nel settore della moda “devono in via di principio ritenersi escluse dalle attività ammissibili al credito d'imposta le attività concernenti il lancio di nuovi prodotti, o le modifiche ai prodotti e procedimenti esistenti, non finalizzate alla risoluzione di un ostacolo di carattere scientifico e/o tecnologico non risolvibile sulla base delle conoscenze e capacità già disponibili nello stato dell'arte e nella prassi del settore”, come è nel caso “delle attività attinenti al design e all'ideazione estetica, il cui obiettivo sia la concezione e la realizzazione di nuove collezioni o campionari che presentino elementi di novità rispetto alle collezioni o campionari precedenti con riguardo ai materiali utilizzati, alla loro combinazione, ai disegni, alle forme, ai colori e ad altri elementi rilevanti, ma il cui unico "effetto tecnico" riguardi, in senso ampio, la forma esteriore o l'aspetto estetico del prodotto”.

A dire del Mi.S.E., quindi, tali attività, non comportando lo svolgimento di lavori necessari per il superamento di ostacoli di tipo scientifico o tecnologico non superabili con le conoscenze generali già disponibili, non sono quindi riconducibili nel perimetro di applicazione della disciplina agevolativa.

In sostanza e in conclusione, pur ponendosi in netto contrasto con le proprie precedenti posizioni (cfr. circolare n. 46586 del 16 aprile 2009, espressamente richiamata dalla circolare n. 5/E/2016 e FAQ del 29 settembre 2017), l’Amministrazione finanziaria conclude per ritenere che le attività di ricerca e sviluppo svolte dalle imprese operanti nel settore della moda “pur essendo in generale finalizzate al rinnovo ricorrente dei prodotti secondo lo schema operativo tipico delle imprese del settore … non evidenzino in concreto contenuti significativi ai fini dell'individuazione di eventuali fasi qualificabili come attività di ricerca e sviluppo nell'accezione rilevante ai fini del credito d'imposta”.

Ebbene, la posizione assunta dall’Amministrazione finanziaria si inserisce quale ennesimo revirement della prassi e non pare condivisibile.

 

4. Le tesi poste a base della risoluzione n. 41/E sopra riportata, fondate sul richiamo al Manuale di Frascati, infatti, non persuadono, per più di un motivo.

Anzitutto, l’Amministrazione finanziaria non chiarisce perché le definizioni del c.d. Manuale di Frascati, edizione 2015, avrebbero efficacia vincolante nei confronti dei contribuenti che hanno svolto attività di ricerca e sviluppo negli anni dal 2015 al 2019 ed hanno valutato l’eleggibilità all’agevolazione in base alle chiare disposizioni normative recate dall’art. 3 del d.l. 145/2013 e dalle coincidenti previsioni recate dall’art. 2 del DM 27 maggio 2015.

Non solo tale Manuale non è una fonte del diritto né tantomeno una fonte normativa vincolante (La dottrina è unanime nel ritenere che il Manuale di Frascati, così come quello di Oslo, sono “fonti di soft law, prive di cogenza e quindi non vincolanti per il contribuente, per il Fisco e, tantomeno, per l’Autorità giudiziaria” (cfr. Le nuove prospettive della fiscalità di vantaggio connesse alla disciplina del credito di imposta per attività di ricerca e sviluppo” di P. Boria in Diritto e Pratica Tributaria, n. 4, 1° luglio 2022, p. 1236)), ma non è neppure un testo giuridico. Le premesse di tale Manuale, infatti, informano il lettore che si tratta di una metodologia per la raccolta di dati statistici adottato non da un’autorità pubblica, bensì da una organizzazione privata di esperti economisti (denominata NESTI).

In secondo luogo, la tesi dell’Amministrazione finanziaria non convince allorquando tenta di rinvenire il richiamo al Manuale di Frascati, edizione 2015, nella comunicazione Commissione (2014/C 198/01) del 27 giugno 2014 (cfr. punto 75). Ed infatti, tale comunicazione, al di là della circostanza che riguarda le sole agevolazioni qualificabili come aiuti di stato (cosa che non è il credito di imposta R&S, trattandosi di una misura qualificata di carattere generale, tanto è vero che può essere fruita oltre i massimali c.d. de minimis e anche da aziende non intitolate a ricevere aiuti di stato. Ciò a differenza del nuovo credito di imposta ricerca e sviluppo, innovazione tecnologica, design e ideazione estetica in cui vi è un espresso (e tempestivo) richiamo al Manuale di Frascati e, laddove applicabile, al Manuale di Oslo), a ben vedere si limita ad affermare che la Commissione europea valuterà gli aiuti di stato in materia di ricerca facendo riferimento al Manuale di Frascati, OCSE, nell’edizione del 2002 e non, invece, in quella del 2015 cui pretende di fare riferimento il Mi.S.E.

Del resto, alla data di pubblicazione della comunicazione (2014/C 198/01), ossia il 27 giugno 2014, l’edizione del Manuale di Frascati cui si riferisce l’Amministrazione finanziaria non era ancora stata pubblicata (Come risultante dal sito internet istituzionale dell’OCSE (https://www.oecd.org/publications/frascati-manual-2015-9789264239012-en.htm) l’edizione 2015 del Manuale di Frascati è stata pubblicata l’8 ottobre 2015 e, quindi, addirittura, più di un anno dopo la pubblicazione della comunicazione che lo richiamerebbe) né tantomeno tradotta in italiano (La traduzione in Italia del Manuale, autorizzata dall’OCSE, è stata pubblicata solo il 7 dicembre 2021).

Potrebbe, quindi, al più, ritenersi fondato un richiamo operato dalla disciplina euro-unitaria degli aiuti di Stato al Manuale di Frascati, edizione 2002, già pubblicato all’epoca della comunicazione (2014/C 198/01). Sennonché, la definizione che reca tale edizione del Manuale di Frascati è diversa da quella che l’Amministrazione finanziaria ha fatto propria nei propri documenti di prassi, ritenendola fonte privilegiata ai fini dell’individuazione delle attività ammissibili al credito R&S (Secondo la definizione recata dal Manuale di Frascati, edizione 2002, un’attività rientra nella definizione di ricerca e sviluppo a condizione che il suo obiettivo principale sia quello di conseguire miglioramenti tecnici sul prodotto o sul processo, senza che vi sia dunque necessità di valutare anche se tali miglioramenti sarebbero stati possibili sulla base dello stato dell’arte del settore di riferimento. In particolare, in tale edizione si legge che "If the primary objective is to make further technical improvements on the product or process, then the work comes within the definition of R&D” (trad. italiana. “se lo scopo primario [dell’attività] è di compiere ulteriori miglioramenti tecnici sul prodotto o il processo, allora l’attività rientra nella definizione di ricerca e sviluppo”) (cfr. par. 111 del Manuale di Frascati, edizione 2002)).

In terzo luogo, l’interpretazione erariale presuppone, non solo che i chiarimenti della prassi amministrativa abbiano valore di legge ma, addirittura, che sia corretta la loro applicazione “retroattiva” (rectius, retrospettiva). Con la conseguenza che, se fosse vera la tesi dell’Agenzia dell’Entrate, dovrebbero escludersi dall’ambito di applicazione dell’agevolazione attività che, alla data in cui sono entrate in vigore le definizioni normative di attività ammissibili e allorquando i contribuenti le hanno applicate, dovevano ritenersi invece pienamente agevolabili.

Sennonché, come noto, gli atti della prassi amministrativa non hanno valore di legge e il Mi.S.E., se intende avvalersi di una fonte interpretativa per rendere un suo parere, ha l’obbligo di giustificare le proprie affermazioni su basi oggettive, essendo un’amministrazione priva nella specie di poteri legislativi.

Come è altrettanto noto, poi, ammettere una valenza retroattiva dei chiarimenti resi dall’Amministrazione finanziaria significherebbe porsi in contrasto con il principio di tutela dell’affidamento e della buona fede di tutti quei contribuenti che hanno effettivamente realizzato le attività di ricerca, confidando di poter beneficiare del credito R&S anche su base di diverse (e meno restrittive) posizione della stessa prassi amministrativa che espressamente ammettevano all’agevolazione le tipologie di attività che ora pretende invece di escludere.

5. I dubbi sollevati in ordine all’ammissibilità di un’interpretazione che poggi le proprie basi su di una fonte extra-normativa, quale il Manuale di Frascati, edizione 2015, nemmeno richiamata dalla normativa istitutiva del credito R&S, sono stati di sovente ritenuti fondati dalle corti di merito che si sono trovate a giudicare sul disconoscimento del credito R&S.

Sembra, infatti, possibile affermare che le posizioni sopra riepilogata si pongono alla base di un orientamento della giurisprudenza di merito che, ormai, può considerarsi in via di consolidamento. A partire dalla pronuncia n. 307/4/21 resa dalla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia-Romagna il 1° marzo 2021, in cui giudici di merito hanno ritenuto eleggibili al credito ricerca industriale i costi sostenuti per lo sviluppo di un progetto che non sia consistito nella mera manutenzione routinaria dei processi o prodotti già esistenti, ritenendo riconducibili tra le attività ammissibili al credito istituito con la legge n. 296/2006 (Ci si riferisce al credito di imposta per attività di ricerca industriale di cui all’art. 1, commi da 280 a 283, della Legge 27 dicembre 2006, n. 296 (c.d. “Legge Finanziaria 2007”), come modificato dall’art. 1, comma 66, della Legge 24 dicembre 2007, n. 244 (c.d. “Legge Finanziaria 2008”)), essendo tale agevolazione, così come lo è il credito R&S di cui all’art. 3 del d.l. 145/2013, volta a premiare le imprese che investano in attività di ricerca e sviluppo al fine di “ottimizzare i costi, i tempi e gli sfridi” e di rendere “più veloce e competitiva la risposta dell’impresa sul mercato”. Di contro, non è invece richiesto che le attività di ricerca e sviluppo, per essere considerati eleggibili al credito di imposta, debbano condurre ad un incremento del patrimonio delle conoscenze disponibili nel mercato, essendo sufficiente a tal fine il raggiungimento di un miglioramento “significativo” del processo o prodotto oggetto dell’attività di ricerca.

A tale prima posizione, si è uniformata la CTP di Modena che, con la sentenza n. 52/2/22, depositata lo scorso 17 febbraio 2022, ha affermato che possono considerarsi eleggibili al credito di imposta RS di cui all’art. 3 d.l. 145/2013 anche le spese sostenute per le attività di c.d. “innovazione di processo”, come definite dal Manuale di Oslo, ritenendo che ai fini dell’agevolazione in parole, quindi, non debba considerarsi “innovativo” esclusivamente un’attività che possegga i requisiti sostanziali richiesti dal Manuale di Frascati. A sostegno della propria posizione, la CTP di Modena ha evidenziato che l’ammissibilità al credito di imposta RS delle spese per attività di “innovazione e di sviluppo sperimentale” risulta, oltreché ragionevole in virtù della ratio ispiratrice della normativa (ossia, “favorire le imprese che si impegnano nella ricerca”), confermata tanto dalle disposizioni del DM 27 maggio 2015 quanto dalle prime indicazioni della prassi amministrativa fornite in materia (in particolare, la circolare Mi.S.E. n. 46586 del 16 aprile 2009 richiamata dalla circolare Agenzia delle Entrate n. 5/E del 16 marzo 2016). Pertanto, sulla base di tali presupposti, i giudici modenesi hanno concluso per ritenere che le attività svolte dalla stessa possono “effettivamente considerarsi attività di ricerca e sviluppo rientranti in quelle agevolabili che danno titolo per fruire del credito di imposta” a prescindere dal mancato soddisfacimento dei requisiti sostanziali richiesti dal Manuale di Frascati.

Dello stesso avviso si sono mostrate, anche più di recente, altre Corti di Giustizia Tributaria di primo e secondo grado. Tra le altre, la sentenza n. 22/1/22 la Commissione Tributaria Regionale Valle d’Aosta, resa lo scorso 21aprile 2022, la sentenza n. 12/1/22 resa il 25 febbraio 2022 dalla Commissione Tributaria Provinciale di Aosta (in linea con la precedente pronuncia della medesima CTP n. 46/1/21 dell’8 novembre 2021).

Da ultimo, sono intervenute due interessanti pronunciamenti di corti di merito che hanno nuovamente confermato le criticità insite nell’interpretazione fatta propria dall’Amministrazione finanziaria nella risoluzione n. 41/E del 2022 e che, se letta formalmente, indurrebbe a ritenere esclusi dal novero dei soggetti che possono fruire dell’agevolazione in parola, pressoché tutte le aziende operanti nel settore della moda.

Anzitutto, la sentenza della CTP di Bologna, con la sentenza n. 549 del 6 luglio 2022, richiamando le sentenze di merito rese medio tempore dalle altre corti di merito, ha confermato che non può disconoscersi la spettanza del credito R&S su base dei riferimenti fatti ai quesiti del Manuale di Frascati, in quanto “i riferimenti ai Manuali sono entrati nella prassi dell’amministrazione soltanto di recente e non possono avere carattere retroattivo”, precisando di ritenere condivisibile l’assunto secondo cui “ai fini della corretta fruizione del credito ricerca e sviluppo, l'innovazione relativa all'investimento può consistere anche nell'adozione di conoscenze e capacità esistenti che comunque apportano una novità per l'impresa”.

Infine, la sentenza n. 173/2022 resa dalla CTP di Reggio Emilia il 14 settembre 2022 ha annullato l’atto di recupero con cui l’Agenzia delle Entrate aveva disconosciuto, anche su base di un parere tecnico del Mi.S.E., la spettanza del credito di imposta ricerca e sviluppo ex art. 3 del d.l. 145/2013 fruito in compensazione dalla contribuente per i progetti realizzati nel periodo di imposta 2015.

I giudici della CTP di Reggio Emilia, accogliendo le argomentazioni fatte valere dalla società contribuente, hanno ritenuto che le considerazioni espresse dal Mi.S.E. nel proprio parere tecnico, essendo basate sulle definizioni del Manuale di Frascati e non sul chiaro dato normativo, non possano essere poste a fondamento del disconoscimento del credito di imposta R&S.

Le corti di merito appaiono, dunque, allineate nel ritenere illegittimo il richiamo operato al Manuale di Frascati, edizione 2015, quale fonte interpretativa privilegiata per la verifica della riconducibilità delle attività di ricerca svolte da un contribuente a quelle ammissibili al credito.

6. Il dibattito in tema di credito R&S – che si innesta, peraltro, in una fase in cui anche la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di dicotomia tra fattispecie di indebito utilizzo in compensazione di credito qualificato come “inesistente” e crediti qualificati come “non spettanti” (Per una più approfondita disamina delle sentenze di legittimità nn. 34443, 34444 e 34445 del 16 novembre 2021 si rinvia, ex multis, a ““Inesistenza” e “non spettanza” dei crediti: la Cassazione rimedia alla scelta semantica del legislatore” di Giovanni Panzera da Empoli e Alessandro Saini in “Corriere Tributario” n. 3, pag. 247; “Crediti d’imposta “inesistenti” o “non spettanti”: la Corte di Cassazione precisa le differenze qualificatorie” di Laura Letizia in “Rivista di Diritto Tributario” del 31 dicembre 2021. Si segnala, inoltre, che con due ordinanze interlocutorie (n. 3784 dell’8 febbraio 2023 e n. 35536 del 2013) Corte di Cassazione ha rimesso al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la questione relativa alla nozione di credito inesistente ed alla sua distinzione dogmatica rispetto alla nozione di credito non spettante) – impone una riflessione, non solo, in ordine alla fondatezza della politica di accertamenti tributari avviata dall’Amministrazione finanziaria fin dal 2019, ma, anche e soprattutto, all’opportunità per i contribuenti di aderire alla sanatoria introdotta dal legislatore con il d.l. 146/2021.

Il mutamento del quadro interpretativo della giurisprudenza di merito che negli ultimi mesi sta trovando conferme non può, infatti, che condurre ad un ripensamento in merito all’opportunità di avvalersi della procedura di riversamento.

Infatti, se, da un lato, le imprese operanti nel settore della moda, dopo la presa di posizione dell’Amministrazione finanziaria potrebbero essere incentivate ad accedere alla procedura di riversamento, dall’altro, le stesse, non potranno esimersi dal tenere in considerazione le posizioni dei giudici di merito che, anche in casi di pronunciamento negativo del Mi.S.E., hanno disconosciuto l’approccio interpretativo, fondato sui criteri del Manuale di Frascati, utilizzato dall’Agenzia delle Entrate. Ossia, il medesimo approccio interpretativo fatto proprio dal Mi.S.E. e, ex se, dall’Agenzia delle Entrate nella risoluzione n. 41/E del 2022.

Senza contare che, aderendo all’orientamento relativo alla dicotomia della categoria dei crediti di imposta indebitamente utilizzati in compensazione, che ha preso le mosse dalle sentenze di legittimità nn. 34443, 34444 e 34445 del 16 novembre 2021, declinato dalle corti di merito nei giudizi relativi al credito R&S, secondo cui in caso di spese effettivamente sostenute e documentate il credito di imposta non può mai qualificarsi come “inesistente”, ma al più come “non spettante”, si addiverrebbe ad una sistematica rideterminazione delle sanzioni irrogate per indebito utilizzo di tale agevolazione nella misura del 30 per cento. Con il conseguente venir meno, per molte imprese, di una reale convenienza nell’aderire a tale procedura.

Gioco forza, infatti, il risparmio ottenibile mediante l’adesione alla procedura in commento, consistente nella non applicazione delle sanzioni, si riduce in misura corrispondente alla riduzione della sanzione (ossia, dal 100% della sanzione prevista dall’art. 13, comma 5, del d.lgs. 471/1997 per i crediti di imposta inesistenti al 30% della sanzione prevista dall’art. 13, comma 4, del medesimo d.lgs. per i crediti di imposta non spettanti), rendendo lo strumento ben meno appetibile di quanto inizialmente auspicato.

Peraltro, la scelta di introdurre una siffatta normativa conferma la sussistenza di criticità in ordine all’individuazione del perimetro di applicazione della disciplina agevolativa e, ex se, la legittimità delle richieste di disapplicazione delle sanzioni che sovente i contribuenti hanno proposto in sede di ricorso giudiziale in virtù dell’applicabilità dell’esimente per violazione dipendenti da condizioni di incertezza prevista dall’art. 6, comma 2, del d.lgs. 18 dicembre 1997 n. 472 nonché dall’art.10, comma 3, della legge 212 del 2000 e dall’art. 8 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. (Secondo tali disposizioni non sono, infatti, irrogabili le sanzioni quando la violazione “dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione” della norma tributaria alla quale si riferisce) Seguendo questo ragionamento, l’impresa beneficiaria del credito potrebbe avere interesse a perseguire la via contenziosa, potendo ritenersi quantomeno plausibile – naturalmente, per le fattispecie che non siano connotate da fraudolenza – l’ottenimento della disapplicazione delle sanzioni e, quindi, del medesimo (e miglior) risultato ottenibile mediante l’adesione alla procedura di riversamento.

Oltre a ciò, la non definitività degli effetti della procedura di riversamento, che può sempre essere messa in dubbio dall’Agenzia delle Entrate, ha destato non poche perplessità nei contribuenti ed ha rappresentato un deterrente per gli stessi. (Sul punto, si veda: ““Sanatoria” dei crediti per attività di ricerca e sviluppo: poche certezze e tanti interrogativi” di E. Manoni in “L’accertamento” n. 3 del 2022)

Anche per le imprese del settore della moda, quindi, la valutazione circa l’opportunità di aderire alla procedura di riversamento, che sarebbe potuta sembrare di facile risoluzione dopo la presa di posizione dell’Amministrazione finanziaria del luglio scorso, non appare, a ben vedere, così semplice, dovendosi tenere conto di un panorama interpretativo che, benché incerto e frastagliato, è sempre più spesso favorevole alle posizioni di quei contribuente che legittimamente abbiano fatto affidamento sulle disposizioni di legge (e sulle interpretazioni ministeriali valide al tempo) per valutare la riconducibilità delle attività di ricerca svolte a quelle agevolabili con il credito R&S di cui all’art. 3 del d.l. 145/2013.