Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

30/06/2023 - Esenzione IVA per mostre e musei. Il controverso aspetto delle immagini artistiche postate sui social network dai visitatori

argomento: IVA - Legislazione e prassi

Sempre più rispetto al passato, i modelli di business delle imprese che operano nel settore delle esposizioni artistiche, quali mostre e musei, prevedono che i visitatori possano fotografare le opere d’arte, di design o le creazioni artistiche in generale, così da poterle divulgare sui propri profili social. La non controllabile azione dei visitatori di fotografare e di divulgare dette immagini ha lo scopo di suscitare in altri soggetti l’interesse a visitare il mdesimo spazio espositivo. L’incremento degli ingressi presso il museo o la mostra, conseguente all’anzidetta divulgazione virale dei “post” artistici, non si comprende se debba essere definito un “beneficio commerciale indiretto” per la società museale, tale far perdere il diritto all’esenzione Iva applicato ai diritti d’ingresso ai sensi dell’art. 10, comma 1, punto 22, d.p.r. 633/1972. Difatti, l’incremento delle vendite dei ticket di accesso alla mostra o al museo, per effetto della “viralità” delle immagini artistiche, potrebbe essere inteso, nello stesso tempo, come una speculazione commerciale, sacrificabile al tributo sui consumi, oppure rimanere un’attività perimetrata all’interno dello scopo divulgativo dell’arte, dunque esente ai fini dell’imposta sul valore aggiunto. 

PAROLE CHIAVE: iva - esenzione - divulgazione del messaggio artistico


di Alessandro Tropea

  1. Il legislatore, nazionale ed europeo, anche attraverso la non imposizione tributaria, promuove la divulgazione dei messaggi artistici e la conservazione delle realizzazioni artistiche esistenti (limitatamente al concetto di diritto promozionale, si veda Bobbio, Sulla funzione promozionale del diritto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1969, p. 1313. Invece, con riferimento alla funzione fiscale come leva di promozione, si osservi Giovannini, Per principi, Torino, 2022, p. 44. Infine, relativamente alla fruizione dell’arte come bene giuridico protetto dall’ordinamento, si veda Barbati-Cammelli-Sciullo, Diritto e gestione dei beni culturali, Bologna, 2011, p. 31). Con specifico riguardo all’Iva, tali obiettivi vengono raggiunti mediante l’esenzione dei diritti d’ingresso alle mostre e ai musei. In particolare, l’art. 98, par. 1 e 2, Direttiva 2006/112/CE dispone che “Gli Stati membri possono applicare una o due aliquote ridotte. Le aliquote ridotte si applicano unicamente alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi delle categorie elencate nell’allegato III”. Il punto 7 dell’anzidetto allegato III afferma che le aliquote ridotte si possono applicare a “diritto d’ingresso a spettacoli, teatri, circhi, fiere, parchi di divertimento, concerti, musei, zoo, cinema, mostre ed altre manifestazioni o istituti culturali simili”. L’art. 32, par. 1, Regolamento 2011/282/UE, recante le disposizioni esecutive alla Direttiva 2006/112/CE, ordina che “I servizi relativi all’accesso a manifestazioni culturali, artistiche, sportive, scientifiche, educative, ricreative o affini di cui all’articolo 53 della direttiva 2006/112/CE, comprendono la prestazione di servizi le cui caratteristiche essenziali consistono nel concedere un diritto d’accesso ad una manifestazione in cambio di un biglietto o di un corrispettivo, ivi compreso un corrispettivo sotto forma di abbonamento, di biglietto stagionale o di quota periodica”. Il seguente paragrafo 2 del richiamato articolo 32 specifica che “Il paragrafo 1 si applica, in particolare, a quanto segue: a) il diritto d’accesso a spettacoli, rappresentazioni teatrali, spettacoli di circo, fiere, parchi di divertimento, concerti, mostre nonché ad altre manifestazioni culturali affini” (per un’approfondita ricostruzione europea del tema, si rinvia a Comelli, Iva nazionale ed Iva comunitaria. Contributo alla teoria generale dell’imposta sul valore aggiunto, Padova, 2000, p. 41). Il legislatore italiano, allargando la nozione di esenzione rispetto a quella unionale, ha recepito il predetto quadro normativo europeo all’art. 10, comma 1, punto 22, d.p.r. 633/1972, in forza del quale “Sono esenti dall’imposta: (…) 22) le prestazioni proprie delle biblioteche, discoteche e simili e quelle inerenti alla visita di musei, gallerie, pinacoteche, monumenti, ville, palazzi, parchi giardini botanici e zoologici e simili”. Dunque, nell’ordinamento italiano, le prestazioni connesse alle attività museali e alle mostre sono esenti dall’imposta sul valore aggiunto, nel senso che il diritto d’ingresso, ceduto a titolo oneroso, dall’ente organizzatore all’utente visitatore non è gravato dal tributo sui consumi (con riferimento all’Iva e ai profili giuridici dell’esenzione, si veda Montanari, Le operazioni esenti nel sistema dell’Iva, Torino, 2013, p. 110; Viotto, Le esenzioni, in Tesauro (a cura di), L’imposta sul valore aggiunto, Torino, 2001, p. 87. Invece, con riguardo alla funzione civica di promozione culturale tramite i musei e le mostre espositive, si rimanda a Del Federico, Finanza pubblica e misure tributarie per il patrimonio culturale italiano: introduzione alla ricerca, in Finanza pubblica e misure tributarie per il patrimonio culturale. Prime riflessioni, Torino, 2019, p. 1 e, in part., p. 8).  
  2. La norma italiana sull’esenzione Iva non esprime in maniera analitica quali sono i requisiti oggettivi e soggettivi per la corretta applicazione di tale agevolazione, sicché l’amministrazione finanziaria è intervenuta a colmare l’argomento con propri documenti di prassi in molteplici occasioni. Analiticamente: (i) il Ministero delle Finanze – Dipartimento Tasse e Imposte Indirette sugli Affari, con la Risoluzione n. 395008 del 2 maggio 1985, ha affermato che “le prestazioni inerenti alla visita da parte del pubblico di quadri, stampe e qualsiasi altro oggetto esposto di rilevante utilità sociale e culturale rientra nell’esenzione dall’IVA prevista dal citato art. 10, n. 22 del D.P.R. n. 633, indipendentemente dal luogo in cui gli oggetti stessi siano esposti (museo, galleria, mostre, ecc…) e dal carattere di temporaneità o meno della esposizione stessa”. Inoltre, prosegue l’autorità tributaria, “il comportamento del visitatore non ha nessuna influenza per escludere dall’esenzione dell’IVA le prestazioni rese dalle mostre. Rilevante è, invece, il fatto che le mostre al pari dei musei, gallerie ecc… debbano avere sempre e solo carattere culturale”. Il medesimo Ministero, attraverso la Risoluzione n. 461079 del 20 novembre 1987, ha precisato che “il carattere culturale e sociale di una mostra in linea di massima lo si può individuare nella promozione della conoscenza storica, artistica ecc… che la mostra stessa persegue ma che comunque occorre valutare caso per caso, tenendo conto sia del soggetto che organizza la mostra che della natura dei beni esposti, nel senso che questi ultimi non devono formare oggetto sia pure indirettamente di una attività promozionale o di vendita”. Ancora il richiamato Ministero, tramite la Risoluzione n. 30 del 23 aprile 1998, ha specificato che “il Legislatore ha inteso riconoscere l’esenzione oltre che alle visite di luoghi, quali musei e gallerie espressamente indicati, anche a quelle manifestazioni della cultura le cui prestazioni siano equipollenti. Trattasi di una esenzione oggettiva che opera ogni qual volta vengono esposti in spazi appositamente predisposti, quadri, fotografie, stampe, statue, di autori di chiara fama, con scopo unicamente divulgativo prescindendo dal carattere permanente o meno della manifestazione o dal soggetto pubblico o privato che la realizza”. L’Agenzia delle Entrate – Direzione Centrale Normativa e Contenzioso, con la Risoluzione n. 85/E del 15 giugno 2004, ha ribadito che “possano ricondursi tra le operazioni esenti ai fini IVA di cui all’art. 10, primo comma, n. 22), del DPR n. 633 citato, le mostre a carattere culturale e sociale che presentino i seguenti requisiti: 1) esposizione in spazi appositi di quadri, fotografie o altri beni di rilevante utilità sociale e culturale, oggetto di visita da parte del pubblico; 2) scopo divulgativo e quindi di promozione della conoscenza (storica, artistica ecc.); 3) assenza di scopi speculativi o commerciali anche indiretti”. L’indirizzo testé enunciato è stato ripetuto dalla stessa amministrazione finanziaria nella Risoluzione n. 30/E del 28 febbraio 2007, avente ad oggetto le osservazioni sugli adempimenti formali connessi agli ingressi di mostre e musei, e nella Risoluzione n. 149/E del 3 luglio 2007, attinente ai servizi accessori alle prestazioni museali. Da ultimo, l’Agenzia delle Entrate – Divisione Contribuenti – Direzione Centrale Piccole e medie imprese, mediante la Risposta n. 1 del 3 gennaio 2022, ha chiarito che l’esenzione Iva di cui all’art. 10, comma 1, punto 22, d.p.r. 633/1972 è estesa e ricomprende anche gli accessi ai tour virtuali di musei e mostre, purché “il servizio è reso utilizzando lo strumento elettronico unicamente come mezzo di comunicazione tra fornitore e cliente” (sulla volontà del legislatore di rinunciare alla pretesa tributaria in materia di prestazione aventi ad oggetto l’arte e la sua divulgazione, si veda Giorgi, La fiscalità della cultura: il paesaggio dimenticato ed il ruolo della sussidiarietà. Spunti per un cambio di prospettiva, in Riv. trim. dir. trib., 2016, p. 841; Costanzo, Incentivazione fiscale e promozione della produzione artistica, in Riv. trim. dir. trib., 2022, p. 319).  
  3. Il quadro giurisprudenziale della Corte di giustizia dell’Unione europea e della Corte di cassazione, in tema di esenzione Iva delle prestazioni connesse alle visite dei musei e delle mostre, non appare foriero di pregnanti illustrazioni. Difatti, in via del tutto generale, i supremi collegi giudicanti europeo e italiano sono intervenuti sull’esenzione Iva in parola per osservare più l’uniformità del trattamento fiscale delle prestazioni accessorie a quella principale (servizi accessori resi agli utenti che hanno già acquistato il biglietto d’ingresso alle mostre e ai musei), che l’analisi dei requisiti oggetti e soggettivi indicati dalle leggi unionale o nazionale. A titolo meramente esemplificativo, con riguardo alla giurisprudenza europea, si vedano le sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea, 9 settembre 2021, causa C-406/20, Phantasialand c. Finanzamt Bruhl; Corte di giustizia dell’Unione europea, 5 settembre 2019, causa C-145/18, Regards Photographiques SARL c. Ministre de l’Action et des Comptes publics; Corte di giustizia dell’Unione europea, 18 gennaio 2018, causa C-463/16, Stadion Amsterdam CV c. Staatssecretaris van Financien. Invece, con riguardo alla giurisprudenza italiana, si vedano le pronunce di Corte di cassazione, ord., 23 marzo 2023, n. 5575; Corte di cassazione, sent., 1° settembre 2022, n. 25796. In tutte, i diversi collegi giudicanti nulla hanno precisato in ordine agli elementi attinenti ai profili soggettivi e oggettivi dell’esenzione Iva per mostre e musei (la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea intervenuta sulle agevolazioni fiscali riconosciute a favore di imprese operanti in settori di cosidetto interesse pubblico, fra i quali vi rientrano anche quelle attive nella promosione dell’arte, ha spesso delineato il perimetro su cosa è e non è aiuto di Stato incompatibile col diritto dell’Unione. Sul punto, cfr. Del Federico, Agevolazioni fiscali ed aiuti di Stato, tra principi costituzionali ed ordinamento comunitario, in Riv. dir. trib. int., 2006, p. 19; Pistolesi, Il ruolo delle agevolazioni fiscali nella gestione dei beni culturali in tempi di crisi, in Riv. dir. trib., 2014, I, p. 1224. Per una ricostruzione programmatica, si veda Quattrocchi, Gli aiuti di Stato nel diritto tributario, Milano, 2020, p. 53).  
  4. Sotto il profilo pratico, oggi si assiste al fenomeno secondo il quale i visitatori che accedono nei locali museali sono liberi di scattare foto alle opere esposte e di farle gravitare all’interno dei profili social del singolo visitatore, senza alcuna possibile restrizione da parte della società espositrice (ci si riferisce a Facebook, Instagram, TikTok, YouTube, SnapChat, Twitter, Quora, Pinterest e simili). Come noto, ogni singola immagine fotografica “postata” sulla piattaforma social del visitatore potrebbe venire condivisa, cioè “ri-postata”, da altri soggetti collegati all’utente originario, che ha già visitato lo spazio espositivo. Sicché, la non controllabile divulgazione “social” delle opere artistiche del mueso o della mostra, eseguita – come detto – dai visitatori tramite i propri profili di “social network”, rappresenta una involontaria promozione dell’evento espositivo, idonea ad attrarre ulteriori e maggiori visitatori. Detto in altri termini, l’anzidetta diffusione “virale” delle immagini, che raffigurano le opere artistiche, potrebbe generare un beneficio per la società espositrice, consistente nell’aumento del numero dei visitatori, i quali nutrono l’esigenza di visitare l’evento espositivo al fine di eguagliare l’esperienza artistica già goduta dai precedenti visitatori e da questi “raccontata” e “divulgata” sui propri profili social. A titolo d’esempio, si ricorda come nel luglio del 2020, in piena pandemia da Covid-19, tutti i quotidiani nazionali si sono occupati del c.d. “effetto Chiara Ferragni agli Uffizzi di Firenze” e del conseguente boom di giovani visitatori (cfr. Montalcini, Piattaforme Digitali, Social Network e Fisco: Evoluzione o Rivoluzione?, in Aa.Vv. (a cura di), Diritto tributario telematico, Torino, 2021, p. 66. Con riguardo agli effetti economici sulla domanda di consumo causata dalla viralità social dei bisogni, si veda Carrubbo-Mendola, Le scelte “inconsapevoli” nelle nuove dinamiche d’acquisto. Il Neuromarketing e la tutela del consumatore-follower, Milano, 2022, p. 52). 
  5. Il beneficio che la società museale eventualmente potrebbe ritrarre dalla “viralità” delle immagini divulgate tramite i social dei visitatori assumerebbe le seguenti caratteristiche: (i) “beneficio gratuito” = la società museale non sostiene alcun costo, né diretto e nemmeno indiretto, affinché i propri visitatori avviino l’iter divulgativo delle immagini presso i propri profili social. Per cui, il beneficio da questa eventualmente ritratto non è correlato ad alcun elemento negativo di reddito sopportato; (ii) “beneficio casuale” = la società museale è accidentalmente e non volutamente beneficiaria della diffusione informativa delle proprie opere artistiche, nel senso che – tecnicamente – l’ente non è messo nelle condizioni di impedire e nemmeno arginare la pubblicazione delle immagini delle proprie realizzazioni nei “post” e nei “ri-post” dei social personali dei visitatori; (iii) “beneficio inevitabile” = con esclusione di alcuni specifi spazi espositivi che prevedono nelle condizioni generali di accesso l’impossibilità a ritrarre immagini dei beni esposti,  in generale il museo o la mostra non può impedire ai propri visitatori l’utilizzo del cellulare o di altri dispositivi mobili di comunicazione. Ciò equivarrebbe ad escludere dal bacino di potenziali utenti delle mostre tutti quei soggetti che visitano le opere e le realizzazioni proprio per fotografare e divulgare la propria esperienza artistica tramite social. Basti immaginare la fascia dei c.d. “teenagers”, i quali sono intenti ad eguagliare, tramite proprie foto social, le esperienze già godute dai fashion-blogger di riferimento e dagli influencer di successo. Dunque, impedire a costoro di fotografare le realizzazioni artistiche, ammesso che sia tecnicamente possibile, significa troncare in radice il loro interesse a visitare l’esposizione. In definitiva, in raffronto agli ordinari modelli di business delle mostre e dei musei, non è oggettivamente agevole comprendere se l’avvento della viralità delle immagini nel modello di funzionamento aziendale di musei e mostre può essere definito un “beneficio commerciale indiretto” (con riguardo al patrimonio museale e al relativo avvento della fiscalità di vantaggio, seppur osservata con esclusivo rifeirmento al c.d. Art Bonus, si osservi Dorigo, Il finanziamento dei musei e il ruolo del privato-sociale prima e dopo la pandemia, in Rass. trib., 2021, p. 362). 
  6. Mettendo in relazione il quadro normativo nazionale e la prassi resa dall’amministrazione finanziaria è possibile affermare che ai sensi dell’art. 10, comma 1, punto 22, d.p.r. 633/1972, “Sono esenti dall’imposta (…) le prestazioni (…) inerenti alla visita di musei e simili [mostre]” e in forza della Risoluzione n. 85/E del 15 giugno 2004, “possano ricondursi tra le operazioni esenti ai fini IVA (…), le mostre (…) che presentino i seguenti requisiti: (…) 3) assenza di scopi speculativi o commerciali anche indiretti”. La predetta locuzione “assenza di scopi speculativi o commerciali anche indiretti” espone il punto 22 dell’art. 10 del Decreto Iva ad obiettive condizioni di incertezza applicativa. Difatti: (i) l’insussistenza dello scopo speculativo o commerciale, neppure indiretto, riguarda l’attività espositiva nell’esclusivo senso di impedire che i “beni” (opere artistiche in generale) siano promozionati nell’ambito di una prestazione esentata ai fini Iva e poi, tramite essa, essere venduti ai visitatori interessati? In questo primo caso, il beneficio (speculativo e commerciale) attiene al “bene” in sé oggetto di esposizione; (ii) oppure l’assenza di alcun risvolto speculativo o commerciale delle esposizioni artistiche e culturali deve esclusivamente rintracciarsi nell’impossibilità dell’espositore di ritrarre maggiori introiti, nel senso di maggiori corrispettivi conseguiti dalla vendita di biglietti d’ingresso, da qualsiasi promozione, da chiunque eseguita, dell’evento espositivo? In questo secondo caso, il beneficio (speculativo e commerciale) non attiene al “bene” esposto, ma alla redditività aziendale dell’esposizione (come rilevato da Montanari, op. cit., p. 24, le esenzione Iva, seppur derogatorie del principio di imponibilità delle operazioni economiche, sono un istituto tributario autonomo, nel esenso che esse si inseriscono nel sistema comune del tributo come un regime ordinario di taluni settori specifici, quali – ad esempio – l’arte e la divulgazione del messaggio artistico connesso alle attività museali). 
  7. Sicché, se venisse privilegiata la prima ipotesi di beneficio, l’involontaria divulgazione via social delle immagini che ritraggono le opere artistiche e il conseguente incremento del numero dei visitatori non sarebbe qualificabile come “scopo speculativo indiretto” o “scopo commerciale indiretto” abbinato all’esposizione culturale. Difatti, pur aumentando l’afflusso dei visitatori, per attività promozionali rese da altri (via social), non vi sarà mai alcuna vendita delle opere artistiche esposte. Esse – per definizione – non verranno mai cedute ad eventuali visitatori interessati, altrimenti si parlerebbe di galleria d’arte e non di museo o mostra. All’opposto, se venisse privilegiata la seconda ipotesi, l’incontrollabile divulgazione social delle fotografie delle realizzazioni artistiche e l’annesso incremento degli ingressi presso lo spazio espositivo sarebbe qualificabile un indiretto beneficio speculativo e commerciale, atteso che all’incremento degli ingressi aumentano corrispondentemente anche i corrispettivi incamerati dall’espositore (già Fedele, Esclusioni ed esenzioni nella disciplina dell’Iva, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1972, p. 146, aveva precisato che l’applicazione dell’esenzione Iva è direttamente connessa all’individuazione del beneficiario del regime agevolativo e non all’operazione economica eseguita. Questi – per non essere gravato dall’Iva totalmente o parzialmente – deve esprime una particolare capacità contributiva “rilevante”, che il legislatore decide di non sottoporre a sacrificio fiscale). 
  8. La linea di demarcazione tra l’ordinaria applicazione e la particolare esenzione dell’Iva alle prestazioni attinenti all’attività di musei e mostre si rinvenga nella tutela del valore sociale che è l’arte. Il soggetto che deve essere agevolato è colui che gode del servizio espositivo, quindi il visitatore del museo o della mostra. Per tale ragione, la cessione dei ticket d’ingresso non sono gravati dal tributo e tutta l’Iva che la società d’arte ha versato a monte ai propri fornitori dovrà da questa essere sopportata, senza alcuna possibilità di traslare l’onere al fruitore del servizio museale. Dunque, se le prestazioni poste in essere dall’espositore sono volte alla promozione e alla divulgazione del messaggio artistico, allora tale attività rientra nel campo esentativo del tributo, in quanto “bene” o “principio” favorito e agevolato dal legislatore. Invece, se le prestazioni connesse alla gestione espositiva presentano come scopo ultimo la promozione dell’opera ai fini di una sua potenziale cessione a titolo oneroso a favore di terzi, allora – in questo caso – tale ultima attività, non essendo prettamente artistica, ma esclusivamente commerciale - promozionale, sarà sottoposta al sacrificio Iva. Ciò posto, limitatamente al caso d’indagine, la non controllabile azione dei visitatori di fotografare le opere artistiche esposte e di divulgarle mediante i propri social network, suscitando in altri soggetti il conseguente interesse a visitare lo spazio artistico, rimane un’attività perimetrata all’interno dello scopo divulgativo dell’arte, dunque esente ai fini dell’imposta sul valore aggiunto. Precisamente, l’incremento degli ingressi presso lo spazio espositivo della società, conseguente all’anzidetta divulgazione virale delle immagini tramite i social, non farebbe mai sfociare l’iniziativa artistica della società museale nell’ambito di alcuna speculazione commerciale di cessione a terzi di opere d’arte, sacrificabile al tributo sui consumi. Anzi, l’attrazione di nuovi visitatori, captati mediante la predetta viralità delle immagini sui social, raggiungono lo scopo legislativo di promozione dell’arte verso più fruitori possibili (come ha osservato Fantozzi, Operazioni imponibili, non imponibili ed esenti nel procedimento di applicazione dell’Iva, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1972, I, p. 138, la promozione di specifici settori, mediante il riconoscimento legale dell’esenzione tributaria, non è agganciato a principi promozionali scelti per volontà politica, ma a valori che sono propriamente tutelati dalla Carta costituzionale degli ordinamenti e dai Trattati europei).   
  9. Già il Ministero delle Finanze – Dipartimento Tasse e Imposte Indirette sugli Affari, con la Risoluzione n. 395008 del 2 maggio 1985, aveva puntualmente affermato che “il comportamento del visitatore […anche quando fotografa e posta immagini sui social…] non ha nessuna influenza per escludere dall’esenzione dell’IVA le prestazioni rese dalle mostre. Rilevante è, invece, il fatto che le mostre al pari dei musei, gallerie ecc… debbano avere sempre e solo carattere culturale”. Per tale ragione la divulgazione social fatta dai visitatori di muesi e mostre è si un beneficio “gratuito”, “casuale” e “inevitabile” per la società museale, ma non idoneo a pregiudicare la finalità di promozione artistica delle proprie realizzazioni. Da ciò ne consegue che i diritti d’ingresso ceduti a titolo oneroso dalle società artistico-museali ai visitatori, a prescindere che siano “social use”, dovrebbero essere esenti dall’Iva ai sensi dell’art. 10, comma 1, punto 22, d.p.r. 633/1972 (come rileva Montanari, op. cit., p. 50, se da una parte l’esenzione Iva è un autonomo regime del tributo connesso al soggetto che si vuole beneficiare, dall’altra – tecnicamente – l’esenzione coinvolge il negozio giuridico che intercorre tra il prestatore-cedente e il beneficiato. Si rinvia altresì alle conclusioni rese dall’Avvocato generale il 22 febbraio 2005, causa C-498/03).