argomento: Profili europei e Internazionali - Legislazione e prassi
La fase attuativa costituisce la sfida più complessa per i legislatori nazionali chiamati a recepire ed attuare il Pillar Two e le GloBE Rules nei propri ordinamenti interni. Muovendo da una ricognizione delle principali iniziative legislative fin qui registratesi, l’obiettivo è quello di verificare lo stato dell’arte dell’attuazione della Global Minimum Tax nei principali Stati dell’Inclusive Framework, ed in particolar modo alla luce dell’emanazione della Direttiva del Consiglio 2022/2523 del 14 dicembre 2022.
PAROLE CHIAVE: pillar two - globe rules - global minimum tax - base erosion and profit shifting
di Giorgio Antonio Autuori
1. Sin dal momento dell’emanazione dell’originale Statement on the Two-Pillar Solution to Address the Tax Challenges Arising from the Digitalisation of the Economy (OECD (2021), Statement on a Two Pillar Solution to Address the Tax Challenges Arising from the Digitalisation of the Economy, OECD/G20 Inclusive Framework on BEPS, OECD, Paris), è sicuramente stata la dimensione attuativa ad aver suscitato maggiori dubbi da parte degli studiosi. Una peculiare sensibilità nei confronti di questo aspetto era già chiaramente emersa proprio nello Statement, tra i cui allegati era stato incluso un “detailed implementation plan” - letteralmente, un “piano implementativo dettagliato” - che funzionasse da tabella di marcia per i legislatori nazionali. Pur meramente orientativo, il percorso ivi delineato ha avuto il pregio di costituire un punto di riferimento, soprattutto a livello cronologico, nel recepimento della Two Pillar Solution negli ordinamenti interni, che proprio di recente si stanno attivando per realizzare l’iniziale obiettivo di far entrare in vigore entro il 1° gennaio 2024 almeno il Pillar Two, basato sull’istituzione di una Global Minimum Tax (GMT).
Una premessa di carattere generale si rende opportuna prima di verificare lo stato dell’arte del Pillar Two ed in particolar modo della Global Minimum Tax. Se interventi “circoscritti”, nel loro ambito applicativo, ad esempio a singoli tributi, non pongono per il legislatore particolari problemi, proprio per la tendenziale semplicità con cui possono inserirsi nell’ordinamento, considerazioni diametralmente opposte devono essere operate a fronte di riforme così sistematiche e così incisive. Per quanto il Pillar Two rappresenti solamente una delle due facce della medaglia - essendo l’altra il Pillar One, la cui entrata in vigore non è ancora all’orizzonte -, già esso richiede una “ristrutturazione” quasi completa degli attuali sistemi fiscali, che anzi si trovano adesso a dover realizzare una serie di interventi prodromici all’implementazione dello stesso Pillar Two. Pertanto, l’analisi del tema richiede che si tenga bene a mente come il punto di partenza sia differente per ciascuno Stato, a cui comunque rimane il compito delicatissimo di scegliere gli strumenti migliori per recepire il progetto nell’ordinamento interno.
In verità, il tema su cui la dottrina si scontra tuttora con maggior vigore è rappresentato dalla scelta, apparentemente singolare, di consegnare ad un’organizzazione internazionale priva di legittimazione democratica - l’OCSE – il complesso compito di regolare materie di questa importanza, peraltro attraverso l’emanazione di norme riconducibili al genus della soft law. Ad un occhio attento, la singolarità di questa scelta è, come si è detto, solamente apparente. Insieme con l’amministrazione della guerra e della giustizia, l’imposizione fiscale ha sempre rappresentato un momento centrale nell’esercizio dei poteri dello Stato moderno: non solo in quanto inscindibilmente legata alla loro corretta esplicazione, ma soprattutto per il suo stretto legame con la partecipazione dei cittadini alla spesa pubblica (P. Boria, Il progetto di Global Minimum Tax e la moderna teoria delle fonti del diritto tributario internazionale, in Rivista di Diritto Tributario Internazionale, 3, 2021, pag. 72). Sin dal “no taxation without representation” è evidente come l’imposizione dei tributi proceda di pari passo con la partecipazione democratica dei consociati al processo impositivo, che in tanto accettano l’imposizione del tributo, in quanto hanno facoltà di decidere in che modo venga imposto, e come venga utilizzato. Tutto ciò a maggior ragione, ove si consideri come la diffusione delle moderne esperienze statuali, ed in particolar modo lo sviluppo del c.d. welfare state, abbia profondamente mutato la concezione stessa di “Stato”, che vede nell’imposizione del tributo, ora più che mai, lo strumento principe per la raccolta di quelle risorse che gli sono necessarie per fornire ai cittadini sempre più servizi. È così che il cittadino, nel momento in cui indossa le vesti del “contribuente”, si rende pienamente conto di come quella fiscale rappresenti, a tutta evidenza, una dimensione immancabile della sua esistenza sociale e politica.
Per quanto quindi ci si potesse aspettare che una riforma così incisiva promanasse da un soggetto democraticamente legittimato, veramente capace di raccogliere e sintetizzare in “voce normativa” le istanze dei cittadini, bisogna tenere a mente come un vero e proprio legislatore internazionale non esista, e di come diventi quindi necessario abbandonare i moduli dell’autorità - che contraddistinguono, almeno in una certa qual misura, l’esercizio dei poteri dello Stato - e aderire a quelli dell’autorevolezza, con cui l’OCSE compensa il proprio deficit di democraticità. Ne è una diretta conseguenza il fatto che si sia deciso di affidare un progetto quale il Pillar Two ad una fonte di soft law: non solo in quanto unica strada praticabile, quanto, piuttosto, perché proprio le norme di soft law, più flessibili e non vincolanti a differenza di quelle di hard law, si mostrano le più adatte nel caso di riforme strutturali così ampie (F. Pepe, L’uso della soft law nel governo delle relazioni fiscali internazionali: funzioni, limiti e possibili prospettive di evoluzione, in Rivista di Diritto Tributario Internazionale, 2, 2021, pp. 35 ss.).
2. Sin dall’iniziale avvio dei lavori relativi all’istituzione di una Global Minimum Tax - di cui si ventilava già da molto prima una futura adozione - l’Unione Europea si è sempre distinta per il tendenziale favore con cui ha accolto il dibattito sul tema. In più occasioni ha infatti sottolineato come, tra i vari strumenti di volta in volta proposti per il contrasto ai fenomeni BEPS - e di cui si erano già registrate in Europa alcune esperienze di digital taxes - proprio un sistema di imposta minima stabilita a livello globale permetterebbe di superare quei disallineamenti tra legislazioni in cui i fenomeni BEPS tendono a svilupparsi. Naturalmente, già in quelle sedi non aveva mancato di evidenziare come una soluzione di questo tenore avrebbe richiesto un’attitudine radicalmente diversa da parte dei vari attori statali, che avrebbero dovuto rinunciare alla predisposizione di soluzioni unilaterali ed individuali nel nome di una comune e collaborativa ricerca (si veda A. Marinello, Sovranità dello Stato e Global Minimum Tax, Pacini Giuridica, 2023, pp. 307 ss.)
Non deve quindi sorprendere troppo il fatto che uno dei primi e più recenti passi verso l’effettiva implementazione della Global Minimum Tax - che di fatto costituisce il volto e la colonna portante del Pillar Two - sia stato compiuto proprio dall’Unione Europea. La rapidità e la proattività con cui ha recepito e fatto propria l’iniziativa dell’OCSE la hanno distinta dagli altri soggetti nazionali e sovranazionali nel panorama internazionale, facendo peraltro ben sperare circa una prossima entrata in vigore della GMT a partire dal prossimo anno.
In verità, già il 7 dicembre 2021 il Consiglio aveva confermato chiaramente il suo supporto all’introduzione di una Global Minimum Tax, impegnandosi contestualmente a garantirne un recepimento efficace a livello unionale.
Alle dichiarazioni del Consiglio era seguita, il 22 dicembre 2021, l’approvazione da parte della Commissione ad una proposta di direttiva con lo scopo di recepire negli ordinamenti interni un’imposta minima globale secondo il modello delineato dalle GloBE Rules, avendo cura di ribadire anche in tal sede come solamente un’attuazione concorde ed uniforme di queste regole a livello unionale avrebbe garantito il buon funzionamento del sistema (“Un’azione a livello UE in quanto è indispensabile garantire un’attuazione uniforme delle norme tipo dell’OCSE”, EC (2021), Proposal for a Council Directive on ensuring a global minimum level of taxation for multinational groups in the Union, COM (2021) 823 final, 3), che peraltro appariva già ben definito in tutti i suoi aspetti principali[1]. La scelta, risultato di una saggia ponderazione, di lasciare sì un buon margine di discrezionalità agli Stati, pur pre-definendo tutti i principali elementi della riforma, appare del tutto ragionevole alla luce della vastità e dell’incisività che questa esplicherà sul mercato comune e più in generale sull’ordinamento giuridico europeo.
In questo senso, il vero passo avanti è stato compiuto proprio alla fine dello scorso anno, con l’emanazione della Direttiva del Consiglio 2022/2523 del 14 dicembre 2022 (Direttiva UE 2022/2523 del Consiglio del 14 dicembre 2022 “intesa a garantire un livello di imposizione fiscale minimo globale per i gruppi multinazionali di imprese e i gruppi nazionali su larga scala nell’Unione”), con cui la proposta della Commissione del dicembre 2021 ha trovato concretizzazione in un atto vincolante per gli Stati membri.
La scelta della Direttiva quale fonte cui consegnare questa riforma appare tutt’altro che casuale, ed anzi perfettamente coerente con l’originaria visione dell’OCSE di predisporre un sistema di regole comuni, lasciando al contempo impregiudicata la discrezionalità degli Stati nel decidere come implementarle.
Pur semi-obbligata, una scelta di questo senso deve essere salutata con grande favore. Tra le possibili alternative, la Direttiva è la più rispettosa della sovranità degli Stati: devono essere questi, da sempre particolarmente gelosi in ambito fiscale, a valutare quali siano gli strumenti giuridici interni più idonei a garantire una piena ed effettiva attuazione delle norme nell’ordinamento interno, pur nel solco di quanto prefissato dalla Direttiva. Nella stessa direzione spinge l’esigenza di far sì che siano questi a preparare il terreno per il recepimento della nuova normativa, poiché solo gli Stati possono conoscere il background normativo su cui la Riforma è destinata ad innestarsi. Non va infatti trascurata la profonda differenza che connota gli ordinamenti tributari interni all’Unione europea: accanto a Stati “virtuosi”, da sempre particolarmente sensibili alla dimensione BEPS, se ne affiancano altri molti più attenti al proprio tax appeal: giova ricordare come proprio alcuni Stati europei (Lussemburgo nel caso Amazon, Irlanda nel caso Apple, Irlanda e Olanda nel caso Google) siano stati protagonisti di quegli schemi di base erosion and profit shifting che il Pillar Two si propone di intercettare.
Da un punto di vista contenutistico, la Direttiva si rivela in larga parte aderente al “prototipo” delle GloBE Rules, differenziandosi tuttavia da queste per tre aspetti rilevanti.
Il primo, relativo all’ambito soggettivo, vede l’inclusione nell’ambito applicativo della Global Minimum Tax non solo dei gruppi multinazionali, ma anche dei gruppi “domestici” operanti esclusivamente all’interno di uno Stato membro. La ratio della disposizione si rinviene nell’esigenza di scongiurare un pregiudizio per la libertà di stabilimento (L. Debroe, M. Masant, Are the OECD/G20 Pillar Two GloBE Rules Compliant with the Fundamental Freedoms?, in EC Tax Review, 2021, 3, 86 ss.), che si verificherebbe invece nel caso in cui, a fronte di un Effective Tax Rate inferiore al 15%, la Top-up Tax potesse essere imposta solamente in capo a gruppi operanti in più Stati, e non ai gruppi che, pur sottoposti a tassazione inferiore al limite minimo, operassero invece all’interno di un unico Stato.
Il secondo, relativo alle modalità applicative, prevede che, nel caso in cui una Costituent Entity (una delle società controllate del Gruppo) sconti un Effective Tax Rate inferiore al 15%, e che quindi sia dovuta una Top-up Tax, questa possa essere riscossa direttamente dallo Stato di residenza della Costituent Entity, e non per forza - secondo la regola classica - dallo Stato di residenza della Ultimate Parent Company (la capogruppo). In questo caso, la ratio si rinviene nell’esigenza di evitare una “fuga di gettito” a danno delle giurisdizioni in cui si trovano le “low-taxed costituent entities” verso lo Stato di residenza della Capogruppo.
Il terzo, relativo invece alle conseguenze del mancato rispetto delle norme, consiste nella previsione per gli Stati membri dell’obbligo di istituire un preciso sistema sanzionatorio volto a colpire coloro che non rispettino le norme in tema di Global Minimum Tax, sia per quanto concerne la dimensione della dichiarazione che quella del prelievo.
Per quanto l’iniziativa abbia trovato ampio e sincero sostegno da parte della stragrande maggioranza degli Stati dell’Unione, non può tacersi il fatto che, almeno fino all’inizio dell’anno scorso, l’emanazione di una Direttiva quale quella di cui si discute sia stata fortemente osteggiata da alcuni Paesi, tra cui Polonia, Malta e Svezia. Se il loro veto è stato superato, non possono però essere sorpassate senza attenzione le motivazioni che in primo luogo avevano condotto a tale opposizione: la principale preoccupazione di questi Stati risiedeva infatti negli obblighi di compliance fisiologicamente scaturenti dal recepimento e dall’applicazione delle GloBE Rules negli ordinamenti interni, sia sul versante delle Amministrazioni finanziarie, sia su quello delle imprese.
Riforme così strutturate comportano infatti un radicale cambio delle “regole di gioco”, imponendo a tutti gli attori un adeguamento che è, spesso e volentieri, tanto complesso quanto costoso. In tal senso, del tutto apprezzabile deve essere ritenuta la decisione, dapprima operata in sede OCSE/G20 e poi raccolta e fatta propria anche dall’Unione europea, di ridurre quanto più possibile l’impatto dell’adozione di questo nuovo sistema. In quest’ottica si spiega la scelta di fare riferimento, ad esempio, ai principi contabili comunemente utilizzati (i c.d. GAAP, generally accepted accounting principles), o l’utilizzo delle categorie di soggetti già definite nell’ambito del Country-by-country Reporting. Nella stessa direzione si inquadrano anche le previsioni di una “De minimis exclusion” e di norme sui c.d. “safe harbours” (letteralmente, “porti franchi”): la prima è volta a far sì che i gruppi di modeste dimensioni siano esonerati da quegli obblighi di compliance che risulterebbero sproporzionatamente gravosi per loro; la seconda è invece pensata per rendere meno “traumatica” possibile l’applicazione delle nuove norme, con un approccio più lento e graduale che tenga conto delle fisiologiche difficoltà sia da parte degli attori pubblici che di quelli privati.
Tenendo a mente il termine del 1° gennaio 2024 previsto dalla Direttiva per l’entrata in vigore della Global Minimum Tax, una ricognizione sui vari stati dell’Unione può fornire uno spaccato significativo sullo stato dell’arte dell’implementazione del Pillar Two in ambito europeo.
3. Quanto al nostro Paese, una volontà forte di attuare quanto ora previsto nella Direttiva era emersa già alla fine dell’anno scorso, quando l’allora Ministro dell’Economia e delle Finanze Daniele Franco, insieme con i colleghi francese, tedesco, olandese e spagnolo, avevano dichiarato di voler procedere anche autonomamente, laddove non fosse stata raggiunta in tempi brevi l’unanimità richiesta, all’implementazione della global minimum tax “con ogni strumento giuridico possibile” (Joint Statement by France, Germany, Italy, Netherlands and Spain del 9 settembre 2022). Anche l’attuale Ministro delle Finanze Giancarlo Giorgetti, durante un’audizione svoltasi lo scorso 7 dicembre, ha ribadito come permanga tale volontà, prevedendo l’adozione delle misure legislative necessarie nell’ambito della prossima legge di bilancio.
Il vero passo in avanti è stato però compiuto con l’approvazione della Legge Delega al Governo per la riforma fiscale (Legge 9 agosto 2023, n. 111), che all’art. 3, comma 1, lett. 3 espressamente prevede di “recepire la direttiva (UE) 2022/2523 del Consiglio, del 14 dicembre 2022, seguendo altresì l’approccio comune condiviso a livello internazionale in base alla guida tecnica dell’OCSE sull’imposizione minima globale”, attraverso la previsione di un’imposta minima globale, corredata da un adeguato sistema sanzionatorio volto a prevenire e reprimere eventuali inadempimenti.
Da ultimo, lo scorso 11 settembre è stato pubblicato sul sito del Ministero delle Finanze uno schema di decreto legislativo di recepimento della Direttiva del Consiglio, sottoposto a consultazione pubblica fino al 1° ottobre 2023. Tre aspetti significativi meritano di essere segnalati.
Il primo consiste nell’assoluta aderenza con cui lo schema ricalca il prototipo delineato dalla Direttiva: è prevista una Income Inclusion Rule, definita “imposta minima integrativa”, una Undertaxed Profit Rule, definita “imposta minima suppletiva”, ed anche una Qualified Domestic Minimum Top Up Tax, definita “imposta minima nazionale”, un regime di Penalty Relief e un sistema sanzionatorio appropriato, senza sostanziali modifiche al testo originario, né a livello di formale, né contenutistico.
Il secondo consiste nella scelta di delegare alla normativa secondaria, e nello specifico ai Decreti del Ministero delle Finanze, sia la definizione della disciplina tecnica di attuazione della Global Minimum Tax, che la precisazione dei contenuti del Commentario e delle Guide Amministrative OCSE, che costituiranno, secondo quanto espressamente previsto dall’art. 2 dello schema, metro di interpretazione e di applicazione delle norme previste nel decreto.
Il terzo, infine, consiste in una serie di accorgimenti volti a contenere e minimizzare l’impatto fisiologicamente causato dal recepimento di una normativa così tecnica e complessa: dal mantenimento della stessa struttura e numerazione degli articoli della Direttiva, alla scelta per la traslitterazione dei numerosi anglicismi tecnici nei loro corrispondenti italiani; dal richiamo, sul versante sanzionatorio, alle norme attualmente vigenti in materia, alla decisione di prevedere sanzioni meno gravi per le violazioni commesse nel primo periodo di applicazione delle norme.
4. Seppur sorprendentemente, in considerazione del suo ruolo di protagonista nella corsa al tax appeal al cui contrasto il Pillar Two è volto, proprio i Paesi Bassi sono stati tra i primi paesi ad essersi mossi attivamente per il recepimento della direttiva nel proprio ordinamento interno. La bozza legislativa attualmente sottoposta al vaglio del legislatore olandese, pubblicata lo scorso 31 maggio e di cui si prevede un’entrata in vigore il 31 dicembre 2023, sembra replicare fedelmente la struttura delle GloBE Rules delineate in sede OCSE, prevedendo una Income Inclusion Rule - la cui entrata in vigore è prevista per il 1° gennaio 2024 -, una Qualified Domestic Minimum Top-up Tax, i “porti sicuri” transitori e permanente - in linea con quanto previsto dal documento OCSE dello scorso dicembre (OECD (2022), Safe Harbours and Penalty Relief: Global Anti-Base Erosion Rules (Pillar Two), OECD/G20 Inclusive Framework on BEPS, OECD, Paris) - e un sistema sanzionatorio efficace in linea con quanto specificamente prescritto dalla Direttiva.
Un approccio di segno non difforme è stato adottato anche in Germania: risale allo scorso 20 marzo 2023 la pubblicazione, da parte del Ministero delle Finanze, di un disegno di legge che, di fatto, riprende il modello delineato prima in sede OCSE e poi condensato nella Direttiva. Se non sorprende la previsione di una Qualified Domestic Minimum Top-up Tax, spicca invece la scelta di prevedere un più articolato sistema di safe-harbours, predisposto evidentemente nel ragionevole timore che la complessità delle nuove regole possa rendere difficoltosa non tanto l’implementazione delle norme, quanto la loro applicazione ed il loro rispetto da parte dell’amministrazione finanziaria e delle imprese rispettivamente.
Similmente, senza differenze sostanziali, può dirsi della Francia e della Spagna, che già da prima dell’adozione della Direttiva si erano mostrate ampiamente favorevoli all’istituzione di una global minimum tax: la prima conta di recepire la Direttiva nella prossima Legge di Bilancio; la seconda, invece, si è limitata, almeno per ora, ad indire una consultazione pubblica per stimolare la partecipazione di tutti gli stakeholders.
Anche in Irlanda, da sempre particolarmente sensibile al tema, si sono registrati notevoli passi in avanti: secondo il Feedback Statement pubblicato assieme ad un disegno di legge lo scorso 27 luglio, il recepimento della direttiva è previsto per l’autunno 2023 all’interno della prossima Legge di Bilancio.
In ogni caso, deve darsi conto di come analoghe iniziative legislative siano state recentemente intraprese nella maggior parte degli Stati membri dell’Unione, con l’obiettivo di assicurare un’effettiva entrata in vigore della Income Inclusione Rule a partire dal 1° gennaio 2024, secondo quanto previsto dalla Direttiva.
5. Al di fuori dell’Unione Europea, invece, molto più modeste e timide appaiono le iniziative intraprese negli scorsi mesi negli Stati Uniti, che si sono limitati ad affrontare superficialmente ed indirettamente l’argomento. In verità, già lo scorso agosto il Congresso aveva approvato l’Inflaction Reduction Act of 2022, con cui era stata prevista una nuova “corporate minimum tax”, con aliquota pari proprio al 15%, su alcuni gruppi multinazionali. Nel Fiscal Year 2024 Budget, pubblicato lo scorso 9 marzo insieme con le General Explanations of the Administration’s Fiscal Year 2024 Revenue Proposals (il c.d. Green Book), l’Amministrazione di Biden ha voluto dare un impulso positivo verso il recepimento delle GloBE Rules, principalmente attraverso l’innalzamento del corporate tax rate dal 21% al 28% e dell’aliquota sui ricavi esteri delle multinazionali americane dal 10,5% al 21%. Al di là dell’intenzione positiva dell’attuale Amministrazione, una feroce opposizione è sorta tra le file dei Repubblicani, ed in particolare del Ways and Means Committee, competente in materia di scelte legislative in materia fiscale.
Lo scorso 25 maggio il Committee ha introdotto il Defending American Jobs and Investment Act, “to prevent President Biden’s global tax surrender from killing American jobs, surrendering sovereignty over our tax code, and handing a competitive advantage to the Chinese Communist Party. The bill creates a reciprocal tax applicable to any foreign country that imposes unfair taxes on U.S. businesses and workers under the Organization for Economic Co-operation and Development (OECD)’s global tax deal” (Ways and Means Republicans Introduce Bill to Combat Biden’s Global Tax Surrender, press release, 25 maggio 2023). Appare evidente quindi l’opposizione alla Two Pillar Solution, ed in particolare a tutte quelle misure che possano finire per ridimensionare la potestà impositiva degli Stati Uniti a favore di altri Stati: sulla base di questo provvedimento il Dipartimento del Tesoro sarebbe incaricato di identificare “imposte extraterritoriali” ed “imposte discriminatorie” imposte da Stati esteri a danno delle imprese americane, “come la sovrattassa UTPR”. Senza scendere nei dettagli, si comprende agevolmente come la posizione degli Stati Uniti nei confronti della Two Pillar Solution, ed in particolar modo della global minimum tax, sia ancora altalenante, e fortemente dettata da preoccupazioni legate ad una potenziale perdita di competitività nel panorama internazionale.
6. Al di fuori dell’Unione Europea e degli Stati Uniti, un segnale senz’altro positivo giunge da alcuni Stati che hanno già provveduto a recepire negli ordinamenti interni la global minimum tax, quantomeno relativamente ai suoi componenti essenziali.
Il Regno Unito, ad esempio, con il Finance Act 2023 dello scorso 11 luglio, ha introdotto nel proprio sistema una Income Inclusion Rule, chiamata “multinational top-up tax”, e una Qualified Domestic Minimum Top-up Tax, chiamata “domestic top-up tax”, destinate a trovare applicazione a partire dal 1° gennaio 2024. In occasione del “Legislation Day”, tenutosi il 18 luglio, l’esecutivo ha colto l’occasione per formulare alcune proposte da includere nel Finance Bill 2024, e relative alla possibilità di prevedere anche una Undertaxed Profit Rule a partire dal 2025.
Similmente può dirsi del Giappone, in cui la Income Inclusion Rule, che di fatto costituisce la componente più importante delle GloBE Rules, è già stata introdotta attraverso la Riforma Fiscale entrata in vigore lo scorso 1° aprile. L’intervento legislativo contenuto nella riforma ricalca di fatto il modello predisposto a livello OCSE, con l’intenzione di procedere ad una futura implementazione della Undertaxed Profit Rule e di una Qualified Domestic Minimum Top-Up Tax, con tutta probabilità a partire già dalla prossima riforma, prevista per aprile 2025.
Allo stesso modo, anche la Corea del Sud ha già proceduto a recepire le GloBE Rules nel proprio ordinamento interno, per mezzo della Law for Coordination of International Tax Affairs (c.d. LCITA) approvata dal Parlamento coreano lo scorso 23 dicembre 2022. Al fine di assicurare la coerenza delle proprie scelte con quelle degli altri Stati, il Governo coreano si è riservato di apportare eventuali futuri emendamenti alla legge di recepimento. Accanto ad una Income Inclusion Rule e ad una Undertaxed Profit Rule in vigore a partire dal prossimo 1° gennaio, ancora nulla è stato deciso circa l’opportunità di introdurre, secondo lo schema seguito dalla quasi totalità degli Stati, una Qualified Domestic Minimum Top-Up Tax.
Attualmente, anche il Qatar e le Isole Mauritius hanno già concretamente introdotto nei loro rispettivi ordinamenti almeno una Income Inclusion Rule; sulla stessa via si collocano anche altri paesi, europei e non, quali Canada, Lussemburgo, Svizzera, Nuova Zelanda, Norvegia, Svezia, Finlandia, che hanno già realizzato quantomeno una bozza di legge, verosimilmente destinata ad essere sottoposta al voto dei rispettivi organi legislativi nel prossimo autunno. Con più lentezza, ma nella medesima direzione, si posizionano invece Australia, Belgio, Bulgaria, Hong Kong, Singapore, Sud Africa e gli Emirati Arabi Uniti, che almeno per ora si sono limitati a dichiarare la propria volontà di implementare le GloBE Rules già a partire dal 2024, secondo quanto previsto anche dalla Direttiva e dalle legislazioni già vigenti. Tra i pochi Stati a non aver ancora preso una posizione precisa si contano, invece, Israele, Islanda, Arabia Saudita, Ucraina, Turchia e Messico, insieme a pochi altri.
7. Da questa sommaria ricognizione si osserva come la risposta degli Stati al Pillar Two sia stata tendenzialmente positiva, pur delineandosi uno scenario caratterizzato da diverse modalità e velocità d’azione. Nonostante infatti la tendenziale prudenza con cui gli Stati si sono mossi nell’implementazione delle nuove regole, sembrano sopravvivere alcune preoccupazioni, in particolar modo con riferimento al rischio di pregiudicare la propria competitività fiscale sul piano internazionale e al sistema degli incentivi fiscali.
È quest’ultimo a meritare una particolare attenzione, anche alla luce di quello che sono le caratteristiche tipiche degli incentivi fiscali nel nostro ordinamento e dei rischi che potrebbero porsi con l’attuazione delle GloBE Rules in Italia. La loro compatibilità con la nuova normativa rappresenta infatti un significativo problema applicativo, giacché il meccanismo della global minimum tax, per come strutturata, rischia di vanificare completamente gli effetti di alcuni incentivi fiscali. Se il nostro Paese, da una parte, già impone sui redditi dei gruppi multinazionali un’aliquota pari al 24%, l’effective tax rate sulla cui base viene determinata la debenza di una top-up tax tiene in considerazione anche proprio gli incentivi fiscali, che in taluni casi possono finire per portare l’imposizione effettiva al di sotto del limite del 15%.
Più nello specifico, dalla natura e dalle peculiari caratteristiche dell’incentivo (ad esempio, nel caso in cui sia considerato “Qualified Refundable Tax Credit” o “Non-Qualified Refundable Tax Credit”, oppure nel caso in cui consista in una deduzione, o ancora laddove sia strutturato come una diminuzione meramente temporanea della base imponibile) dipende una maggiore o minore incidenza dello stesso sul calcolo dell’effective tax rate.
Laddove un’effective tax rate sotto-soglia innescasse il meccanismo della global minimum tax, la debenza di una top-up tax non solo neutralizzerebbe l’incentivo, vanificandone parzialmente o totalmente gli effetti, ma finirebbe per consistere in uno spostamento di denaro dalle casse dello Stato - che concede l’incentivo - a quelle dello Stato diverso che concretamente riscuote la Top-Up Tax. È alla luce di questa riflessione che deve essere a maggior ragione apprezzato il riferimento operato, nell’ambito dell’art. 9, comma 1, lett. g) della Legge Delega al Governo per la riforma fiscale, alla revisione e alla razionalizzazione del sistema degli incentivi fiscali, che dovranno essere effettuate proprio tenendo conto di quanto previsto dalla Direttiva 2022/2523.
8. Una considerazione finale può essere tratta da questo scenario. È verosimile che alla data – invero ambiziosa – prevista dalle GloBE Rules e fatta poi propria dalla Direttiva, ed indicata nel 1° gennaio 2024, solamente pochi Stati possano aver già effettivamente recepito le nuove regole, in particolare alla luce della loro straordinaria complessità tecnica. Non è infatti un caso che anche gli Stati che attualmente hanno già implementato – o che implementeranno a breve - la Global Minimum Tax, si siano voluti riservare la facoltà di poter tornare sui loro passi, per poter apportare eventuali modifiche e correttivi anche alla luce delle esperienze degli altri Paesi. Tutto ciò a maggior ragione, ove si consideri come la vera sfida posta da iniziative di questo tipo risiede non solo e non tanto nel recepire la normativa sic et simpliciter, quanto, piuttosto, nell’assicurarsi che l’intero impianto normativo previgente sia coerente con la nuova normativa, onde prevenire contrasti normativi ed ulteriori difficoltà applicative.
È sulla base di questo ragionamento che è opportuno domandarsi se la scelta dell’Unione Europa di imporre, sin da ora, il recepimento della Global Minimum Tax agli Stati dell’Unione, conferendo pertanto vincolatività ad un progetto originariamente condensato in atti di soft law, si presenti – in prospettiva futura – come una scelta vincente o meno.
Ciò tanto più, ove si consideri come la Direttiva 2022/2523 non si sia limitata a riprodurre pedissequamente il contenuto originale delle GloBE Rules, introducendo invece elementi di novità – prima tra tutti l’applicabilità della nuova normativa anche ai gruppi “non multinazionali”, cioè puramente interni – che, pur rendendo più efficace e coerente il sistema nel suo complesso, rischiano, almeno in un primo momento, di pregiudicare gravemente la competitività fiscale degli Stati membri rispetto agli Stati extra-UE. L’esempio non è casuale: laddove la gran parte degli Stati extra-UE si decida nel senso di non prevedere un’analoga disposizione, molte imprese europee potrebbero decidere di ricollocarsi in questi Stati onde vedersi non applicata la normativa della Global Minimum Tax.
Proprio in scenari di questo tipo risiede la causa di quei timori e di quelle tensioni che, emersi per la prima volta già in occasione dei lavori OCSE, si sono ripresentanti e continuano a ripresentarsi attualmente. Rimane quindi da chiedersi se queste ritrosie – se, più in generale, i diversi atteggiamenti degli Stati di fronte all’implementazione della Global Minimum Tax - possano costituire o meno un ostacolo alla piena realizzazione di un sistema che trova la sua condizione necessaria proprio nel carattere globale dell’accordo che sta alla sua base, e che anzi perde senso e forza proprio nella misura in cui qualcuno voglia discostarsi da quanto originariamente stabilito.
Facendo un passo indietro, si deve ammettere come il sol fatto di essersi decisi nel segno di un’iniziativa condivisa e comune rappresenti un progresso notevolissimo rispetto alla passata tendenza ad approntare soluzioni provvisorie ed unilateriali, che non solo non hanno minimamente attenuati quei fenomeni di base erosion and profit shifting di cui si è detto, ma che, anzi, hanno al contrario contribuito ad aggravarli (sul punto, R. Cordeiro Guerra, Il caso Netflix, la tassazione dell’economia digitale tra habeas corpus e significativa presenza digitale, in Rassegna Tributaria, 3, 2022, pp. 617 ss.; F. Amatucci, La sovranità fiscale nazionale, Torino, 2022, 24 ss.; R. de la Feria, Pillar 2, Fiat and the EU Unanimity Rule on Tax Matter, EC Tax Review 1, 2023, pag. 2).
D’altra parte, quella del concepire la fiscalità come un fenomeno tipicamente interno è una prospettiva che gli Stati, di fronte a fenomeni che trascendono i confini nazionali, non possono più permettersi: mentre in settori giuridici prettamente “interni” la predisposizione, a livello globale, di discipline anche radicalmente differenti non solo non rappresenta un problema, ma anzi è il sano indice della diversità di tradizioni giuridiche originali, la mancanza di coordinazione rappresenta un’assoluta criticità nell’ambito di settori caratterizzati da un’intrinseca dimensione internazionale. È in questa visione che si può finalmente guardare al coordinamento ed alla collaborazione tra i soggetti internazionali non più come limitazioni alla sovranità fiscale, quanto, al contrario, come strumenti atti ad assicurarla e preservarla in un momento storico in cui questa non può più prescindere dai rapporti sovranazionali tra gli Stati.