Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

30/05/2023 - Sostenibilità aziendale ed equità fiscale: quali prospettive per l'impresa socialmente responsabile?

argomento: Profili europei e Internazionali - Legislazione e prassi

Uno sviluppo sostenibile richiede un sistema tributario equo ed armonioso, che presupponga (e al contempo inneschi) l’impegno delle imprese verso una sempre crescente responsabilità nella gestione del tributo. Paradigmatiche del nuovo approccio green sono certamente le misure fiscali «immediatamente sostenibili» volte a stimolare l’adozione di comportamenti coerenti con i goal ecologici prefissati. Lo slancio nelle politiche fiscali si apprezza ulteriormente ponendosi nella prospettiva d’intervento «mediatamente sostenibile», quella cioè della più equa redistribuzione del gettito fiscale attraverso una rinnovata dimensione del prelievo societario, in ciò cogliendosi di fatto il petalo governance del trifoglio ESG.

PAROLE CHIAVE: politica fiscale - cambiamento climatico - digital economy - two pillars


di Luigi Papi

1. Si è soliti intendere la «sostenibilità» in termini di impatto ambientale e/o di lotta alle disuguaglianze (sulla semantica del lemma «sostenibilità», si vedano le interessanti osservazioni di Stella Richter M. jr., Long-Terminism, in Riv. Soc., 2021, 30, il quale distingue l’accezione economica - descritta nell’ottica della stabilità finanziaria dell’impresa - da quella socio-ambientale - inquadrata nella prospettiva dell’impatto sulla comunità circostante). Si discorre della introduzione di omogenei standard minimi ai quali adeguarsi in campo ecologico e sociale; di dissociazione della crescita economica dal consumo di risorse attraverso lo sviluppo dell’economia circolare; del ruolo affidato all’agente - pubblico o privato - nella ricerca di delicati equilibri fra antitetiche visioni di sviluppo (cfr. passim il fascicolo n. 2-3/2021 della Rivista delle Società incentrato sulla proposta di direttiva su «La dovuta diligenza e la responsabilità delle imprese»; in particolare, Assonime V., Doveri degli amministratori e sostenibilità, ivi, 387 ss.). Si discute della contrapposizione tra approcci di breve e di lungo termine nella gestione dell’iniziativa economica (sul tema di recente, cfr. Roe M. - Spamann H. - Fried J.M. - Wang C.C.Y. - Ramseyer J.M. - Farrel A. - Kraakmam R. - Bebchuk L. - Clark R., Law and Business Professors’ Submission to the EU on EY’s Study on directors’ duties and sustainable corporate governance, 2020, reperibile sul sito: www.ec.europa.eu; Willey K.M., Stock Market Short-Terminism: Law, Regulation and Reform, New York, 2019; nella letteratura italiana, Denozza F., Incertezza, azione collettiva, esternalità, problemi distributivi: come si forma lo short-terminism e come se può uscire con l’aiuto degli stakeholders, in Riv. Soc., 2021, 2-3, 297 ss; Stella Richter M. jr., Long-Terminism, cit., passim). Si ragiona sul coinvolgimento più o meno attivo degli stakeholder nell’attività imprenditoriale (Denozza F., Scopo della società e interessi degli stakeholders: dalla «considerazione» all’’«empowerment», in Castellaneta M. - Vessia F. a cura di, La responsabilità sociale d’impresa tra diritto societario e diritto internazionale, Napoli, 2019, 63 ss.).

In generale, il proposito di un’economia non esclusivamente orientata all’immediata massimizzazione del profitto, ma piuttosto tesa alla salvaguardia e al miglioramento della qualità della vita delle generazioni future, è da decenni al centro del dibattito internazionale, anche giuridico. Da opzione differibile, esso è divenuto missione prioritaria, almeno dichiarata, nelle politiche domestiche dei Paesi più industrializzati e nelle scelte di macro-indirizzo dei più alti organismi sovranazionali.

Imprese e stakeholder hanno imparato a familiarizzare con concetti nuovi, sofisticati, spesso declinati in regole concrete che ora incentivano, ora impongono l’osservanza di politiche sostenibili (sul punto, in particolare sul grado di vincolatività che alle nuove regole in materia di CSR potrebbe essere riconosciuto, sia concesso rinviare a Papi L., Osservazioni sul tema della “responsabilità sociale d’impresa”: tra vincolatività e proposte per un nuovo approccio, in Caterino D. -Ingravallo I.  a cura di, L’impresa sostenibile alla prova del dialogo dei saperi, vol. II, Lecce, 2020, 308-338).

Acronimi come «NFR» (Non-Financial Reporting), o «CSR» (Corporate Sustainability Reporting), sono divenuti ormai di uso comune nelle comunicazioni non finanziarie della grande impresa azionaria e si candidano ad entrare nel linguaggio corrente di un numero sempre crescente di entità, anche di media e piccola dimensione (cfr. le novità della direttiva 2022/2464/EU, revisione della più datata normativa del 2014, con la quale si prevede, fra l’altro, di dilatare l’ambito applicativo degli obblighi di disclosure non contabile alle imprese di ogni dimensione e provenienza quotate sui mercati dell’Unione, con la sola eccezione della micro-impresa. Sul tema delle informazioni non finanziarie, V. nella letteratura italiana, fra gli altri, Maugeri M., Informazione non finanziaria e interesse sociale, in Riv. soc., 2019, 992 ss.; Fortunato S., L’informazione non finanziaria nell’impresa socialmente responsabile, in Giur. comm., 2019, I, 416 ss. Sia consentito richiamare infine Papi L., Crisi del sistema “volontaristico” e nuove frontiere europee della responsabilità sociale di impresa, in Riv. dir. comm., 2019, 109 ss.).

Ebbene, uno sviluppo sostenibile richiede nondimeno un sistema tributario equo ed armonioso, che presupponga (e al contempo inneschi) l’impegno delle imprese verso una sempre crescente responsabilità nella gestione del tributo, specie sul versante della trasparenza collaborativa e dialogica, in una prospettiva - per così dire - di «sussidiarietà orizzontale» (in quest’ottica, cfr. Lio M., ESG e fiscalità: il fattore di sostenibilità della governance, letto attraverso il Tax Control Framework, in  www.dirittobancario.it, 20 dicembre 2021: «tra i Sustainable Development Goals tracciati in ambito Nazioni Unite, nel documento programmatico adottato nel 2015 e noto come Agenda 2030 la fiscalità si incastona per certo negli obiettivi Peace, Justice and Strong Institutions (SDG 16) e Partnerships for the Goals (SDG 17)». V. quanto affermato da Burgstaller I., ESG Transformation and Transfer Pricing Implications, in International Transfer Pricing Journal, 2022 29, 1, par. 2.3. Sulla rilevanza delle politiche di corporate tax rispetto alle tematiche di sostenibilità, cfr. Valsecchi A., What Corporate Tax Policy Has to Do with Sustainability and How Companies Should Deal with It, in World Tax Journal, 2022, 14, 1: «my thesis is that corporate tax policies are going to play a key role in measuring the company’s social impact: since paying taxes constitutes an indirect but utterly concrete way through which the company contributes to the prosperity of the society, unfair tax policies – although formally compliant with the law – will be held by the stakeholders as undermining the universal challenge of sustainability»).

I temi legati alla tutela dell’ambiente, al corretto sfruttamento delle risorse disponibili, alla lotta alle disuguaglianze economiche e sociali, per la loro capacità di catalizzare l’attenzione di un pubblico sempre più vasto e variegato, grazie anche alla crescente sensibilità emotiva che su di essi monta, tendono spesso ad adombrare il ruolo - positivo - che la fiscalità è chiamata sempre più frequentemente ad assolvere proprio in vista del loro raggiungimento.

Un compito che il sistema tributario nazionale ed internazionale svolge oggi sia sul piano delle politiche fiscali ambientali, che spingono verso comportamenti virtuosi scoraggiando le pratiche che causano «danni significativi» (per usare il vocabolario del legislatore del regolamento europeo SFDR, n. 2019/2088/UE), sia attraverso una nuova fisionomia dell’imposizione societaria, che assicuri una più equa partecipazione al carico fiscale ed una più coerente allocazione del gettito, forme anch’esse di un serio sviluppo sostenibile.

È chiaramente questo lo schema abbracciato dalla Commissione UE nella Comunicazione del 18 maggio 2021 in materia di tassazione di impresa (Business Taxation for the 21st Century), nella quale l’esigenza di rendere il quadro fiscale europeo complessivamente più solido, efficiente e proporzionato si presenta inscindibilmente correlata alla necessità di canalizzare le risorse pubbliche verso il sostegno non già ad un generico slancio economico, resosi peraltro urgente dalle contingenti vicende del periodo di emergenza sanitaria, ma ad una crescita che attraverso investimenti equi e – appunto - sostenibili favorisca nel lungo periodo l’auspicata transizione ecologica e digitale.

In ciò si spiegano le ragioni che spingono, dunque, la Commissione UE ad individuare la leva fiscale come uno degli strumenti di attuazione - se non il principale - della strategia verso la cd. «transizione verde» (già il 18 marzo 2015 la Commissione presentava un pacchetto di misure per la trasparenza fiscale con l’obiettivo di contrastare l’elusione dell’imposta sulle società nell’UE). Un elemento chiave è poi lo scambio automatico di informazioni tra gli Stati membri sulle decisioni in materia fiscale, approvato dai ministri dell’UE a ottobre 2015. Un piano d’azione della Commissione, presentato a giugno 2015, definiva inoltre i passi successivi da compiere per rendere più equa e sostenibile la tassazione delle imprese. Sulla base di questo piano, la Commissione ha proposto nel gennaio 2016 ulteriori misure vincolanti, soprattutto contro la pianificazione fiscale aggressiva, e più in generale, per il perseguimento degli obiettivi posti dal Green Deal europeo (Comunicazione dell’11 dicembre 2019, p. 20, ove si precisa che «riforme fiscali ben concepite possono stimolare la crescita economica, migliorare la resilienza agli shock climatici, contribuire a una società più equa e sostenere una transizione giusta, inviando i giusti segnali di prezzo e incentivando produttori, utenti e consumatori ad assumere comportamenti sostenibili. A livello nazionale il Green Deal europeo creerà un contesto adatto a riforme fiscali su larga scala che aboliscano le sovvenzioni ai combustibili fossili, allentino la pressione fiscale sul lavoro per trasferirla sull'inquinamento e tengano conto degli aspetti sociali»).

A livello nazionale, poi, il PNRR individua tre assi strategici di intervento di cui due, transizione ecologica da un lato, inclusione sociale e riequilibrio territoriale dall’altro, rispondono a prioritarie esigenze di sostenibilità.

È inevitabile, quindi, che le misure chiamate ad attuare tali obiettivi richiedano l’intervento anche del legislatore tributario che, mediante l’introduzione di inediti modelli fiscali o tramite il rafforzamento di previsioni normative già esistenti, potrà orientare le scelte dei contribuenti, anzitutto del comparto impresa, verso azioni sostenibili.

Orbene, nel coacervo delle azioni in via di approntamento, le prime ad apparire paradigmatiche del nuovo approccio green sono certamente le misure fiscali «immediatamente sostenibili» volte a stimolare l’adozione di comportamenti coerenti con i goal ecologici prefissati: in uno con le nuove politiche di tariffazione ambientale e le conseguenti misure normative – i.e. i progetti di un nuovo meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM, Carbon Border Adjustment Mechanism) e di revisione del sistema per lo scambio di quote di emissioni nell’UE (ETS, Emission Trading System) - è affidato allo strumento fiscale, in particolare all’annunciata riforma della direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici (ETD, Energy Taxation Directive 2003/96/CE), la rivitalizzazione del settore e, dunque, il progressivo superamento dell’esecrabile tendenza, finora non seriamente osteggiata, del cd. «inquinamento gratuito».

Tale slancio nelle politiche fiscali si apprezza ulteriormente ponendosi nella prospettiva d’intervento «mediatamente sostenibile», quella cioè della più equa redistribuzione del gettito fiscale attraverso una rinnovata dimensione del prelievo societario, in ciò cogliendosi di fatto il petalo governance del trifoglio ESG.

Considerando infatti che nell’attuale contesto economico, sempre più dedito alle logiche globalizzanti e digitalizzanti, la generazione dei profitti è determinata, in via prevalente, dalla titolarità di beni immateriali piuttosto che da compendi industriali fisicamente stabiliti e fiscalmente aggredibili, risultano ormai inadeguati i tradizionali istituti del diritto internazionale tributario (residenza, stabile organizzazione e principio dell’arm’s length), fondati sul modello del complesso industriale otto-novecentesco.

Ciò ha messo bene in evidenza la necessità di un serio ripensamento dell’intero approccio alla tassazione delle multinational enterprise (MNE), nell’ottica di assicurare maggiori livelli di certezza fiscale attraverso un più ampio coordinamento multilaterale volto a «combattere non più solo la “doppia imposizione” in quanto tale, ma anche la “doppia non imponibilità fiscale” che ha dato luogo al fenomeno delle entità fiscalmente apolidi» (così e in precedenza, Majorana D., Il nuovo paradigma di tassazione per le imprese digitali: Pillar 1, in Riv. dir. trib. int., 2021, 5, 297).

Si tenterà dunque di offrire nelle pagine che seguono, poche osservazioni, di sistema, e qualche proposta sui due piani di intervento evidenziati.

2. Il rapporto tra «fiscalità e sostenibilità» solleva una serie di fisiologici interrogativi. È del tutto ragionevole domandarsi, anche alla luce delle più recenti tendenze europee in via di formazione, se l’azione fiscale abbia un ruolo ben definito nella promozione della sostenibilità, specie quella finanziaria; se le politiche fiscali possano, cioè, incidere positivamente sul flusso di finanziamenti diretti alle (o provenienti dalle) imprese impegnate nell’ESG e negli obiettivi climatici; se, noti i rischi di distorsioni economiche eventualmente riconducibili al riconoscimento di consistenti incentivi fiscali, possa essere questo ancora un canale per implementare efficacemente la politica di sviluppo ambientale. Occorre dunque chiedersi quale sia, in definitiva, il congegno fiscale migliore per stimolare la crescita economica, potenziare la resilienza agli shock climatici e contribuire ad una società più equa sostenendo una giusta transizione green.

Già da alcuni anni, in effetti, gli Stati più avanzati sperimentano lo strumento fiscale per indurre fenomeni di sviluppo ambientale. Lo schema è quello classico della «imposta pigouviana», volta a stimolare comportamenti virtuosi alternativi a fronte di pericolose esternalità (si pensi alla tassazione sulle risorse energetiche che rilasciano nell’atmosfera diossido di carbonio o ai sovrapprezzi sulla produzione di materie plastiche monouso o, ancora, all’introduzione di tasse sull’estrazione delle risorse naturali, alle tariffe basate sulla distanza nel settore dei trasporti al fine di promuovere la transizione alla mobilità a emissioni zero, alla tassazione sulla deforestazione in vista della migliore gestione forestale e della protezione della biodiversità, alla tassazione di fertilizzanti e pesticidi allo scopo di ridurne l’uso. Ma si pensi anche alla politica degli incentivi fiscali, in particolare all’effetto che produce, in termini di riqualificazione ambientale, il riconoscimento, in Italia, della nota detrazione del 110% sulle spese sostenute per interventi di isolamento termico, sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale e riduzione del rischio sismico ex d.l. 34 del 19 maggio 2020 conv. l. 77 del 17 luglio 2020 e s.m.).

Ora è però la comunità globale, come unione di ordinamenti giuridici ed economici, ad essere chiamata in causa per fronteggiare, in modo coeso e armonizzato, le sfide urgenti che il cambiamento climatico pone innanzi. Il rinnovato approccio muove dal riconoscimento delle opportunità che si celano dietro le conseguenze dell’impronta umana, occasioni concrete per il rilancio coordinato dell’economia futura.

La definitiva presa di coscienza del mutamento in atto è solo il primo passo. Occorre una profonda trasformazione degli attuali sistemi economici (afflitti ulteriormente delle ricadute della crisi pandemica da Covid-19), attraverso cambiamenti nei modelli di produzione e di consumo. È necessario dunque promuovere politiche innovative, in grado di sostenere i nuovi investimenti e rafforzare l’integrazione finanziaria.

Si consideri che quasi il quaranta per cento della spesa complessiva prevista nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza presentato dall’Italia per accedere ai fondi del Next Generation EU (NGEU, che come noto è un pacchetto da 750 miliardi di euro costituito da sovvenzioni e prestiti, la cui componente centrale è il Dispositivo per la Ripresa e Resilienza, Recovery and Resilience Facility, RRF, che ha una durata di sei anni, dal 2021 al 2026, e una dimensione totale di 672,5 miliardi di euro - 312,5 sovvenzioni, i restanti 360 miliardi prestiti a tassi agevolati) è destinato alle misure per la tutela dell’ambiente, oltre agli investimenti già messi a disposizione nel quadro della politica di coesione dell’UE (una percentuale, peraltro, distante da quella dichiarata, ad esempio, dal Lussemburgo, che ha stanziato il 60 per cento dei fondi a questo scopo. Impegno che appare poco generoso anche rispetto alle cifre di Austria e Danimarca, che prevedono finanziamenti green per una somma pari la 59 per cento. A seguire vi sono Francia, con il 46 per cento, Germania e Slovenia con il 42 per cento. Più vicini al dato italiano Portogallo, 38 per cento, e Spagna, 39,7 per cento). Per raggiungere l’ambizioso obiettivo delle emissioni zero di carbonio entro la metà del secolo non è però sufficiente l’imponente piano finanziario messo in campo; l’obiettivo è una drastica riconfigurazione delle economie, con impatti in grado di influenzare sensibilmente le abitudini lavorative e di vita. Si auspica che il greening abbia incidenza su tutti i settori e a tutti i livelli della catena, innescando cambiamenti su larga scala.

Ebbene, in un tale articolato e dinamico contesto, la politica fiscale è chiamata a svolgere un ruolo chiave, come parte di un più ampio ventaglio di azioni in grado di garantire, al contempo, sostenibilità e giustizia sociale.

Tale disegno trova declinazione sia negli interventi (espliciti) sui prezzi delle emissioni di carbonio - e.g. la rigorosa tassazione dei beni che rilasciano eccessivi volumi di carbonio nell’atmosfera e la più stringente regolamentazione dei sistemi di scambio delle quote di emissione - sia nelle misure atte a creare prezzo implicito, come il programma di accise sui carburanti, in grado di scoraggiare azioni inquinanti e favorire tecnologie e comportamenti a basso o nullo impatto.

La maggior parte dei Paesi in effetti già impiega la combinazione di strumenti di prezzo impliciti ed espliciti, con effetti che ovviamente risentono del diverso livello di sviluppo economico e della disponibilità di accesso alle tecnologie pulite.

È però a livello europeo, come detto, che la fiscalità ambientale riceve oggi il maggiore abbrivio. Nel più ampio quadro del Green Deal, spicca l’annuncio della Commissione (Comunicazione “Fit for 55’: delivering the EU’s 2030 Climate Target on the way to climate neutrality (FF55)”, del 14 luglio 2021, reperibile al sito internet https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX%3A52021DC0550) verso una sostanziosa revisione della direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici, per adeguare la disciplina ai nuovi e ambiziosi obiettivi europei. La proposta di recasting della direttiva 2003/96/CE è infatti volta ad introdurre una «nuova filosofia impositiva» il cui presupposto non sarà più di natura meramente quantitativa - cioè incentrata sui volumi - ma qualitativa, differenziando le aliquote minime a seconda del contenuto energetico e del potenziale impatto ambientale; l’obiettivo è dunque eliminare le distorsioni che favoriscono sul piano economico-fiscale l’uso dei combustibili fossili. Particolare attenzione è poi accordata alle esigenze di trasparenza, per garantire agli operatori del settore e soprattutto ai consumatori finali, mediante l’adozione di un sistema uniforme di rappresentazione delle aliquote, un rapido e agevole confronto tra le varie fonti energetiche: sarà quindi favorita la scelta di quelle meno inquinanti semplicemente attenendosi al livello di tassazione praticato, dal massimo per i combustibili fossili convenzionali (come benzina e gasolio) al minimo per l’elettricità, i biocarburanti sostenibili avanzati, il biogas e i combustibili rinnovabili di origine non biologica come l’idrogeno rinnovabile (così e in precedenza, L. Nobile, Sostenibilità e Fisco, la necessità di un percorso comune, in www.ipsoa.it, 16 ottobre 2021).

Sempre nella direzione di supportare la transizione, si muove il progetto di un Social Climate Fund (SCF), da istituirsi in vista dell’assegnazione di finanziamenti dedicati ad assistere i cittadini nell’investimento verso l’efficienza energetica (il Fondo è finanziato direttamente dal bilancio dell’UE, in un primo momento attraverso le entrate ottenute dalla vendita  di 50 milioni di quote ETS, stimate in circa 4 miliardi di euro; una volta che l’estensione del sistema ETS entrerà in vigore, il SCF sarà finanziato dalla vendita delle quote ETS II fino ad un importo di 65 miliardi di euro, con un ulteriore 25 per cento coperto da risorse nazionali, per un totale stimato di 86,7 miliardi di euro).

È comunque vitale, per realizzare gli obiettivi di crescita sostenibile prefissati, intercettare e mobilitare capitali privati. Utili al tal fine si dimostrano la nuova disciplina contenuta nel c.d. Regolamento Tassonomia (Regolamento 2020/852/EU) e le opportunità offerte dagli investimenti in Green Bond (si pensi ai Btp Green di recente emissione sul mercato italiano; si tratta di Titoli di Stato italiani connessi al mondo della finanza sostenibile, i cui proventi sono destinati al finanziamento delle spese sostenute dallo Stato con positivo impatto ambientale per il Paese; cfr. sito internet https://www.dt.mef.gov.it/it/debito_pubblico/titoli_di_stato/quali_sono_titoli/btp_green/). Sul medesimo piano, gli incentivi fiscali (eventualmente in combinazione con l’inasprimento dei prezzi dei beni a carbonio) potrebbero contribuire a reindirizzare gli investimenti privati e l’innovazione verso tecnologie pulite, incoraggiando processi virtuosi di efficienza energetica.

Non si tralasci però un aspetto essenziale: la transizione deve essere giusta e soprattutto apparire tale. La giustizia sociale è la pietra angolare di una transizione verde efficace. Un valore da apprezzare e implementare sul piano nazionale ma anche e soprattutto a livello internazionale, oggi più che mai noti i drammatici effetti del recente conflitto russo-ucraino sulla politica energetica europea (oltre, ovviamente, alle gravissime conseguenze sul piano umanitario e su quello del conculcamento dei diritti e delle libertà fondamentali).

Sul fronte domestico, l’impatto distributivo delle politiche di mitigazione del clima può allora richiedere compensazioni in favore delle categorie più vulnerabili. L’aumento dei prezzi dell’energia può essere infatti particolarmente gravoso per le famiglie a basso reddito, specie i nuclei che risiedono nelle regioni economicamente più deboli, e per i lavoratori a riposo provenienti da dismesse industrie estrattive e da imprese ad alta intensità energetica.

Per consentire una transizione equa, i ricavi derivanti dal carbon pricing dovrebbero essere dunque reindirizzati, almeno in parte, nella valorizzazione di solide reti di sicurezza sociale, per la riqualificazione di lavoratori e imprese coinvolti nei settori interessati. Inoltre, per facilitare la dismissione di una produzione incentrata sullo sfruttamento dei combustibili fossili, i ricavi provenienti dalla politica fiscale sul carbonio potrebbero essere utilizzati per migliorare l’accesso ai trasporti pubblici e alla mobilità elettrica o ibrida rafforzando così la capacità delle famiglie di abbandonare il trasporto ad alta intensità di carbonio.

A livello internazionale poi, una transizione giusta richiede una cooperazione rafforzata che rispetti la logica delle responsabilità comuni ma differenziate, in cui i Paesi sviluppati diano l’esempio e sostengano le economie emergenti ad attuare politiche climatiche ambiziose, garantendo una crescita inclusiva, sostenibile e resiliente. È necessario trovare il modo più appropriato per coinvolgere i mercati in via di sviluppo e le economie meno attrezzate in vista di tale processo virtuoso.

Essendo il cambiamento climatico una sfida da affrontare globalmente, la collaborazione internazionale è fondamentale per evitare la frammentazione di approcci unilaterali, che si tradurrebbero in una transizione disordinata o peggio esclusiva.

La cooperazione in seno ai forum e alle organizzazioni internazionali (come G20, G7, OCSE, FMI, UE) è fondamentale per evitare azioni contraddittorie e sfruttare invece fortunate e promettenti sinergie.
Le politiche di mitigazione possono certamente differenziarsi tra i Paesi, ma l’approccio condiviso nei tratti fondamentali è indispensabile per garantire coerenza ed efficacia. In tal senso, lo sviluppo, la condivisione e il miglioramento di metriche e indicatori nei diversi approcci politici di mitigazione è un prerequisito per spianare la strada ad azioni comuni tra i Paesi.

Su tutto ciò grava il fenomeno della «rilocalizzazione delle emissioni di carbonio», attraverso il quale, a causa del costo delle politiche climatiche, in alcuni settori o sottosettori le imprese tendono a trasferire la produzione in altri Paesi con limiti di emissione meno rigorosi (tendenza che potrebbe comportare un aumento delle emissioni totali a livello mondiale e quindi una riduzione complessiva dell’efficacia delle politiche adottate dall’UE nonché, in ragione della perdita di quote di mercato, anche una riduzione dei risultati economici di imprese unionali a bassa intensità energetica).

È ancora forte il rischio di «corse al ribasso» in grado di sfociare in pericolose tensioni commerciali.

3. Nel 2017, consapevoli del nuovo orizzonte che si andava delineando, i Paesi membri del G20 hanno conferito all’OCSE un esplicito mandato per la formulazione di un modello di tassazione condiviso in relazione ai nuovi schemi imposti dalla digital economy. Nel 2019 l’OCSE, tramite l’Inclusive Framework (IF) on BEPS, ha identificato una serie di proposte di intervento presentate come «due pilastri» volti a costituire il nuovo paradigma di tassazione dell’impresa digitale (l’IF on BEPS è il più alto organismo tecnico e politico responsabile del trattamento delle raccomandazioni del progetto Base Erosion and Profit Shifting OCSE/G20: in sintesi il progetto mira a creare un insieme di norme fiscali internazionali omogenee basate sul consenso, al fine di proteggere le basi imponibili e offrire al contempo maggiore certezza e prevedibilità al contribuente. L’Inclusive Framework conta attualmente quasi 141 Stati e Giurisdizioni).

Nell’ottobre del 2020, i membri dell’IF hanno finalizzato il «Pillar 1 and Pillar 2 Blueprints report» (Blueprint). Il documento da un lato contiene le opinioni condivise su una serie di principi e parametri di entrambi i pilastri, dall’altro identifica le questioni politiche e tecniche per le quali le negoziazioni sono ancora in corso a causa delle diverse prospettive nazionali. In particolare: il Pillar 1, si focalizza su una nuova modalità di riallocazione dei diritti di imposizione (taxing rights) fondata sull’unified approach (tale approccio consiste in una serie di misure volte alla redistribuzione della potestà impositiva tra gli Stati, attraverso metodologie tecniche diverse rispetto a quella tradizionale incentrata alla presenza di una stabile organizzazione); il Pillar 2, invece, si traduce in una minimum tax globale, fondata sulle GloBe Rules e destinata ad affrontare i problemi, irrisolti dalla normativa tradizionale, di erosione della base e di trasferimento dei profitti (così e in precedenza, Majorana D., Il nuovo, cit., 297. Sul punto v. anche OECD, Adressing the tax challenges of the digitalisation of the economy, policy note, as approved by the inclusive framework on BEPS, Parigi, 23 gennaio 2019, reperibile al sito internet https://www.oecd.org/tax/beps/policy-note-beps-inclusive-framework-addressing-tax-challenges-digitalisation.pdf; OECD, Leading multilateral efforts to address tax challenges from digitalisation of the economy, Parigi, 9 ottobre 2019, reperibile al sito internet https://www.oecd.org/tax/oecd-leading-multilateral-efforts-to-address-tax-challenges-from-digitalisation-of-the-economy.htm; Galimberti A., Riforma Ocse, per l’accordo globale strada tutta in salita, in Il Sole24 Ore, 25 marzo 2021; Majorana D., Concorrenza fiscale e aiuti di Stato: gli effetti della sentenza Apple, in Il Fisco, 2020, 42).

L’obiettivo perseguito è affrontare le sfide fiscali poste dalla digitalizzazione e della globalizzazione dell’economia contemporanea.

La soluzione raggiunta (cristallizzata nello Statement dell’Inclusive Framework dell’8 ottobre 2021 reperibile al sito internet https://www.oecd.org/tax/beps/statement-on-a-two-pillar-solution-to-address-the-tax-challenges-arising-from-the-digitalisation-of-the-economy-october-2021.pdf)rappresenta un passo storico. Si tratta infatti di un accordo di ampio consenso politico (137 Paesi dei 141 membri dell’IF vi hanno aderito), che pone le basi per il superamento delle regole fiscali basate sulla presenza fisica, ormai obsolete, e che consente il riavvicinamento dei livelli di imposizione su scala globale.

In estrema sintesi, il primo Pilastro prevede, per le imprese multinazionali più profittevoli, una parziale riallocazione dei profitti (il venticinque per cento dei profitti che eccedono il dieci per cento dei ricavi realizzati nei confronti del consumatore finale) nelle giurisdizioni di mercato. L’obiettivo è quello di assicurare una più equa distribuzione dei taxing rights tra i diversi Paesi e di garantire maggiore certezza giuridica nel sistema fiscale internazionale.

Il Pillar 1, dunque, mira ad assicurare che uno Stato possa sottoporre a tassazione anche le imprese non fisicamente radicate sul proprio territorio, ove esse comunque conseguano tra i confini una certa quantità di ricavi, mediante un particolare meccanismo di riallocazione.

Il secondo Pilastro prevede l’introduzione di una tassazione minima a livello globale del quindici per cento per le grandi imprese multinazionali (con soglia di fatturato consolidato di almeno settecentocinquanta milioni di euro). Esso si compone di due elementi: le regole Global anti-Base Erosion (GloBE) e la Subject to Tax Rule (STTR, la regola essenziale per ottenere il consenso dei Paesi meno industrializzati. La STTR prevede che, allorquando un Paese dell’IF applichi un livello di tassazione nominale inferiore al 9 per cento agli interessi, alle royalties e ad altre categorie di pagamenti, i Paesi in via di sviluppo potranno chiedere alla propria contro-parte negoziale l’applicazione della STTR, elevando al 9 per cento il livello di ritenuta eventualmente inferiore o pari a zero. La STTR sarà applicata mediante uno strumento multilaterale che modificherà le rilevanti disposizioni delle convenzioni contro le doppie imposizioni, al fine di consentire una sua più rapida e coerente applicazione, evitando la necessità di avviare singole negoziazioni bilaterali tra le giurisdizioni interessate. I Paesi interessati dalla STTR sono quelli che rientrano nelle categorie low-income, lower middle-income e upper middle-income, secondo l’indicatore Gross National Income – GNI della World Bank. L’ambito oggettivo di applicazione è stato oggetto di ampie discussioni in seno all’OCSE. Al di là delle categorie degli interessi e delle royalties, è in particolare sul perimetro della nozione di «defined set of other payments» che il dibattito ha visto contrapporsi le posizioni dei developing countries, che chiedevano un campo di applicazione il più ampio possibile, e.g. esteso a tutti i pagamenti per servizi e ai capital gains, a quelle degli altri Paesi che avrebbero preferito invece uno scope più ristretto, mirato ai pagamenti che effettivamente costituiscono un rischio BEPS. È tuttavia corretto stimare che, rispetto al network dei trattati fiscali stipulati dall’Italia, l’impatto della STTR sarà piuttosto relativo. Dal punto di vista dell’equilibrio complessivo dell’accordo, l’auspicio è che la STTR costituisca un ulteriore elemento di stabilizzazione delle regole della fiscalità internazionale e che contribuisca a prevenire richieste più radicali da parte dei developing countries, sia nell’ambito delle Convenzioni bilaterali, sia nel contesto ONU.)

Le regole GloBE, in particolare, consistono in due meccanismi interconnessi:

a) una Income Inclusion Rule (IIR), che impone a sua volta una top-up tax sulla società capogruppo, in relazione ai profitti realizzati dalle sue controllate, assoggettati ad un carico impositivo inferiore al quindici per cento. L’IIR impone una tassazione complementare sulla quota di reddito soggetto a bassa tassazione di un’entità controllata estera che è posseduta direttamente o indirettamente dalla capogruppo. Lo scopo dell’IIR è quello di assicurare che un gruppo multinazionale sia soggetto ad un livello di tassazione minimo in ciascuna giurisdizione in cui opera, a prescindere da dove sia la propria sede e senza generare il rischio di doppia imposizione. Se non è possibile risalire all’impresa madre apicale, la IIR opera a cascata, secondo un approccio top-down, lungo la catena di controllo. Le Model Rules, pubblicate dall’OCSE il 20 dicembre 2021, e la proposta di Direttiva Europea prevedono l’opzione per una qualified domestic minimum top-up tax, che i Paesi possono introdurre per ridurre o azzerare la top-up tax dovuta a livello internazionale.

b) una Undertaxed Profit Rule (UTPR), che opera come regola secondaria, nel caso in cui la tassazione top-up non possa essere applicata. L’UTPR ha lo scopo di contrastare l’erosione della base imponibile con pagamenti infragruppo effettuati a favore di giurisdizioni con un basso livello di imposizione.

Il condiviso approccio dovrebbe permettere di porre fine alla proliferazione di soluzioni unilaterali che compromettono la coerenza del sistema fiscale internazionale, ad esempio rimuovendo le imposte sui servizi digitali.

Con l’introduzione delle regole GloBE si affrontano poi le questioni irrisolte del progetto BEPS, soprattutto in relazione alla concorrenza fiscale dannosa derivante dai differenziali di aliquote. Nel contesto di un’economia globalizzata non è accettabile la presenza di “paradisi fiscali”. Le interazioni tra politiche tributarie nazionali hanno infatti spesso incentivato fenomeni di concorrenza fiscale dannosa e di erosione delle basi imponibili. In un clima di forti sproporzioni fiscali diventa arduo preservare la propria sovranità fiscale.

L’introduzione di una global minimum tax ha l’obiettivo dunque di creare un level playing field tra i gruppi multinazionali, che permetta di contrastare fenomeni di «gara al ribasso» sulla determinazione delle imposte societarie (c.d. race to the bottom, la sottrazione di basi imponibili e risorse ai Paesi a tassazione più elevata).

Tali obiettivi sono ora perseguiti mediante un approccio comune, che contribuisce, oltre a ristabilire una più sana concorrenza ed una maggiore equità nel sistema fiscale internazionale, a neutralizzare di fatto i tax haven la cui presenza altera il corretto funzionamento del mercato.

Si crea un disincentivo all’utilizzo di leve fiscali come strumento di pianificazione aggressiva. I gruppi multinazionali sono spinti, infatti, ad attuare politiche di investimento più sostenibili, basate su ragioni economiche e non già di mera ottimizzazione fiscale.

Il Pillar 2 si caratterizza, peraltro, per la previsione di un Substance-Based Carve-out, che permette di escludere dalla base di calcolo una percentuale di redditi collegati ad attività economiche reali (pari al 5 per cento degli asset materiali e delle retribuzioni del personale). Mediante l’introduzione del Carve-out si prospetta quindi un incremento della concorrenza fiscale incentrata sulla sostanza (asset materiali e retribuzioni). Gli Stati e le giurisdizioni sono dunque incentivati a ridurre il carico fiscale sui profitti derivanti da investimenti in attività tangibili.

Ciò posto, l’ambito di applicazione del Pillar 2 è ad oggi piuttosto circoscritto, includendo un numero esiguo di gruppi multinazionali (essi sono invero i gruppi che detengono la quota più consistente di fatturato globale nel mercato dell’economia digitale). A ciò si aggiunga il forte rischio che i gruppi, esclusi dal campo di applicazione, siano disincentivati ad attuare politiche di crescita e di internazionalizzazione per evitare di raggiungere la soglia di fatturato globale minima (750 milioni di Euro), condizione per la sottoposizione alle regole GloBE.

Restano disponibili, in ogni caso, gli ordinari strumenti giuridici di contrasto ai fenomeni di concorrenza fiscale dannosa e di erosione della base imponibile, applicabili a tutte le imprese (si fa rifermento alle 15 azioni BEPS, alla Direttiva Europea ATAD, CFC, FHTP). Sarà, quindi, importante garantire che tali presidi continuino ad operare in modo pieno ed effettivo.

Altro aspetto cruciale è l’implementazione uniforme delle regole. In assenza, si rischia di indebolire l’impianto complessivo, compromettendo l’obiettivo di creare un level playing field e di fissare una base minima per la concorrenza fiscale. Diviene, quindi, decisivo assicurare un percorso di attuazione coerente ed omogeneo.  

Da questo punto di vista, la recente direttiva europea per l’attuazione del Pillar 2 (direttiva 2022/2523/EU) sembra porsi nella giusta direzione nel prevedere un’implementazione allineata alla struttura del Model Rules OCSE del 20 dicembre 2021, il cui Commentario è stato approvato nel marzo 2022 (avviati i lavori sul GloBE Implementation Framework per chiarire o sviluppare alcuni aspetti di dettaglio del Secondo Pilastro. Un primo documento interpretativo è stato pubblicato il 3 febbraio 2023).

Nel medio lungo periodo, l’attuazione uniforme e congiunta delle nuove regole fiscali dovrebbe permettere una sensibile riduzione dei costi di compliance a carico dei gruppi multinazionali coinvolti e un significativo alleggerimento degli oneri amministrativi interni.

In breve, parafrasando il Prof. Mario Draghi nel suo discorso di insediamento al Senato della Repubblica del febbraio del 2021, occorre perseguire uesto è Qcon convinzione la strada del multilateralismo, esso è la migliore risposta ai problemi che affrontiamo oggi, per molti versi è l’unica soluzione possibile.