Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

12/09/2023 - L’efficacia dichiarativa della nomina del nuovo amministratore nell’ipotesi di omesso versamento IVA

argomento: IVA - Giurisprudenza

Secondo la Corte di Cassazione penale il nuovo amministratore di un società risponde del reato di omesso versamento Iva laddove non provveda al versamento dell’Iva dovuta sulla base della dichiarazione presentata dal precedente amministratore, imputandogli un obbligo di controllo dei pregressi adempimenti fiscali. A tal fine non rileva la data di iscrizione nel Registro delle imprese della nomina a nuovo amministratore, avendo questa un’efficacia meramente dichiarativa e non costitutiva.

» visualizza: il documento (Corte di Cass., sent. del 30 marzo 2023, n. 13319.) scarica file

PAROLE CHIAVE: iva - omesso versamento - nuovo amministratore - iscrizione nel registro delle imprese


di Anna Rita Ciarcia

  1. La Corte di Cassazione penale torna pronunciarsi su quale soggetto debba rispondere del reato di omesso versamento Iva, ex art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000, nel caso in cui l’amministratore precedente ha provveduto a presentare la dichiarazione dei redditi ma, in seguito, il nuovo amministratore, subentrato naturalmente in epoca successiva alla presentazione della dichiarazione, da cui il debito è scaturito, e prima della scadenza del versamento dell’acconto, non ha effettuato il previo controllo di natura puramente contabile sugli ultimi adempimenti fiscali e, pertanto, non risulti il versamento dell’imposta dovuta.

La vicenda è interessante in quanto tratta una fattispecie tributaria-penale ovvero il reato di omesso versamento Iva e gli obblighi attribuiti a carico dell’amministratore che subentra nella carica ma anche una civile, ovvero il problema dell’efficacia dichiarativa dell’iscrizione, nel registro dell’impresa, della nomina del nuovo amministratore. Infatti, da quanto risulta dalla sentenza, alla data del versamento dell’acconto Iva (27.12.2019 – dichiarazione Iva per l’anno di imposta 2018) il nuovo amministratore era stato solo nominato alla carica, con mero atto interno alla società; la presentazione della carica di amministratore del ricorrente sarebbe avvenuta soltanto il 18 giugno 2020, con iscrizione nel Registro delle Imprese in data 23 giugno 2020, a norma dell’art. 2383 c.c.

 

 

  1. L’omesso versamento Iva è un reato di natura omissiva (secondo C. Rossi, Osservazioni a Cass. pen., 5 novembre 2015, sez. III, n. 3098, in Cass. pen., n. 9/2016, 3379, la condotta di cui all’art. 10-ter non è configurabile come condotta esclusivamente omissiva, ma come condotta mista, costituita da una parte attiva e da una parte omissiva. La parte attiva consiste nella presentazione della dichiarazione annuale relativa all’Iva; la parte omissiva consiste nel mancato versamento allo Stato di quanto liquidato in dichiarazione) e a carattere istantaneo, che si realizza laddove chiunque non versi all’Erario l’imposta dovuta secondo le scadenze periodiche previste dalla normativa tributaria, a condizione che il debito risulti dalla dichiarazione del contribuente (F. Coaloa, Omesso versamento Iva e illiquidità, in Riv. dir. trib., n. 3/2013, 46; il quale chiarisce che sebbene l’art. 10-ter indichi “chiunque” quale soggetto attivo del reato, questo potrà essere commesso solo da un soggetto Iva, ovvero da un soggetto, titolare di partita Iva, che abbia presentato regolarmente dichiarazione). Quanto al momento consumativo del reato, esso è individuato alla scadenza del termine previsto per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo. Conseguentemente, per la consumazione del reato, non è sufficiente un qualsiasi ritardo nel versamento rispetto alle scadenze previste, ma occorre che l’omissione del versamento dell’imposta dovuta in base alla dichiarazione si protragga fino al 27 dicembre dell’anno successivo al periodo d’imposta di riferimento, ai sensi dall’art. 6, comma 2, della L. n. 405 del 29 dicembre 1990.

Ne consegue che il reato omissivo a carattere istantaneo consiste nel mancato versamento all’erario delle somme dovute sulla base della dichiarazione annuale.

Avendo riguardo, poi, all’elemento soggettivo del reato è richiesto il dolo generico ovvero la semplice coscienza e volontà di non adempiere alla propria obbligazione tributaria (Cass. pen., sez. III, sent. n. 1725 del 15 gennaio 2015: molte delle condotte penalmente sanzionate dal D.Lgs. n. 74/2000 richiedono che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte, mentre questa specifica direzione della volontà illecita non emerge in alcun modo dal testo dell’art. 10-ter).

Non si rinviene, dunque, alcun profilo di dolo specifico e non si dovrà procedere ad alcuna indagine sulla corrispondenza a vero del debito tributario indicato in dichiarazione, che va considerato quale mero fatto che oggettivamente quantifica l’imponibile e la misura dell’inadempimento sanzionato. In tal caso, pertanto, non siamo in presenza di un reato di frode.

La prova del dolo, secondo le SS.UU., è insita in genere nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo d’imposta e che deve essere saldato entro il termine previsto, con la ovvia conseguenza che l’omesso versamento integra il reato (Cass., SS.UU., sent. n. 37424 del 12 settembre 2014).

Per la commissione del reato, basta, dunque, la coscienza e volontà di non versare all’Erario l’imposta riscossa nel periodo considerato; l’elemento psicologico della condotta tipizzata dall’articolo citato, corrisponde, dunque, al dolo generico.

Secondo la dottrina penale non è certa la sussistenza, in capo all’imprenditore che non versa le somme dovute a titolo di Iva, del dolo generico: il contribuente che non versa al fisco è consapevole di tale sua condotta, ma ciò non significa che è sua intenzione porla in essere, giacché tale omissione può dipendere anche dall’impossibilità di provvedere al versamento di quanto dovuto stante la crisi di liquidità in cui versa l’azienda, posto che il soggetto obbligato ben potrebbe non avere a sua disposizione la somma dovuta in conseguenza di un evento estraneo alla sua volontà e che lui non ha potuto evitare (M. Pierdonati, Crisi dell’impresa e responsabilità penale del vertice della società verso nuovi equilibri giurisprudenziali, in Dir. pen. proc., 2013, 965).

 

 

 

  1. Nel caso esaminato, la questione sottoposta al vaglio dei giudici concerne chi risponde dell’omesso versamento in caso di successione della carica dell’amministratore; in tale ipotesi si concretizza la condotta mista del reato ex art. 10 ter: una condotta commissiva, rappresentata dalla presentazione, da parte del soggetto obbligato (vecchio amministratore), della relativa dichiarazione annuale e una condotta omissiva costituita dall’omesso pagamento delle somme dovute (da parte del nuovo amministratore) (Cass. pen., sez. III, sent. n. 29651 del 27.03.2018, in Il fisco, n. 30/2018 con commento di C. Santoriello).

La responsabilità per i reati tributari è, di norma, attribuita all’amministratore pro-tempore, individuato secondo le norme civilistiche, che rappresenta e gestisce l’ente e, quindi, chi assume la carica di amministratore va ad accettare volontariamente anche le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze. Di conseguenza, secondo l’orientamento costante della corte penale, il nuovo amministratore che subentra nella carica ha l’obbligo di verificare la contabilità, i bilanci, le ultime dichiarazioni dei redditi e i versamenti, perché qualora ciò non avvenga sarà chiamato a rispondere del reato di omessa presentazione della dichiarazione fiscale o di omesso versamento delle imposte, di cui, per l’assenza di tale preventivo controllo, deve essere ritenuto responsabile quantomeno a titolo di dolo eventuale, ciò in quanto, attraverso la sua condotta, lo stesso si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare dalle pregresse inadempienze (Cass. pen., sez. III, sentt. n. 34927 del 24.06.2015; 54699 del 9.11.2018; 5199 del 10.02.2021; 20188 del 21.05.2021; 36205 del 6.10.2021, in in Riv. trim. dir. trib., n. 1/2023, 213, con nota di P. Mastellone, Il nuovo amministratore risponde di omesso versamento IVA se non effettua una due diligence relativa ai pregressi adempimenti fiscali: una colpa “mascherata” da dolo).

In altri termini, l’assunzione della carica di amministratore comporta, per comune esperienza, una minima verifica della contabilità, dei bilanci e delle ultime dichiarazioni dei redditi, per cui, ove ciò non avvenisse, è evidente che colui che subentra e assume la carica si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze. Il nuovo amministratore, in altri termini, deve chiedere di visionare la documentazione fiscale e ci sono verifiche assai semplici e coincidenti con i minimi riscontri d’obbligo che devono essere eseguite prima del subentro nella carica in difetto delle quali egli accetta il rischio che ci possa essere qualcosa che non va di cui è chiamato a rispondere anche penalmente (sulla configurabilità del dolo eventuale: Cass. pen. Sez. III, sentt. n. 34927 del 24/06/2015; n. 38687 del 04/06/2014; n. 3636 del 09/10/2013).

Tale ricostruzione secondo una parte della dottrina penale appare eccessiva: il solo dato normativo -giuridico della violazione di un obbligo, quale è quello di verificare la situazione della società sotto il profilo degli adempimenti tributari, vale a fondare esclusivamente un rimprovero di colpa, giacche´ solo tale coefficiente soggettivo è di natura sostanzialmente normativa, mentre il dolo richiede un coefficiente psicologico effettivo. Quindi, la Corte trasfigura in dolo un coefficiente soggettivo di carattere tutt’al più colposo; inoltre tale percorso argomentativo produce una sostanziale trasfigurazione della fattispecie, anche sotto il profilo oggettivo, cioè in relazione al fatto tipico, giacché l’amministratore viene ad essere punito semplicemente per la posizione che si trova ad assumere, e non, invece, per l’omesso versamento delle imposte (P. Aldrovandi, La crisi di liquidità nel prisma del diritto penale tributario: la trasfigurazione nel diritto vivente del “rischio d’impresa” in “rischio penale”, in Riv. trim. dir. pen. econ., n. 3-4/2022, 429).

Tuttavia, nella fattispecie in esame non può parlarsi di un addebito “colposo” poiché le verifiche in base alle quali il nuovo amministratore può apprendere che l’IVA emergente dalla dichiarazione non sia stata versata sono davvero assai semplici e coincidenti con i minimi riscontri d’obbligo che debbono essere eseguiti prima del subentro nella carica; trattasi, infatti, di un debito (con conseguente obbligo di versamento) risultante dall’ultima dichiarazione fiscale e quindi facilmente costatabile. Se il subentrante non eseguisse neppure tale elementare riscontro, si tratterebbe comunque di un fatto-reato addebitabile a titolo di dolo eventuale, quale sarebbe l’elemento psicologico di colui che diviene amministratore senza alcun previo controllo di natura puramente documentale almeno sugli ultimi adempimenti fiscali.

Con riguardo ai casi in cui l’omesso versamento sia dovuto a “colpe” del vecchio amministratore (caso classico è quello del mancato accantonamento dell’Iva, sul punto: V. Cardone – F. Pontieri, L’incidenza dell’illiquidità dell’impresa sui reati di cui agli artt. 10 bis e 10 ter del D.Lgs. n. 74/2000, in Riv. dir. trib., n. 2/2013, III, 19; gli Autori (rinviando a quanto affermato da A. Valsecchi, Le Sezioni Unite chiamate a decidere dell’applicabilità del delitto di omesso versamento delle ritenute certificate alle omissioni relative all’anno 2004, in Dir. pen. cont., 2013) evidenziano come il buon contribuente deve considerare che egli non può disporre liberamente dell’Iva incassata come se fossero soldi suoi, ma deve limitarsi ad accantonarla e poi versarla alle scadenze di legge allo Stato.

La Cassazione penale ha ritenuto che la crisi di liquidità, rinvenuta dal nuovo amministratore e “usata” per giustificare l’omesso versamento non rientra tra i casi di forza maggiore (Cass. pen., sez. III, sent. n. 15218 del 15.05.2020, in Diritto & Giustizia, n. 96/2020, 9, con commento di A. Foti, Omesso versamento di ritenute dovute o certificate: in quali casi la colpevolezza è esclusa dalla forza maggiore?).

La forza maggiore esclude, come è noto, la suitas della condotta, costituendo la ragione per la quale l’uomo non agit sed agitur (Cass. pen, sez. VII, sent. n. 14789 dell’8.03.2019). Secondo la costante giurisprudenza di legittimità la forza maggiore rileva come causa esclusiva dell’evento, non invece quale causa concorrente di esso (Cass. pen., sez. IV, sent. n. 1492 del 23.11.1982), sussistendo solo in quei casi in cui la realizzazione dell’evento stesso, ovvero la consumazione della condotta antigiuridica, è dovuta all’assoluta ed incolpevole impossibilità dell’agente di uniformarsi al comando giuridico. Non applicabile è invece l’art. 45 c.p. ove l’agente si trovi già in condizioni di illegittimità (Cass. pen, sez. V, sent. n. 23026 del 3.04.2017; Cass. pen., sez. IV, sent. n. 19373 del 15.03.2007). La forza maggiore, infatti, postula la verificazione di un fatto imprevisto ed imprevedibile, tale da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento e il quale non possa essere ricollegato in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente.

Nei reati omissivi propri, come nel caso de quo, integra la causa di forza maggiore l’assoluta impossibilità, non la semplice difficoltà di attuare il comportamento omesso, dovendosi ricollegare ad eventi che sfuggono al dominio finalistico dell’agente.

A tal proposito, in materia di reati tributari, è possibile affermare che: a) il margine di scelta è inconciliabile con il concetto di forza maggiore, non essendo esclusa la suitas della condotta; b) la mancanza della liquidità necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria non può pertanto essere addotta a sostegno della forza maggiore ove sia comunque il frutto di una scelta del reo volta a fronteggiare una crisi economica; c) l’inadempimento agli obblighi tributari (ove penalmente rilevanti) può essere ricondotto all’art. 45 c.p. solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore, il quale non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause imprevedibili, non dipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico.

L’imputato (ovvero il nuovo amministratore subentrato nella carica) potrà invocare la situazione di crisi economica come causa dell’impossibilità di adempimento dell’obbligazione fiscale, al fine di escludere la responsabilità penale, purché provi sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi economica, sia l’aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto (Cass. pen., sez. III, sent. n. 20266 dell’8.04.2014). 

In altri termini, dovrà dimostrare che non sia stato in alcun modo possibile reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e a lui non imputabili (Cass. pen., sez. III, sent. n. 45275 del 18.07.2018; n. 5467 del 5.12.2013).

Nel caso del nuovo amministratore subentrato nella carica di amministratore dopo la presentazione della dichiarazione di imposta ma prima della scadenza del versamento, lo stesso sarà ulteriormente responsabile dell’omesso versamento delle somme dovute sulla base della stessa dichiarazione, laddove non abbia compiuto il previo controllo contabile.

A parere di chi scrive, può ritenersi che l’orientamento della Corte, sicuramente gravoso per il subentrante, sia dettato da ragioni di opportunità; infatti, laddove si ritenesse che il nuovo amministratore non risponda dell’omesso versamento di quanto dovuto nei casi in cui l’inadempimento sia imputabile alla condotta del precedente amministratore che ha abbandonato la carica, lasciando la società in condizioni patrimoniali tali da non poter adempiere le obbligazioni fiscali, diventerebbe agevole l’aggiramento di tale obbligo bastando che prima della scadenza del termine per il pagamento delle imposte vi sia un avvicendamento nella gestione della società, con la conseguenza che, del mancato versamento Iva, non risponderebbe né il precedente né il nuovo amministratore.

Un minoritario orientamento ritiene che la responsabilità vada sul precedente amministratore quando si dimostri che lo stesso non abbia accantonato l’Iva, in quanto il mancato versamento dell’imposta dovuta in base alla dichiarazione fiscale costituisce una fattispecie penale che si realizza progressivamente, presupponendo l’accantonamento degli importi dovuti. Il mancato accantonamento costituisce il primo elemento della fattispecie omissiva addebitabile all’ imprenditore: questi è infatti obbligato a versare le somme accantonate, dapprima periodicamente (e questo è il secondo momento di formazione della condotta omissiva) e, infine, a provvedere al versamento nel termine indicato dall’art. 10 ter (Cass. pen., sez. V, sent. n. 45308 del 9.10.2018).

Secondo questo orientamento la responsabilità penale va rinvenuta in capo al soggetto che abbia amministrato in precedenza la società, sebbene non rivesta più la carica di amministratore-legale rappresentante al momento della scadenza del termine ultimo, fissato dalla norma incriminatrice, per effettuare il versamento (Trib. di Taranto, sez. II, sent. n. 530 del 22.05.2020).

Tale conclusione ha il suo vulnus proprio nell’obbligo di accantonamento (secondo I. Caraccioli, Riflessioni sui reati di omissione propria e sulle cause di non punibilità suscitate dalle Sezioni Unite della Cassazione, in Riv. dir. trib., n. 11/2013, III, 253, l’esclusivo momento di rilevanza, quanto alla valutazione della condotta omissiva tenuta dal contribuente, non può che essere quello della scadenza dell’obbligo giuridicamente imposto) che, in verità, sebbene si rinvenga in alcune disposizioni giudiziali, non è previsto da alcuna norma tributaria.

 

 

4.Come anticipato nella premessa, la circostanza rilevante del caso in esame è la valutazione, di stampo civilistico, circa l’efficacia dichiarativa dell’iscrizione nel registro delle imprese del nuovo amministratore.

Secondo l’imputato, infatti, alla data di commissione del reato la nomina risultava solo da un mero atto interno alla società per cui, senza l’iscrizione di tale nomina nel Registro delle Imprese lo stesso

non avrebbe potuto provvedere al versamento delle imposte dovute, anche in considerazione del fatto che solo a seguito dell’iscrizione egli avrebbe potuto operare sul conto corrente della società, in quanto gli istituti bancari richiederebbero l’iscrizione nel Registro delle Imprese, da dimostrarsi con visura camerale, e non sarebbe sufficiente la comunicazione alla banca del cambio di amministratore, in quanto l’opponibilità ai terzi discenderebbe dall’ iscrizione ex art. 2383 c.c..

In conclusione, senza l’iscrizione della nomina nel Registro delle Imprese il nuovo amministratore non avrebbe potuto provvedere al versamento dell’Iva, che, quindi, ricadeva sul precedente amministratore, nonché firmatario della dichiarazione Iva. 

La Corte, tuttavia, non ha accolto questa conclusione in quanto ha ritenuto che la qualifica di amministratore, di legale rappresentante di società e il connesso potere di rappresentanza si acquistano direttamente con l’atto di conferimento della nomina e non conseguono alla pubblicità della stessa con l’iscrizione nel Registro delle Imprese ex art. 2383, comma 4, c.c., la quale ha efficacia dichiarativa e non costitutiva (M. Sciuto, Problemi in materia di potere rappresentativo degli amministratori di s.r.l., in Riv. delle Società, n. 1/2014, 1).

L’accettazione, ed in genere il contratto di amministrazione societario, non richiede l’osservanza di specifiche formalità. Da ciò consegue che l’accettazione può desumersi anche da atti positivi incompatibili con la volontà di rifiutare la nomina: l’accettazione della nomina può essere anche tacita, né dipende in sé dall’adempimento degli oneri pubblicitari, previsti dall’art. 2383 c.c., comma 4. Se, dunque, essa non richiede l’osservanza di specifiche formalità, l’accettazione può essere desunta da atti positivi incompatibili con la volontà di rifiutare la nomina (Trib. di Milano, sez. spec. in materia di imprese, sent. n. 3961 dell’11.05.2021)

In merito all’iscrizione nel Registro delle imprese, la norma dell’art. 2448 c.c. assegna all’iscrizione nel registro delle imprese una forza non già costitutiva (del significato giuridico del fatto di cui all’iscrizione), ma meramente dichiarativa (Trib. di Ascoli Piceno, sent. n. 280 del 22.06.2021).

Nel senso, appunto, che la positiva iscrizione di un fatto nel registro viene a rendere in ogni caso efficace lo stesso (ovvero opponibile) anche nei confronti dei terzi (secondo quanto è proprio, del resto, della regola generale per la materia di cui al registro delle imprese, come stabilita dalla norma dell’art. 2193 c.c.; ma si veda, altresì, la disposizione di rinvio dell’art. 1400 c.c.). Laddove la rilevanza del fatto non iscritto (c.d. efficacia negativa della pubblicità del registro) non solo si limita unicamente a investire la posizione dei terzi, ma pure lo fa sempre a condizione che questi ultimi non possano essere considerati, nel concreto della situazione volta a volta esaminata, quali soggetti di buona fede (non dissimile, quanto alla sostanza ultima, la disciplina dettata nella norma generale dell’art. 1396 c.c.) (Cass. civ., sez. I, ord. n. 30542 del 26.11.2018).

In definitiva, l’area di efficacia della nomina e della revoca dell’amministratore, che risulta dipendente dall’iscrizione nel registro delle imprese, si manifesta, oltre che intrinsecamente relativa (sia perché limitata al profilo dell’opponibilità nei confronti di terzi sia, e più ancora, per la riconosciuta possibilità di provare l’effettiva conoscenza di questi terzi), espressione di una regola circoscritta e diversa da quella da ritenere di carattere generale (Trib. di Trani, sent. n. 337 del 21.02.2022).

La nomina risultante da un verbale di assemblea societaria della cui veridicità nessuno ha dubitato (ovvero la cui eventuale falsità nessuno ha provato) è idonea al conferimento dell’incarico assunto dal nuovo amministratore e la successiva iscrizione nel registro delle imprese serve solo a rendere opponibile nei confronti dei terzi (in buona fede) un fatto che già esiste e si è perfezionato in precedenza (Corte d’Appello di Ancona, sent. n. 628 del 22.04.2021).

In conclusione, il contratto di amministrazione produce i suoi effetti dal momento della conclusione e ciò vale anche per i profili legati alla funzione di rappresentanza; ne consegue che non è corretta l’affermazione secondo cui l’efficacia del potere di rappresentanza dipenderebbe dall’iscrizione nel registro delle imprese, posto che questa ha efficacia meramente dichiarativa e non costitutiva; essa rende determinati fatti opponibili ai terzi secondo i principi generali in materia di pubblicità legale ex art. 2193 c.c.

 

 

  1. Colui il quale subentri a terzi nella carica di amministratore di una società ha la possibilità di verificare quali debiti tributari gravino sulla stessa e la liquidità disponibile, acquisendo consapevolezza in ordine alla possibilità per l’impresa di soddisfare o meno le obbligazioni tributarie; alla luce di ciò si avrà de facto l’accettazione del rischio di un evento specifico ovvero il mancato pagamento delle imposte, non direttamente voluto ma rappresentato (dolo eventuale), e non già di una situazione pericolosa in cui l’evento potrebbe essere il possibile risultato della condotta, nella previsione che esso non si verificherà (colpa grave).

La mera difficoltà economica dell’impresa non può pertanto assumere valenza di forza maggiore, scriminante la condotta, in quanto essa presuppone un’assoluta impossibilità di provvedere altrimenti alle esigenze della società, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni dirette al reperimento di liquidità, senza riuscirci per cause indipendenti dalla volontà dell’obbligato e allo stesso non imputabili.

Qualche spiraglio di esenzione di responsabilità per il nuovo amministratore può ravvisarsi nel mancato accantonamento, da parte del precedente amministratore, dell’Iva da versare; sebbene questa minima apertura giurisprudenziale non trovi riscontro nella normativa tributaria. 

Quanto, infine, all’efficacia della registrazione della nomina nel Registro delle imprese, può ritenersi che l’accettazione della nomina ad amministratore della società, necessaria attesa la fonte contrattuale dei poteri gestori, non richieda l’osservanza di specifiche formalità e può anche essere tacita, cioè, desunta dal compimento di atti incompatibili con la volontà di rifiutare la nomina. Né è richiesto per il perfezionamento e l’efficacia del mandato gestorio l’assolvimento degli oneri pubblicitari di cui all’art. 2383 comma 4 c.c., avendo l’iscrizione nel registro delle imprese della nomina natura dichiarativa e non costitutiva.

L’imputato, dopo la nomina dell’assemblea dei soci, ha inequivocabilmente svolto l’attività propria dell’amministratore, così accettando tacitamente la carica e divenendo amministratore della società.