argomento: Sanzioni e contenzioso - Legislazione e prassi
Il presente elaborato analizza i punti essenziali del D.L. 30 marzo 2023, n. 34, ed in particolare dell’art. 23 che, come noto, ha introdotto una causa speciale di non punibilità per le fattispecie previste dagli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, D.Lgs. 74/2000. Sussistono delle criticità, in merito al possibile aumento dei procedimenti penali e soprattutto dei giudizi di appello (e quindi in contrasto con gli obiettivi del PNRR) in quanto, a differenza della previsione di cui all’art. 13 D.Lgs. 74/2000, il termine ultimo entro il quale va effettuato il pagamento del debito tributario si colloca prima della pronuncia della sentenza di appello.
PAROLE CHIAVE: reati tributari - giudizio d - causa di non punibilità - debito tributario - PNRR
di Francesco Martin
Una recente modifica circa il rapporto tra illecito tributario e procedimento penale e avvenuto ad opera dell’art. 23 D.L. 30 marzo 2023, n. 34 che ha introdotto una causa speciale di non punibilità per le fattispecie previste dagli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, D.Lgs. 74/2000.
In relazione al rapporto tra la speciale causa di non punibilità e quella generale prevista dall’art. 13 D.Lgs. 74/2000, la prima non si sostituisce alla seconda, integrandosi in via definitiva al sistema penal-tributario disciplinato dal D.Lgs. 74/2000, ma opera – questa volta sì in sostituzione dell’art. 13 – per un lasso di tempo limitato coincidente con il termine tributario previsto dalla legge di bilancio per poter usufruire di una delle speciali procedure di conciliazione.
Orbene, partendo da un’analisi comparativa, entrambe le cause di non punibilità riguardano esattamente gli stessi reati tributari: l’omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis D.Lgs. n. 74/2000), l’omesso versamento dell’IVA (art. 10-ter D.Lgs. n. 74/2000), l’indebita compensazione (art. 10-quater, comma 1, D.Lgs. n. 74/2000).
Entrambe, inoltre, operano sul medesimo presupposto dell’integrale versamento degli importi dovuti dal contribuente, che deve intervenire entro un certo termine individuato in rapporto al procedimento penale. Si tratta di importi significativi: i tre reati tributari interessati dalla causa di non punibilità sono integrati solo in caso di superamento di soglie fissate dalla legge, rispettivamente, in euro 150.000 (art. 10-bis), 250.000 (art. 10-ter) e 50.000 (art. 10-quater, comma 1).
L’elemento differenziale di maggior importanza è dato dal termine ultimo entro il quale va effettuato il pagamento del debito tributario: prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, nell’art. 13 D.Lgs. n. 74/2000, prima della pronuncia della sentenza di appello, nell’art. 23 D.L. n. 34/2023. La nuova causa di non punibilità sposta dunque molto in avanti il termine per il pagamento del debito tributario: dalle fasi iniziali del giudizio di primo grado alla fase finale del giudizio di secondo grado.
Un secondo elemento è rappresentato poi dall’indicazione di particolari modalità e termini per la definizione delle violazioni tributarie e per il pagamento del debito.
L’art. 13 D.Lgs. n. 74/2000 opera un generico riferimento alle procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché al ravvedimento operoso, mentre l’art. 23 D.L. n. 34/2023 aggancia la causa speciale di non punibilità alla definizione delle violazioni e al versamento dei contributi secondo le modalità e nei termini previsti dall'articolo 1, commi da 153 a158 e da 166 a 252, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, cioè secondo l’articolata disciplina della c.d. tregua fiscale disciplinata dall'ultima legge di bilancio, che trova ora un importante pendant e volano penalistico (G.L. GATTA, "Tregua fiscale" e nuova causa di non punibilità dei reati tributari attivabile fino al giudizio d'appello. E il PNRR?, in Sist. pen., 12.04.2023).
Altri punti di differenza sono rinvenibili nell’espresso riferimento, nell’art. 13 D.Lgs. n. 74/2000, alla necessità del pagamento di sanzioni amministrative e interessi che non concerne l’art. 23 D.L. n. 34/2023 e che deve ritenersi assorbito nella disciplina tributaristica richiamata
e, infine, dal tempo a disposizione del contribuente per effettuare il pagamento del debito tributario mediante rateizzazione.
Con riferimento infine alla sospensione del termine di prescrizione del reato, durante il periodo concesso per il pagamento del debito tributario, l’art. 23 D.L. n. 34/2023 non fa invece alcun riferimento alla sospensione del termine di prescrizione del reato e nemmeno fa riferimento, pur consentendo l’operatività della causa di non punibilità nel giudizio di appello, alla sospensione del termine di improcedibilità dell’azione penale per superamento della durata massima del giudizio di impugnazione, di cui all’art. 344-bis c.p.p., inserito dalla riforma Cartabia.
In definitiva quindi l’art. 23 D.L. 34/2023 ha di fatto introdotto una causa speciale di non punibilità per le fattispecie previste dagli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, D.Lgs. 74/2000, andando ad integrare, o meglio ad aggiungersi, all’art. 13, comma 1, D.Lgs. 74/2000.
La novella causa speciale di non punibilità non copre invece le fattispecie dichiarative di cui al Capo I del Titolo II del D.Lgs. 74/2000, né le fattispecie punite più severamente dal Capo II, quali i reati di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 8), occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10), indebita compensazione di crediti inesistenti (art. 10-quater, comma 2) e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11).
2.1. La causa speciale di non punibilità, tuttavia, opera esclusivamente a condizione che le relative violazioni sono correttamente definite e le somme dovute sono versate integralmente dal contribuente secondo le modalità e nei termini previsti dall'articolo 1, commi da 153 a 158 e da 166 a 252, L. n. 197/2022; sostanzialmente il beneficio della non punibilità transita per la corretta definizione delle violazioni tributarie mediante il ricorso ad una delle procedure previste dalla legge di bilancio.
Si tratta di numerose procedure volte a prevenire le liti e la definizione di vertenze tra l’Amministrazione e il contribuente che, considerate, permettono allo stesso di estinguere il debito tributario e beneficiare della causa di non punibilità in ogni fase del procedimento tributario.
È bene osservare che, come già richiamato, una prima differenza significativa tra la causa speciale di non punibilità e quella di carattere generale prevista dall’art. 13 D.Lgs. 74/2000 concerne il limite temporale entro il quale deve essere estinto il debito tributario per poter beneficiare della causa di non punibilità.
L’art. 13 D.Lgs. 74/2000 prevede infatti che la causa di non punibilità operi se il debito è estinto mediante integrale pagamento di imposte, interessi e sanzioni prima della dichiarazione di apertura del dibattimento; la causa speciale di non punibilità fissa, invece, come termine ultimo quello della sentenza pronunciata in grado di appello.
Una parte della dottrina ha evidenziato delle criticità con riferimento al termine della sentenza di appello, momento in cui il processo penale ha oramai visto concludersi le sue fasi e gradi più dispendiosi (F. CAGNOLA, F. BONCOMPAGNI, Reati tributari: la “nuova” causa di non punibilità introdotta dal d.l. 30 marzo 2023, n. 34, in Sist. Pen., 13.04.2023); se infatti l’intenzione del legislatore è quella di incentivare la definizione di tutte le vertenze tributarie, rinunciando a sanzionare penalmente le condotte delittuose di cui agli art. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, D.Lgs. 74/2000, sarebbe forse stato più ragionevole non prevedere alcun termine.
La critica inoltre riguarda anche la scelta di permettere all’imputato di rimandare – sebbene nei limiti temporali previsti dalle procedure fiscali – la decisione circa l’estinzione del debito tributario sino alla conclusione del giudizio di appello, anche in relazione all’art. 3 della Costituzione.
Difatti, tale disallineamento potrebbe comportare un’evidente ingiustificata disparità di trattamento tra gli imputati che estingueranno il debito secondo le procedure speciali prima della sentenza di appello, beneficiando così della nuova causa di non punibilità, e coloro che, invece, avendo già estinto il debito tributario prima dell’entrata in vigore della legge di bilancio e successivamente alla dichiarazione di apertura del dibattimento, secondo gli ordinari strumenti di definizione delle controversie fiscali, non potranno beneficiare né della nuova causa di non punibilità né di quella ordinaria prevista dall’art. 13 D.lgs. 74/2000.
Se si ha riguardo al tempo a disposizione del contribuente per effettuare il pagamento del debito tributario mediante rateizzazione si evince che nell’art. 13, comma 3, D.Lgs. n. 74/2000 si prevede un termine di tre mesi prorogabile una sola volta dal giudice per non oltre tre mesi.
L’art. 23, comma 3 D.L. n. 34/2023 invece effettua un generico riferimento a una sospensione del processo penale, senza indicare un termine massimo né disciplinare un meccanismo di proroghe analogo a quello dell’art. 13, comma 3, D.Lgs. n. 74/2000; si deve ritenere quindi che la rateizzazione potrà comportare la sospensione del processo penale per periodi ben più lunghi di tre o sei mesi, fino a cinque anni (venti rate trimestrali), nel caso della definizione degli atti del procedimento di accertamento (art. 1, commi 179-185 L. n. 197/2022).
Una possibile soluzione ermeneutica, costituzionalmente orientata, per legittimare l’estensione analogica della disposizione agli imputati che abbiano già estinto il debito tributario, è quella di affermare la natura generale (e non eccezionale) della causa di non punibilità, proprio sul presupposto che il sistema penal-tributario prevede già istituti premiali per coloro che estinguono il debito tributario e, in particolare, una specifica esimente dei reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, D.Lgs. 74/2000, per coloro che abbiano estinto il debito tributario, anche dopo aver avuto l’effettiva conoscenza di una indagine fiscale nei loro confronti (F. CAGNOLA, F. BONCOMPAGNI, Op.cit.).
Ovvero, come ha rilevato altra parte della dottrina (G.L. GATTA, Op.cit.), sarebbe opportuno precisare nel testo dell’art. 23 il limite temporale di applicazione della causa di non punibilità, senza costringere l’interprete alla ricerca di quel limite nei novantadue commi richiamati.
La causa di non punibilità, infatti, opera per chi si è avvalso o si avvale della c.d. tregua fiscale; i limiti temporali entro i quali il contribuente potrà beneficiare della causa di non punibilità dipendono quindi dai termini entro i quali può accedere alla tregua fiscale, termini diversi a seconda delle procedure richiamate e che, per alcune di esse, sono prorogati dallo stesso D.L. n. 34/2023 al 30 settembre e al 31 ottobre 2023.
Il legislatore, al comma 3, fa poi discendere dalla comunicazione all’Autorità Giudiziaria, l’automatica sospensione del procedimento penale: sospensione che opera senza specifici limiti temporali, sino alla comunicazione da parte dell’Agenzia delle Entrate della corretta definizione della procedura e dell’integrale versamento delle somme, oppure della mancata definizione della procedura o della decadenza del contribuente dal beneficio della rateazione.
La causa speciale di non punibilità dell’art. 23 non prevede alcun termine massimo alla sospensione del processo penale, che rimarrà dunque sospeso fintanto che il piano rateale previsto dalle speciali procedure tributarie non è giunto a conclusione.
In sostanza l’esito della vicenda giudiziaria rimane condizionato alla corretta definizione della procedura e all’integrale versamento delle somme, che l’Agenzia delle entrate è chiamata a comunicare all’autorità procedente (S. PRANDI, D.l. 30 marzo 2023, n. 34: una nuova causa di non punibilità per i reati di omesso versamento e indebita compensazione, in Sist. Pen., 05.04.2023).
Certo dalla sospensione del processo penale, così come sostenuto da una parte della dottrina (G.L. GATTA, Op. cit.), potrebbe derivare la potenziale eccessiva durata del processo di appello che si pone in contrasto con gli obiettivi del PNRR, ossia la riduzione entro il 2026 del 25% dei tempi medi dei processi penali.
Di particolare interesse è poi la disposizione dell’ultimo comma dell’art. 23, il quale stabilisce che, durante la sospensione del processo, è sempre possibile procedere all’assunzione di prove nei casi previsti dall’art. 392 c.p.p., ossia i casi in cui è ammesso l’incidente probatorio.
Il fine della norma è quella di assicurare l’assunzione di prove rilevanti ai fini della decisione di merito nell’eventualità in cui la procedura fiscale non si perfezioni e, conseguentemente, la speciale causa di non punibilità non possa trovare applicazione.
Sul punto, si ritiene che – qualora venga assunta ai sensi dell’art. 392 c.p.p. – una prova che risulti evidente della non sussistenza del fatto, della circostanza che lo stesso sia stato commesso dall’imputato o della colpevolezza di quest’ultimo, il giudice potrà certamente assolvere l’imputato ai sensi dell’art. 129, comma 1, c.p.p.
Diversamente, qualora la prova assunta non risulti evidente, e la procedura fiscale si sia successivamente perfezionata, si ritiene che il giudice non possa assolvere l’imputato con formula più favorevole bensì debba inevitabilmente rilevare l’intervenuta speciale causa di non punibilità (F. CAGNOLA, F. BONCOMPAGNI, Op.cit.).
Per quanto qui di interesse, il disegno di legge prevede delle modifiche in ambito penale con riferimento ai delitti tributari.
La legge delega, infatti, nella parte relativa alle sanzioni penali, si pone il fine di modificare i profili relativi alla effettiva sussistenza dell’elemento soggettivo dei c.d. reati tributari, nell’ipotesi di sopraggiunta impossibilità a far fronte al pagamento del tributo, non dipendente da fatti imputabili al soggetto stesso.
Permane tuttavia il dubbio, in realtà prettamente astratto, circa i reati ai quali debba applicarsi tale principio in quanto la delega non specifica tale circostanza, anche se risulta abbastanza evidente che si tratta dei reati di omesso versamento delle ritenute (art. 10-bis, D.Lgs. n. 74/2000) e dell’IVA (art. 10-ter, D.Lgs. n. 74/2000).
Già nella precedente riforma del sistema sanzionatorio tributario - intervenuta con la legge delega n. 23/2014, attuata con il D.Lgs. n. 158/2015 - c’era stato un tentativo di depenalizzare i reati di omesso versamento; tentativo successivamente scemato e concretizzatosi in un innalzamento delle soglie utili per far scattare il reato (da 50.000 euro a 150.000 euro per l’omesso versamento delle ritenute e 250.000 euro per l’omesso versamento dell’IVA).
La legge delega prevede altresì l’obbligo del giudice penale di tenere conto delle definizioni raggiunte in sede amministrativa o giudiziale, implicanti l’irrilevanza del fatto ai fini penali, salva la possibilità di discostarsene, previa congrua motivazione. Nel procedimento penale quindi il giudice dovrà confrontarsi con le eventuali definizioni raggiunte in occasione delle adesioni o delle conciliazioni che comportano l’irrilevanza del fatto sotto il profilo penale, potendo discostarsene solo con congrua motivazione.
Viene inoltre disciplinata un’integrazione tra le due tipologie di sanzioni (amministrative e penali) e, dunque, dei necessari punti di contatto (oltre a quelli già oggi previsti) tra il procedimento tributario amministrativo e penale. Anzitutto, in punto di entità della sanzione, il legislatore delegato dovrà tener conto anche delle sanzioni accessorie e, soprattutto, del divieto di bis in idem, evitando forme di duplicazione o sanzioni troppo eccessive e, inoltre, dovrà essere previsto un maggiore passaggio di informazioni tra il procedimento penale e quello tributario, anche alla luce dell’introduzione della testimonianza scritta in ambito tributario (S. MECCA, Punibilità esclusa in caso di oggettiva impossibilità di pagare il tributo, IPSOA, 03.04.2023).
Analizzando la disposizione normativa, l’art. 18 prevede, al comma 1, una revisione del sistema sanzionatorio, penale e amministrativo, in materia di imposte sui redditi, di imposta sul valore aggiunto (IVA), di altri tributi erariali indiretti, nonché di tributi degli enti territoriali.
Tre sono in particolare i blocchi di norme in cui s i divide la norma di delega.
Il primo riguarda gli aspetti comuni alle sanzioni amministrative e penali (lettera a).
Si renderà necessario rivedere i rapporti tra processo penale e processo tributario, adeguando i profili processuali e sostanziali connessi alle ipotesi di non punibilità e di attenuanti alla durata effettiva dei piani di estinzione dei debiti tributari, anche nella fase che precede l’esercizio dell’azione penale (A. ALBANO, Prime osservazioni sulle proposte di modifica in tema di accertamento dei tributi e sistema sanzionatorio contenute nel DDL riforma fiscale, in Riv.Dir.trib., 01.06.2023).
È altresì previsto che la volontaria adozione di un efficace sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale, di cui all’articolo 4 del D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, e la preventiva comunicazione di un possibile rischio fiscale da parte di imprese che non possiedono i requisiti per aderire all’istituto dell’adempimento collaborativo assumono rilevanza per escludere ovvero ridurre l’entità delle sanzioni.
Il secondo blocco di nome riguarda le sanzioni penali (lettera b).
A tal fine si prevede innanzitutto di attribuire specifico rilievo all’ipotesi di sopraggiunta impossibilità a far fronte al pagamento del tributo, non dipendente da fatti imputabili al soggetto stesso, al fine di evitare che il contribuente debba subire conseguenze penali anche in caso di fatti a lui non imputabili; si prevede inoltre di attribuire specifico rilievo alle definizioni raggiunte in sede amministrativa e giudiziaria ai fini della valutazione della rilevanza penale del fatto.
Il terzo infine concerne le sanzioni amministrative (lettera c).
A tal fine, viene previsto innanzitutto un intervento sulla proporzionalità delle sanzioni tributarie, attenuandone il carico e riconducendolo agli standard di altri Paesi europei.
Non v’è, infatti, dubbio che le sanzioni amministrative attualmente previste raggiungano livelli intollerabili, che si discostano sensibilmente da quelle in vigore in altri Paesi, conducendo a una pretesa complessiva di fatto abnorme e in un disincentivo per il contribuente a esperire la tutela giudiziaria in conseguenza del rischio cui un esito negativo lo esporrebbe.
In secondo luogo, per assicurare l’effettiva applicazione delle sanzioni, è previsto di rivedere il ravvedimento mediante una graduazione della riduzione delle sanzioni, onde evitare che l’applicazione delle attuali percentuali di riduzione alle future e minori aliquote sanzionatorie possa tradursi in un incentivo a non dichiarare.
In terzo luogo, viene prevista l’inapplicabilità delle sanzioni in misura maggiorata per recidiva prima della definizione del giudizio di accertamento sulle precedenti violazioni, così recependo la giurisprudenza di legittimità in materia, nonché una migliore definizione delle ipotesi stesse di recidiva con particolare riferimento alle violazioni della stessa indole.
Infine, sempre in relazione al riordino della disciplina della recidiva di cui si è detto, è previsto di rivedere anche la disciplina del concorso formale e materiale e della continuazione, onde renderla coerente con i principi sopra specificati ed estendendola agli istituti deflattivi.
È prevista, altresì, l’introduzione nel testo unico delle accise di un nuovo illecito allo scopo di sanzionare la sottrazione, con qualsiasi mezzo o modalità, all’accertamento o al pagamento dell’accisa sui tabacchi lavorati fissando, in maniera dettagliata, i criteri da osservare ai fini della determinazione delle sanzioni da comminare, tenuto conto anche della produzione irregolare dei medesimi prodotti.
In tale contesto (comma 2, lettera b), numero 1), da un lato sono fissati i limiti edittali dell’introducenda sanzione penale, dall’altro è prevista per le violazioni meno gravi una riduzione di pena nonché la possibilità di applicare sanzioni amministrative, anche individuando apposite soglie di non punibilità. È poi stabilito (comma 2, lettera b), numero 2) che, nel disciplinare il nuovo reato, si prevedano circostanze aggravanti in armonia con quelle previste dalla normativa doganale in materia di contrabbando di tabacchi lavorati; parimenti, è stabilito (comma 2, lettera b), numero 3) che sia introdotta un’autonoma fattispecie associativa, definendone i relativi limiti di punibilità. Tale previsione dovrà essere coordinata con quanto previsto dall’articolo 51, comma 3-bis, c.p.p. e, nel caso ricorrano le circostanze aggravanti sopra menzionate, anche con quanto disposto dall’articolo 4-bis L. 26 luglio 1975, n. 354.
Viene inoltre previsto il coordinamento con la disciplina delle intercettazioni di comunicazioni o conversazioni di cui all’articolo 266 c.p.p., al fine di poter utilizzare, nell’ambito delle indagini relative alla fattispecie in esame di rilievo penale, tale strumento investigativo (comma 2, lettera b), numero 4) coerentemente a quanto già previsto dall’articolo 266 c.p.p., comma 1, lettera e), per il contrabbando.
Si dispone che le sanzioni afferenti alla commissione del nuovo reato siano applicabili anche nell’ipotesi del solo tentativo (comma 2, lettera b), numero 5).
Nel contesto delineato è , altresì , stabilito (comma 2, lettera b), numero 10) che i principi e criteri direttivi riguardanti i nuovi illeciti sopra descritti debbano trovare applicazione anche con riferimento alla sottrazione, con qualsiasi mezzo o modalità (tenuto conto anche della produzione irregolare dei medesimi prodotti), all’accertamento o al pagamento delle imposte di consumo su prodotti diversi dal tabacco, ma che attualmente risultano fiscalmente equiparabili ai prodotti da fumo tradizionali.
Con il comma 2, lettera d) è stata prevista l’applicazione della confisca c.d. per sproporzione di cui all'articolo 240-bis c.p. per i reati più gravi previsti dal testo unico delle accise, analogamente a quanto previsto, per altri settori impositivi, dalla normativa doganale in materia di contrabbando nonché dal D.lgs. 74/2000 in materia di imposte sui redditi e IVA. In linea di continuità con quanto già stabilito per altri comparti tributari (delitti in materia di imposte sui redditi e IVA previsti dal D.Lgs. 74/200 nonché i reati di contrabbando previsti dal testo unico delle leggi doganali) il comma 2, lettera e) prevede l’integrazione D.Lgs. 231/2001, con i reati previsti dal testo unico delle accise, in relazione ai quali saranno introdotte sanzioni pecuniarie e interdittive effettive, proporzionali e dissuasive rispetto alla tipologia di illecito (ad esempio, l’interdizione dall’esercizio dell’attività o la sospensione e la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito).
Il comma 3, lettera d), coerentemente a quanto indicato al comma 2, lettera e) con riferimento alle violazioni previste dal testo unico delle accise, dispone, infine, l’integrazione del comma 3 dell’articolo 25-sexiesdecies D.Lgs. 231/2001 (afferente alla previsione della responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche avuto riguardo ai reati di contrabbando di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43) al fine di prevedere anche l’applicazione delle sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, lettera a) e b) del medesimo decreto legislativo. Trattasi in particolare della interdizione dall’esercizio dell’attività e della sospensione/revoca delle autorizzazioni/licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito.
Pur sussistendo dei dubbi inerenti la chiarezza della norma, superabili con un successivo intervento del legislatore, la parte più problematica sottolineata anche dalla dottrina è inerente alla possibilità per l’imputato di rimandare – sebbene nei limiti temporali previsti dalle procedure fiscali – la decisione circa l’estinzione del debito tributario sino alla conclusione del giudizio di appello.
Tale scelta potrebbe basarsi e fondarsi su ragioni di mera opportunità, legate ad esempio all’andamento del giudizio di appello e alla prognosi di una eventuale conferma della condanna, che porteranno a disincentivare il patteggiamento o altre forme di definizione anticipata del procedimento perché l’imputato potrà difendersi nel merito in primo grado e, se condannato, potrà accedere alle procedure tributarie e avvalersi della causa di non punibilità fino al giorno prima dell'udienza conclusiva dell'appello
L’effetto deflativo sul primo grado di giudizio, ancorato all’art. 13 D.Lgs. n. 74/2000, viene quindi di fatto annullato, comportando, per contro, un’incentivazione degli appelli e la sospensione i procedimenti penali per lunghi tempi, con impatto negativo sui tempi medi di definizione.
In effetti tale soluzione se confrontata con gli obiettivi del PNRR che prevedono, entro il 2026, la riduzione del 25% dei tempi medi dei processi penali nei diversi gradi di giudizio appare negativa, ma sicuramente consente all’imputato di beneficiare di un’ampia possibilità di scelta salvaguardando anche la possibilità di difendersi durante il primo grado di giudizio.
Se dunque tale norma rappresenta una novità importante e significativa circa il rapporto tra procedimento penale e reati tributari è anche foriera di criticità e contrasti, ivi compreso il profilo temporale entro il quale il contribuente potrà beneficiare della causa di non punibilità.
Problematicità emergono anche circa la natura della causa di non punibilità che dovrebbe divenire generale (e non eccezionale), proprio sul presupposto che il sistema penal-tributario prevede già istituti premiali per coloro che estinguono il debito tributario e, in particolare, una specifica esimente dei reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, D.Lgs. 74/2000, per coloro che abbiano estinto il debito tributario, anche dopo aver avuto l’effettiva conoscenza di una indagine fiscale nei loro confronti.
Occorre, in definitiva, una maggiore e più efficace contemperamento e bilanciamento tra il procedimento penale e la definizione del debito tributario nell’ottica, da una parte, di ridurre i procedimenti penali e le impugnazioni, e, dall’altra, di tutelare il diritto di difesa dell’imputato ed evitare l’instaurazione di procedimenti penali inutilmente dispendiosi volti a concludersi avanti ad una giustizia penale già sufficientemente oberata.