argomento: Sanzioni e contenzioso - Legislazione e prassi
Il presente contributo si propone l’obiettivo di analizzare il tema della notificazione della rendita catastale e dell’emanazione dell’avviso di accertamento, in assenza di notificazione dell’atto presupposto, esaminando i vizi dell’atto impositivo e i connessi profili processuali.
PAROLE CHIAVE: rendita catastale; avviso di accertamento; notificazione di atti tributari; imposta municipale unica; onere della prova
di Riccardo Lancia
1. L’art. 74, comma 1, della legge 21 novembre 2000, n. 342, dispone che, a decorrere dal 1° gennaio 2000, gli atti comunque attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, a cura dell’Ufficio del territorio competente (oggi, Agenzia delle Entrate), ai soggetti intestatari della partita (sul punto, si veda, senza pretesa di completezza, Piciocchi – Gambino, L’imposta comunale sugli immobili e la nuova imposta municipale propria, in prat. trib., n. 3/2013, 567 ss.; Targhini, L’arcaica e asistematica catastizzazione della ricchezza immobiliare, in Dir. prat. trib., n. 1/2023, 256 ss.; Salinitro, Atti di revisione catastale: il termine per impugnare decorre dalla pubblicazione su Internet - Il ricorso avverso gli atti amministrativi catastali tra termine per l’impugnazione e legittimazione delle associazioni dei consumatore, in GT - Riv. giur. trib., n. 4/2019, p. 302 ss.; Capolupo, La posizione processuale dei Comuni in materia catastale, in Fisco, n. 23/2017, p. 246 ss.; Gallio, Gli avvisi di accertamento attributivi o modificativi di rendite catastali vanno notificati agli eredi del de cuius, in Fisco, n. 30/2021, 2974 ss.). In punto di interpretazione di tale norma, la Suprema Corte di Cassazione ha chiarito che è “impossibile utilizzare una rendita prima della sua notifica, al fine di individuare la base imponibile dell’ICI, ma non esclude affatto l’utilizzabilità della rendita medesima, una volta notificata, ai fini impositivi anche per annualità d’imposta sospese, ovverosia suscettibili di accertamento e/o liquidazione e/o di rimborso” (cfr. Cass., S.U., 9 febbraio 2011, n. 3160; Cass., S.U., 15 febbraio 2011, n. 3666; Cass., Sez. V, 9 giugno 2017, n. 14402). Questo indirizzo espressamente riferito all’imposta comunale sugli immobili (“ICI”) può estendersi anche all’imposta municipale unica (“IMU”), in quanto, a fronte dell’assenza di diversità rilevanti fra i due tributi, non si dubita che le indicazioni già fornite dalla dottrina e giurisprudenza con riferimento all’ICI rilevino anche ai fini dell’IMU (cfr. Girelli, Dubbi in materia di base imponibile IMU, in Dir. prat. trib., n. 3/2017, 1004 ss.; Corrado Oliva, Evoluzione e combinazione di imposizione reddituale e patrimoniale sugli immobili - Alcune osservazioni su loro coerenza e legittimità costituzionale, in Dir. prat. trib., n. 3/2013, 623 ss.; Lancia, La soggettività passiva tributaria del coniuge, ai fini Ici, non scompare a seguito della separazione consensuale, in Familia, supplemento online, 2022, 9; Capolupo, Imposta municipale propria (Imu): soggettività passiva e presupposto oggettivo, in Fisco, n. 29/2011, 4687 ss.).
Sebbene l’atto attributivo o modificativo della rendita catastale non abbia natura costitutiva, bensì dichiarativa, la notificazione degli atti attributivi o modificativi delle rendite catastali, ai sensi dell’art. 74, comma 1, della legge n. 342/2000, configura condizione di efficacia degli atti impositivi fondati sulla rendita stessa (cfr. Cass., Sez. VI, 21 febbraio 2020, n. 4587; Cass., Sez. V, 15 giugno 2016, n. 12320). Pertanto, la notificazione della rendita catastale attribuita costituisce il presupposto per il relativo utilizzo da parte dell’Amministrazione comunale che agisca per il pagamento di una maggiore IMU da parte del contribuente (cfr. Cass., Sez. V, 29 settembre 2021, n. 26347).
Di recente, l’Amministrazione finanziaria ha precisato che la notifica del provvedimento attributivo o modificativo della rendita catastale assolve ad una funzione meramente accertativa della concreta situazione catastale dell’immobile, per cui occorre differenziare due situazioni fra loro distinte in caso di attribuzione o modifica della rendita catastale: l’efficacia della rendita catastale e l’utilizzabilità della medesima rendita catastale. Nel primo caso è coincidente con la data di notificazione dell’atto attributivo della rendita, mentre nel secondo con il momento a partire dal quale l’ente impositore può applicare la nuova rendita ai fini della determinazione dei tributi per le annualità di imposta non definite (cfr. Agenzia delle Entrate, circolare 17 marzo 2022, n. 7/E, 7).
2. In ipotesi di insaturazione della procedura di aggiornamento “DOcumenti Catasto FAbbricati” (c.d. “DOCFA”) da parte del contribuente al fine di dare luogo ad una rettifica del valore della rendita catastale, l’Amministrazione finanziaria ha precisato che l’art. 74, comma 1, della legge n. 342/2000 non si applica agli atti impositivi riferiti alle rendite proposte sulla base della suddetta procedura DOCFA (cfr. Ministero delle Finanze, circolare 13 marzo 2001, n. 4/FL, 1; CGT di II Grado del Lazio, Sez. IX, 23 novembre 2022, n. 5358). Tale indirizzo di prassi si fonderebbe sull’idea che le rendite catastali, essendo iscritte in catasto sulla base di dichiarazione di parte, sarebbero conosciute dal dichiarante senza necessitare di alcuna notificazione. Invero, la peculiarità della procedura DOCFA è proprio quella di essere funzionale a rendere più rapida la formazione del catasto (ovvero il suo aggiornamento), attribuendo alle dichiarazioni presentate dai contribuenti la funzione di “rendita proposta” fino a quando l’Ufficio non provvede alla determinazione della rendita definitiva (cfr. Cass., Sez. V, 20 dicembre 2019, n. 34246; Cass., Sez. V, 2 dicembre 2022, n. 35579; Cass., Sez. V, 21 agosto 2007, n. 17818; Cass., Sez. V, 27 ottobre 2009, n. 22690).
Di recente, l’Agenzia delle Entrate è tornata sul tema e, sebbene non si sia pronunciata, expressis verbis, nuovamente sull’applicabilità dell’art. 74, comma 1, della legge n. 342/2000 alla procedura DOCFA, ha citato tale norma nella circolare n. 7E del 2022, chiarendo che si interpreta “nel senso che dalla notifica decorre il termine per l’impugnazione dell’atto attributivo o modificativo, ma ciò non esclude l’applicabilità della rendita anche al periodo precedente, stante la natura dichiarativa e non costitutiva dell’atto attributivo della rendita” (cfr. Agenzia delle Entrate, circolare n. 7/E del 2022, cit., 9. Similia, Cass., Sez. V, 2 dicembre 2022, n. 35579; Cass., Sez. V, 11 aprile 2019, n. 10126 ; Cass., Sez. VI, 22 gennaio 2018, n. 1472).
In dettaglio, l’art. 1, comma 2, del D.M. 19 aprile 1994, n. 701, dispone che le dichiarazioni di variazione della rendita castale sono sottoscritte da uno dei soggetti che ha la titolarità di diritti reali sui beni denunciati, e dal tecnico redattore degli atti grafici di cui sia prevista l’allegazione e contengono dati e notizie tali da consentire l’iscrizione in catasto con attribuzione di rendita catastale, senza visita di sopralluogo. Il dichiarante propone anche l’attribuzione della categoria, classe e relativa rendita catastale, per le unità a destinazione ordinaria, o l’attribuzione della categoria e della rendita, per le unità a destinazione speciale o particolare.
Ai sensi dell’art. 1, comma 3, del D.M. n. 701/94, la rendita, oggetto di richiesta di variazione, rimane negli atti catastali come “rendita proposta” fino a quando l’Agenzia delle Entrate non provvede, comunque, entro dodici mesi dalla data di presentazione della richiesta di variazione alla determinazione della rendita catastale definitiva. In base alla consolidata giurisprudenza di legittimità, il suddetto termine non avrebbe natura perentoria, a causa sia della mancanza della previsione di una specifica sanzione che del contrasto con la funzione attribuita all’accertamento della rendita (cfr. Cass., Sez. V, 20 dicembre 2019, n. 34246; Cass., Sez. V, 11 febbraio 2015, n. 2617 ; Cass., Sez. V, 31 marzo 2011, n. 7392; Cass., Sez. V, 31 marzo 2011, n. 7380; Cass., Sez. V, 21 luglio 2006, n. 16824). D’altro canto, l’Amministrazione finanziaria ha avallato tale indirizzo giurisprudenziale, precisando che il decorso del termine di un anno previsto per la determinazione della rendita catastale definitiva, non comporta la decadenza dal potere di verifica (cfr. Agenzia delle Entrate, circolare n. 7/E del 2022, cit., 6).
Nell’ipotesi in cui il contribuente si sia avvalso della procedura DOCFA, il principio della superfluità della notifica della rendita catastale utilizzata per la determinazione del tributo non trova applicazione ove il Comune, nell’emettere l’atto impositivo, proceda sulla base di una rendita diversa da quella proposta dal contribuente e, in tal caso, l’atto di attribuzione della rendita deve essere preventivamente notificato allo stesso (cfr. Cass., Sez. VI, 28 ottobre 2022, n. 31900; Cass., Sez. V, 20 marzo 2019, n. 7801).
3. La giurisprudenza di legittimità, a più riprese, ha segnalato che la rendita catastale deve riflettere il reale stato dell’immobile e l’eventuale rettifica della stessa si applica al contribuente dal momento della variazione dello stato dei luoghi. In base agli insegnamenti della Suprema Corte, infatti, la “determinazione della base imponibile, […], va sempre effettuata, anche per le annualità pregresse, in base alla rendita catastale, a prescindere dall’epoca di notificazione o di definitiva attribuzione e ciò in quanto gli atti attributivi della rendita sono privi di forza costitutiva, ma hanno funzione meramente accertativa della concreta situazione catastale dell’immobile” (cfr. Cass., Sez. V, 9 giugno 2017, n. 14402; Cass., Sez. V, 28 febbraio 2018, n. 4613; Cass., Sez. V, 2 marzo 2018, n. 4971; Cass., Sez. V, 11 giugno 2021, n. 16679; Cass., Sez. V, 22 marzo 2022, n. 9189 ; Cass., Sez. V, 22 marzo 2022, n. 9190; Cass., Sez. V, 2 dicembre 2022, n. 35579).
Il provvedimento attributivo o modificativo della rendita catastale di un immobile è un atto tributario che inerisce al bene che ne costituisce l’oggetto, secondo una prospettiva di tipo “reale”, riferita alle caratteristiche oggettive (costruttive e tipologiche in genere), che costituiscono il nucleo sostanziale della c.d. “destinazione ordinaria” del bene stesso. Di talché, “l’idoneità del bene a produrre ricchezza va ricondotta, prioritariamente, non al concreto uso che di esso venga fatto, ma alla sua destinazione funzionale e produttiva, che va accertata in riferimento alle potenzialità d’utilizzo purché non in contrasto con la disciplina urbanistica” (cfr. Cass., Sez. V, 31 agosto 2022, n. 25573; Cass., Sez. V, 30 aprile 2015, n. 8773; Cass., Sez. V, 10 giugno 2015, n. 12025; Cass., Sez. V, 19 dicembre 2019, n. 34002; Cass., Sez. VI, 3 luglio 2020, n. 13666; Cass., Sez. V, 14 ottobre 2020, n. 22166; Cass., Sez. VI, 16 novembre 2020, n. 25992; Cass., Sez. V, 2 febbraio 2021, n. 2249; Cass., Sez. V, 2 luglio 2021, n. 18842; Cass., Sez. V, 9 novembre 2021, n. 32868). Pertanto, in relazione al classamento degli immobili, occorre guardare alle caratteristiche strutturali dell’immobile stesso (e non alla condizione del proprietario ed al concreto uso che questi ne faccia).
Con riguardo, poi, all’applicazione della rendita catastale, in linea con la natura “reale” del provvedimento attributivo o modificativo della stessa, “l’“applicabilità” [della rendita catastale] va riferita […] all’epoca della variazione materiale che ha portato alla modifica, risultante dalla data della denuncia del contribuente” (cfr. Cass., Sez. V, 7 marzo 2023, n. 6841; Cass., Sez. V, 30 dicembre 2020, n. 29898; Cass., Sez. VI, 29 maggio 2020, n. 10312; Cass., Sez. V, 28 febbraio 2018, n. 4613). La ratio di tale indirizzo giurisprudenziale si ravvisa nella circostanza che solo il “mutamento” della consistenza immobiliare può assurgere a parametro in grado di legittimare la variazione della rendita catastale in cui si concreta il riclassamento (cfr. Cass., Sez. V, 25 novembre 2021, n. 36758).
4. Sennonché, talvolta, nella prassi operativa accade che il Comune effettui la ripresa a tassazione ai fini IMU avvalendosi della nuova rendita catastale, ma senza che vi sia stata la preventiva notifica, da parte dell’Agenzia delle Entrate, del provvedimento attributivo o modificativo della rendita catastale al contribuente.
Al riguardo, l’art. 19, comma 1, lett. f), del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, qualifica come atti autonomamente impugnabili gli atti relativi alle operazioni catastali indicate all’art. 2, comma 2, del D.Lgs. n. 546/92, fra le quali, rientra l’atto attributivo o modificativo della rendita catastale (in argomento, Basilavecchia, Funzione impositiva e forme di tutela, Torino, 2013, 48 ss.; Id., Accertamento e revisione catastale tra giudice tributario e giudice amministrativo - Giurisdizione amministrativa su atti catastali generali, in GT - Riv. giur. trib., n. 9/2016, 649 ss.; Kostner, Gli atti autonomamente impugnabili nel processo tributario: crisi del principio di tassatività?, in Riv. trim. dir. trib., n. 4/2016, 865 ss.). Sicché, la mancata notificazione di quest’ultimo atto, alla stregua dell’omessa notifica di qualsiasi altro atto tributario prodromico ad atti successivi, delinea il configurarsi di un vizio proprio di carattere procedurale dell’atto successivo.
Il vizio procedurale, incidendo sulla sequenza procedimentale stabilita dalla legge a garanzia del contribuente, determina l’illegittimità dell’intero processo di formazione della pretesa tributaria, la cui correttezza dovrebbe, invece, essere assicurata mediante il rispetto dell’ordinato progredire delle notificazioni degli atti. Ciò in quanto ciascun atto è destinato, con diversa e specifica funzione, a portare la pretesa nella sfera di conoscenza del contribuente, rendendo possibile per quest’ultimo un efficace esercizio del diritto di difesa, ai sensi dell’art. 24 Cost. (cfr. Cass., Sez. V, 28 gennaio 2010, n. 1854; Cass., Sez. VI, 18 febbraio 2020, n. 3955; Cass., Sez. V, 23 dicembre 2020, n. 29393; Cass., Sez. V, 18 maggio 2021, n. 13350; Cass., Sez. V, 2 novembre 2022, n. 32263; CTR del Lazio, Sez. II, 22 marzo 2012, n. 72; CTP di Catania, Sez. XVI, 5 dicembre 2014, n. 9959; CTR della Sicilia, Sez. VIII, 19 gennaio 2017, n. 121; CTP di Palermo, Sez. III, 3 febbraio 2017, n. 798; CTP di Napoli, Sez. XXIV, 5 luglio 2022, n. 7138; CGT di I Grado di Lecce, Sez. III, 24 gennaio 2023, n. 77).
In ipotesi di concatenazione di atti tributari di cui l’uno rappresenta il presupposto dell’altro, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione ritengono che “l’impugnazione di atti prodromici non notificati unitamente agli atti successivi prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, deve ritenersi costituire una facoltà concessa al contribuente, non un obbligo, senza che il mancato esercizio di tale facoltà tolga al contribuente la possibilità di impugnare l’atto notificatogli per vizio proprio, tale dovendosi ritenere anche la mancata notifica dell’atto ad esso prodromico” (cfr. Cass., S.U., 25 luglio 2007, n. 16412; Cass., Sez. V, 25 agosto 2008, n. 1652). Pertanto, la mancata notifica dell’atto prodromico configura un vizio proprio dell’atto successivo da cui deriva la nullità del medesimo atto successivo (cfr. Cass., Sez. V, 7 maggio 2014, n. 9762; Cass., Sez. V, 4 aprile 2018, n. 8295; Cass., Sez. VI, 28 gennaio 2022, n. 2642), a causa dell’inesistenza (per difetto di notifica) di un valido titolo sottostante (cfr. Cass., Sez. V, 25 agosto 2008, n. 1652; CTP di Napoli, Sez. XXII, 5 gennaio 2022, n. 120; CGT di I Grado di Caltanissetta, Sez. I, 25 novembre 2022, n. 605; CGT di I Grado di Taranto, Sez. III, 23 marzo 2023, n. 279).
5. Qualora il Comune notifichi l’avviso di accertamento in assenza della preventiva notificazione da parte dell’Agenzia delle Entrate dell’atto attributivo o modificativo della rendita catastale, il contribuente può impugnare unitamente all’avviso di accertamento anche l’atto afferente alla rendita catastale mai notificato dall’Ufficio, ai sensi dell’art. 19, comma 3, del D.Lgs. n. 546/92, secondo lo schema della c.d. “impugnazione differita” (sul punto, si veda, senza pretesa di completezza, Glendi, Impugnazione dell’atto presupposto non notificato cumulativamente all’atto consequenziale ritualmente notificato, in GT - Riv. giur. trib., n. 4/2001, 353 ss.; Randazzo, Le problematiche di giurisdizione nei casi di riscossione tributaria non preceduta dall’avviso di mora, in dir. trib., n. 2/2003, 916 ss.; Cané, Processo tributario - Sulla impugnabilità, nel processo tributario, di atti non notificati, in Giur. it., n. 9/2016, 1983 ss.).
In ipotesi di omessa notifica di un atto presupposto da cui derivi un vizio procedurale comportante la nullità dell’atto successivo notificato, ben tre Sezioni Unite della Corte di hanno precisato che la nullità può essere fatta valere dal contribuente mediante la “scelta, consentita dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, di impugnare solo l’atto consequenziale notificatogli […], facendo valere il vizio derivante dall’omessa notifica dell’atto presupposto, o di impugnare cumulativamente anche quello presupposto […] non notificato, facendo valere i vizi che inficiano quest’ultimo, per contestare radicalmente la pretesa tributaria spetterà al giudice di merito, interpretando la domanda, verificare la scelta compiuta dal contribuente, con la conseguenza che, nel primo caso, dovrà verificare solo la sussistenza o meno del difetto di notifica al fine di pronunciarsi sulla nullità dell’atto consequenziale (con eventuale estinzione della pretesa tributaria a seconda se i termini di decadenza siano o meno decorsi), nel secondo la pronuncia dovrà riguardare l’esistenza, o no, di tale pretesa” (cfr. Cass., S.U., 15 aprile 2021, n. 10012, in consolidamento di Cass., S.U., 4 marzo 2008, n. 5791, e Cass., S.U., 25 luglio 2007, n. 16412). Altrimenti detto, l’art. 19, comma 3, del D.Lgs. n. 546/92 non obbliga il contribuente “ad impugnare l’atto presupposto che, in quanto non notificato, neppure può divenire “definitivo”, potendo bastare al contribuente, semplicemente, di far cadere la liquidazione della maggiore imposta, impugnandola nei confronti del solo ente impositore, estraneo al diverso rapporto avente ad oggetto l’attribuzione della rendita catastale” (cfr. Cass., Sez. V, 11 maggio 2017, nn. 11681 e 11682).
6. Si potrebbe, però, porre il problema dell’individuazione dei soggetti che partecipano al giudizio, in quanto l’ente impositore è tenuto per legge ad applicare l’IMU unicamente sulla base della rendita catastale, che costituisce il presupposto necessario per l’imposizione fiscale. Il contribuente, in sede di impugnazione dell’avviso di accertamento emesso dal Comune relativo all’IMU, non può proporre doglianze relative alla determinazione della rendita catastale, che avrebbero dovuto essere proposte in diversa causa (pregiudiziale) e con diverso legittimato passivo (e., l’Agenzia dell’Entrate; sul punto, Cass., Sez. V, 9 luglio 2010, n. 16215; CTR dell’Emilia-Romagna, Sez. VIII, 28 giugno 2022, n. 809).
L’atto impositivo, ove sono riportati i dati di classificazione dell’immobile (i.e., classe, consistenza e rendita attribuita in relazione a tali elementi), è sufficiente a consentire al contribuente, che individui un errore di classificazione del proprio immobile ovvero che ritenga insussistenti i requisiti per la variazione catastale, di effettuare l’impugnazione della rendita catastale, instaurando un contenzioso specifico con l’Agenzia delle Entrate (cfr. CTR della Lombardia, Sez. IV, 24 giugno 2022, n. 2697).
Inoltre, se nel giudizio di impugnazione dell’atto impositivo il contribuente propone rilievi attinenti ai criteri di determinazione della rendita, non si verifica un litisconsorzio necessario con l’Agenzia delle Entrate e, dunque, alcuna necessità di integrare il “contraddittorio ai sensi dell’art. 102 cod. proc. civ., essendo il Comune estraneo alla determinazione della rendita, che costituisce soltanto il presupposto di fatto su cui si fonda l’atto impositivo”, sussistendo, invece, un “mero rapporto di litisconsorzio facoltativo improprio, che presuppone una autonoma citazione dell’Agenzia da parte del ricorrente nello stesso processo in cui è citato il Comune, per una trattazione congiunta delle relative questioni, le quali rimangono tuttavia autonome” (cfr. Cass., Sez. V, 11 maggio 2017, nn. 11681 e 11682; Cass., Sez. VI, 20 gennaio 2017, n. 1439; Cass., Sez. V, 30 dicembre 2011, n. 30717; Cass., Sez. V, 16 dicembre 2011, n. 27180; Cass., Sez. V, 30 aprile 2010, n. 10571; Cass., Sez. V, 18 aprile 2007, n. 9203; Cass., Sez. V, 11 dicembre 2006, n. 26380).
Pertanto, alla luce di quanto precede, in ipotesi di omessa notificazione dell’atto attributivo o modificativo della rendita catastale, il giudizio si dovrebbe svolgere in presenza del Comune e dell’Agenzia delle Entrate e il contribuente potrebbe dedurre il vizio proprio (procedurale) dell’avviso di accertamento derivante dall’omessa notifica dell’atto presupposto e, in via subordinata, eventualmente, il vizio di merito sotteso all’atto attributivo o modificativo della rendita catastale degli immobili – specie nel caso in cui il reale stato degli immobili sia rimasto immutato nel tempo tale da risultare infondato nel merito il riclassamento – mediante l’impugnazione cumulativa dell’atto impositivo e per il suo tramite dell’atto presupposto mai notificato, ai sensi dell’art. 19, comma 3, del D.Lgs. n. 546/92.
7. La mancata notificazione della rendita catastale potrebbe rilevare, altresì, sotto il profilo della (in)sussistenza degli elementi probatori a sostegno della pretesa cristallizzata nell’atto impositivo ai fini dell’art. 7, comma 5-bis, del D.Lgs. n. 546/92, introdotto dall’art. 6 della legge 31 agosto 2022, n. 130. Questa norma – come noto – impone all’Amministrazione finanziaria di provare in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato e al giudice tributario di fondare la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annullare l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria ovvero se è, comunque, insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, le ragioni oggettive su cui si fonda la pretesa impositiva (in argomento, ex multis, Glendi, Onere della prova o regola finale del fatto incerto nel processo tributario riformato, in GT - Riv. giur. trib., n. 6/2023, 473 ss.; Lovisolo, Sull’onere della prova e sulla prova testimoniale nel processo tributario: prime osservazioni in merito alle recenti modifiche ed integrazioni apportate all’art. 7 d.lgs. n. 546 del 1992, in prat. trib., n. 1/2023, 43 ss.; Della Valle, La “nuova” disciplina dell’onere della prova nel rito tributario, in Fisco, n. 40/2022, 3807 ss.; Caumont Caimi - Pardini, Nuova disciplina dell’onere della prova: la riscoperta del passato per un futuro più giusto, in Corr. trib., n. 1/2023, 66 ss.).
Pertanto, in virtù di tale norma compete all’Amministrazione finanziaria “l’onere di provare in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato, dimostrando in modo circostanziato e puntuale le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni” (cfr. CGT di II Grado della Puglia, Sez. IV, 20 marzo 2023, n. 799; CGT di II Grado della Puglia, Sez. XXII, 13 marzo 2023, n. 713; CGT di I Grado di Udine, Sez. II, 21 febbraio 2023, n. 25; CGT di I Grado di Palermo, Sez. XII, 5 gennaio 2023, n. 8; CGT di I Grado di Reggio Emilia, Sez. I, 30 dicembre 2022, n. 293; CGT di I Grado di Enna, Sez. I, 27 dicembre 2022, n. 1509; CGT di II Grado del Piemonte, Sez. II, 4 ottobre 2022, n. 923). Tale norma, in sostanza, è diretta a porre l’onere della prova dei fatti costitutivi dell’obbligazione tributaria in capo alla parte pubblica (cfr. Moschetti, Il comma 5-bis dell’art. 7 D.Lgs. n. 546/1992: un quadro istruttorio per ora solo abbozzato, tra riaffermato principio dispositivo e diritto pretorio acquisitivo, in Riv. dir. trib., supplemento online, n. 1/2023, 2, nonché, per ulteriori riferimenti, Glendi, L’istruttoria nel processo tributario riformato. Una rivoluzione copernicana!, in Dir. prat. trib., n. 6/2022, 2192 ss., il quale ritiene che tale norma ponga l’onere della prova anche in relazione ai fatti modificativi, impeditivi od estintivi dell’obbligazione tributaria).
Sebbene il citato comma 5-bis preveda, espressamente, che l’Amministrazione finanziaria provi in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato, non sembra peregrino sostenere che gli elementi probatori a sostegno della pretesa tributaria debbano sussistere già nella fase procedimentale propedeutica all’emanazione dell’avviso di accertamento, che si configura quale atto finale della sequenza procedimentale espressione della pretesa tributaria. Diversamente ragionando, non si vede come l’ente impositore possa, altrimenti, provare in giudizio le violazioni contestate con l’atto impositivo impugnato.
A dispetto della giurisprudenza di legittimità che ha riconosciuto alla norma di nuovo conio un mero valore ricognitivo dell’art. 2697 c.c. (cfr. Cass., Sez. V, 27 ottobre 2022, nn. 31878 e 31880), la giurisprudenza di merito, invece, ne ha valorizzato la portata, precisando che tale norma è “in grado di fugare gli eventuali residui dubbi in ordine al concreto riparto dell’onere della prova e alla fondatezza o meno della pretesa dell’Ufficio” (cfr. CGT di II Grado dell’Emilia Romagna, Sez. VIII, 27 febbraio 2023, n. 294; CGT di II Grado della Liguria, Sez. II, 16 dicembre 2022, n. 942), distaccandosi, così, dall’art. 2697 c.c. (cfr. CGT di I Grado di Siracusa, Sez. V, 23 novembre 2022, n. 3856).
Come già segnalato da autorevole dottrina, uno dei settori di maggiore interesse per valutare l’art. 7, comma 5-bis, del D.Lgs. n. 546/92 si ravvisa proprio in seno agli accertamenti DOCFA, ove, nonostante l’assenza di una prova rigorosa sulla base di una non (sempre) effettiva partecipazione del contribuente alla procedura di classamento, si registra una tendenza della giurisprudenza ad una più “benevola valutazione” di tali accertamenti (cfr. Melis, Su di un trittico di questioni di carattere generale relative al nuovo comma 5-bis dell’art. 7 D.Lgs. n. 546/1992: profili temporali, rapporto con l’art. 2697 c.c. ed estensione del principio di vicinanza alla prova, in Riv. dir. trib., supplemento online, n. 1/2023, 5). Invero, salvo il caso di assenza tout court della nuova rendita catastale definitiva per omessa notifica dell’atto al contribuente, l’Amministrazione finanziaria tende a rettificare la rendita proposta mediante la procedura DOCFA tramite avvisi di accertamento recanti unicamente l’indicazione dei dati rettificati, sull’assunto che “l’obbligo di motivazione del relativo avviso è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita, quando gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano disattesi dall’Ufficio” (cfr. Cass., Sez. V, 26 giugno 2023, n. 18142; Cass., Sez. V, 24 maggio 2023, nn. 14386 e 14488; Cass., Sez. V, 22 maggio 2023, n. 14029; Cass., Sez. V, 11 maggio 2023, n. 12950; Cass., Sez. V, 10 maggio 2023, n. 12747; Cass., Sez. V, 19 aprile 2023, n. 10545. In dottrina, Carrea - Scaniglia, L’utilizzo della procedura DOCFA per il declassamento catastale - Il tentativo dell’Amministrazione finanziaria di “disinnescare” il DOCFA quale strumento di declassamento: spunti difensivi, in GT - Riv. giur. trib., n. 2/2023, 150 ss.).
Ed è, probabilmente, proprio su tali ed analoghe “benevoli valutazioni” che la novella attuata tramite la legge n. 130/2022 ha inteso porre opportuno rimedio, imponendo al giudice tributario un maggiore rigore in sede di valutazione della prova offerta dalla parte pubblica con previsione, altresì, del potere di annullamento dell’atto impositivo in ipotesi di assenza, insufficienza ovvero contraddittorietà della stessa (sul punto, si veda anche Rasi, L’inarrestabile “lotta” della Cassazione contro le società a ristretta base proprietaria: nuove difese dalla riforma del processo tributario?, in Riv. dir. trib., supplemento online, n. 2/2022, 11).
La necessità di valorizzare ed applicare l’art. 7, comma 5-bis, del D.Lgs. n. 546/92 imporrebbe una considerazione ad ampio spettro sul soddisfacimento da parte del Comune dell’onere della prova già avuto riguardo agli elementi probatori assunti a sostegno della pretesa tributaria contenuti nell’avviso di accertamento. L’ente impositore viene chiamato, perciò, a fornire nell’avviso di accertamento la motivazione dell’attività svolta nell’ambito dell’istruttoria amministrativa, esplicitando le ragioni a fondamento dello stesso (cfr. Glendi, Applicabilità ai giudizi pendenti della nuova norma sull’onus probandi nel processo tributario - Primi esperimenti applicativi delle Corti di merito sulla regola finale del fatto incerto nel processo tributario riformato, in GT - Riv. giur. trib., n. 3/2023, 258, il quale ha, altresì, precisato che l’Amministrazione finanziaria non potrebbe sopperire “ad ogni eventuale carenza motivazionale […] in sede di giudizio, tantomeno attraverso una nuova istruttoria processualmente coltivata al di fuori di quanto oggettivamente contornato e motivato nell’atto stesso”). Sicché, l’omessa notifica dell’atto attributivo o modificativo della rendita catastale non può che determinare l’assenza degli elementi probatori già nella fase procedimentale, risultando difficile comprendere come e in che misura il Comune possa fornire gli elementi a sostegno della pretesa in un eventuale giudizio avverso l’atto impositivo.
8. In conclusione, l’emanazione dell’avviso di accertamento da parte del Comune, in caso di omessa notificazione dell’atto attributivo o modificativo della rendita catastale da parte dell’Agenzia delle Entrate, pone un vizio procedurale nella sequenza degli atti tributari (e ciò anche in caso di procedura DOCFA).
Attesa la natura di atti autonomamente impugnabili degli atti attributivi o modificativi della rendita catastale, ai sensi del combinato disposto dato dagli artt. 19, comma 1, lett. f), e 2, comma 2, del D.Lgs. n. 546/92, il contribuente può procedere all’impugnazione dell’avviso di accertamento, facendo valere il vizio proprio (procedurale) di tale atto derivante dall’omessa notifica dell’atto presupposto e, laddove sussistano fondati motivi, l’eventuale vizio di merito sotteso all’atto attributivo o modificativo della rendita catastale degli immobili mediante impugnazione, altresì, dell’atto presupposto mai notificato, ai sensi dell’art. 19, comma 3, del D.Lgs. n. 546/92.
In ottica prospettica, l’auspicio è che, in sede di applicazione dell’art. 7, comma 5-bis, del D.Lgs. n. 546/92, il giudice tributario valuti con il dovuto rigore l’assolvimento dell’onere della prova da parte dei Comuni in ordine alle controversie oggetto di trattazione.