argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza
La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 30011/2022, torna a pronunciarsi sulla intrasmissibilità delle sanzioni tributarie in capo agli ex-soci della società di capitali estinta, confermando il principio di diritto secondo cui “a seguito dell’estinzione della società, le sanzioni amministrative a carico di quest’ultima per la violazione di norme tributarie non sono trasmissibili ai soci ed al liquidatore, trovando applicazione il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 8, che sancisce l'intrasmissibilità delle stesse agli eredi, in armonia con il principio della responsabilità personale, codificato dall’art. 2, comma 2, del detto decreto, nonché, in materia societaria, con il D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 7, comma 1, convertito con modificazioni in L. n. 326 del 2003”. Si rilevano, con il presente commento, talune criticità delle premesse argomentative della Corte fondate sulla ferma applicazione del principio personalistico alle persone giuridiche, nonché la possibile strumentalizzazione del principio di diritto affermato per sottrarsi alle pretese sanzionatorie.
» visualizza: il documento (Corte di Cass., ord. 13 ottobre 2022, n. 30011)PAROLE CHIAVE: sanzioni tributarie - intrasmissibilità - ex socio - società estinta
di Mariagiulia Trapanese
La Suprema Corte, con la pronuncia in commento, si pone nel solco di un orientamento ormai consolidato sulla intrasmissibilità delle sanzioni tributarie in capo agli ex-soci della società di capitali estinta, confermando il principio di diritto affermato per la prima volta, con una fugace motivazione, dall’ordinanza del 7 aprile 2017, n. 9094 (GUIDARA, L’intrasmissibilità delle sanzioni agli eredi e la sua riferibilità alle estinzioni delle società, in Riv. dir. trib., II, 2017, pag. 339), poi richiamato da successiva giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ. 19 aprile 2018, n. 9672, Cass. civ. 20 ottobre 2021, n. 29112, con nota di GUIDARA, Società di capitali estinte: responsabilità automatica e “intra vires” dei soci, ma non per le sanzioni tributarie, in GT - Riv. giur. trib, 7/2019, pag. 616; MARZO, Note in tema di estinzione delle società con personalità giuridica e intrasmissibilità delle sanzioni tributarie, in Il Nuovo diritto delle società, 3/2022, pag. 503).
La controversia traeva origine dalla verifica condotta su di una società di capitali, di cui la società ricorrente era socia al 50%, nei cui confronti era stato accertato l’omesso versamento IVA ed erano state comminate le relative sanzioni; il conseguente avviso di accertamento veniva notificato alla società quando era stata già cancellata dal registro delle imprese, nonché ai due unici soci ed al liquidatore. La società ricorrente, per quanto di interesse ai fini del presente commento, impugnava la decisione del giudice di seconde cure che, oltre a riconoscere la responsabilità per l’imposta dovuta in qualità di ex-socio al 50%, imputava a quest’ultima anche le pretese sanzionatorie.
I giudici di legittimità, accogliendo il ricorso limitatamente a tale motivo, richiamano il principio di diritto secondo cui “a seguito dell’estinzione della società, le sanzioni amministrative a carico di quest’ultima per la violazione di norme tributarie non sono trasmissibili ai soci ed al liquidatore, trovando applicazione il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 8, che sancisce l'intrasmissibilità delle stesse agli eredi, in armonia con il principio della responsabilità personale, codificato dall'art. 2, comma 2, del detto decreto, nonché, in materia societaria, con il D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 7, comma 1, convertito con modificazioni in L. n. 326 del 2003, che ha introdotto la regola della riferibilità esclusiva alle persone giuridiche delle sanzioni amministrative tributarie (Cass., 7 aprile 2017, n. 9094), salvo ipotesi di corresponsabilità” (tra i primi commenti, cfr. RANDAZZO, Non è trasmissibile al socio la sanzione tributaria della società di capitali estinta - Il carattere afflittivo della sanzione tributaria della società di capitali esclude, in caso di estinzione, la sua trasmissione ai soci: le ragioni di condivisione dell’indirizzo della Cassazione, in GT - Riv. giur. trib, 1/2023, p. 28).
L’orientamento è stato confermato da una successiva pronuncia che aggiunge altresì la rilevabilità d’ufficio dell’eccezione sulla intrasmissibilità delle sanzioni agli eredi, ex-soci, affermando che “appare irrilevante che la questione in esame sia stata proposta dal contribuente per la prima volta in appello, considerato che quella della intrasmissibilità agli eredi delle sanzioni tributarie rappresenta una questione rilevabile d’ufficio dal giudice, poiché attiene alla fattispecie costitutiva del diritto dell’Erario di irrogare le stesse” (Cass. Civ. 22 novembre 2022, n. 34273, vd. RANDAZZO, Non è trasmissibile al socio la sanzione tributaria della società di capitali estinta, cit.).
In secondo luogo, si fondano sul rinnovato art. 2495 c.c., ad opera della riforma organica del diritto societario attuata dal D.Lgs. n. 6 del 2003, come poi interpretato dalla giurisprudenza di legittimità, che attribuisce alla cancellazione dal registro delle imprese efficacia costitutiva dell’estinzione della società, a cui segue un fenomeno “successorio”, a titolo universale, in capo ai soci. Il novellato art. 2495 c.c., difatti, dispone che “approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese”; al comma secondo, nel disciplinare i rapporti passivi pendenti, prevede che “ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi”.
La Suprema Corte, pertanto, applicando fermamente il principio personalistico alle società di capitali e ricostruendo il fenomeno estintivo in termini successori (vd. le recenti riflessioni di DEOTTO – LOVECCHIO, Responsabilità dei soci delle società di capitali al bivio tra fenomeno successorio e obbligazione personale, in il fisco, n. 29/2022, p. 2819), ha ritenuto applicabile analogicamente la previsione di cui all’art. 8 del detto decreto, che sancisce la intrasmissibilità delle sanzioni agli eredi.
Tale lacuna è stata colmata dalla giurisprudenza che, sin dalla citata pronuncia del 2017, ha operato un’interpretazione analogica dell’art. 8 ritenendolo applicabile anche all’ipotesi di estinzione della società (di capitali) a seguito della cancellazione della stessa dal registro delle imprese, muovendo dalla natura punitiva ed afflittiva della sanzione, fondata sul principio di responsabilità personale della violazione.
Una parte della dottrina ha condiviso tale posizione in quanto, facendo derivare dalla cancellazione della società un fenomeno successorio a titolo universale, secondo i principi di teoria generale in primis civilistici devono ritenersi trasferibili in capo agli eredi tutte le situazioni di carattere patrimoniale suscettibili di valutazione economica restando, invece, escluse dalla successione le situazioni giuridiche di carattere personale, tra cui devono essere ricomprese le sanzioni aventi natura afflittiva (GUIDARA, Società di capitali estinte: responsabilità automatica e “intra vires” dei soci, ma non per le sanzioni tributarie, cit.; BASILAVECCHIA, Modalità di accertamento della responsabilità del liquidatore, in Corr. trib., 3/2021, pag. 235).
Altra parte della dottrina ha ritenuto trasmissibili agli eredi, ex-soci, anche le sanzioni irrogate in capo alla società estinta relativizzando lo stesso principio personalistico applicato alle persone giuridiche (GIOVANNINI, Sulle sanzioni amministrative tributarie: uno sguardo sul futuro, in Dir. prat. trib., 1/2022, pag. 122; MARZO, Note in tema di estinzione delle società con personalità giuridica e intrasmissibilità delle sanzioni tributarie, cit., p. 513 ss.), nonché ricostruendo la responsabilità del socio sulla falsariga della “obbligazione di garanzia” (così, GIOVANNINI, ult. cit., secondo cui “l’obbligazione di garanzia, in diritto civile, vive fino a quando vive l’obbligazione alla quale accede, indipendentemente dalle vicende che possono interessare il soggetto cui questa si riferisce”).
Con la riforma del 2003 (art. 7 del D.L. n. 269/2003), poi, il Legislatore, anche influenzato dall’introduzione della nuova forma di responsabilità “amministrativa da reato” dell’ente ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001, ha inteso superare, soprattutto per le strutture imprenditoriali complesse, lo schema propriamente personalistico di imputazione delle sanzioni, preferendo concentrare le stesse in capo al “contribuente avvantaggiato” dell’illecito (in senso critico, GALLO, L’impresa e la responsabilità per le sanzioni amministrative tributarie, in Rass. trib., 2005, pag. 11; CORDEIRO GUERRA, Il principio di personalità, in GIOVANNINI (diretto da), Trattato di diritto sanzionatorio tributario, II, Milano, 2016, p. 1448).
Muovendo da tale premessa, non sembrerebbe corretto ragionare sulla base dell’applicazione “pura” del principio personalistico alla persona giuridica e, dunque, estendere alla stessa il diretto corollario della intrasmissibilità delle sanzioni agli eredi, che si riferisce precipuamente alle persone fisiche (GIOVANNINI, Sulle sanzioni amministrative tributarie: uno sguardo sul futuro, in Dir. prat. trib., 1/2022, pag. 122; MARZO, Note in tema di estinzione delle società con personalità giuridica e intrasmissibilità delle sanzioni tributarie, cit., p. 513 ss.). Occorrerebbe diversamente porre l’attenzione su colui che ha tratto vantaggio dall’illecito che, nel caso della persona giuridica, è il patrimonio sociale; ed è lo stesso patrimonio sociale – diretto beneficiario economico dell’illecito, ma di certo non autore dello stesso – che nel momento in cui la società viene messa in liquidazione, viene ripartito tra i soci sulla base del bilancio di liquidazione. Non sembrerebbe, pertanto, sovversivo dei principi che informano il sistema della responsabilità degli enti personificati prevedere la responsabilità dei soci di adempiere all’obbligazione di pagamento della sanzione pecuniaria irrogata con il medesimo patrimonio sociale, nei limiti di quanto ricevuto in virtù del bilancio di liquidazione.
Secondo un ragionamento speculare, far conseguire alla cancellazione della società la “generale impunità” rispetto all’illecito tributario commesso espone al concreto rischio di far dipendere dalla mera volontà dei soci la sottrazione alle conseguenze sanzionatorie tributarie.
Si rinvengono, in tal senso, spunti di riflessione in una recente pronuncia della Cassazione penale in tema di responsabilità dell’ente ai sensi del D.Lgs. 231/2001, secondo cui la cancellazione dal registro delle imprese della società non comporta l’estinzione dell’illecito alla stessa addebitato e la contestuale trasmissione della relativa responsabilità in capo ai soci (INGRAO, L’estinzione delle società di capitali e le imposte evase tra la riscossione coattiva sui soci, lo stimolo all’adempimento spontaneo e l’inesorabile perdita di gettito tributario, in Riv. trim. dir. trib., 3/2022, pag. 554). La stessa è di particolare rilievo in quanto, superando il principio di responsabilità personale dell’ente, che nel modello sanzionatorio di cui al D.Lgs. n. 231/2001 è ancor più definito rispetto al sistema sanzionatorio tributario, la Suprema Corte ha ritenuto trasmissibili ai soci le sanzioni irrogate in capo all’ente a seguito della sua estinzione (Cass. Pen. sez. IV, 22 febbraio 2022, n. 9006, con nota di BIANCHI, Reato degli enti collettivi - Processo penale all’ente “morto”: fictio iuris e vulnerazioni (sostanziali) dei principi, in Giurisprudenza Italiana, 7/22, p. 1712; ARDIZZONE, Cancellazione della società dal registro delle imprese e vicende modificative dell’ente: una inammissibile ipotesi di analogia in malam partem, in Riv. Trim. Dir. Pen. Ec., 3-4/2022, p. 675).
Ai fini argomentativi è opportuno, altresì, rinviare brevemente all’indirizzo interpretativo superato da tale pronuncia in materia penale (Cass. Pen. sez. II, 10 settembre 2019, n. 41082), in cui i giudici di legittimità sebbene avessero ritenuto non applicabile l’art. 2495 c.c. all’obbligazione per il pagamento della sanzione pecuniaria di cui al D.Lgs. n. 231/2001, hanno effettuato una differenziazione tra le ipotesi di cancellazione patologica e fraudolenta della società dalla “fisiologica estinzione” della stessa (nel caso di specie, a seguito della chiusura della procedura fallimentare).
Anche alla luce degli spunti di riflessione offerti dalle pronunce in tema di responsabilità amministrativa dell’ente derivante da reato, trovano supporto le rilevate criticità del principio di diritto affermato, se si tiene in considerazione la potenziale strumentalizzazione dello stesso. Si prenda ad esempio il caso in cui una società sia stata ripetutamente inadempiente agli obblighi tributari ed i soci decidano “volontariamente” di procedere allo scioglimento e messa in liquidazione della società ex art. 2484, n. 6, c.c., prima che l’atto impositivo e di contestazione delle sanzioni sia stato notificato alla stessa, come avvenuto nella controversa in esame. In tale fattispecie, le pretese tributarie e le relative sanzioni tributarie potranno essere accertate e contestate nei confronti della società di capitali estinta ai sensi dell’art. 28, comma IV, D.Lgs. n. 175/2014, ma, in virtù dell’orientamento giurisprudenziale esaminato, per le stesse non potrà rispondere nessuno, neppure lo stesso patrimonio sociale ripartito in sede di liquidazione.