argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza
Con l’Ordinanza n. 13090/2022, la Suprema Corte ha stabilito che l’omologazione da parte del Tribunale fallimentare di un concordato preventivo comprensivo di ‘transazione fiscale’ ex art. 182-ter l.f. implica la cessazione della materia del contendere nel procedimento pendente dinanzi alle Corti tributarie.
» visualizza: il documento (Corte di Cassazione, 27 aprile 2022, n. 13090)PAROLE CHIAVE: transazione fiscale - effetti processuali - consolidamento del debito tributario - cessata materia del contendere
di Nicolò Treglia
1. Con l’Ordinanza in rassegna la travagliata esperienza della ‘transazione fiscale’ ex art. 182-ter l.f. si arricchisce di nuove questioni attinenti i suoi riflessi processuali. Nel caso di specie, la società contribuente, in seguito all’istaurarsi del contenzioso oggetto del presente giudizio, aveva concluso con l’Agenzia delle Entrate una ‘transazione fiscale’ nell’ambito di un concordato preventivo omologato dal tribunale competente. Sicché, la Corte ha ritenuto che detta transazione costituisca una fattispecie di estinzione del processo, in applicazione del quinto comma dell’art. 182-ter l.f. Infatti, quest’ultimo, nella formulazione vigente ratione temporis, stabiliva che il decreto di omologazione della procedura di concordato preventivo determinasse “la cessazione della materia del contendere nelle liti aventi ad oggetto i tributi per i quali si è perfezionata la transazione”.
L’altro effetto tipico derivante dal perfezionamento della ‘transazione fiscale’ secondo l’antecedente disciplina era poi costituito dal consolidamento del debito tributario ex art. 182-ter, secondo comma, l.f. Tale previsione, infatti, per cristallizzare la pretesa tributaria vantata dal Fisco alla data di presentazione della domanda, determinava rilevanti conseguenze sull’attività accertativa degli Uffici: la dottrina maggioritaria (tra cui L. Tosi, La transazione fiscale, in Rass. trib., 4, 2006, p. 1084 ss.), sosteneva l’effetto preclusivo dell’omologazione in relazione a possibili futuri accertamenti; al contrario, la prassi (circ. Agenzia delle entrate 18 aprile 2008, n. 40/E) affermava che “la transazione non pregiudica la possibilità, per l’Agenzia, di procedere ad accertamento e iscrivere a ruolo, nei termini previsti dalla legge, le ulteriori somme che risultassero eventualmente dovute in relazione a fattispecie diverse da quelle che hanno generato il debito oggetto di transazione, anche se riferibili agli stessi periodi di imposta, senza che ciò costituisca causa risolutiva”.
Già nel 2011, con due ‘sentenze gemelle’ (Cass. n. 22931/2011; Cass. n. 22932/2011, con note adesive di L. Del Federico, La Corte di Cassazione inquadra la transazione fiscale nel sistema delle procedure concorsuali, in Riv. dir. trib., 2, 2012, p. 35 ss.; di P. Mastellone, La non falcidiabilità del credito IVA nel concordato preventivo prescinde dalla presenza della transazione fiscale, in Riv. trim. dir. trib., 1, 2012, p. 268 ss.; di F. Santoro Cayro, Sugli effetti “tipici” della transazione fiscale alla luce di due recenti pronunce della Suprema Corte, in Rass. trib., 1, 2012, p. 139 ss.), la Suprema Corte aveva lucidamente messo in evidenza i citati effetti tipici della ‘transazione fiscale’, ponendoli in stretta correlazione tra loro. Da un lato, il consolidamento del debito fiscale, mediante il quale “il debitore ottiene il vantaggio dell’apprezzabile o assoluta certezza sull’ammontare del debito”; dall’altro, l’estinzione dei giudizi tributari in corso, qualificata come “un costo che è dato dalla sostanziale necessità di accogliere tutte le pretese dell’amministrazione, non essendo plausibile che la stessa, dopo aver indicato il proprio credito, accetti in questa sede di discuterlo e ridurlo”.
2. Il descritto assetto normativo è profondamente mutato con la legge di bilancio 2017 (art. 1, comma 81, l. n. 232/2016) che ha riscritto integralmente l’art. 182-ter l.f. A ben vedere, già con il decreto correttivo del d.lgs. n. 169/2007, la ‘transazione fiscale’ aveva mutato natura: da accordo contrattuale ed extraconcordatario ad istituto indissolubilmente legato alle sorti del concordato preventivo le cui conseguenze non derivano dalla procedura di ‘transazione fiscale’ in sé, quanto, piuttosto, dalla più ampia procedura di concordato preventivo, all’interno della quale l’Amministrazione finanziaria, al pari degli altri creditori, provvede in sede di adunanza dei creditori all’adesione o al diniego della proposta concordataria (Cfr. L. Del Federico, La nuova transazione fiscale secondo il Tribunale di Milano: dal particolarismo tributario alla collocazione endoconcorsuale, in Il fallim., 3, 2008, p. 342 ss.; G. Lo Cascio, La disciplina della transazione fiscale: orientamenti interpretativi innovativi, in Il. fallim., 3, 2008, p. 338 ss.; Contra A. Giordano, Effetti della transazione fiscale ‘fuori’ e ‘dentro’ il concordato preventivo, in Dir. fall. soc. comm., 5, 2011, p. 528 ss.). Tale impostazione è stata definitivamente accolta dalla legge di bilancio 2017, che, tra le altre cose, ha modificato il nomen contenuto nella rubrica dell’art. 182-ter l.f. in “Trattamento dei crediti tributari e contributivi”, riconoscendone l’obbligatorietà del relativo procedimento e rafforzandone il carattere endoconcorsuale (sul punto si veda V. Ficari, La nuova disciplina del pagamento parziale dei crediti tributari di cui all’art. 182 ter l. fall, in Riv. trim. dir. trib., 3-4, 2017, p. 653 ss.).
Conseguentemente, rispetto alla disciplina previgente, la novella ha escluso effetti ulteriori dell’omologa rispetto ai crediti pubblici, espungendo, con riguardo alle liti fiscali pendenti sui tributi oggetto della proposta di concordato, ogni riferimento al consolidamento del debito tributario e alla cessazione della materia del contendere. Ed infatti, le norme in esame avevano una ragion d’essere unicamente in un’ottica intrinsecamente transattiva dell’istituto; ottica venuta meno per espressa volontà del legislatore. (V. M. Cardillo, La transazione fiscale, Roma, 2016, p. 190). Di tal guisa, il trattamento dei crediti tributari è stato equiparato a quello degli altri crediti concorsuali (si sofferma su tale aspetto E. Belli Contarini, Accordo fiscale concordatario ed effetti processuali, in Riv. dir. trib. Supplemento online, 28 novembre 2017), in relazione ai quali è prevista la prosecuzione degli ordinari giudizi di cognizione sulla sussistenza del credito, nonché la possibilità di una loro ammissione in via provvisoria ai soli fini del voto e del calcolo delle maggioranze (art. 176 l.f., speculare all’art. 108, primo comma, CCII).
Sembra quindi che il legislatore abbia consapevolmente voluto eliminare dal testo letterale della norma ogni riferimento ai pregressi effetti conseguenti all’omologazione della proposta concordataria, così evitando che la ‘transazione fiscale’ abbia risvolti al di fuori della procedura concorsuale entro cui è collocata (Cfr. F. Paparella, L’esperienza infinita della transazione fiscale tra natura giuridica dei rapporti e successione delle leggi nel tempo: le Sezioni Unite si esprimono anche sul riparto di giurisdizione tra giudice tributario e giudice fallimentare, in Riv. dir. trib., 1, 2022, p. 33; C. Buccico, L. Letizia, Il trattamento dei crediti tributari tra crisi d’impresa ed emergenza pandemica, in Rass. trib., 2, 2022, p. 352; G. Andreani, A. Tubelli, Transazione fiscale e crisi d’impresa, Milano, 2020, p. 124 ss.). In tal modo, “l’eventuale voto favorevole [dell’Amministrazione finanziaria] deve essere considerato semplicemente un giudizio positivo sulla misura e sui tempi di soddisfazione del debito tributario senza incidere sulle attività ordinarie di accertamento e sui giudizi pendenti come accade per la generalità del ceto creditorio” (Così F. Paparella, Il nuovo regime dei debiti tributari di cui all’art. 182-ter L.F.: dalla transazione fiscale soggettiva e consensuale alla retrogradazione oggettiva, in Rass. trib., 2, 2018, p. 317 ss.).
Appare dunque evidente come, in una prospettiva sistematica, il legislatore abbia inteso scindere le vicende relative alle modalità di esazione – proprie della ‘transazione fiscale’ – da quelle concernenti il vaglio di legittimità o di fondatezza della pretesa che sono proprie dell’accertamento del tributo (cfr. C. Attardi, Sul carattere necessario del procedimento amministrativo di transazione fiscale, in Riv. dir. trib., 5, 2012, p. 553 ss., ed in particolare p. 560 ove l’A. osserva come “la decisione amministrativa di dichiarare in tutto o in parte non esigibile il credito tributario non dovrebbe avere alcun riflesso sulla debenza del tributo: l’obbligazione tributaria resta dovuta, ancorché in tutto o in parte non esigibile”).
Tale impostazione è stata condivisa anche dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 16/E del 23 luglio 2018, secondo la quale, per un verso, i crediti oggetto di accertamento giudiziale devono essere inclusi nella proposta di concordato al fine di consentire l’ammissione del Fisco al voto; per un altro verso, sul credito definitivamente accertato all’esito del contenzioso dovrà applicarsi la percentuale di pagamento conseguente all’omologa del concordato.
Tuttavia non si può non rilevare come una parte minoritaria della dottrina abbia osservato che l’effetto processuale della cessazione della materia del contendere opererebbe anche in assenza di una sua espressa riproposizione nel nuovo art. 182-ter (cfr. M. Allena, La transazione fiscale nell’ordinamento italiano, Milano, 2017, p. 174 ss.; C. Faone, Effetti della transazione fiscale: cristallizzazione del debito?, in Il Fisco, 27, 2017, p. 2658 ss.). Ciò, in primo luogo, per ragioni di ordine sistematico e funzionale, in quanto, altrimenti, l’applicazione dell’istituto della ‘transazione fiscale’ verrebbe resa oltremodo difficoltosa ed astrattamente confliggente con la volontà espressa del legislatore di consentire all’imprenditore di affrontare lo stato di crisi ed evitare la liquidazione attraverso un programma di pagamento di debiti fiscali. Inoltre, ad avviso degli stessi Autori, la conferma dell’ininfluenza della novella sulla cessata materia del contendere in seguito all’omologazione del concordato rintraccerebbe il suo addentellato normativo nell’art. 46 del d.lgs. 546/1992. Quest’ultimo prevede, infatti, l’estinzione del giudizio nelle ipotesi di “definizione delle pendenze tributarie previste dalla legge” nonché in “ogni altro caso di cessazione della materia del contendere”. Ebbene, la ‘transazione fiscale’ ricadrebbe proprio nella prima circostanza.
3. La pronuncia in commento non si limita ad applicare puntualmente la normativa vigente ratione temporis ma va ben oltre, avvalendosi dei principi statuiti dalla giurisprudenza di legittimità per l’ipotesi della ‘transazione fiscale’ conclusa nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione dei debiti. Viene, infatti, ripercorso l’iter motivazionale della Cass. n. 16755/2020, che aveva sì disposto l’inapplicabilità del quinto comma dell’art. 182-ter – riguardante unicamente la ‘transazione fiscale’ nell’ambito di un concordato preventivo – ma aveva comunque riconosciuto che “gli effetti della transazione fiscale sui giudizi tributari pendenti debbano ritenersi regolati dai generali criteri dettati in materia processuale, con particolare riguardo alla cessazione della materiale del contendere”. Il chiaro riferimento è all’orientamento giurisprudenziale secondo cui quest’ultima costituisce una fattispecie di estinzione del processo che si verifica quando sopravviene una situazione che elimina la ragione del contendere delle parti, facendo venire meno il loro interesse ad agire (v. Cass. n. 12310/2007).
Tale impostazione sembra avallare la necessità di ricollegare alla ‘transazione fiscale’ l’effetto (automatico) della cessazione della materia del contendere, pure in assenza, nel vigente quadro normativo, di una esplicita disposizione in tal senso. Ma proprio l’entrata in vigore del Codice della crisi e dell’insolvenza (CCII) depone in senso opposto e rende opportuna qualche riflessione al riguardo.
Occorre ricordare che nel concordato preventivo non esiste una procedura di vera e propria verifica dei crediti: è il Tribunale che procede ad ammettere provvisoriamente in tutto o in parte i crediti contestati, ai fini del voto e del calcolo delle maggioranze, evitando giudizi valutativi sulla fondatezza della pretesa creditoria. Detti giudizi restano incardinati, infatti, nella giurisdizione del giudice ordinario, oppure, nelle ipotesi in cui abbiano ad oggetto crediti fiscali, in quella tributaria. A mente del sesto comma dell’art. 180 l.f. (oggi art. 112, sesto comma, CCII), poi, il Tribunale può disporre lo stanziamento di un fondo avente proprio la funzione di tutelare il creditore dal rischio di restare insoddisfatto a causa di possibili discrasie temporali tra i tempi di esecuzione del concordato e quelli dell’emissione della sentenza definitiva di accertamento del credito (V. G. Andreani, A. Tubelli, Le Sezioni Unite della Cassazione rimodellano la transazione fiscale, in Corr. trib., 6, 2021, p. 546, secondo i quali: “il giudizio di accertamento di un credito tributario, tuttavia, richiede tempi di gran lunga più ampi (tenuto conto anche delle inevitabili fasi di impugnazione) di quelli corrispondenti alla procedura di concordato preventivo, sicché, nella maggior parte dei casi, il concordato è destinato a essere omologato senza che, a tale data di omologazione, sia intervenuta una sentenza passata in giudicato che statuisca in modo incontrovertibile l’entità, la natura, e il grado di privilegio del credito oggetto di contestazione”).
Recenti pronunce della Suprema Corte hanno affermato la necessità di distinguere tra debiti tributari in contestazione e debiti di diversa natura, prevedendo solo per i primi l’obbligatorietà dell’accantonamento “per effetto della norma speciale di cui all’art. 90 D.P.R. n. 602 del 1973” (v. Cass. n. 15414/2018; Cass. Sez. Un. n. 8504/2021; Cass. Sez. Un. n. 35954/2021, che hanno richiamato l’art. 90 cit. secondo cui: “se sulle somme iscritte a ruolo sorgono contestazioni, il credito è comunque inserito in via provvisoria nell’elenco ai fini previsti agli art. 176, primo comma, e 181, terzo comma, primo periodo del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267”).
Ne discendono riflessi diretti sul contenuto della proposta e del piano concordatario, sussistendo “una corrispondenza assoluta tra le pretese risultanti dalle certificazioni che, ai sensi dell’art. 182 ter, comma 2, LF, devono essere rilasciate dall’agente della riscossione e dall’agenzia fiscale rispettivamente per i crediti iscritti a ruolo e per quelli che ancora non lo sono ed i corrispondenti accantonamenti obbligatori” (così F. Paparella, L’esperienza infinita della transazione fiscale tra natura giuridica dei rapporti e successione delle leggi nel tempo: le Sezioni Unite si esprimono anche sul riparto di giurisdizione tra giudice tributario e giudice fallimentare, cit., p. 32, nt. 61).
L’insieme di tali elementi depone, quindi, a favore della tesi per cui, qualora l’imprenditore non concordi con la determinazione del carico tributario contenuta nella certificazione formulata dall’Ufficio, egli potrà proseguire il contenzioso in corso oppure iniziarlo ex novo, ferme le possibili tutele a garanzia delle aspettative del creditore. Opinare diversamente – riconoscendo la cessata materia del contendere in seguito all’omologazione del concordato – comporterebbe il rischio, inaccettabile, di rendere definitiva una pretesa maggiore di quella che si sarebbe determinata all’esito del giudizio, violando il fondamentale canone della capacità contributiva ex art. 53 Cost. e privando il contribuente della sua tutela giurisdizione, in palese contrasto con la garanzia del diritto di difesa ex art. 24 Cost. (Cfr. F. Randazzo, Il “consolidamento” del debito nella transazione fiscale, in Riv. dir. trib., 2008, I, p. 825).