argomento: Profili europei e Internazionali - Giurisprudenza
Nella sentenza in comento, la Corte di Cassazione ha espresso il seguente principio di diritto: “La previsione contenuta nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 27, comma 3” … “può configurare un'indebita restrizione della libera circolazione dei capitali in violazione dell'art. 63 TFUE, nella parte in cui non assoggetta allo stesso trattamento fiscale gli utili corrisposti ai fondi pensione istituiti negli Stati Uniti d'America, laddove non si accerti che le due situazioni sono oggettivamente non comparabili".
» visualizza: il documento (Corte di Cassazione, 10 giugno 2022, n. 25963)PAROLE CHIAVE: ritenuta sui dividendi in uscita - libera circolazione di capitali - fondi pensione stabiliti in paesi terzi
di Paride Zamburlini
1. La controversia affrontata nella sentenza in commento ha ad oggetto il corretto trattamento impositivo dei dividendi in uscita (c.d. outbound dividends) percepiti da parte di un fondo pensione costituito negli Stati Uniti d’America, erogati da società italiane nel corso degli anni d’imposta 2008 e 2009. Come ricordato nei fatti di causa, la ritenuta applicabile a tali dividendi ammonta: al 27% (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 27, comma 3); ovvero, nel caso di specie, al 15% (a norma della convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e U.S.A., ratificata con L. 3 marzo 2009, n. 20). Avendo provveduto al versamento, il fondo statunitense richiese all’amministrazione finanziaria il relativo rimborso: secondo il contribuente, infatti, l’applicazione delle suddette ritenute in luogo di quella dell’11% (prevista con riferimento agli utili corrisposti ai fondi pensione istituiti negli Stati membri dell'Unione europea e negli Stati aderenti all'Accordo sullo spazio economico europeo) configurerebbe un’indebita restrizione alla libera circolazione dei capitali (Art. 63, c. 1, TFUE). Avendo l’amministrazione finanziaria opposto silenzio-rifiuto alla suddetta richiesta di rimborso, il contribuente propose ricorso alla commissione tributaria provinciale di Pescara, che dichiarò inammissibile l’impugnazione. Il fondo, quindi, presentò appello davanti al giudice di seconde cure: quest’ultimo respinse la domanda di rimborso nel merito. In modo segnato, secondo la Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo non sarebbe sussistita alcuna fattispecie discriminatoria alla luce del diritto comunitario: il diverso trattamento impositivo riservato al fondo statunitense rispetto ad un fondo italiano si giustificherebbe in virtù della diversità tra la situazione impositiva in cui si trova il primo, rispetto a quella che caratterizza il secondo [art. 65 c.1 lett. a) TFUE]. Nello specifico, come evidenziato dal giudice di secondo grado: al fondo americano viene applicato un modello impositivo di tipo EET (caratterizzato, cioè, dall'esenzione dei contributi e dei rendimenti nel periodo di accumulazione, e dalla loro tassazione nel momento in cui viene erogata la prestazione); i fondi italiani si caratterizzano invece per un modello impositivo di tipo ETT (che prevede un’imposizione dei rendimenti anche nel momento della loro realizzazione).
2. Il fondo ricorre quindi in Cassazione con unico motivo. Secondo il
contribuente, la ritenuta che incide i dividendi da esso percepiti integra una restrizione al principio europeo di libera circolazione dei capitali: ciò in quanto tali redditi vengono tassati in misura superiore rispetto a quella prevista nel caso gli stessi fossero percepiti da un fondo stabilito in Italia, in un altro stato membro dell’UE o in un paese aderente all’accordo SEE; nulla rilevando il fatto che tale ritenuta venga ridotta sulla base della convenzione vigente tra Italia e Stati Uniti d’America. Inoltre, sempre secondo il ricorrente, questa restrizione non può giustificarsi in ragione del diverso trattamento fiscale caratterizzante fondi italiani e statunitensi in base alle normative dei rispettivi Stati di residenza. Tale motivo è stato giudicato fondato dalla Suprema Corte.
3. In punto di diritto, la Suprema Corte richiama in primo luogo un precedente di diritto: Cass., 29 novembre 2017, n. 28573. In particolare, con quest’ultima pronuncia, la Suprema Corte recepiva in via diretta (sul recepimento vincolante dell'interpretazione della Corte UE, v. P. BORIA, European Tax law, Milano, 2014, 94) l’orientamento espresso dalla Corte di Giustizia Europea nella sentenza 19 novembre 2009, Commissione/Italia (causa C-540/07). Ebbene, nel richiamare il suddetto orientamento giurisprudenziale, la Cassazione afferma che il mancato rispetto degli obblighi comunitari previsti dall’art. 63 TFUE si è configurato a causa dell’assoggettamento dei dividendi distribuiti a società stabilite in altri Stati membri ad un regime fiscale meno favorevole di quello applicato sui dividendi distribuiti alle società residenti. E ciò a prescindere dall’applicabilità di una convenzione contro le doppie imposizioni in virtù della quale la ritenuta scontata in Italia possa essere detratta dall’imposta dovuta nel paese di residenza del percettore [Corte di Giustizia, nella sentenza 19 novembre 2009, Commissione/Italia (causa C-540/07), punti 38-39. Sebbene l’altro Stato
membro imputi l’imposta sostenuta in Italia a scomputo dell’imposta ad esso dovuta dal beneficiario, in virtù di un accordo per evitare le doppie imposizioni, l’Italia non può comunque sostenere che tale accordo possa eliminare gli effetti della differenza di trattamento generati dalla sua normativa nazionale, v. in dottrina: F. ZIMMER, ECJ Settles Dispute over Italian Withholding Tax, Raising New Concerns about EEA Agreement, in European Business Law Review, 2011, 109; J. ENGLISCH, Taxation of Cross-Border Dividends and EC Fundamental Freedoms, in Intertax, 2010, 219-220; C. SPENGEL - L. EVERS, The Cross-border Taxation of Dividends in the Case of Individual Portfolio Investors: Issues and Possible Solutions, in EC tax rev., 2012, 24-25; A. LINN - O. THÖMMES, The New German DCL and Dividend Matching Rules and EU Law, in Intertax, 2014, 31]. In particolare, prescindendo dall’applicabilità di un trattato bilaterale, la Cassazione: da un lato, sembrerebbe correttamente circoscrivere l’attenzione unicamente sul trattamento potenzialmente meno favorevole, complessivamente riservato a contribuenti non residenti, che contrasti con la libertà di cui l’art.63 TFUE; dall’altro, implicitamente, sembra (correttamente) ammettere la prevalenza del diritto comunitario su quello convenzionale [Cass., 29 gennaio 2020, n. 1967, in Dir. prat. trib., 2020, 1074, con nota di M. PROCOPIO, Le ritenute operate sui dividendi percepiti dai Fondi pensione comunitari e la loro corrispondenza con quelle applicate nei confronti delle società di capitale, ivi, 1081. V. inoltre Cass., 17 marzo 2000, n. 3119, (richiamata dalla stessa Suprema Corte, tra le altre, pure nelle recenti pronunce Cass., 8 settembre 2022, n. 26537; Id., 27 aprile 2023, n. 11188)]. In effetti, per quanto possibile, non è detto che la ripartizione della potestà impositiva mediante l’applicazione di un trattato [seppur del tutto legittima, cfr. Corte di Giustizia, 12 maggio 1998, Gilly (causa C-336/96)], in quanto fonte facente parte dei sistemi normativi dei due Stati contraenti, possa di per sé garantire il rispetto della norma comunitaria [si tratta di considerare il diritto convenzionale sulla base degli effetti che esso produce, e non in base al fatto che di per sé un trattato prevede meccanismi per l’attenuazione della doppia imposizione G. BIZIOLI, The Miljoen et al. Decision: A Lesson on Comparability, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2016, II, 44. Si fa riferimento al c.d. “treaty-based overall approach”, secondo cui mediante un trattato bilaterale contro le doppie imposizioni si possono neutralizzare gli effetti restrittivi di una norma di uno stato contraente rispetto alla libera circolazione dei capitali, Corte di Giustizia, Amurta (causa C-379/05), punto 79-83;Id., Denkavit (causa C-170/05), punti 45-47; sul punto v. ampiamente G. KOFLER, Tax Treaty “Neutralization” of Source State Discrimination under the EU Fundamental Freedoms?, in Bull. int. tax., 2011, 685- 686. Questa impostazione, sembra riproporsi in Corte di Giustizia, 17 settembre 2015, Miljoen, X, Société Générale
(cause riunite C-10/14; C-14/14; C-17/14), punti 78-79; Id., 16 giugno 2022, Silicones (causa C-572/20), punti 44-45. Similmente, cfr. Id., 19 gennaio 2006, Bouanich (causa C-265/04), punti 51-56, su cui v. A. MAGLIOCCO – A. SANELLI, Should Outbound Dividends Remain Taxed at Source in the European Union? Some Hints from the Italian Example, in Eur. tax., 2009, 208.].
4. Ciò considerato, e tenendo a mente che l’imposizione sui dividendi ricade (nel caso in questione) nell’ambito di applicazione dell’art. 63 par. 1 TFUE [invece, circa l'applicazione della libertà di stabilimento, cfr. Corte di Giustizia, 13 aprile 2000, Baars (causa C-251/98), punti 20-22, richiamata in Id., 10 novembre 2011, Commissione v. Portogallo (causa C-212/09), punto 42; Id., 3 ottobre 2013, Itelcar (causa C-282/12), punto 22; Id., 7 settembre 2017, Eqiom (causa C-6/16), punto 43; Id., 2 febbraio 2019, Associação Peço a Palavra (causa C-563/17), punto 43], la Suprema Corte ricorda come i Giudici Europei, proprio con riferimento alla fattispecie di dividendi in uscita versati a fondi pensione non residenti nell’Unione, si fossero già espressi sulla configurabilità di una limitazione alla libera circolazione dei capitali in ragione dell’applicazione di un trattamento fiscale meno favorevole rispetto a quello riservato ai fondi residenti [V. Corte di Giustizia, 13 novembre 2019, College Pension Plan of British Columbia (causa C-641/17), punto 84-86. In argomento, sotto un punto di vista ricostruttivo, v. L. ROSSI – M. AMPOLILLA, The Italian Tax Regime of Outbound Dividends Distributed to Foreign Investment Funds: An Analysis from a European Perspective, in Intertax, 2015, 359-360]. Tale trattamento deteriore, evidentemente, porta ad un potenziale pregiudizio rispetto ad investimenti esteri nello Stato membro di riferimento.
5. Acclarato il trattamento meno favorevole riservato ai dividendi percepiti dal fondo statunitense, la Suprema Corte, di conseguenza, verifica se tale trattamento può trovare una causa di giustificazione. Tale causa giustificativa, come richiamato dai Giudici di legittimità, potrebbe riscontrarsi in due casi: nel caso dell'esercizio, da parte di uno Stato membro, delle proprie competenze impositive, in particolare per quanto concerne l'esigenza di garantire l'efficacia dei controlli fiscali, ex art. 65 c.1 lett. b) TFUE; oppure, nel caso di una oggettiva non comparabilità delle situazioni afferenti al fondo contribuente non residente rispetto ad un fondo residente, ex art. 65 c.1 lett. a) TFUE [P. PISTONE, Diritto tributario europeo, Torino, 2022, 137-138. La Corte di Giustizia, 6 giugno 2000, Verkooijen (causa C-35/98) ha ricondotto tale disposizione in un sistema di protezione offerto dal diritto europeo alle discriminazioni indirette basate sulla residenza; cfr. in senso conforme Corte di giustizia, 11 settembre 2014, Verest
e Gerards (causa C-489/13), punti 26 e 27; Id., 21 giugno 2018, Fidelity Funds (causa C-480/16), punti 47-48; Id., 20 settembre 2018, EV (causa C-685/16), punti 86-87]. Ciò, precisando che, in realtà, nell’esperienza della Corte di Giustizia, si procede alla ricerca di una causa di giustificazione solo dopo aver constatato una diversità di trattamento di due situazioni comparabili (v. N. BAMMENS, The principle of non-discrimination in international and
European tax law, Amsterdam, 2012, 503).
6. Con riferimento al primo profilo giustificativo, afferente all’esigenza di uno Stato membro di poter implementare efficacemente controlli fiscali, la Cassazione ricorda che l’operatività di detta giustificazione viene circoscritta ai soli casi nei quali la normativa di uno Stato membro subordini il beneficio di un vantaggio fiscale al rispetto di requisiti la cui osservanza possa essere verificata ottenendo informazioni dalle competenti autorità dello Stato terzo e qualora, in considerazione dell’assenza di un obbligo convenzionale di fornire informazioni a carico di detto Stato terzo, risulti impossibile ottenere chiarimenti del medesimo [Corte di Giustizia, Emerging Markets (causa C-190/12), punto 84; Id., 26 febbraio 2019, X (C-135/17), punto 92]. Sul punto, la Suprema Corte osserva che tale circostanza non ricorre nel caso in esame, data la presenza di uno strumento pattizio all’uopo utilizzabile. Infatti, l’art. 26 della Convenzione Italia – Stati Uniti d’America contro le doppie imposizioni prevede e disciplina lo scambio di informazioni fra le autorità competenti dei due Stati: ciò in vista dell’applicazione di norme convenzionali e domestiche concernenti le imposte previste dalla Convenzione, pure con finalità di prevenzione rispetto a fenomeni di frode o evasione (va tenuto comunque presente che la causa di giustificazione potrebbe essere comunque sollevata allorché, pure in presenza di un tale obbligo di fonte pattizia, l’autorità competente richiedente non riesca ad ottenere le informazioni necessarie, v. P. PISTONE, Diritto tributario europeo, Torino, 2022, 172). Sul tema, è senz’altro interessante segnalare la dottrina secondo cui nel rapporto con Stati non aderenti né all’UE né all’accordo SEE, in particolare con riferimento a paesi con i quali una convenzione contro le doppie imposizioni o altro accordo sia in grado, nei suoi effetti, di estendere “l’apertura economica” del mercato interno dell’Unione anche ad essi, si potrebbe affermare, in linea teorica, che la rule of reason in questione non sia applicabile in modo diverso da come si applica nei rapporti tra Stati dell’Unione (cfr. E. KEMMEREN, Double Tax Conventions on Income and Capital and the EU: Past, Present and Future, in EC tax rev., 2016, 173).
7. Tuttavia, è in merito al secondo profilo, oggetto della censura del contribuente, che la Suprema Corte offre un’ancor più approfondita ricostruzione. Trattasi della (in)compatibilità della norma nazionale in funzione della comparabilità delle situazioni in cui versano contribuenti residenti e non [art. 65 c.1 lett. a) TFUE]: infatti, affinché una normativa tributaria nazionale possa considerarsi compatibile con le disposizioni del trattato relative alla libera circolazione dei capitali, è necessario che la differenza di trattamento che ne risulta riguardi situazioni che non siano oggettivamente paragonabili [Corte di Giustizia, 29 aprile 2021, E (causa C-480/19), punto 30; Id., College Pension Plan of British Columbia (causa C-641/17), punto 64; Id., Fidelity Funds (causa C-480/16), punto 48, e giurisprudenza ivi citata].
8. Come sopra riportato, il Giudice di seconde cure riconduce la non comparabilità emergerebbe dal differente metodo impositivo caratterizzante il fondo ricorrente rispetto ad un fondo pensioni residente in Italia. Tale rilievo non viene condiviso dalla Suprema Corte. Da un lato, la Cassazione rileva la non pertinenza di tale differenza in riferimento al caso oggetto della controversia, che per contro, come lamentato dal fondo, attiene al generale profilo discriminatorio della normativa nazionale nei riguardi dei fondi pensionistici residenti in Stati terzi. Dall’altro, comunque, la Medesima afferma che la maggior parte degli Stati aderenti all’UE e all’accordo SEE nei riguardi dei fondi pensionistici ivi residenti adotta uno schema impositivo di tipo EET.
La Cassazione afferma, quindi, che proprio la convivenza all’interno dell’UE e dello SEE dei due schemi evidenzia la soggezione all’uno o all’altro modello impositivo non influenza la comparabilità oggettiva delle situazioni riguardanti fondi pensione (la medesima impostazione è stata riconfermata in Cass., 1 settembre 2022, n. 25692).
9. Quindi, la Suprema Corte richiama la giurisprudenza europea, affermando che: dal momento in cui uno Stato membro decide di espandere la propria potestà impositiva (per quanto concerne l’imposizione reddituale) anche nei confronti di società non residenti, in particolare circa i dividendi che essi percepiscono da un soggetto residente, la situazione delle società non residenti si avvicina (dunque diviene oggettivamente comparabile) a quella delle società
residenti [Corte di Giustizia, 17 marzo 2022, AllianzGl Fonds (causa C-545/19), punto 49; 22 novembre 2018, Sofina e A. (causa C-575/17), punto 47 e giurisprudenza ivi citata.], segnatamente con riferimento al rischio di doppia imposizione rispetto agli utili percepiti dai medesimi [Corte di Giustizia, Fidelity Funds (causa C-480/16), punti 54-56; Id., 10 maggio 2012, Santander Asset Management SGIIC e A. (cause riunite da C-338/11 a C-347/11), punto 42]. Giudizio di comparabilità si rinviene nella scelta di uno Stato di espandere o meno l’imposizione su soggetti non residenti [Un’eccezione che si è potuta constatare in giurisprudenza è sorta in Corte di Giustizia, 22 dicembre 2008, Truck Center (causa C-282/07), punti 42-43 e 48, su cui, per una critica al giudizio di non comparabilità ivi raggiunto L. de BROE – N. BAMMENS,
Truck Center Belgian Withholding Tax on Interest Payments to Non-resident Companies Does Not Violate EC Law: A Critical Look at the ECJ’s Judgment in Truck Center, in EC tax rev., 2009, 133; M. LANG, Recent Case Law of the ECJ in Direct Taxation: Trends, Tensions, and Contradictions, in EC tax rev., 2009, 100]. Conseguentemente, l’attenzione deve porsi su di una parità di trattamento, da riservare a tali soggetti, che sia conforme alle finalità ed obbiettivi sottesi alla norma [V. D. STEVANATO, Ritenuta alla fonte sui dividendi corrisposti a società non residenti e restrizioni alla libera circolazione dei capitali, in GT - Riv. giur. trib., 2010, 109; M. HELMINEN, The Finnish Dividend Withholding Tax System and the Principle of the Free Movement of Capital: A Never-Ending Story, in Eur. tax., 2010, 403-404; P. WATTEL, Non- Discrimination à la Cour: The ECJ’s (Lack of) Comparability Analysis in Direct Tax Cases, in Eur. tax., 2015, 548-549. Tale impostazione è stata condivisa anche dalla giurisprudenza della Corte EFTA, 23 Novembre 2004, Fokus Bank v. The Norwegian State (E-1/04), punto 30: sul punto v. G. GENTA, Dividends Received by Investment Funds: An EU Law Perspective – Part 1, in Eur. tax., 2013, 83. Di recente, nella giurisprudenza comunitaria cfr. Corte di Giustizia, 30 gennaio 2020, Deka (causa C-156/17), punto 76 ss., su cui, per una panoramica generale, cfr. M. FANTI ROVETTA, KA Deka: un ulteriore passo verso l’elaborazione di un regime impositivo “comune” inerente agli utili distribuiti da organismi di investimento collettivo non residenti, in Dir. prat. trib. int., 2020, 1653. e tale impostazione è stata adottata anche in Corte di Giustizia, 2 giugno 2016, Pensioenfonds Metaal en Techniek (causa C-252/14) punti 59-63]. Dunque, quando il potere impositivo dello Stato viene allargato anche al soggetto non residente, la comparabilità della sua situazione con quella dell’omonimo contribuente residente deve misurarsi considerando tali criteri, scopi e finalità a cui la normativa è diretta [Corte di Giustizia, AllianzGl Fonds (causa C-545/19), punti 61-74; v. ampiamente M. TENORE, La Corte di giustizia dell’Unione europea ritorna sulla comparabilità dei fondi esteri: pochi i dubbi e molte le certezze sull’incompatibilità della disciplina italiana, in Dir. prat. trib., 2022, 1330, dove in particolare si sottolinea come nella pronuncia in questione la Corte si sia distaccata dal giudizio espresso dalla Corte UE nel caso Truck Center]. In questo modo, si applica il c.d. approccio del criterio distintivo: da un lato, la comparabilità delle situazioni caratterizzanti i soggetti residenti e non residenti deve valutarsi a partire dall’oggetto, contenuto ed obbiettivi delle
disposizioni nazionali; dall’altro, la norma nazionale fissa dei criteri distintivi pertinenti, i quali vanno considerati per verificare se il diverso trattamento riservato dalla normativa al contribuente non residente sia riconducibile ad un’oggettiva differenza di situazioni [cfr. Corte di Giustizia, Fidelity Funds (causa C-480/16), punto 51; Id., Santander Asset Management SGIIC e A. (cause riunite da C-338/11 a C-347/11), punti 27-29 e 39-41; Id., Pensioenfonds Metaal en Techniek (causa C-252/14) punti 47-49]. Il che vale anche in caso di rinuncia da parte dello Stato ad imporre, in determinate circostanze, il reddito prodotto da un contribuente residente [Corte di Giustizia, Sofina (causa C-575/17), punti 47-54, su cui v. in dottrina o R. ISMER - H. KANDEL, A Finale Incomparabile to the Saga of Definitive Losses? Deduction of Foreign Losses and Fundamental Freedoms After Bevola and Sofina, in Intertax, 2019, 587; CFE ECJ Task Force, Opinion Statement ECJ-TF 3/2019 on the ECJ Decision of 22 November 2018 in Sofina (Case C-575/17) on Withholding Taxes, Losses and Territoriality, in Eur. tax., 2020, 94]. Ciò, prescindendo peraltro da qualsiasi altro tipo di fattispecie regolamentare o di tipo civilistico caratterizzante il soggetto non residente in modo diverso dal soggetto residente [Cfr. Corte di Giustizia, 18 giugno 2009, Aberdeen (causa C-303/07), punto 51; Emerging Markets (causa C-190/12), punto 67; Id. E (causa C-480/19), punti 52-55, su cui v. M. SCHERLEITNER, E, VERONSAAJIEN Oikeudenvalvontayksikkö C-480/19:
A Remarkable Case, in Intertax, 2022, 371-372; in senso conforme, cfr. Corte di Giustizia, 7 aprile 2022, A SCPI (causa C-342/20), punti 62-65 e 69-74, su cui v. diffusamente M. SCHERLEITNER, The ECJ’s Decision in A SCPI (C-342/20) – A Missing Piece of One Puzzle and a New Piece of Another?, in Eur. tax., 2022, 443 ss., ma spec. 448 e 450]. Si può quindi affermare, senza troppe difficoltà, che l’analisi di comparabilità deve muoversi, in ogni caso, su di un piano non formale, ma sostanziale [Corte di Giustizia, 16 dicembre 2021, UBS Real Estate (cause riunite C-478/19 e C-479/19), punti 54-58]. Da notare, peraltro, che nella giurisprudenza comunitaria si è osservato che se queste venissero prese in considerazione, in effetti, vi sarebbe pure il rischio di una riduzione eccessiva del campo di applicazione della libera circolazione dei capitali [Corte di Giustizia, Emerging Markets (causa C-190/12), punto 68].
10. Proprio in ragione di tale impostazione, la Cassazione afferma che, quindi, la comparabilità verrebbe a mancare (rendendo dunque ammissibile una disparità di trattamento) solo allorquando la diversità di situazioni afferenti al soggetto residente e non residente si registra in relazione all’obbiettivo, all’oggetto e al contenuto della normativa nazionale oggetto della doglianza.
Ebbene, si rileva che l’introduzione (con la L. n. 88/2009, art. 24) dell’aliquota ridotta si poneva il fine di omologare il trattamento dei dividendi in uscita percepiti da fondi pensione non residenti (nell’ambito dello spazio UE e dell’accordo SEE) in ottemperanza alle libertà europee. In sostanza, si trattava dell’allineamento del trattamento impositivo dei fondi pensione istituiti negli Stati dell’accordo SEE a quello dei fondi italiani (la Cassazione fa riferimento ai lavori preparatori L. n. 88 del 2009, ed in particolare la presentazione del testo normativo alla Camera dei Deputati dd. 15 maggio 2009): e tale allineamento si è compiuto pur rimanendo vigenti diversi schemi impositivi afferenti ai suddetti fondi non residenti. Stante l’obbiettivo della norma, dunque, tali schemi di tassazione non influenzano di per sé la valutazione della comparabilità delle situazioni afferenti ai diversi soggetti. Ne deriva che, negli stessi termini, la comparabilità non potrà essere influenzata neppure nel raffronto tra le situazioni afferenti a fondi italiani e fondi statunitensi.