Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

25/07/2023 - Ravvedimento operoso e condotte fraudolente

argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza

La Cassazione sposa l’unica soluzione possibile coerente con il quadro normativo sanzionatorio tributario e penale, superando il dato letterale e una risalente prassi amministrativa, ormai abbandonata dalla stessa Agenzia. Ciononostante emergono le sempre maggiori criticità di un istituto ormai lontano dalla logica della trasparenza e della lealtà ipotizzata dal Legislatore e sempre più vicino alle fattispecie condonistiche.

» visualizza: il documento (Corte di Cass., ord. 17 novembre 2022, n. 33974) scarica file

PAROLE CHIAVE: ravvedimento operoso - frodi - causa di non punibilitā - tax compliance


di Silvia Giorgi

  1. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 33974 del 17 novembre 2022 supera definitivamente i limiti derivanti da un’interpretazione letterale della disciplina del ravvedimento operoso di cui all’art. 13 del D. Lgs. n. 472/1997, accedendo ad un’interpretazione sistematica e “dialogante” con il parallelo sistema sanzionatorio penale di cui all’art. 13 del D. Lgs. n. 74/2000, anche per i periodi di imposta antecedenti alle modifiche normative cha hanno coinvolto tale ultima disposizione.

Seppur con una motivazione stringata e non particolarmente propensa a soffermarsi sui profili ricostruttivi e sull’antico dibattito tra sostenitori (prevalentemente dottrina, ex multis, VIOTTO, Art. 13 Ravvedimento, in AA.VV., Commentario alle disposizioni generali sulle sanzioni amministrative in materia tributaria, a cura di Moschetti- Tosi, Padova, 2000, p. 446; DEL FEDERICO, Introduzione alla riforma delle sanzioni amministrative tributarie: i principi sostanziali del d. Lgs. n. 472/1997 in Riv, dir. Trib. 1999, I, 155) e detrattori (chiaramente la prassi amministrativa, sin dalla Circ. Min. n. 180/E del 1998) della compatibilità tra ravvedimento e condotte fraudolente, la Corte afferma il principio di diritto per cui “… in materia di imposte sui redditi, il contribuente può accedere allo strumento del ravvedimento operoso anche per regolarizzare le violazioni fiscali connesse a condotte fraudolente … in considerazione della volontà del legislatore … di incentivare progressivamente il ricorso al ravvedimento operoso ai fini degli effetti penali, senza alcuna distinzione circa la tipologia di reato tributario contestato”.

La pronuncia non si inserisce in un garantismo della Suprema Corte del tutto inaspettato, essendo anticipato da un revirement della stessa Agenzia delle Entrate (cfr. Agenzia delle Entrate, Circolare, n. 11/E del 12 maggio 2022) e si allinea ad un filone maggiormente consolidato sul versante penalistico.

L’interesse si appunta sul palese superamento dell’interpretazione letterale dell’art. 13 D. Lgs. n. 472/1997 ed induce a ripercorrere brevemente il dibattito in tema per tratteggiare le prospettive del “nuovo” ravvedimento, sul crinale tra gli strumenti di tax compliance ed il coacervo delle sanatorie fiscali.

 

  1. La decisione della Corte offre lo spunto per ripercorrere brevemente la metamorfosi del ravvedimento operoso, ormai risalente alla novella di cui alla legge di Stabilità 2015, ma non ancora del tutto metabolizzata dal sistema punitivo.

L’istituto, quanto meno nella versione originaria, era concepito con una ratio replicativa dell’omologo penale, con una pluralità di fondamenti concorrenti. In primo luogo, sulla   teoria del c.d. ponte d’oro: l’ordinamento, per prevenire l’offesa ai beni giuridici protetti dal sistema sanzionatorio, confiderebbe nella promessa di riduzione della pena come controspinta psicologica rispetto alla spinta della violazione (per quanto si tratti di una teoria criticata anche in sede penale, non è tutt’ora abbandonata, FIANDACA MUSCO, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2019, 437). Al contempo, una ragione giustificatrice risiede nella stessa funzione del sistema sanzionatorio, sia sul piano della prevenzione generale sia su quello della prevenzione speciale. L’ente impositore rinuncia, così, all’esercizio del potere sanzionatorio, qualora il trasgressore regolarizzi la propria posizione, eliminando le conseguenze dannose dell’illecito.

Alle tradizionali funzioni del ravvedimento comuni alla matrice penale si aggiunge, in ambito tributario, l’interesse erariale ad addivenire ad un celere recupero del tributo dovuto, con i relativi interessi, e alla eliminazione di situazioni potenzialmente pericolose per l’erario, risparmiando energie e costi amministrativi. La riduzione sanzionatoria si giustifica, così, anche nell’ottica dell’efficienza complessiva dell’azione amministrativa (VIOTTO, Art. 13 Ravvedimento, cit., 409).

Nell’impianto originario era, quindi, fondamentale la spontaneità e il limite temporale entro cui risultava possibile sanare ex post, ossia entro il termine di presentazione della dichiarazione successiva rispetto a quella in cui era stata commessa la violazione.

È noto che la legge di Stabilità 2015 (L. n. 194/29014) ha profondamente ridisegnato i tratti distintivi del ravvedimento: ora i contribuenti possono accedervi per tutti i periodi di imposta accertabili, anche a prescindere dall’eventuale inizio di accessi, ispezioni e verifiche o altre attività prodromiche da parte dell’Amministrazione finanziaria. Cosicché l’unica condizione ostativa è rappresentata dagli atti di liquidazione e di accertamento, ivi comprese le comunicazioni ex artt. 36 bis e 36 ter D.P.R. n. 600/1973. La possibilità di ravvedimento anche oltre la notifica del processo verbale di constatazione, permette di valutare ai fini premiali anche le risultanze di tale verbale sanando alcuni specifici rilievi.

È, quindi, del tutto irrilevante la spontaneità della regolarizzazione: l’abbattimento sanzionatorio premia il trasgressore che, anche scoperto, rimedi all’originaria violazione, favorendo la tax compliance postuma (MELIS, Tax compliance e sanzione tributaria, in Rass. Trib., 2017, 749). La novella costituisce, così, un forte indicatore della volontà legislativa di abbandonare lo schema del controllo tradizionale e di adottare un nuovo modello di attuazione del prelievo nel quale il contribuente adempie ai propri obblighi, mentre l’amministrazione finanziaria rinuncia, in concreto, all'esercizio della funzione di controllo. La ragione risiederebbe sempre nell’efficienza dell’Amministrazione, là dove le risorse che si sono liberate possono essere impiegate per un più efficace contrasto a forme più complesse e strutturate di evasione fiscale (CONTE, Il gene mutante del ravvedimento operoso ed i suoi effetti sul nuovo modello di attuazione del prelievo, in Riv. dir. trib., 2015, 5, 442; PIZZONIA, Il ravvedimento 2.0, tra deflazione del contenzioso, fiscalità negoziata e cripto-condonismo. Prime note, in Riv. Fir. Fin. Sc. Fin. 2015, 1, 72), concentrando le risorse sui contribuenti meno collaborativi e trasparenti.

Seppur circoscritta all’istituto del ravvedimento alla contestuale revisione di alcuni istituti deflattivi del contenzioso, la novella ha quindi  completamente ridisegnato anche la funzione del sistema sanzionatorio, sempre meno incentrato sulla logica della repressione e sempre più spostato su quella della prevenzione, là dove non rileva se la regolarizzazione del contribuente sia frutto di resipiscenza o meno, ma solo che si ponga fine celermente allo stato di violazione in modo volontario ancorché non spontaneo (MELIS, Tax compliance e sanzioni tributarie, in Rass. trib., 2017, 3, 758). Abbandonato lo schema tradizionale dello scontro frontale tra controllante e controllato, il Legislatore ha, quindi, virato verso il bilanciamento tra la possibilità di verifica, accordata al contribuente, circa le informazioni in possesso del Fisco e l’utilizzo del ravvedimento al riparo dalle precedenti più stringenti condizioni ostative. Con l’obiettivo di realizzare una nuova forma di persuasione alla fedeltà fiscale, attraverso un Fisco più capace di ricomporre il contrasto tra individuo e collettività in modo equilibrato (CORDEIRO GUERRA, La riforma del ravvedimento operoso: dal controllo repressivo alla promozione della “compliance”?, in Corr. Trib., 2015, 5, 325). O, se si vuole, accedendo ad un’altra lettura, un “Fisco amico” che, trascurando anche la funzione rieducativa della pena, incoraggia a perpetua lo stato di illegalità mascherando una ratio permanentemente condonistica. Noto, infatti, che la possibilità di essere scoperto è inversamente proporzionale al passaggio del tempo, si finisce per scoraggiare la rivelazione spontanea, a fronte della maggiore improbabilità che l’Amministrazione sia in grado di verificare, confidando, altresì nella possibilità di beneficiare dell’abbattimento sanzionatorio anche in caso di constatazione della violazione (GIOVANNINI, Il nuovo ravvedimento operoso: il “Fisco amico” e il “condono permanente”, in Il Fisco, 2015, 4, 315).

 

  1. Alla luce di tale breve digressione sulla ridisegnata funzione dell’istituto, la pronuncia della Corte è certamente di interesse applicativo, ma si presta anche ad alcune riflessioni sull’efficacia del sistema sanzionatorio e sulle interrelazioni con il versante penale.

Nella stringata parte motivazionale è valorizzata, in primo luogo, la coerenza del diritto punitivo tributario nel suo complesso: l’art. 13, comma 2°, del D.Lgs. n. 74/2000 menziona espressamente, tra le cause di non punibilità, l’estinzione del debito tributario mediante ravvedimento anche con riferimento alle fattispecie delittuose di cui agli artt. 2 e 3 del medesimo Decreto, rispettivamente dedicate alla Dichiarazione fraudolenta mediante fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e alla Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici.

Vero è che la causa di non punibilità è circoscritta all’ipotesi in cui il ravvedimento sia intervenuto prima che l’autore abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimento penale. Pertanto, il “doppio beneficio sanzionatorio” – riduzione in sede amministrativa e non punibilità in quella penale – richiede ancora l’effettiva resipiscenza del contribuente e, dunque, una regolarizzazione non solo volontaria ma anche genuinamente spontanea.

La sintesi è, dunque, la seguente:

  1. Per le violazioni tributarie integranti le condotte di cui ai delitti ex artt. 10 bis, ter e quater (fattispecie di omesso versamento e indebita compensazione non connotate da frode) del D. Lgs. 74/2000 il ravvedimento operoso è possibile ed i reati non sono punibili se i debiti tributari vengono estinti, anche mediante ravvedimento avvenuto in seguito ad accessi, ispezioni e verifiche, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento;
  2. Per le violazioni tributarie integranti le condotte di cui ai delitti ex artt. 2, 3, 4 e 5 (reati dichiarativi) del D. Lgs. 74/2000 – e, dunque, anche per fattispecie di natura fraudolenta – il ravvedimento operoso è possibile ma ai fini penali la non punibilità presuppone la spontaneità del ravvedimento. Eventuali accessi, ispezioni o verifiche, pur non precludendo il beneficio in sede amministrativa, non implicano la non punibilità penale, ma la mera attenuante di cui all’art. 13 bis del medesimo D. Lgs. 74/2000 in caso di estinzione del debito tributario.

Ai fini penali, pertanto, la conoscenza di accessi, ispezioni e verifiche preclude la non punibilità in caso di ravvedimento ma non l’attenuante, a prescindere dal fatto che il reato dichiarativo sia connotato da frode. La cesura, in sede penale, rimane tra reati dichiarativi e da omesso versamento, là dove soltanto per i primi - ed a prescindere dalla natura fraudolenta della condotta – la formale conoscenza di accessi ispezioni e verifiche è ostativa alla non punibilità, lasciando spazio, invece, all’attenuante di cui all’art. 13 bis.

La parte più innovativa della pronuncia, la cui soluzione, come anticipato, è sostanzialmente obbligata alla luce del mutato assetto penale sta nel riconoscere l’applicabilità del ravvedimento alle condotte fraudolente anche per i periodi di imposta antecedenti alle modifiche introdotte dall’art. 39 comma 1 lettera q-bis) del D.L. 26 ottobre 2019, n. 124 alla causa di non punibilità penale di cui all’art. 13.

 

  1. Chiarito l’attuale quadro dei benefici amministrativi e penali derivanti dal ravvedimento anche in caso di condotte fraudolente, rimane ora da valutare l’impatto della pronuncia sul sistema punitivo e sulla stessa funzione della sanzione e dell’istituto.

Prima della novella, infatti, si argomentava la possibilità di ravvedimento anche per le violazioni integranti frodi fiscali anche in ragione del maggior vantaggio di cui si gioverebbe l’ente impositore nella regolarizzazione spontanea di un comportamento antigiuridico particolarmente pericoloso o lesivo rispetto al bene giuridico. Oltre alla circostanza per cui il ravvedimento di un soggetto potrebbe costituire fonte di innesco per individuare ulteriori violazioni ovvero ulteriori autori (VIOTTO, Art. 13 Ravvedimento, cit., 445).

Chiaramente, mentre la prima osservazione rimane certamente valida anche nel mutato quadro normativo, la seconda è affievolita nel caso in cui il “pentimento” sia indotto e segua, quindi, ad un’attività istruttoria già avviata in cui verosimilmente la stessa Amministrazione è già in grado di individuare eventuali concorrenti.

Oltre a ciò, l’istituto, ormai snaturato, soffre ancor più la perdita delle sue funzioni tradizionali, a fronte di fattispecie marchiate da peculiare offensività. È noto, infatti, che la novella ha depotenziato tanto la ratio di favorire il “pentimento” del contribuente prima della constatazione della violazione, quanto l’indiretto interesse all’efficienza dell’azione amministrativa. Sotto tale profilo, infatti, non è del tutto preservato il “risparmio” di energie e costi amministrativi prima derivanti dal ripristino della legalità violata in assenza di qualsivoglia attività istruttoria da parte dell’Amministrazione finanziaria. 

Il ravvedimento tributario si è, quindi, da un lato, progressivamente allontanato dall’originaria matrice penalistica e dall’omologo istituto penale. Dall’altro, è venuto meno il “doppio vantaggio” per il sistema complessivo: il primo, per il reo e la coerenza del sistema sanzionatorio, derivante dalla spontanea e celere rimozione della violazione finalizzata ad evitare che l’eventuale avvio di un’attività istruttoria precludesse l’applicazione dell’istituto; il secondo consistente nell’impulso, sul versante amministrativo, ad un altrettanto celere ed efficace attività istruttoria, al contempo deterrente alla perpetuazione dello status di illegalità e strumento di “massimizzazione” del gettito, in virtù dell’irrogazione della sanzione in misura (tendenzialmente) integrale.

Con riferimento alle violazioni derivanti da condotte fraudolente, soprattutto laddove la regolarizzazione sia indotta dall’avvio di attività istruttorie, appare plasticamente la vocazione condonistica dell’istituto, incapace di fungere da deterrente e strumento di risparmio di energie amministrative, e divenuto mero baluardo di una premialità di “obbedienza-acquiescenza” più che di spontanea “resipiscenza”. Collocandosi oramai tra gli istituti deflattivi del contenzioso, il risparmio di energie amministrative si esaurisce a quello di confezionamento dell’atto impositivo e dell’eventuale successivo contenzioso, anticipando l’acquiescenza e beneficiando, così, rispetto a quest’ultima di un maggior effetto premiale.

Alla luce di ciò, la sentenza in commento rende evidente la distanza tra i proclamati obiettivi legislativi della novella (cfr. Relazione illustrativa la Disegni di legge di stabilità 2015 A.C. 2679 del 23 ottobre 2014 secondo cui il nuovo approccio di controllo consentirebbe di concentrare le risorse cui contribuenti che “abbiano strutturato sistemi complessi e ben architettati di evasione e di forse o, comunque, ritenuti maggiormente a rischio”) e il nuovo volto del ravvedimento e dei controlli nel quadro della tax compliance in un momento in cui – pur nel moltiplicarsi degli istituti di compliance preventiva – rimane forte la convenienza di una compliance ex post. Obliterata del tutto la funzione general preventiva della sanzione, infatti, la collaborazione volontaria ma non necessariamente spontanea è particolarmente congeniale alle architetture fiscali più fraudolente e spregiudicate, in cui è più verosimile che il trasgressore agisca a tutti gli effetti quale homo oeconomicus, ponderando: la probabilità dell’attività istruttoria, le variegate possibilità-paracadute fornite dalle forme di sanatoria fiscale (ravvedimento e ulteriori fattispecie condonistiche contingenti), e la massimizzazione del risparmio fiscale, là dove l’irrogazione della sanzione “piena” finisce per assumere un ruolo sempre più defilato e trascurabile.

 

  1. In conclusione, la pronuncia in commento sposa l’unica soluzione possibile coerente con il quadro normativo sanzionatorio tributario e penale, superando il (facilmente superabile per la verità) dato letterale e una risalente prassi amministrativa, ormai abbandonata dalla stessa Agenzia (cfr. Agenzia delle Entrate, Circolare, n. 11/E del 12 maggio 2022).

Ciononostante rende evidente le sempre maggiori criticità di un istituto “ponte” tra la riedizione dei rapporti fisco- contribuente in chiave collaborativa (c.d. tax compliance ex ante) e la prospettiva contenziosa, quest’ultima radicalizzata ad extrema ratio del contribuente pervicacemente convinto della propria condotta (spesso derivante da mere opzioni interpretative) o di strumento dilatorio per il reo più spregiudicato.

Il rischio è che proprio nei casi in cui maggiore è la propensione del trasgressore a valutare l’impatto rischi-costi-benefici della violazione, come nel caso delle frodi, minore è la tenuta degli obiettivi legislativi di ridisegnare i rapporti fisco- contribuente nel segno della trasparenza e della lealtà (cfr. Relazione illustrativa, cit.).

Due ultime considerazioni. La prima è che il recupero di lealtà del contribuente potrebbe, in chiave prospettica, passare più facilmente dalla “metamorfosi” dei controlli, più che dalla “metamorfosi” del ravvedimento e del complessivo apparato sanzionatorio. In sostanza, sarà la digitalizzazione dei controlli e il sempre più incisivo e rapido scambio di informazioni tra amministrazioni a favorire l’auspicato approccio di trasparenza e lealtà con il Fisco, piuttosto che un ravvedimento sempre più proiettato verso il magmatico universo delle sanatorie.

La seconda è che, forse, ad oggi, l’unica vera funzione dell’istituto a fronte di condotte fraudolente o, comunque, penalmente rilevanti è quella di tamponare, con alleggerimenti sanzionatori a tutto tondo, un sistema punitivo in cui ancora forte è il rischio di violazione del ne bis in idem.