argomento: Profili europei e Internazionali
L’imposta liquida-mv è il modello logico dell’imposta che meglio rappresenta l’insieme delle soluzioni comprese nell’intersezione tra gli insiemi delle soluzioni di una legislazione (ossia di un sistema) che tassi l’economia digitale mediante due distinte funzioni: una, generale, di far concorrere tutti alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva e una, speciale, di tutelare le entrate. Ciò sembra valere, in particolare, se metodi di tale legislazione sono il reddito liquido-mv, il valore aggiunto liquido-mv e la sostituzione liquida-mv e se oggetti di tale legislazione sono i digital services e il data mining.
PAROLE CHIAVE: entrate - capacitā contributiva - web - digital economy - digital services - data mining - imposta liquida - reddito liquido - valore aggiunto liquido - sostituzione liquida - global minimum tax - DAC7
di Marco Versiglioni
1. Rivolgo innanzitutto alle Autorità e a Tutti i presenti un cordiale saluto e un vivo ringraziamento per aver preso parte a questo incontro.
Un saluto e un ringraziamento speciale sento poi di dover rivolgere al Corpo della Guardia di Finanza per avermi concesso l’onore di poter svolgere una relazione etico-scientifica su un tema particolarmente complesso, in un’occasione così importante e dinanzi a un pubblico tanto autorevole e qualificato.
Infine, vorrei salutare di cuore gli studenti, la loro così ampia partecipazione mi rende particolarmente felice.
2. Il titolo del tema che mi è stato affidato è Legislazione a tutela delle entrate e tassazione della digital economy ([1]).
E’ un titolo a dir poco affascinante perché pone in relazione la “tassazione della digital economy” non con qualsivoglia legislazione, ma con una legislazione che abbia una duplice funzione: la funzione generale, di far concorrere tutti alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva, e una funzione speciale, e questa è la peculiarità, di tutelare le entrate.
Dunque, Ragionando matematicamente, dovrò svolgere un sistema giuridico fatto di due funzioni, ciascuna delle quali ha un suo insieme di soluzioni; in sintesi, per poter giungere a una conclusione verificabile, ossia falsificabile, dovrò individuare l’intersezione dei due rispettivi insiemi di soluzioni-mv (M. Versiglioni, Legistica, ‘diritto matematico’ e ‘diritto digitale’, in Innovazione e diritto, 2015. Id., Diritto matematico-mv, Diritto con verità-mv e diritto senza verità-mv, Pisa, 2020).
Iniziamo col fissare le due funzioni.
Se tutela delle entrate implica adempimento del contribuente, allora il titolo invita a porre la nostra attenzione sull’enorme problema pratico dell’effettivo adempimento del tributo dovuto sulla Economia digitale.
Problema, questo, che si trova a valle di molti altri problemi posti a monte: come identificare l’effettivo contribuente (ad es., chi è tizio-digitale)? Dove si troverà l’effettivo contribuente (ad es., in un paradiso fiscale)? Quale sarà l’effettiva fattispecie tassabile (ad es., cos’è un servizio digitale)? Chi può accertare come stanno davvero le cose digitali se, per conoscere la loro vera natura, occorrono conoscenze tecnologiche che solo pochissimi paesi possiedono (ad es. chi conosce l’algoritmo di un qualsiasi diffusissimo motore di ricerca)? Una volta scritte complesse disposizioni giuridiche internazionali chi le interpreta (ad es., la traduzione in italiano è corretta, i concetti espressi dagli altri sono simili ai nostri)?
Se, dunque, la “tutela” dell’entrata è la parte focale del discorso, se “tutela” implica giustizia e giustizia implica verità, allora nel titolo dell’intervento sta, di fatto, l’esortazione a riflettere su quale legislazione volta a tassare l’Economia digitale possa predicarsi come vero strumento per realizzare veramente un’entrata, ossia un vero flusso positivo di liquidità che transita davvero dal patrimonio di un vero contribuente alla tesoreria dello Stato.
In sintesi, dunque, l’interrogativo che il titolo pone è questo: quale legge può conseguire davvero l’entrata di imposte veramente dovute sulla Economia digitale rispettando la Costituzione italiana, le norme europee e le norme internazionali?
Nei trenta minuti a me concessi, spererei di giungere almeno a tre conclusioni, una metodologica e due applicative.
La conclusione metodologica è tratta dalla teoria che ipotizza una legislazione dedicata a un modello di imposta che ho chiamato Imposta liquida-mv (M. Versiglioni, Reddito liquido e Imposta liquida. Riforma fiscale e modello logico dell’Imposta, in Riv. tel. dir. trib., 2021) e che ha un DNA concettuale fatto di elementi che tutti gli abitanti della terra ben conoscono, vale a dire “trasferimento di liquidità”, “entrata di liquidità” e “uscita di liquidità”. Dunque, elementi certi, ben accertabili e non fatti valutativi, invece opinabili all’infinito. L’ Imposta liquida può essere declinata come Imposta sul reddito liquido o Imposta sul valore aggiunto liquido.
Le conclusioni applicative concerneranno, rispettivamente, i servizi digitali che l’utente acquista volontariamente sul web pagando una somma liquida e l’estrazione del dato digitale grezzo che l’utente involontariamente rende disponibile in modo gratuito (di solito a un soggetto non residente) ogni volta che usa il web in modo altrettanto gratuito (dunque senza alcun trasferimento di liquidità).
3. Ho selezionato per Voi questi due temi applicativi prendendo spunto dal diritto vissuto nel quale, per il bene comune, opera ogni giorno la Guardia di Finanza.
In effetti, così facendo, potrò giovarmi dei preziosi risultati (di miliardi di euro) che l’azione della Guardia di Finanza consegue contrastando l’evasione e l’elusione sia sui servizi digitali, sia sull’estrazione del dato grezzo.
D’altra parte, quanto alle norme, per le multinazionali è in arrivo una Global Minimum Tax basata su due pilastri.
Il primo pilastro assume come indice di tassazione la “creazione di valore” e si propone di stimare, mediante parametri predeterminati, la quota del valore riferibile a ciascuno dei territori nei quali la multinazionale opera (a prescindere dal reddito).
Il secondo pilastro fissa una percentuale minima di tassazione dei ricavi realizzati in ciascun territorio (anche qui a prescindere dal reddito).
Ciò similmente a quanto già prevede in Italia la legislazione relativa all’imposta sui servizi digitali che è pari al 3% dei ricavi (ancora una volta, pare, a prescindere dal reddito).
Infine, anche l’Italia sta attuando una recente direttiva che introduce l’obbligo per i gestori delle piattaforme di fornire informazioni sui ricavi realizzati da talune categorie di operatori attraverso il web (e-commerce, affitti brevi, noleggi di vetture etc.). Questo forse perché l’unico modo ritenuto possibile ai fini della tassazione di questi operatori è lo scambio di informazioni tra Stati (sul presupposto che, in assenza di scambi di informazioni tra Stati, l’entrata tributaria appare difficile, se non quasi impossibile).
4. Osservati i casi tratti dal diritto vivente, che dire dunque di queste legislazioni?
Sarebbero esse in grado di svolgere congiuntamente, come in un Sistema giusmatematico-mv, sia la funzione generale di far concorrere tutti alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva, sia la funzione speciale di tutela delle entrate?
Direi di no, quel sistema probabilmente non avrebbe soluzione.
Vediamo perché sorge e cosa alimenta questo dubbio.
Innanzitutto, si tratta di discipline che importiamo; e ciò avviene nonostante il loro linguaggio anglosassone (di tipo comune) sia ampiamente incompatibile con il nostro (di tipo romano o continentale).
Inoltre, esse paiono conservare il modello logico tradizionale dell’imposta sul reddito, ma costituiscono in realtà nuove “single tax” che (sempre con modo anglosassone, di tipo analitico) ben poco hanno in comune con quel modello (di tipo generale).
In effetti, le recenti discipline non sembrano corrispondere a molti principi che, invece, governano il diritto internazionale tributario e che da decenni assicurano la pace fiscale tra più di cento paesi, tra i quali corrono migliaia di trattati bilaterali.
Sembra, dunque, crearsi una divergenza internazionalmente insostenibile tra consolidate norme consuetudinarie o convenzionali volte a evitare doppie imposizioni sul reddito e nuove norme, invero assai precarie e incerte, non corrispondenti o non coerenti con le altre.
Tali sembrano, ad esempio, le norme che paiono voler evitare doppie imposizioni sulla creazione di valore senza tener in adeguato conto, almeno prima facie, che non ogni creazione di valore costituisce reddito o, ancora, le norme che, addirittura, non si curano affatto del reddito.
Questa divergenza genera molte curiosità, ma anche molte perplessità.
In specie se, ancora con logica anglosassone, queste nuove regole funzioneranno sulla base di due premesse le quali appaiono entrambe Senza verità-mv e che, per questo motivo, pongono, in ordinamenti tributari Con verità-mv come il nostro, che è a Costituzione rigida in senso forte, una seria minaccia alla vera tutela delle entrate.
Infatti, la premessa fattuale, ossia la fattispecie, è senza verità sia perché costituita da un mix non conoscibile che fonde in modo irreversibile tre distinte componenti (il reddito, la creazione di valore e il valore aggiunto), sia perché ottenuta mediante medie, le quali sono logicamente incompatibili con la verità del caso concreto (M. Versiglioni, Prova e studi di settore, Milano, 2007; Id., Giustizia predittiva, Giustizia matematico-statistica-mv e Studi di giurisprudenza-mv, in Loading prodigit, a cura di A. Marcheselli e E. Marello, Riv. Dir. Trib., 2022, 105 ss.).
La premessa normativa, poi, è anch’essa senza verità sia perché non è riconducibile ai principi consuetudinari che, come dicevo, hanno a oggetto il reddito, sia perché tale premessa non appare neppure idonea a rendere vera la relazione tra sé e il principio di reciprocità che, come è noto, costituisce il fondamentale parametro di validità di qualsivoglia norma internazionale che miri alla vera pace tra i paesi.
Insomma, queste discipline sembrano appartenere all’insieme del Diritto senza verità-mv, ossia quel diritto la cui efficacia, almeno in astratto, dipende dal diktat egoistico del paese economicamente o politicamente dominante, tanto a livello internazionale, quanto a livello europeo.
Ancor più seri paiono i problemi che queste nuove discipline pongono sul piano della capacità contributiva, proprio sul carattere di essa che più concerne la tutela dell’entrata, ossia il vero adempimento di una vera tassazione su un vero indice di capacità contributiva.
Non vi è tempo per esaminare analiticamente questi aspetti critici ma la loro probabilità sembra intuibile semplicemente ragionando mediante i consueti canoni ermeneutici fissati dalla Corte Costituzionale (come pure dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea) in tema di effettività.
5. Passando all’IVA e prendendo spunto anche qui da casi eclatanti accertati dalla Guardia di Finanza, si nota una crescente frequenza in Italia, e anche in Europa, di condotte illecite operanti sul piano delle entrate (ad es., frodi carosello, false fatturazioni, cessione di crediti inesistenti, compensazioni indebite). Alla luce di quanto detto, è ragionevole ritenere che tali condotte saranno favorite dalla economia digitale, in specie con riguardo ai servizi digitali.
Quanto poi al prelievo dei dati personali, un innovativo metodo accertativo è stato attuato dalla Guardia di Finanza nei confronti di una multinazionale, leader nel settore, al fine di accertare (per quasi un miliardo di euro) la “permuta” che si realizza tra la dazione gratuita di dati personali da parte dell’utente e la prestazione di un servizio gratuito da parte di piattaforme social note a tutti.
Un prezioso inedito, probabilmente replicabile, così come hanno scritto in questi giorni tutti i quotidiani.
6. Anche qui, che dire della legislazione Iva attuale e in divenire?
La legislazione Iva, in specie da quando è di stretta derivazione europea, è divenuta forse inutilmente vasta e concettualmente caotica.
A mio sommesso avviso, occorrerebbe un forte decluttering: buttare dapprima il superfluo e poi riordinare ciò che serve davvero per una vera tutela dell’entrata: tanto diritto, troppo diritto, poche entrate.
Prima di tutto, di non poco conto appare il problema semantico: se gli errori di traduzione sono proporzionali al numero delle parole presenti nella legge, allora diviene facile prevedere che molte entrate andranno probabilmente perdute se il testo della direttiva è lunghissimo. Prendiamo a esempio l’ultima direttiva in questa materia; ebbene, essa appare così lunga (e complessa) che, se anche la si osserva nella sua lingua originale, pare quasi una non-direttiva: se questo accade leggendo il testo scritto nel suo linguaggio originale, si pensi a cosa può accadere leggendone la traduzione!
Ma mettiamo da parte questo profilo nominale e osserviamo quanto accade ai concetti o alle numerosissime definizioni europee; ebbene, da anni pare assistersi a un infruttuoso tentativo di cogliere nel progredire della tecnologia digitale le nuove forme del consumo di beni, di servizi e, soprattutto, di ibridi.
In effetti, rimanendo ferme le premesse storiche, se cioè non mutasse il modello logico originale dell’imposta, quel tentativo, per poter divenire fruttuoso, presupporrebbe un Raddrizzamento-mv quotidiano della legislazione europea vigente.
Attività, questa, che sembra ovviamente incompatibile con i tempi tipici di una fonte legislativa come quella europea perché è organizzata mediante direttive di lunga gestazione che i singoli parlamenti nazionali devono poi recepire con tempi di attuazione spesso non meno lunghi.
Dunque, per la legislazione IVA, almeno secondo l’attuale modello logico di questa imposta, è impossibile copiare in tempo utile l’evoluzione della società nel suo procedere verso la completa dematerializzazione dei beni, la virtualizzazione dei servizi e la genesi degli ibridi.
L’IVA, così come è oggi, mantiene una struttura logica e un modo di funzionamento di tipo documentale e contabile ideati molto tempo fa, quando il contesto tecnologico, così come quello economico-sociale erano molto diversi da quelli di oggi.
Ma soprattutto è venuta meno l’etica di quel tempo che fu.
Se si pone al centro del discorso la tutela delle entrate, allora occorre prendere atto che l’etica odierna non consente più l’approccio fiducioso (forse divenuto incauto) di conferire al privato il potere libero e autonomo di creare liquidità erariale di qualsiasi importo (anche miliardi di euro) semplicemente scrivendo una fattura.
Troppo elevato, e dunque impossibile da controllare, in specie in Italia, è il numero dei soggetti passivi abilitati a scrivere fatture; troppo elevato poi il numero dei soggetti passivi che, purtroppo, trattengono per sé, appropriandosene, la liquidità creata con l’emissione della fattura e che, essendo liquidità erariale, dovrebbe invece sempre produrre, senza alcuna eccezione, un flusso di liquidità erariale in entrata.
Similmente accade quando il soggetto registra una fattura ricevuta da terzi e crea, sin da subito, liquidità erariale sottoforma di credito peraltro rimborsabile, compensabile o cedibile, anche senza aver pagato alcunché.
Tanto più che, combinando la nuova disciplina della crisi di impresa con l’attuale ma obsoleto meccanismo della rivalsa IVA (o della rivalsa nella sostituzione di imposta) pare stia crescendo il numero dei soggetti i quali, dopo aver pagato tutti gli altri creditori, accedono poi alle procedure transattive e/o liquidatorie previste da tale recente disciplina avendo come unico creditore residuo lo Stato (o per iva incassata in via di rivalsa ma non riversata allo Stato o per ritenute operate in via di rivalsa ma non riversate allo Stato).
L’etica attuale, insomma, non appare più compatibile con la rivalsa così come questa è stata disciplinata negli anni ‘settanta sia per l’IVA, sia per la sostituzione ai fini dell’imposta sul reddito.
La legislazione vigente sulla rivalsa andrebbe dunque velocemente modificata e aggiornata, riconoscendo davvero alla sostituzione di imposta tutti i meriti vitali che la società deve ad essa riconoscere sul piano della vera realizzazione delle entrate.
D’altra parte, anche la legislazione relativa al presupposto oggettivo dell’IVA appare superata e completamente alla mercé di un’evoluzione velocissima della scienza e dell’etica sociale.
Un’evoluzione questa che, peraltro, non si cura più di intervenire lentamente sugli accessori o sugli ornamenti delle cose materiali e immateriali al fine di adeguarle e renderle coerenti con il lento sorgere di nuove esigenze economiche e sociali, così come avveniva un tempo.
L’evoluzione odierna muta molto rapidamente e sorprendentemente, direi anche in un solo istante, la vera natura delle cose delle quali prima eravamo abituati a fare uso, senza fare di esse abuso (M. Versiglioni, Abuso del diritto. Logica e Costituzione, Pisa, 2016).
Tant’è che, di volta in volta, osservando la cosa, diviene molto difficile identificare, qualificare e classificare di cosa davvero si tratti, almeno alla luce delle definizioni astratte ormai superate ma ancora previste dalla legge IVA: un bene o un servizio o invece, come accade sempre più di frequente, un ibrido?
Dunque, ogni volta si pone l’interrogativo che fare?
Ma non si trova più nella legislazione vigente una risposta sicura.
Lo stesso fenomeno concerne le forme e i tipi contrattuali: il caso contestato in modo innovativo dalla Guardia di Finanza al quale facevo prima riferimento ne costituisce paradigma emblematico.
L’intensità del problema non si riduce se passiamo all’esame del presupposto soggettivo e ci domandiamo: chi è oggi il soggetto passivo formale o anche il soggetto passivo sostanziale dell’IVA?
Pare sufficiente prendere spunto dalle sentenze della Corte di giustizia dell’unione europea e osservare che persino la Corte deve porsi continuamente interrogativi di questo tipo.
Quanti casi simili a quelli trattati dalla Corte di giustizia si affacciano ogni giorno sul web?
Moltissimi, e sono casi per lo più infinitamente controvertibili o addirittura senza verità, e dunque a priori non controllabili.
Questa nuova Mutevolezza digitale del diritto naturale-mv, almeno sino a quando non si giungerà a una sua codificazione in un Diritto matematico-mv prima e in un Diritto digitale-mv poi, (M. Versiglioni, Legistica, ‘diritto matematico’ e ‘diritto digitale’, cit.; Id., Se l’algoritmo scrive la sentenza, che almeno rispetti la logica, in Il Sole 24-ore, 10.2.2020.) aggredisce progressivamente, sino a distruggerla, l’integrità di definizioni semantiche e concettuali che l’IVA porta con sé da decenni e che se prima funzionavano, ora non sono più assolutamente in grado di funzionare; con ciò creando enorme pregiudizio alle entrate (Per una rassegna ampia e dettaglia delle ragioni che possono esser poste a fondamento della constatazione ribadita nel testo, si veda, da ultimo, l’interessante opera monografica di F. Cannas, Eu VAT categories and the digital economy, Torino, 2022, passim).
Tutto ciò solo per dire che la velocità di mutamento del contesto scientifico ed etico dei mercati e delle attività di business è tale che, mantenendo fermo il tradizionale modello logico dell’imposta, una legislazione che avesse come funzione non solo, in generale, il concorso di tutti alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva ma anche, in modo specifico, la tutela delle entrate, non avrebbe alcuna possibilità di concepire, qualificare e tassare in tempo utile nuovi Uni-mv o nuove Unità-mv fiscalmente rilevanti (M. Versiglioni, ‘Unità’ e ‘Uni’ del e nel diritto tributario, in RTDT, 2013, 153 ss.).
Prima che quella (peraltro già obsoleta) legislazione fosse in grado di svolgere effettivamente la sua funzione di tutela delle entrate, quel nuovo uno o quella nuova unità si sarebbero già evoluti o scomparendo in modo altrettanto veloce o divenendo altri uni o altre unità che siffatta legislazione non potrebbe trattare esercitando la funzione di tutela delle entrate-mv.
7. Alla luce di queste premesse, poniamoci dunque dinanzi all’interrogativo iniziale: quale legislazione potrebbe tassare l’economia digitale tutelando davvero le entrate rispettando la Costituzione, le norme europee e le norme internazionali?
Prima di rispondere, è opportuno porre la condizione che concerne il grado di fattibilità della risposta che mi accingo a svolgere: a tal proposito, mi propongo di formulare un’ipotesi misurabile in termini di non banale possibilità pratica.
Pensiamo, cioè, a cosa l’Italia potrebbe fare praticamente da sé, e in sé, rispettando, tuttavia, i patti stretti con l’Unione europea e con i 93 Paesi con i quali ha stretto altrettante convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni sul reddito.
Non possiamo esaminare, per motivi di tempo, le legislazioni, pur praticabili e importanti, che, sfruttando la tecnologia digitale e i big data, si propongono di tutelare le entrate agendo dal lato dei controlli digitali. Legislazioni, queste, che si preoccupano, cioè, di contrastare il male dell’evasione e dell’elusione quando il male si è già verificato o è in atto.
Concentriamo invece, per ora, l’attenzione sulla sola prevenzione di queste patologie, ossia su ciò che si può fare, forse più facilmente e più efficacemente, per prevenirle.
Poniamoci poi, ovviamente, in un’ottica ipotetica, per forza di cose dapprima generale e poi particolare.
Da un punto di vista generale (che è quello in cui va osservata la prima delle due funzioni delle quali parlavo all’inizio), assumiamo ipoteticamente che, in base alla combinazione della scienza e dell’etica attuali della società italiana, l’effettività della capacità contributiva fosse identificata, ai sensi degli articoli 2, 3, e 53 della Costituzione, nella forma che a me pare meglio ora la identifichi, vale a dire: “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva effettiva, ossia quando questa diviene liquida e superiore al minimo vitale”. Dunque, per forza di cose, quando la capacità contributiva effettiva, nella sua misura liquida, diviene superiore all’entità complessiva, anch’essa liquida, costituita dall’imposta da versare e dal minimo vitale.
Letta in termini matematici, l’espressione tanto usata dalla Corte Costituzionale “capacità contributiva effettiva” sarebbe davvero misurabile e troverebbe una sua vera misura nella “capacità contributiva liquida”, nel senso che quest’ultima rappresenterebbe il massimo grado di verità, ossia (≡), in base al contesto odierno, della “capacità contributiva effettiva”.
Se questo fosse, come pare essere, l’attuale parametro di validità etica e scientifica di qualunque nuovo modello di imposta che rendesse vera quella funzione, allora questo modello avrebbe per nome Imposta liquida-mv e, in estrema sintesi, oltre a essere coerente con la Costituzione, presenterebbe almeno le seguenti caratteristiche:
a) sarebbe in grado di parlare a tutti e di farsi comprendere da tutti perché tutti sanno, senza nemmeno pensarci su, cos’è un trasferimento di liquidità, una uscita di liquidità o una entrata di liquidità;
b) sarebbe perciò idonea a includere tutti nell’Insieme misurabile della conoscibilità del fenomeno tributario-mv;
c) sarebbe, poi, un vero elemento della Famiglia di insiemi che chiamo diritto-mv secondo la definizione che di questo da tempo propongo, ossia: Dare a ciascuno il suo e ricevere da ciascuno il suo-mv; come tale, suscettibile di sapersi adattare, in modo flessibile e pluralista, al caso singolo, in modo che resti sempre uguale, per tutti, il rapporto tra il proprio caso e la sua norma;
d) sarebbe coerente con le norme dell’Unione Europea e con le norme internazionali;
e) creerebbe entità misurabili di Energia economica e di energia sociale-mv tanto necessarie allo sviluppo economico e allo sviluppo sociale in ragione di una vera Proporzione matematica-mv (Investimento generazionale : famiglia = investimento aziendale : impresa-mv). Così, ad es., qualsivoglia investimento generazionale fatto da una famiglia, come nuovo Uno tributario-mv, o qualsivoglia investimento aziendale fatto da un’impresa, come Uno tributario-mv che tutti conosciamo, potrebbe essere subito integralmente dedotto dal calcolo del Reddito liquido-mv senza dover accedere ad alcuna procedura di ammortamento;
f) sarebbe di volta in volta mutevole: ora proporzionale (in acconto), ora progressiva (a saldo), ora provvisoria (in acconto), ora definitiva (a saldo), secondo la relazione ‘provvisorietà : pro-porzionalità = definitività : progressività’-mv; in modo da poter essa davvero assecondare l’andamento dell’Imposta liquida (immortale) durante l’intera vita di ciascun contribuente, fisico o giuridico, in funzione della continua mutevolezza della sua capacità contributiva liquida-mv;
g) sarebbe auto-sostenibile, ossia in grado di autoalimentarsi e non implicare l’assorbimento iniziale o annuale di ulteriori risorse pubbliche in deficit. Ad es., poiché le entrate totali di imposte sul reddito che lo Stato consegue da tutte le imprese (aziende individuali, società ed enti commerciali) ammonta a circa 60 miliardi di euro annui, una ritenuta in acconto (si badi, in acconto) personalizzata, o compresa tra l’1,5% e il 3%, e applicata su tutte le attuali transazioni di pagamento correnti tra tutte le imprese potrebbe produrre entrate per una cifra simile, se non superiore, a quella attuale, ma in modo molto più efficiente di oggi. Senza dire che a tale tassazione in acconto seguirebbe poi la tassazione progressiva a saldo se, e in quanto, l’impresa, la società o l’ente commerciale non avesse effettuato investimenti aziendali sufficienti a far sì che le ritenute in acconto fossero in grado di coprire l’imposta definitiva progressivamente calcolata;
h) sarebbe semplice e capace di ridurre fortemente il numero e la complessità delle disposizioni vigenti. Ad esempio, pensando alle imposte sui redditi, verrebbero cancellati tutti i regimi speciali, esisterebbe una sola categoria di reddito tassabile, uguale per tutti, il Tuir potrebbe passare dagli odierni 190 lunghi articoli a non più di 30 brevi articoli; d’altra parte, oltre 180 articoli del Tuir appaiono pressoché inutili o comunque molto inefficienti, se, in base ai dati del 2021, solo circa 10 articoli hanno prodotto il 76% delle entrate;
i) sarebbe finalmente culturale, ossia idonea a incidere positivamente sulla cultura fiscale del paese perché disincentiverebbe sino ad annullarlo l’interesse dei singoli a evadere o eludere.
In base a questo modello logico dell’Imposta liquida: i) la nuova base imponibile, ossia il Reddito liquido-mv, seguirebbe il seguente principio: è tenuto a pagare l’imposta solo chi nel periodo di imposta ha conseguito un flusso liquido netto positivo almeno pari alle imposte da versare; ii) la nuova base imponibile, ossia il Valore aggiunto liquido-mv, vedrebbe l’IVA divenire detraibile solo in seguito al pagamento; la fattura non avrebbe più la capacità di batter moneta, ossia di creare liquidità erariale, capacità questa soggetta al rischio di veder illecitamente trattenuta, ogni anno, liquidità erariale per molti, se non decine di, miliardi di euro; anzi, se si volessero effettivamente tutelare le entrate, allora negli scambi che precedono l’ultimo (quello del consumo) l’aliquota iva - intermedia - dovrebbe esser pari all’1%, mentre le aliquote normali oggi esistenti - finali - non verrebbero modificate, ma verrebbero applicate solo nell’ultimo passaggio eseguito in favore del consumatore finale, quando, cioè, esse servono davvero perché creano vere entrate (prima, invece, fanno anche perdere entrate per molti miliardi di euro ogni anno); iii) la Sostituzione liquida-mv (in acconto) sarebbe fatta dalle sole banche, mentre verrebbero meno gli attuali sostituti di imposta tra i quali si annidano, sempre più di frequente, coloro che operano le ritenute ma non creano liquidità erariale perché la trattengono illecitamente; anche questo modo di legiferare consentirebbe di recuperare facilmente molti miliardi di euro l’anno.
Alla luce di queste premesse, tentiamo di ipotizzare quale legislazione potrebbe davvero tutelare le entrate in relazione alle due fattispecie prescelte.
8. Diamo per scontato che l’acquisto di questi servizi implica un pagamento digitalizzato da parte dell’operatore italiano in favore di un soggetto che non avesse stabile organizzazione in Italia o che non avesse in Italia un conto bancario (qualified account) destinato al calcolo del Reddito liquido-mv.
Se il reddito diviene tassabile, qualunque ne sia la fonte, nel momento in cui esso diviene liquido e se tutti i flussi sono soggetti a una ritenuta in acconto sul reddito del soggetto ricevente, allora il web, essendo fatto di pagamenti digitali, pare costituire l’ambiente ottimale per la Sostituzione liquida-mv.
In effetti, le multinazionali del web non verrebbero trattate in modo diseguale, così come si sta invece facendo ricorrendo a “single tax”, ma verrebbero trattate in modo eguale a tutti gli altri Uni-mv, ossia come tutti gli altri soggetti residenti o non residenti aventi o meno una stabile organizzazione in Italia.
In effetti, la multinazionale che ricevesse un flusso di liquidità da un conto qualificato in Italia sarebbe soggetta:
a) a una ritenuta a titolo d’acconto personalizzata (1,5% - 3%) ove la multinazionale avesse una stabile organizzazione in Italia o, se non l’avesse, ove fosse dotata, tramite un rappresentante fiscale, di un conto qualificato in Italia;
b) a una ritenuta a titolo definitivo (non inferiore al 15%) se, come non residente, non avesse voluto, sua sponte, nominare un rappresentante fiscale in Italia e dichiarare un conto qualificato in Italia.
Tutto ciò genererebbe entrate molto significative in modo semplice e sicuro.
9. Quanto, invece, all’estrazione del dato, sia esso scientifico, sia esso etico, la definizione di ciò che chiamo diritto posta in premessa dà in modo logico al fenomeno il suo trattamento, così come naturalmente fa l’uomo quando svita una vite usando un cacciavite e svita un dado usando una chiave-mv.
Ora, pare che il Trattamento che al data mining è proprio (ossia suo-mv), secondo il senso etico comune a tutti, sia lo stesso Trattamento che si riserva a chi estrae, creando valore, ciò che per altri non avrebbe valore senza l’azione di chi lo estrae-mv.
Per ragioni di tempo, poniamo in diparte l’aspetto microeconomico (del quale invece si è occupata la Guardia di Finanza) e osserviamo il fenomeno a livello macroeconomico, nella sua universalità.
Almeno con riferimento alla estrazione del dato grezzo, che non è ancora dato fruibile, se poniamo a premessa la citata definizione di diritto-mv, la risorsa mineraria che ne deriva e che rappresenta in questo nuovo mondo, e ancor più rappresenterà nel mondo che verrà, la nostra identità nazionale, pare costituire valore patrimoniale indisponibile-mv.
Se la legislazione dello Stato a tutela delle entrate (questa volta non tributarie) qualificasse i big data (intesi come universalità) riferibili a tutto il territorio o anche ai singoli territori regionali quali beni indisponibili, allora, forse, non con un tributo (o almeno non soltanto con un tributo riferito ai singoli) andrebbe trattato il fenomeno.
Quel fenomeno collettivo, quel bene comune, dovrebbe invece divenire oggetto di accordi tra lo Stato e/o le Regioni e le multinazionali del web.
Questi accordi dovrebbero prevedere il pagamento di una Royalty connessa appunto allo sfruttamento minerario di dati rappresentativi dell’identità di quel territorio-mv (Big data royalty-mv o BDR-mv).
Peraltro, a differenza di quanto avviene per altre risorse (penso al petrolio o ad altri idrocarburi), ciò che si estrae via web da territori nei quali vivono cittadini che inconsapevolmente forniscono quei dati o che, comunque, sono subdolamente costretti a consentire l’estrazione di quei dati, non si brucia con l’uso, ma ha un valore continuativo, temporalmente molto ampio (essendo un valore a lunga fecondità ripetuta).
Si tratterebbe, quindi, di una royalty mensile o annuale a durata indefinita (fino a revoca della concessione), la cui liquidità andrebbe appunto attribuita allo Stato o alle Regioni.
Anche assegnando valori modesti all’entità percentuale della royalty dovuta per abitante, l’ammontare del ricavato sarebbe molto significativo e potrebbe essere utilizzato per finanziare la spesa pubblica o per ridurre fortemente, se non eliminare completamente, altre entrate statali o locali che, altrimenti, contribuirebbero a disincentivare lo sviluppo economico di quel territorio.
Insomma, forse, senza accrescere ulteriormente la pressione fiscale, si potrebbero ottenere entrate non tributarie più elevate delle entrate tributarie che si prevede di ottenere con la legislazione in itinere, che appare eccessivamente ossequiosa e perciò non vera, se posta in relazione col senso etico comune a tutti.
Peraltro, tale royalty sarebbe deducibile dal reddito delle multinazionali che, così facendo, non subirebbero doppia imposizione sul reddito o violazioni di altri principi consuetudinari.
Sono ben consapevole del fatto che le multinazionali del web, se non i Governi che ne tutelano l’agire, potrebbero non essere disponibili a concludere simili accordi, anche dopo che gli Stati avessero qualificato come indisponibile (e dunque inutilizzabili i big data estratti da un territorio).
A una tale domanda retorica ben potrebbe rispondersi con altra domanda retorica: quale valore può avere la multinazionale del web che ha la proprietà dei migliori algoritmi esistenti se essa non dispone dei dati o, meglio, se essa non disporrà dei big data necessari ad alimentare gli algoritmi dell’Intelligenza Artificiale o del 5G? Inutile dire: valore zero.
Inoltre, un contributo costruttivo ci giunge dalla logica del contratto corretto e di buona fede.
Nella composizione negoziale tra parti che agiscono secondo correttezza e buona fede mentre potrebbe logicamente spiegarsi una reazione scomposta (dazi illogici) a un’azione anch’essa scomposta (web tax illogica), non potrebbe essere logicamente spiegata una tale reazione ove l’azione trovasse validità in un parametro relazionale antico e consuetudinario e dunque eticamente pre-condiviso dal senso etico comune a tutte le parti.
In definitiva, se del solo dato grezzo si parla, la previsione della royalty eviterebbe alla multinazionale ogni prevedibile contesa eristica sul parametro di individuazione dei territori rilevanti ai fini fiscali per dette attività creative di valore (che sono normalmente svolte al di fuori di quei territori).
D’altro canto, la soluzione proposta da una delle due parti avrebbe il pregio di essere validata dalla relazione (nel caso vera) che corre tra essa e le consolidate norme consuetudinarie (che riguardano l’estrazione a fini di profitto di risorse trovantesi in territori altrui) e che una controparte corretta e di buona fede, ossia una controparte che agisse secondo il senso etico comune a tutti, non potrebbe logicamente non accettare.
10. In conclusione, posto l’interrogativo iniziale e svolto matematicamente il sistema giuridico costituito dalle due relazioni che esso contempla, l’intersezione dei loro insiemi di soluzioni è perimetrata dal seguente ragionamento.
Se diritto è dare a ciascuno il suo e ricevere da ciascuno il suo, se nell’uomo è naturale dare alla vite il cacciavite e al dado la chiave, allora è naturale dare alla tassazione dell’economia digitale l’imposta liquida e ricevere l’imposta liquida dalla tassazione dell’economia digitale-mv.
Questo ragionamento non trova preclusioni nelle norme (costituzionali, europee o internazionali) che costituiscono parametro di validità della ipotizzata legislazione sull’imposta liquida.
Anzi, a ben vedere, proprio queste norme parametriche danno a ciascuno quanto a lui serve per trovare e comprendere ciò che egli riceve accoppiando matematicamente la propria indole scientifica con la propria indole etica-mv.
La prima consegna ad ogni uno il coraggio calcolato che serve, così come la scienza serve, per passare dal complesso al semplice, ma questo passaggio non può realizzarsi senza che la sua indole etica susciti quell’amore verso il bene comune che serve a cambiare le cose come oggi sono e a rendere così davvero semplice ciò che oggi, per comodità o per egoismo, è complesso-mv.
E’ questa la Forma matematica dell’infinita mutevolezza circolare, ossia contestuale, del dare e del ricevere senza un prima e senza un dopo-mv.
[1] Testo della relazione (con alcune modifiche e integrazioni e con l’aggiunta delle note) esposta al Convegno organizzato dalla Guardia di Finanza sul tema “La Guardia di Finanza a tutela delle libertà economiche e dell’equità sociale”, svoltosi a Perugia, Palazzo dei Priori, Sala dei Notari, in data 28.3.2023.