argomento: IRES - Giurisprudenza
La sentenza commentata conferma che, in base all’art. 14, comma 4-bis, della L. n. 537 del 1993, come modificato dall’art. 8, comma 1, del D.L. n. 16 del 2012, i costi documentati da fatture soggettivamente inesistenti debbono ritenersi deducibili – diversamente da quanto avviene sul fronte della detrazione della relativa IVA – anche laddove il contribuente sia consapevole della frode, sempre che sussistano i requisiti ordinariamente previsti dall’art. 109 TUIR.
» visualizza: il documento (Corte di Cass., ord. 29 agosto 2022, n. 25473)PAROLE CHIAVE: accertamento - costi da reato - deducibilità - fatture soggettivamente inesistenti - frodi IVA
di Ernesto-Marco Bagarotto
1. L’ordinanza commentata si occupa, tra le altre cose, della deducibilità dei costi sostenuti per l’acquisto di merci nell’ambito di una cd. “frode carosello”, da parte di un imprenditore ritenuto consapevole della frode.
In particolare, l’Agenzia delle entrate emetteva un avviso di accertamento con cui recuperava sia l’IVA detratta sia i costi dedotti da un soggetto che aveva acquistato materie plastiche nell’ambito di una frode carosello. Le fatture ricevute da detto contribuente venivano perciò ritenute “soggettivamente inesistenti”.
Il contribuente impugnava detto avviso e, mentre la CTP condivideva la tesi difensiva, la CTR accoglieva l’appello dell’Agenzia e confermava la legittimità del provvedimento impositivo, accertando – tra le altre cose – la consapevolezza della frode da parte del contribuente.
Il contribuente proponeva ricorso per cassazione, contestando la decisione impugnata, per quanto qui di interesse, nella parte riferita alla deducibilità dei costi sostenuti ai fini IRES ed IRAP, per violazione dell’art. 14, comma 4-bis, della L. n. 537 del 1993, come modificato dall’art. 8, comma 1, del D.L. n. 16 del 2012.
2. Ebbene, la Corte di cassazione ha parzialmente riformato la sentenza della CTR, nella parte in cui aveva avallato il recupero ai fini delle imposte dirette dei costi sostenuti dal contribuente.
3. In particolare, la Corte ha preso le mosse dal fatto, acclarato nel giudizio di merito, che il contribuente fosse consapevole di concludere acquisti nell’ambito di una “frode carosello”. Conseguentemente, ha confermato l’indetraibilità dell’IVA sostenuta, in base alla nota impostazione – sposata, sia pure con sfumature diverse, dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE e della Corte di cassazione – secondo cui l’IVA pagata nell’ambito di una frode IVA non è detraibile laddove emerga che il contribuente – per l’appunto – dovesse essere a conoscenza di concludere l’acquisto nell’ambito di una frode (si vedano, tra le altre, le sentenze Corte di Giustizia UE 12 gennaio 2006, C-354/03, C-355/03 e C-484/03; 6 luglio 2006, C-439/04 e 440/04; Cass., 13 marzo 2009, n. 6124; 21 gennaio 2011, n. 1364; 24 luglio 2009, n. 17377; 30 gennaio 2007, n. 1950; in dottrina, per tutti, vd. A. GIOVANARDI, Le frodi IVA: Profili ricostruttivi, Torino, 2013).
4. Tuttavia, la sentenza commentata ha censurato la decisione oggetto di impugnazione, poiché non ha distinto gli effetti della condotta del contribuente per quel che riguarda la deducibilità dei costi sostenuti, alla luce delle modifiche apportate dall’art. 8 del D.L. n. 16 del 2012 all’art. 14, comma 4-bis, della L. n. 537 del 1993.
5. Tale disposizione, anteriormente alle citate modifiche, prevedeva che nella determinazione del reddito imponibile non fossero ammessi in deduzione i componenti negativi di reddito «riconducibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato, fatto salvo l’esercizio di diritti costituzionalmente riconosciuti» (sulla versione originaria della norma vd. F. TESAURO, Indeducibilità dei costi illeciti: profili critici di una norma di assai dubbia costituzionalità, in Corr. trib., 2012, p. 426 e ss.; A. GIOVANNINI, Principi costituzionali e nozione di costo nelle imposte sui redditi, in Rass. trib., 2011, p. 609 e ss.; F. TUNDO, L’indeducibilità dei costi illeciti tra dubbi di costituzionalità e interpretazione restrittiva, in Corr. trib., 2011, p. 57 e ss.; ID., Ancora dubbi di costituzionalità sulla indeducibilità dei costi da reato, in Corr. trib., 2011, p. 2840).
6. Si trattava di una formulazione che – facendo richiamo al concetto di “riconducibilità” ad un reato – era decisamente vaga; ciò aveva condotto l’Amministrazione finanziaria a sostenere la tesi dell’indeducibilità dei costi derivanti da operazioni soggettivamente inesistenti, in quanto tali costi, ancorché effettivi, sarebbero stati “riconducibili” ad un reato, vale a dire l’utilizzo della fattura soggettivamente inesistente (sul punto vd. la Circolare 42/E del 2005). Secondo tale impostazione, dunque, solamente nei casi in cui non si fosse riscontrata la consapevolezza della frode da parte del contribuente – venendo meno l’indetraibilità dell’IVA e, parallelamente, la configurabilità del reato di dichiarazione fraudolenta – i costi sostenuti potevano essere considerati deducibili (in giurisprudenza, in tal senso, vd. le pronunce della Suprema Corte 11 novembre 2011, n. 23626; 29 aprile 2011, n. 9537; 24 luglio 2009, n. 17377). Di contro, i costi documentati da fatture soggettivamente inesistenti, nei casi di consapevolezza del contribuente, venivano considerati indeducibili.
7. Tale impostazione era idonea a produrre effetti irragionevoli ed incompatibili con i principi alla base dell’imposizione sui redditi, con determinazione di un reddito al lordo di costi effettivamente sostenuti e funzionali alla produzione di ricavi imponibili, in aperto contrasto con il principio di capacità contributiva sotto il profilo della effettività (sull’incompatibilità dell’indeducibilità dei costi derivanti da operazioni soggettivamente inesistenti rispetto al principio di capacità contributiva vd. M. BEGHIN, L'interpretazione adeguatrice naufraga nelle perigliose acque del paradiso fiscale, in Riv. dir. trib. 2011, II, p. 207).
8. D’altro canto, non poteva giudicarsi ragionevole negare la deduzione di un costo sostenuto nell’ambito di un comportamento illecito per ragioni legate all’etica ed alla legalità, considerato che, con il comma 4 dell’art. 14 della L. n. 537 del 1993, il legislatore ha previsto l’imponibilità dei «proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale» (fermo restando che parte della dottrina ritiene che sarebbe maggiormente in linea con i principi di solidarietà e legalità rendere indeducibili i costi da reato ed irrilevanti fiscalmente i proventi da reato: in tal senso vd. A. GIOVANNINI, Principi costituzionali e nozione di costo nelle imposte sui redditi, in Rass. trib., 2011, p. 609 e ss.; ID., Imprese criminali e costi di reato: per il rispetto della costituzione, in Dir. e pratica trib., 2014, I, p. 431).
9. Il quadro normativo è mutato per effetto dell’art. 8 del D.L. n. 16 del 2012, che – anche a seguito dei dubbi di costituzionalità sollevati dalla C.T.R. del Veneto, sez. Verona, con l’ordinanza 11 aprile 2011, n. 27/21/2011 – ha sostituito il testo del citato comma 4-bis, la cui novellata formulazione prevede l’indeducibilità dei costi e delle spese dei «beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell'articolo 424 del c.p.p. ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall'articolo 157 del c.p.»
10. In base al novellato comma 4-bis, dunque, sono indeducibili solamente i costi sostenuti per acquisire beni o servizi concretamente impiegati per commettere il reato-delitto non colposo, sempre che il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale [sul punto vd. anche D. STEVANATO, Le ricadute in tema di falsa o deviante documentazione di operazioni effettive, in Santacroce, Stevanato, Lupi, Il «restyling» della regola di indeducibilità dei costi finalizzati ad attività criminose, in Dialoghi, 2012, p. 153 e ss. e A. CARINCI, La nuova disciplina dei costi da reato: dal superamento del doppio binario alla dipendenza rovesciata (con diversi dubbi e numerose incongruenze), in Rass. trib., 2012, p. 1465]. Il nuovo testo normativo, quindi, pur non avendo risolto tutte le problematiche sollevate dalla disposizione, limita sensibilmente le ipotesi di indeducibilità (sulle criticità del nuovo testo vd. anche G. FRANSONI, La disciplina dei costi da reato: vizi di merito e problemi di metodo, in Rass. trib., 2015, p. 447).
11. In particolare, la deducibilità dei costi derivanti da operazioni soggettivamente inesistenti non può più esser negata invocando il citato comma 4-bis, considerato che – a prescindere dal ruolo assunto dal contribuente nella frode e dalla sua consapevolezza – si tratta del costo di acquisto di un bene che, nella normalità dei casi, viene acquistato, non per commettere il reato, bensì per essere consumato o rivenduto (similmente vd. P. SELICATO, L'indeducibilità dei costi da reato: tra sanzione impropria e principio di inerenza, in Riv. GdF, 2013, p. 677).
12. Il punto è stato confermato sia dalla Relazione governativa al D.L. n. 16 del 2012 sia dalla Corte di Cassazione, che hanno precisato come, affinché tali costi siano deducibili, debbano sussistere i requisiti ordinariamente richiesti dall’art. 109 TUIR di «effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità» (sentenza 20 giugno 2012, n. 10167; similmente vd. Cass. 1° febbraio 2013, n. 3258; 2 aprile 2013, n. 8011; 10 novembre 2020, n. 25106).
13. La sentenza commentata è perciò pienamente condivisibile poiché, superando l’impostazione che subordina la deducibilità alla buona fede del contribuente (tesi sostenuta, per esempio, nella pronuncia Cass. 22 maggio 2013, n. 12503), ha applicato correttamente il chiaro disposto del novellato art. 14, comma 4-bis, della L. n. 537 del 1993 – nella parte in cui limita l’indeducibilità ai costi direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo – consolidando così l’orientamento, maggiormente in linea con il principio di capacità contributiva, secondo cui i costi documentati da fatture soggettivamente inesistenti debbono ritenersi deducibili (diversamente da quanto avviene sul versante della detrazione della relativa IVA) anche laddove il contribuente sia consapevole della frode e sempre che sussistano i requisiti ordinariamente previsti dall’art. 109 TUIR.