Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

14/03/2023 - La libera prestazione dei servizi nell'Unione Europea e l'obbligo di trasmissione dei dati all'amministrazione finanziaria nazionale da parte degli intermediari di piattaforme online: il caso Airbnb

argomento: Profili europei e Internazionali - Giurisprudenza

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea si pronuncia in ordine alla compatibilità con l’ordinamento comunitario di una normativa nazionale che obblighi un intermediario di una piattaforma online di sharing economy – in specie Airbnb – a condividere dati sensibili con l’Amministrazione finanziaria. Attraverso una interpretazione sistematica delle norme dell’art. 56 TFUE e delle fonti derivate, la pronuncia in commento stabilisce che il principio di libera prestazione di servizi non osta all’obbligo di raccolta e trasmissione di tali dati, non ravvisandosi alcuna forma di indebita restrizione.

» visualizza: il documento (Corte di Giustizia UE, sent. 27 aprile 2022, causa C-674/20) scarica file

PAROLE CHIAVE: sharing economy - Libera prestazione di servizi - attuazione del tributo - restrizione - imposta sulle locazioni brevi


di Lorenzo Pennesi

1. Il moderno modello della sharing economy, secondo la definizione resa dalle scienze economiche, rappresenta un sistema di condivisione ed allocazione razionale delle risorse tra privati che, sfruttando la diffusione capillare di piattaforme online, favorisce l’incontro della domanda e dell’offerta di beni e servizi a prezzi competitivi, al di fuori dalla tradizionale logica di matrice capitalista (DERVOJEDA, The Sharing Economy: Accessibility Based Business Models for Peer-to-Peer Markets, Bruxelles, 2013; HAMARI, SJÖKLINT, UKKONEN, The Sharing Economy: Why People Participate in Collaborative Consumption, in Journal of the Association for Information Science and Tecnology, 2015, 2047 ss.). Il fenomeno riguarda, in particolar modo, il settore delle strutture ricettive e turistiche ove si sono affermati vari portali telematici - in specie, Airbnb e Booking – che operano quali intermediari tra conduttori e locatori non professionali e che, a fronte di un costo contenuto della infrastruttura digitale, lucrano su parte dei profitti conseguiti dalle transazioni ivi effettuate. Tali intermediari hanno attratto l’attenzione del legislatore, nazionale ed europeo, in ragione delle peculiari modalità operative adottate, del volume di utili conseguiti e dei correlati rischi di evasione fiscale, il quale ha avviato un lento processo di regolamentazione, civilistica e tributaria, della fattispecie (si veda, ad esempio, la normativa fiscale in tema di locazioni brevi introdotta in Italia con l’art. 4 del D.l. 24 aprile 2017, n. 50, con commento di NASTRI, La disciplina fiscale delle locazioni brevi: il caso “Airbnb Italia”, in prat. Trib. Int., 2020, 1020 ss.; si vedano anche le riflessioni di BUCCICO, Modelli fiscali per la sharing economy, in DI SABATO, LEPORE, Sharing economy. Profili giuridici, Napoli, 2018, 161 ss). In questo contesto, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in tempi recenti, è stata ripetutamente chiamata a confrontarsi con le problematiche poste dalla sharing economy e dalle multinazionali operanti in tale settore, sulla scorta di numerosi rinvii pregiudiziali effettuati ai sensi dell’art. 267 TFUE dai giudici nazionali degli Stati Membri, al fine di fornire chiarimenti circa la compatibilità delle discipline nazionali, sorte per regolamentare il fenomeno, con l’acquis comunitario. La pronuncia annotata segue, pertanto, altri precedenti della medesima Corte (in specie, CGUE, 20 dicembre 2017, Asociaciòn Profesional Elite Taxi, C-434/15; CGUE, 19 dicembre 2019, Airbnb Ireland, C-390/18) a mezzo dei quali i giudici comunitari hanno utilizzato il parametro offerto dal principio di libera circolazione di cui all’art. 56 TFUE, e da talune direttive sui servizi delle società di informazione (Direttiva UE 2015/1535 e Direttiva 2000/31/CE), per vagliare la legittimità delle normative nazionali reputate come potenzialmente restrittive dalle Autorità remittenti.

2. Nel caso in esame, il soggetto intermediario, ossia la multinazionale Airbnb, era stato invitato dall’Amministrazione finanziaria belga, ai sensi dell’art. 12 della Legge regionale della Regione di Bruxelles – Capitale del 23 dicembre 2016, a trasmettere dati ed informazioni relative agli operatori registrati nella piattaforma, oltre al numero di pernottamenti e unità abitative gestite, al fine di verificare il corretto assolvimento dell’imposta regionale sugli esercizi ricettivi turistici. L’intermediario, reputando che la norma citata fosse lesiva del principio europeo di libera circolazione dei servizi di cui all’art. 56 TFUE, chiedeva alla Corte Costituzionale belga di disporne l’annullamento, nella convinzione che non ricorressero le condizioni previste dall’art. 3, par. 4, della Direttiva 2000/31/CE che, in casi eccezionali, autorizza gli Stati Membri ad adottare misure restrittive della libera circolazione dei servizi offerti dalle società dell’informazione (tra le quali rientra espressamente Airbnb, come statuito dalla sentenza CGUE, 19 dicembre 2019, Airbnb Ireland, C-390/18; per un commento si veda FEDELE, Sugli effetti della violazione di obblighi procedurali sostanziali: in margine alla sentenza Airbnb, in European Papers, 2020, 433 ss.). I giudici belgi si interrogavano tuttavia sulla effettiva applicabilità, al caso di specie, della citata Direttiva, stante quanto disposto dall’art. 1, par. 5, lett. a) che ne esclude l’applicazione al “settore tributario”, nonché sulla effettiva violazione dell’art. 56 TFUE da parte dell’art. 12 della Legge del 23 dicembre 2016, decidendo, per l’effetto, di procedere a rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia. Quest’ultima, con un lucido iter argomentativo che pone al centro la tutela del mercato unico ed il processo di integrazione europea, perviene così ad una decisione di grande rilievo sistematico, che appare cruciale nelle prospettive di futura regolamentazione europea della sharing economy, giacché vengono definiti, con chiarezza, taluni confini applicativi della Direttiva 2000/31/CE, nonché i limiti sostanziali al divieto posto dall’art. 56 TFUE. Nel prosieguo della trattazione verranno quindi messe a fuoco, distintamente, le argomentazioni spese dai giudici europei nella pronuncia in commento, con l’obiettivo di verificare, in conclusione, quale impatto essa possa avere sull’analogo caso della c.d. Airbnb tax

3. In questa prospettiva di analisi, il primo profilo che viene affrontato dalla Corte di Giustizia concerne l’eventuale riconducibilità della previsione di cui all’art. 12 della Legge del 23 dicembre 2016 al “settore tributario”. Invero, tale norma parrebbe trovarsi in una condizione di potenziale contrasto con la Direttiva 2000/31/CE, meglio nota come Direttiva sul commercio elettronico, e di riflesso con l’art. 56 TFUE, poiché introduce una limitazione alla libera circolazione dei servizi di e-commerce - che si sostanzierebbe nell’obbligo imposto ai prestatori di servizi di intermediazione immobiliare di comunicare all’Amministrazione finanziaria regionale i dati da quest’ultima richiesti - non rientrante nelle ipotesi di deroga previste dall’art. 3, par. 4 della medesima Direttiva. Come noto, l’art. 3, par. 4, della Direttiva 2000/31/CE dispone che gli Stati Membri non possono, per motivi diversi dall’ordine pubblico, dalla tutela della sanità pubblica, della pubblica sicurezza o di tutela dei consumatori - purché debitamente dimostrati - limitare la libera circolazione dei servizi (per un approfondimento su tali deroghe, si rimanda a NASCIMBENE, Le eccezioni ai principi. Interessi generali e ordine pubblico, in BESTAGNO, Il mercato unico dei servizi, Milano, 2007, 50 ss.). Tale previsione incontra, tuttavia, una precisa limitazione nell’art. 1, par. 5, lett. a), ove si specifica la Direttiva sul commercio elettronico non può, in ogni caso, trovare applicazione in relazione a norme di legge che abbiano natura tributaria. Ne consegue, evidentemente, che la riconducibilità del citato art. 12 al “settore tributario” diviene questione preliminare ad ogni esame circa la sua compatibilità con la Direttiva sul commercio elettronico. La Corte di Giustizia, al fine di risolvere la questione prospettata, procede così ad una attenta ricostruzione esegetica della Direttiva, indagando in ordine al fondamento giuridico da cui essa trae diretta ispirazione: l’art. 114 TFUE (già art. 95 CE). Invero tale norma, che rappresenta una disposizione fondante dell’architettura europea, regolamenta, al par. 1, la procedura di integrazione e di ravvicinamento, su base legislativa, regolamentare e amministrativa, degli ordinamenti giuridici Stati Membri, escludendo espressamente, al par. 2, che ciò possa avvenire per le disposizioni fiscali (per un approfondimento generale sul tema si vedano CARUSO, 94-95 CE, in TIZZANO, Trattati dell'Unione europea e della Comunità europea, Milano, 2004, 651 ss.; GATTINARA, Artt. 114-115 TFUE, in CURTI GIALDINO, Codice dell'Unione europea operativo, Napoli, 2012, 1144 ss.). La ratio dell’esclusione, come noto, va ricondotta alla deliberata assenza di uno specifico trasferimento di sovranità statuale, sul tema, in favore dell’Unione Europea, di modo che gli Stati Membri conservano una competenza pressoché esclusiva in materia tributaria, da esercitarsi tuttavia nel rispetto dell’acquis comunitario (si veda, a tal proposito, la sentenza della Corte di Giustizia, 14 febbraio 1995, Schumacker, C-277/93, par. 21 e 26; in dottrina BORIA, Taxation in European Union, Berlino, 2017, passim). Più precisamente, come statuito dalla Corte, la locuzione “disposizioni fiscali”, utilizzata dall’art. 114 TFUE e fatta propria anche dalla Direttiva sul commercio elettronico ha una connotazione marcatamente onnicomprensiva, essendo riferibile ad ogni aspetto, sostanziale e procedurale, della materia tributaria, tanto da involgere anche le norme di mera attuazione di disposizioni aventi carattere tributario (in analogia a quanto statuito in un precedente giurisprudenziale dalla medesima Corte di Giustizia, 29 aprile 2004, Commissione c. Parlamento europeo, C-338/01, par. 63).

4. Nella prospettiva adottata dalla Corte di Giustizia, l’esclusione effettuata dall’art. 114 TFUE esercita così una forza di attrazione su ogni aspetto e norma del “settore tributario” e, essendo inserita in un testo normativo fondamentale dell’ordinamento comunitario, tale disposizione mostra una efficacia coestensiva alle altre fonti del diritto dell’Unione Europea - come la Direttiva sul commercio elettronico - che, ispirandosi ad essa, escludono dal proprio ambito applicativo il settore in esame (per un approfondimento sul tema dell’interpretazione dei principi comunitari si veda ZILLER, L’interpretazione conforme ai principi generali e diritti fondamentali UE, in BERNARDI, L’interpretazione conforme al diritto dell’Unione Europea, Napoli, 2015, 109 ss.). Peraltro, l’art. 1 5, lett. a) della sopra citata Direttiva utilizza una locuzione che, sul piano linguistico, è evidentemente generale – “settore tributario”– rispetto alla quale è possibile procedere ad una interpretazione di carattere estensivo, facendovi rientrare tutte le norme che, anche in maniera indiretta o subordinata, afferiscano alla legislazione fiscale nazionale (invero, la stessa Corte di Giustizia, con la sentenza 15 ottobre 2015, Grupo Itevelesa, C-168/14, ha evidenziato la possibilità di una interpretazione estensiva delle locuzioni aventi carattere generale).

Applicando al caso di specie queste argomentazioni, l’art. 12 della Legge regionale della Regione di Bruxelles – Capitale del 23 dicembre 2016 palesa, pertanto, una connotazione marcatamente “fiscale” atteso che, pur essendo pacifico che il soggetto passivo dell’imposta regionale sugli esercizi ricettivi turistici non sia l’intermediario al quale si richiedono informazioni (ossia Airbnb), essa è nondimeno funzionale all’attuazione di una norma fiscale in senso stretto, permettendo all’Amministrazione finanziaria belga di acquisire dati in ordine ai soggetti debitori dell’imposta, alla base imponibile e, di riflesso, di determinare il quantum del tributo.

Alla luce di queste considerazioni, la pronuncia annotata giunge alla condivisibile conclusione che le difese sviluppate dall’intermediario Airbnb, facenti leva sulla Direttiva 2000/31/CE, non risultano conferenti giacché quest’ultima è inapplicabile al caso di specie, in forza dell’esclusione effettuata dal citato art. 1 par. 5, lett. a) che, evidentemente, involge anche l’art. 12 della Legge del 23 dicembre 2016, quale norma del “settore tributario”.

5. Così risolto il primo quesito interpretativo, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea procede ad esaminare la seconda, rilevante, questione sollevata dalla Corte Costituzionale belga e rappresentata dalla condizione di potenziale conflitto tra la norma fiscale rappresentata dall’art. 12 della Legge del 23 dicembre 2016 ed il principio di libera prestazione dei servizi di cui all’art. 56 TFUE. Si tratta, evidentemente, di un aspetto cruciale della vicenda in esame atteso che esso attiene ad uno dei principi fondamentali dell’Unione Europea ed apre ad importanti conseguenze applicative non solo per l’ordinamento belga, direttamente coinvolto dal giudizio instaurato dinanzi alla Corte di Giustizia, ma anche per gli altri ordinamenti nazionali dei Paesi Membri che, a vario titolo, hanno introdotto o intendono introdurre disposizioni similari per regolamentare e/o monitorare le attività e le transazioni afferenti al settore della sharing economy (si pensi in Italia, nuovamente, al citato art. 4 del D.l. 24 aprile 2017, n. 50).

Invero, il principio di cui si discute è funzionale a garantire, all’interno del mercato unico, una parità di trattamento tra tutti gli operatori economici che, a vario titolo, offrono servizi in un Paese Membro diverso da quello di residenza, vietando qualsivoglia restrizione, anche di carattere fiscale, che sia in grado di “vietare, ostacolare o rendere meno attraenti” le attività del prestatore di servizi stabilito (in questi termini si è pronunciata la Corte di Giustizia, sentenza 13 novembre 2003, Lindman, C-42/02; si vedano in dottrina CANNIZZARO, Il diritto dell’integrazione europea. L’ordinamento dell’Unione, Torino, 2014, 235 ss. e, circa i rapporti tra questo principio e la materia tributaria, LAROMA JEZZI, Integrazione negativa e fiscalità diretta. L’impatto delle libertà fondamentali sui sistemi dell’Unione Europea, Milano, 2012). Più precisamente, il principio di cui all’art. 56 TFUE - secondo una interpretazione che risale alla nota sentenza della Corte di Giustizia del 20 giugno 1996, Semeraro, C-418/93 - è da reputarsi violato qualora ricorrano, sostanzialmente, due presupposti: i) la norma nazionale introduce una forma di discriminazione sulla base della allocazione territoriale dell’operatore e ii) dispone condizioni restrittive, direttamente misurabili, nello svolgimento dell’attività economica. Sulla scorta di questi elementi, la normativa belga costringerebbe Airbnb a collaborare con l’Amministrazione finanziaria nella fase di attuazione del tributo e ciò ostacolerebbe, in astratto, il sereno svolgimento dell’attività economica di intermediazione online che presuppone - pare evidente - la gestione di dati rilevanti ai fini dell’imposizione fiscale, appartenenti ai fruitori della piattaforma, i quali si troverebbero così esposti al probabile controllo del Fisco per la sola scelta di condurre transazioni commerciali a mezzo di essa (evidenzia questa funzione dell’intermediario, DI PIETRO,  Sharing economy e fiscalità condivisa per utenti e piattaforme, in Rass. Trib., 2020, 889 ss.).

6. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, tuttavia, rileva che l’art. 12 in esame non manifesta alcuno dei presupposti essenziali per configurare una restrizione rilevante ai sensi dell’art. 56 TFUE giacché si tratta di una disposizione che, pur introducendo un obbligo di collaborazione con l’Amministrazione finanziaria, è indistintamente applicabile a tutti gli intermediari che operano all’interno del mercato belga, senza che rilevi in alcun modo la residenza e l’allocazione territoriale di questi ultimi. Ne consegue, di riflesso, che non è ravvisabile alcun trattamento differenziato su base territoriale che possa rilevare ai fini del diritto dell’Unione Europea e che possa declinarsi in una indebita restrizione, giustificata da finalità fiscali, al principio di libera prestazione dei servizi (appare opportuno evidenziare che tale trattamento differenziato, se esistente, avrebbe immediatamente condotto la Corte a ritenere incompatibile la norma fiscale dell’art. 12 con l’art. 56 TFUE, come già accaduto nelle precedenti sentenze CGUE del 12 giugno 2003, Gerritse, C-234/01, e del 03 ottobre 2006, Scorpio, C-290/04; sul tema, anche, SACCHETTO, Principi di diritto europeo ed internazionale, Torino, 2016, 99 ss.).

Peraltro, la normativa belga, qui in esame, non comporta alcuna modifica alle condizioni di erogazione di servizi da parte di Airbnb, le quali rimangono di fatto inalterate, limitandosi ad imporre un mero obbligo, ex post, di conservazione e trasmissione dei dati sensibili, una volta che la prestazione sia stata erogata. La cesura temporale tra il momento di effettuazione della prestazione di servizi e il momento in cui cade l’obbligo introdotto dall’art. 12 della Legge del 23 dicembre 2016 diviene così elemento ostativo al riconoscimento di una forma di restrizione della libertà tutelata dall’art. 56 TFUE atteso che le prestazioni dell’intermediario sono offerte al mercato in condizioni ordinarie e senza alcuna interferenza da parte dell’Autorità fiscale. Sulla scorta di queste considerazioni, la pronuncia annotata riconosce l’assenza, nel caso di specie, di una violazione del principio di libera prestazione dei servizi da parte dell’art. 12, trattandosi di una disposizione intrinsecamente inidonea ad arrecare un vulnus al meccanismo concorrenziale comunitario, se non in maniera piuttosto astratta e non misurabile, conformemente alla costante interpretazione resa dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in fattispecie similari (il riferimento è alla sentenza CGUE dell’8 maggio 2014, Pelckmans Turnhout, C-483/12 ove la Corte ha riconosciuto la legittimità delle norme nazionali che hanno un contenuto “troppo aleatorio e troppo indiretto” per poter incidere sensibilmente su una libertà fondamentale tutelata dai Trattati; su questo tema appaiono di interesse le riflessioni di MONACO, I principi di non discriminazione, non restrizione e ragionevolezza nel diritto comunitario e nel diritto del commercio internazionale: struttura, contenuto e incidenza sui sistemi fiscali nazionali, in Riv. Dir. Fin., 2006, 449 ss. in ordine al rapporto tra libertà fondamentali e principio di non restrizione). In sostanza, l’obbligo di condivisione di dati sensibili a fini fiscali, imposto ad Airbnb ed agli operatori ad essa assimilabili, è da reputarsi legittimo e non restrittivo di alcuna libertà fondamentale, non ostando alla erogazione dei servizi di intermediazione offerti su piattaforme di sharing economy.

7. Tale conclusione è, da ultimo, avvalorata da un ulteriore rilevante riflessione spesa dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che appare di grande rilievo sistematico anche per la risoluzione di analoghe vicende. Invero, la difesa spiegata da Airbnb dinanzi alla Corte Costituzionale belga mira, almeno, al riconoscimento della portata potenzialmente lesiva del citato art. 12 per tale società atteso che essa, in ragione dell’elevato volume di transazioni registrate su base annua, risulterebbe essere l’intermediario più inciso dell’obbligo esaminato. La pronuncia in esame, tuttavia, svela l’intrinseca debolezza di questa argomentazione: il fatto che Airbnb sia chiamata a condividere un volume maggiore di informazioni e dati con l’Amministrazione finanziaria, sulla scorta delle transazioni registrate, non è indice di una lesione del principio di libera prestazione di servizi ma, all’opposto, è espressione dell’elevata forza di mercato esercitata da quest’impresa, dimostrando così il corretto funzionamento dei meccanismi di competizione e concorrenza europei (diffusamente, sul tema, PAPPALARDO, Il diritto della concorrenza nell’Unione europea, Milano, 2018, per il quale il successo economico di una impresa è indice dello stato di perfetta salute del mercato concorrenziale). Sottolinea pertanto la Corte che il presunto effetto restrittivo per Airbnb non sarebbe nemmeno ravvisabile in termini di aggravio economico nella erogazione dei servizi sulla piattaforma giacché, sebbene sia vero che l’obbligo di fornire dati ed informazioni all’Amministrazione finanziaria imponga una preventiva attività di raccolta e conservazione degli stessi, e ciò possa produrre un costo da sostenere, è altrettanto vero che, per le multinazionali che operano nel mercato online, tali adempimenti sono fisiologici e avverrebbero comunque, a prescindere dalla esistenza di un eventuale obbligo di legge (la raccolta e la conservazione di dati è infatti coessenziale ai meccanismi dell’economia digitale in cui si muovono le multinazionali della sharing economy; si veda, a tal proposito, il contributo di RESTA, ZENO-ZENCOVICH, Volontà e consenso nella fruizione dei servizi in rete, in Trim. di Dir. e Proc. Civ., 2018, 411 ss. per i quali i dati degli utenti rappresentano, per le multinazionali digitali, sempre un vantaggio e non un costo). L’eccezione sollevata da Airbnb, lungi dal dimostrare il presunto effetto restrittivo prodotto dall’art. 12 della Legge del 23 dicembre 2016 per tale intermediario, avvalora la ricostruzione della Corte di Giustizia, confermandone la piena conformità con l’ordinamento comunitario e la non violazione dell’art. 56 TFUE e del principio di libera prestazione dei servizi ivi consacrato.

8. In definitiva, dalla disamina della sentenza in commento emergono una serie di riflessioni di grande respiro sistematico che, di certo, potranno fungere da autorevoli precedenti per successive riflessioni della Corte in tema di sharing economy e che, come si vedrà di seguito, possono influire, nel breve termine, su vicende giuridiche di grande attualità nell’ambito domestico. In specie, ed è questo uno degli aspetti che si reputa di maggiore interesse, l’acquisizione di dati sensibili, a fini fiscali, da parte delle multinazionali della sharing economy (e, più in generale, da parte delle imprese che operano nell’economia digitale) eleva tali imprese a fisiologici collettori di informazioni per le Amministrazioni finanziarie nazionali, alle quali attingere per avere contezza delle operazioni realizzate dai contribuenti sulla piattaforma online, senza che ciò possa però tradursi in una ingerenza illecita ai fini del diritto europeo (almeno fin tanto che ciò sia sorretto da ragioni di interesse generale e non si traduca in un aggravio arbitrario per il singolo operatore economico; si vedano le riflessioni di MOSCHETTI, Il principio di proporzionalità come “giusta misura” del potere nell’evoluzione del diritto tributario, Milano, 2017, 5 ss.). Alla luce di quanto rappresentato, è opinione di chi scrive che le argomentazioni spese dalla Corte di Giustizia hanno avuto palese ed immediato riflesso sugli esiti di una vicenda domestica del tutto analoga, costituita dal rinvio pregiudiziale effettuato dal Consiglio di Stato in data 26 gennaio 2021, ordinanza n. 777, circa la compatibilità con l’acquis comunitario del Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate (prot. n. 132395, del 12 luglio 2017) e della relativa Circolare interpretativa (n. 24/E del 12 ottobre 2017), attuativi del regime fiscale per le locazioni brevi, di cui al già citato art. 4, del D.l. 24 aprile 2017, n. 50 (per un esame critico alla normativa si rimanda a SCHIAVOLIN, La tassazione della sharing economy attuata con piattaforme digitali, in della Guardia di Finanza, 2019, 1259 ss.). Invero, la questione posta all’attenzione della Corte aveva ad oggetto talune problematiche che sono apparse evidentemente assimilabili a quelle trattate dalla pronuncia annotata (in specie, conservazione e comunicazione sistematica al Fisco di dati acquisiti dall’intermediario), di modo che, sin dall’inizio, è stato possibile ipotizzare un successivo allineamento dei giudici europei alle considerazioni già sviluppate per l'affine caso belga. Ciò è quanto effettivamente avvenuto con la recente sentenza del 22 dicembre 2022, caso C-83/2021, che sarà oggetto di autonomo commento, a mezzo della quale la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che è legittima la norma statale che obbliga Airbnb a raccogliere dati ed informazioni sulle locazioni effettuate, nonché ad applicare la ritenuta d’imposta alla fonte. Al netto di alcune ontologiche diversità tra le due discipline, che hanno imposto un attento esame da parte della Corte di Giustizia (si pensi alla natura di sostituto di imposta che viene attribuita ad Airbnb dal citato art. 4 del D.l. 24 aprile 2017, n. 50), la Direttiva sul commercio elettronico viene ritenuta parimenti inapplicabile ai sensi art. 1 par. 5, lett. a), stante la natura prettamente “fiscale” della normativa italiana, e non può così essere di ostacolo alla trasmissione di dati sensibili all’Agenzia delle Entrate da parte dell’intermediario. Analogamente, sulla scorta del precedente che si è qui esaminato, anche la presunta violazione dell’art. 56 TFUE non viene ravvisata dalla Corte giacché la c.d. Airbnb tax e le relative disposizioni di attuazione si caratterizzano per un perimetro applicativo che non attua alcuna forma di discriminazione, su base territoriale, tra i vari operatori economici che erogano il servizio in Italia, né incide sulle modalità di erogazione delle prestazioni alla platea dei consumatori.

9. L’esperienza italiana mostra, in sostanza, evidenti affinità con il caso belga atteso che, in entrambe le fattispecie, è la posizione di supremazia commerciale acquisita dall’intermediario, in un mercato altamente concorrenziale, a porlo nella fisiologica condizione di prestare sostegno all’Amministrazione finanziaria nella lotta all’evasione fiscale (lo evidenzia, anche, ALBANO, Problematiche della sharing economy: l’esperienza della “Airbnb Tax”, in trib., 2018, 1760). In definitiva, la pronuncia annotata esprime, a parere di chi scrive, una linea interpretativa razionale e condivisibile che ha già dato prova di poter orientare le successive decisioni della Corte di Giustizia sul complesso tema delle relazioni tra fiscalità e sharing economy, operando quale autorevole precedente giurisprudenziale che, lungi dal rappresentare un mero stare decisis (per un approfondimento, BASILAVECCHIA, L’influenza delle interpretazioni della Corte di Giustizia, in GT – Riv. Giu. Trib, 2008, 15 ss.), palesa l’ambizione di voler permeare, dinamicamente, gli ordinamenti dei Paesi Membri e le rispettive leggi fiscali, favorendone una progressiva integrazione a mezzo di logiche comuni e condivise.