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19/02/2024 - Il completamento dell'opera pluriennale non incide sul reddito d'impresa

argomento: IRES - Giurisprudenza

Ripercorrendo la disciplina delle rimanenze in relazione agli immobili-merce, la Cassazione indica che il completamento dell’opera pluriennale non determina, nella disciplina del reddito d’impresa, la produzione di ricavi, in assenza della liquidazione a titolo definitivo dei compensi dovuti all’impresa.

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PAROLE CHIAVE: imposte sui redditi - reddito d - rimanenze - ricavi - immobili merce - opere pluriennali


di Edgardo Marco Bartolazzi Menchetti

1. La disciplina del reddito d’impresa in relazione alle opere c.d. “pluriennali” presenta alcune significative peculiarità, una delle quali è stata oggetto di un recente chiarimento giurisprudenziale. Nel caso esaminato, la Corte di Cassazione si è pronunciata circa la rilevanza, nella determinazione del reddito d’impresa, del completamento di immobili realizzati da una società edile in base ad un contratto di appalto pluriennale, quando tale circostanza si verifichi in un periodo d’imposta anteriore rispetto a quello in cui avviene la liquidazione definitiva del corrispettivo, da parte del committente.

L’Agenzia delle Entrate aveva infatti ritenuto che il completamento di alcuni immobili oggetto di appalto determinasse la necessità di conteggiare tra i ricavi d’impresa il valore delle opere eseguite, a prescindere dal loro pagamento e dalla loro accettazione espressa. L’impresa contribuente, invece, non essendo intervenuta, nel periodo d’imposta, una definitiva liquidazione dei propri corrispettivi, aveva conteggiato tale medesimo valore tra le rimanenze finali dell’anno, sicché si vedeva contestare le conseguenze reddituali di tale differente contabilizzazione delle stesse opere.

2. La Corte, richiamata la disciplina relativa alla rappresentazione in bilancio dei beni immobili relativi all’impresa, e in particolare il principio secondo cui tale attività deve avvenire “sulla base della destinazione economica ad essi impressa”, ha indicato che l’ultimazione di detti immobili “non rileva ai fini della loro classificazione in bilancio e, ancor meno, ai fini della determinazione del reddito di impresa” concludendo, nel richiamare l’art. 93, comma 2, T.U.I.R. in tema di opere pluriennali, che solo i corrispettivi “liquidati” possono essere inclusi tra i ricavi, mentre per il resto il valore delle opere deve essere considerato tra le rimanenze. In tal modo è stata sancita la preminenza della circostanza della liquidazione dei corrispettivi, rispetto a quella del completamento delle opere. Quest’ultimo fatto costituisce, secondo la decisione, mero presupposto per la liquidazione e definitiva acquisizione dei corrispettivi, successiva ed eventuale, comunque non dimostrata in giudizio.

3. La disciplina ordinaria delle rimanenze, contenuta nell’art. 92 del T.U.I.R., è volta ad annullare l’influenza sul bilancio dei costi sopportati in corso d’anno per elementi, quali beni-merce o servizi oggetto dell’attività tipica dell’impresa, che non determinano la produzione di ricavi nello stesso esercizio. Si parla, in relazione alle rimanenze, di “costo sospeso”, in considerazione della necessità di sterilizzare gli effetti sul reddito d’impresa di tali costi fino a che non divengano produttivi di ricavi ( Ficari e F. Paparella, L’imposta sul reddito delle persone fisiche, in A. Fantozzi, Il diritto tributario, 2003, 856; P. Boria, Il sistema dei tributi, I, Torino, 2018, 247). E’ stato peraltro messo in luce che tale istituto permette ordinariamente di traslare il costo in avanti, sotto forma di componente negativo di reddito costituito dalla giacenza di inizio periodo, in modo da poter essere posto quanto più possibile in correlazione con il ricavo che deriva dalla cessione di quei beni-merce o dalla prestazione dei predetti servizi (cfr. G. Zizzo, L’imposta sul reddito delle società, in G. Falsitta, Manuale di diritto tributario. Parte speciale, Milano, 2018, 565), e ciò mediante la previsione di proventi “meramente figurativi” (M. Beghin, Il reddito d’impresa, Torino, 2014, 127), data la funzione tecnica da essi svolta. Per la valutazione delle rimanenze la normativa tributaria prevede, ordinariamente, il riferimento “alle spese sostenute nell’esercizio stesso” (art. 92, comma 6, T.U.I.R.).

4. La disciplina è però differente per le rimanenze derivanti da “opere, forniture e servizi pattuiti come oggetto unitario e con tempo di esecuzione ultrannuale”, oggetto delle più specifiche previsioni dell’art. 93 T.U.I.R. In questo caso, caratterizzato dalla pattuizione di un oggetto unitario, e dalla necessaria collocazione della prestazione in un orizzonte temporale superiore all’anno, a cavallo di almeno due periodi d’imposta, secondo l’art. 93 del T.U.I.R. il meccanismo di determinazione del reddito d’impresa quale differenza tra rimanenze iniziali e finali dell’esercizio subisce delle particolari modifiche. Considerando che le opere in questione vengono solitamente effettuate non per il mercato in generale, ma in confronto di un committente specifico, e che a fronte dell’unitarietà del loro oggetto, e quindi a prescindere dalla presenza di più contratti o disposizioni negoziali ( Boria, Il sistema, cit., 251), viene solitamente pattuito ab origine un compenso complessivo, la normativa fiscale prevede che la valutazione delle relative rimanenze sia compiuta in base ai corrispettivi pattuiti, anziché con riferimento ai costi o al presumibile valore di realizzo dei beni-merce. Questo avviene in analogia con la disciplina civilistica, che all’art. 2426, comma 1, n. 11), c.c. prevede, per “i lavori in corso su ordinazione”, la valutazione “sulla base dei corrispettivi contrattuali maturati con ragionevole certezza” (come rileva G. Zizzo, L’imposta, cit., 569).

Non disponendo (ancora) di un bene ultimato da valutare, pertanto, la quotazione delle opere pluriennali ai fini della quantificazione delle rimanenze di fine anno avviene conteggiando una parte dei corrispettivi pattuiti, da determinare secondo un criterio ragionevole (R. Lupi, Diritto tributario, parte speciale, Milano, 2000, 137), che si individua nella relazione tra i costi sostenuti, rispetto a quelli complessivamente previsti (metodo della commessa completata, o dei costi sostenuti), o in proporzione all’ammontare dei compensi spettanti (metodo della percentuale di completamento, o dell’avanzamento tecnico - A. Fantozzi-F. Paparella, Lezioni di diritto tributario dell’impresa, Milano, 2019, 253; P. Boria, Il sistema, cit., 252). La scelta tra i due metodi avviene in considerazione, rispettivamente, dell’esistenza di incertezze sull’esito dell’operazione, ad esempio per possibili difficoltà in corso d’opera, oppure a fronte della possibilità di confidare sul regolare completamento della commessa, con emersione di un margine lordo (G. Melis, Le rimanenze nel bilancio di esercizio delle imprese che operano su commessa, Padova, 1988, 125 e ss.; indicazioni analoghe sono contenute nel vigente principio OIC 23).

5. In ragione della collocazione della prestazione su un orizzonte temporale esteso, il regime delle rimanenze delle opere pluriennali si risolve quindi in una tecnica per ripartire il corrispettivo tra gli anni per i quali dura l’esecuzione dell’opera, più che per neutralizzare gli effetti dei costi sul reddito d’impresa in attesa che siano realizzati i corrispondenti ricavi (in questi termini, A. Fantozzi-F. Paparella, Lezioni, cit., 253). Viene infatti osservato che la differenza tra il regime ordinario delle rimanenze di cui all’art. 92 T.U.I.R. e quello più specifico previsto dall’art. 93 T.U.I.R. deriva dal fatto che, mentre i beni-merce in giacenza non sono stati venduti e non è certo che lo saranno, rilevando pertanto principalmente il costo per essi sostenuto, la realizzazione delle opere di cui all’art. 93 contribuisce a costruire il diritto ai corrispettivi per esse pattuiti, e così il reddito che ne deriverà (M. Beghin, Il reddito d’impresa, cit., 133). Da altra prospettiva, la necessità di valorizzare il compenso spettante invece che i costi sopportati è giustificata con il fatto che, se la giacenza delle merci “ordinarie” determina un’utilità soltanto sperata, nelle opere pluriennali il corrispettivo può dirsi economicamente già maturato, in quanto derivante dal contratto in corso di esecuzione (F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, parte speciale, Milano, 2022, 132).

6. Nell’ambito del regime in parola, l’art. 93, comma 2, T.U.I.R. distingue poi tra i corrispettivi “pattuiti” o “liquidati” nel caso di opere o prestazioni “coperte da stati di avanzamento” e quelli “liquidati a titolo definitivo dal committente”. Tale distinzione attiene il fatto che le competenze dell’impresa siano semplicemente quantificate in uno stato di avanzamento, oppure vi sia accettazione del committente dell’opera in questione, o di una sua specifica frazione, secondo la disciplina del codice civile in tema di appalto, rispettivamente prevista agli artt. 1665 e 1666 c.c. La prima situazione determina una netta approssimazione della rimanenza al credito dell’esecutore per il lavoro svolto nei confronti del committente, ma la loro completa immedesimazione si verifica nel solo momento in cui viene verificata in contraddittorio la conformità dell’opera alla richiesta (cfr. Lupi, Diritto tributario, parte speciale,cit., 137-138).

7. L’accettazione dell’appaltante determina quindi la condizione normativa, contemplata dall’art. 93, comma 4, T.U.I.R., della liquidazione “a titolo definitivo dal committente”, a cui consegue la ricomprensione dei corrispettivi tra i ricavi, e l’impossibilità di continuare a considerare il valore dell’opera realizzata tra le rimanenze. Solo tale condizione renderebbe quindi integrato il carattere di certezza sul diritto alla percezione del corrispettivo e sul suo ammontare, con conseguente imputazione del compenso quale ricavo, secondo la previsione dell’art. 109 T.U.I.R. La liquidazione a titolo definitivo da parte del committente andrebbe peraltro individuata nell’accettazione dell’opera ai sensi dell’art. 1665 c.c. (così Cass., sez. I, sent. 29 marzo 1996, n. 2928, in GT, 1996, 1121 con nota critica di Comelli, Sul nesso tra la valutazione delle opere pluriennali d’appalto ed il principio di competenza). Laddove siano previsti S.A.L. è quindi il carattere definitivo o meno della liquidazione del corrispettivo a determinare la qualificazione del componente di reddito positivo conseguito come ricavo o rimanenza, in ragione degli effetti giuridici propri dell’accettazione, relativi al trasferimento della proprietà o del rischio dell’opera (M. Leo, Le imposte sui redditi nel testo unico, Milano, 2016, 1421).

8. La centralità dell’accettazione dei lavori è tale che il regime descritto non attribuisce rilevanza neppure al fatto, in sé, che i corrispettivi dovuti all’impresa vengano di fatto erogati dal committente, tanto che l’Amministrazione finanziaria ha espressamente indicato che gli eventuali pagamenti eseguiti dal committente a titolo di acconto “non concorrono in alcun modo alla formazione del risultato economico dell'esercizio, in quanto rappresentano operazioni finanziarie che determinano semplici rapporti di debito e credito tra  le  due  parti contraenti” (Min. Finanze, circolare 22 settembre 1982, n. 36 e Agenzia delle Entrate, ris. 31 ottobre 2002, n. 342/E). Poiché, infatti, è ordinariamente l’accettazione dell’opera o di una sua frazione senza riserve, da parte del committente, a determinare l’incontrovertibilità del diritto dell’appaltatore, secondo la normativa civilistica, è a tale data che l’opera può considerarsi completata secondo la previsione dell’art. 109, comma 2, lett. b) T.U.I.R. che, dettando uno specifico criterio di competenza, impone di considerare “conseguiti” i corrispettivi delle prestazioni di servizi, appunto nell’esercizio in cui queste ultime sono “ultimate” (Agenzia delle Entrate, Ris. 22 ottobre 2009, n. 260/E).

9. La motivazione della decisione in commento, con la quale si sancisce l’irrilevanza del completamento delle opere, in difetto della liquidazione dei corrispettivi da parte del committente, lascia intendere che possa delinearsi un parallelo con quanto avviene in ordine alla contabilizzazione del valore dei c.d. immobili-merce, la cui disciplina è espressamente richiamata dalla Corte. Viene infatti ricordata la necessità di considerare tali ultimi cespiti tra le rimanenze di bilancio, ove detenuti ai fini della rivendita da imprese immobiliari (Cass., sez. trib., sent. 23 dicembre 2019, n. 34410), differentemente dagli “immobili-patrimonio”, che l’impresa non mira a dismettere, ma a rendere produttivi locandoli, o dagli immobili strumentali, destinati alla produzione.

Riportandoci anche alla disciplina civilistica, e in particolare all’art. 1665 c.c., posto che la responsabilità e i rischi dell’opera si trasferiscono dall’appaltatore al committente con la sua accettazione, analogamente, dal punto di vista contabile, l’opera completata in esito all’adempimento di un contratto di appalto andrebbe pertanto figurativamente imputata al patrimonio dell’impresa fintanto che le opere eseguite non sono liquidate a titolo definitivo dal committente, e ciò a prescindere da chi abbia la disponibilità concreta del bene.

Prima dell’accettazione, il monte dei costi sostenuti, valorizzato secondo la disciplina sopra richiamata, costituisce pertanto pur sempre “magazzino” dell’impresa, per tale intendendosi, secondo la sentenza in esame, non “il luogo fisico nel quale i beni sono conservati, ma l’insieme dei beni-merce che sono nella disponibilità giuridica dell’azienda”, in questo caso costituito dal valore delle opere realizzate e non ancora liquidate.

Tale situazione muta unicamente nel momento in cui, con l’accettazione dell’opera da parte del committente, la prestazione a carico dell’appaltatore deve essere considerata esaurita, e certo il diritto a percepirne il corrispettivo. In questo senso pare di poter leggere il richiamo della Corte alla disciplina di cui all’art. 85 T.U.I.R., che per la produzione di ricavi richiede un atto effettivo di cessione delle merci, ossia il trasferimento della “responsabilità” sulle stesse.

10. In definitiva, la sentenza commentata, nel riallacciarsi a quanto indicato nel precedente costituito dalla n. 34410/2019, cit., probabilmente “chiude il cerchio” sul trattamento delle opere pluriennali, in parallelo con quello degli immobili-merce. Infatti, da un lato viene chiarito che la mancata rilevazione del valore di tali opere tra le rimanenze di fine anno determina, al pari della mancata iscrizione in tale categoria degli immobili-merce, la necessità di considerare il corrispondente valore quale ricavo, a prescindere dalla sua ultimazione, in analogia con la necessità di riferirsi, per gli immobili-merce alla “destinazione economica ad essi concretamente impressa”. L’intervenuta accettazione dell’opera pluriennale con la liquidazione dei corrispettivi spettanti all’impresa, e solo tale circostanza, al pari della stipula dell’atto di acquisto per i beni-merce, rende invece inderogabile il computo tra i ricavi delle spettanze dell’impresa, senza che sia più possibile conteggiare giacenze o rimanenze di bilancio.