argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza
Il presente elaborato analizza una recente pronuncia della Corte di Cassazione che si è espressa circa il sequestro probatorio e i reati tributari di omessa dichiarazione ed emissione di fatture per operazioni inesistenti. In particolare, la Corte si sofferma sulla c.d. motivazione per relationem operata dal Pubblico Ministero mediante un modulo prestampato che richiama quanto contenuto nel sequestro effettuato dalla Polizia Giudiziaria.
» visualizza: il documento (Corte di Cass., sent. 18 dicembre 2023, n. 50324)PAROLE CHIAVE: reati tributari - sequestro probatorio - motivazione - guardia di finanza
di Francesco Martin
1. La normativa che regola i reati tributari, il D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, si è in varie occasioni confrontata e rapportata con le disposizioni del Codice penale, di procedura penale, ovvero con altre leggi speciali che intervengono in materia penale.
Proprio per la loro peculiarità tali delitti hanno dato origini a numerosi dibattiti in dottrina e giurisprudenza tra cui (ma non solo), è opportuno ricordare, l’eventuale concorso di reati o assorbimento della norma generale in quella speciale, ovvero la combinazione delle norme di cui al D.Lgs. n. 74/2000 con alcuni istituti disciplinati dal codice di procedura penale, con speciale riferimento ai provvedimenti cautelari reali.
Su tale ultimo aspetto è intervenuta di recente la Corte di Cassazione pronunciandosi sul sequestro probatorio in relazione ai reati di cui agli artt. 5 e 8 D.Lgs. n. 74/2000 (Cass. pen., sez. III, 18 dicembre 2023, n. 50324).
2. Il delitto di omessa dichiarazione punisce, con la reclusione da due a cinque anni, il soggetto che al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte ad euro cinquantamila, ovvero chiunque non presenta, essendovi obbligato, la dichiarazione di sostituto d'imposta, quando l'ammontare delle ritenute non versate è superiore ad euro cinquantamila.
Il reato di cui all’art. 5 D.Lgs. n. 74/2000 configura una fattispecie omissiva che si realizza con la mancata presentazione della dichiarazione entro i termini di legge, con evasione d’imposta superiore ad euro cinquantamila.
Nel quadro della disciplina penale tributaria, il delitto di omessa dichiarazione è l’unico di pura omissione. Appare evidente che possano essere chiamati a rispondere del delitto di omessa dichiarazione – che si configura come reato proprio – solamente coloro i quali abbiano l’obbligo di presentare la dichiarazione fiscale ai fini delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto (TOPPAN-TOSI, Lineamenti di diritto penale dell’impresa, Milano, 2018, p. 213).
È opportuno rammentare che ai sensi del comma 2 dell’art. 5 del D.Lgs. n. 74/2000 non si considera omessa la dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto.
3. Autore materiale dell'omissione può essere anche il soggetto incaricato della trasmissione o, in ipotesi, anche l'incaricato del materiale recapito o della spedizione del documento. Si tratta di ipotesi residuali. Per quanto la norma attribuisca a chiunque la possibilità di commettere il reato, la sussistenza dell'obbligo della dichiarazione ed il fine di evasione restringono la platea dei possibili destinatari del precetto ad una cerchia ristretta e ben definita di soggetti.
Trattandosi di reato omissivo proprio, posto in essere da persona qualificata dall'obbligo di adempiere entro il termine previsto, le condotte precedenti la scadenza del termine sono estranee alla fattispecie tipica e non hanno rilevanza alcuna, nemmeno ai fini del tentativo punibile (che autorevole dottrina pur ritiene possibile nel remoto caso in cui l'obbligato si ponga in anticipo nella materiale condizione di impossibilità di non adempiere, per esempio affrontando un lungo viaggio). Ne consegue che la volontà dell'omissione deve sussistere solo ed esclusivamente al momento della scadenza del termine, in quanto le condotte antecedenti e successive possono rilevare esclusivamente a fini di prova del dolo, non come frazioni dell'unica condotta omissiva.
Il momento consumativo del reato, che ha natura istantanea, perciò, coincide con la scadenza del termine di presentazione della relativa dichiarazione, che nella prospettiva penalistica è il novantesimo giorno successivo alla scadenza, risultando irrilevanti le irregolarità di natura fiscale connesse alla tardività della trasmissione.
4. Il delitto di omessa dichiarazione contempla un’unica soglia di punibilità, rapportata all’imposta evasa, stabilita in euro cinquantamila.
Tale soglia costituisce elemento essenziale del reato, il cui superamento è situazione di fatto che fa scattare l’obbligo, penalmente sanzionato, di presentazione della dichiarazione. Il reato è punibile quando commesso al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, dovendosi configurare il dolo specifico di evasione ai sensi dell’art. 1, lett. d), D.Lgs. n. 74/2000 (DELL’ANNA-GUCCIARDO, Note minime in tema di omessa dichiarazione: l’inesistenza assoluta e la mancata trasmissione, in Giur. Pen., 2022, 3)
5. Con riferimento all’elemento soggettivo il delitto in esame è punito a titolo di dolo specifico, che consiste nella volontà di evasione dell'imposta mediante le specifiche condotte tipizzate dal legislatore penale-tributario.
La giurisprudenza di legittimità (ex multis Cass. pen., sez. III, 16 dicembre 2023, n. 20664) ha più volte chiarito che la prova del dolo specifico di evasione, nel reato di omessa dichiarazione, può essere desunta dall'entità del superamento della soglia di punibilità, unitamente alla piena consapevolezza, da parte del soggetto obbligato, dell'esatto ammontare dell'imposta dovuta; ammontare che, peraltro, può costituire oggetto di rappresentazione e volizione anche soltanto nella forma del cosiddetto dolo eventuale.
In tal senso infatti è stato evidenziato che l'amministratore di diritto risponde del reato tributario punito a titolo di dolo specifico quale diretto destinatario degli obblighi di legge, anche se questi sia mero prestanome di altri soggetti che abbiano agito quali amministratori di fatto, atteso che la semplice accettazione della carica attribuisce allo stesso doveri di vigilanza e controllo, il cui mancato rispetto comporta responsabilità penale o a titolo di dolo generico, per la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, o a titolo di dolo eventuale per la semplice accettazione del rischio che questi si verifichino, si tratta di obblighi dichiarativi gravanti direttamente ed immediatamente sul legale rappresentante dell'ente, a mente dei quali le dichiarazioni relative alle imposte dirette e sul valore aggiunto dei soggetti diversi dalle persone fisiche devono essere sottoscritte da chi ne ha la legale rappresentanza e solo in assenza di questi da chi ne ha l'amministrazione, anche di fatto.
6. La responsabilità omissiva del legale rappresentante dell'ente, dunque, non deriva dall'applicazione dell'art. 40 c.p., (e dunque dalla violazione di un dovere di controllo), bensì dalla violazione dell'obbligo gravante direttamente su di lui, obbligo che concorre a tipizzare la fattispecie di reato di omessa dichiarazione di cui all’art. 5 D.Lgs. n. 74/2000, selezionandone l'autore e qualificando il reato stesso come a soggettività ristretta che può essere commesso solo da chi sia obbligato, per legge, a presentare la dichiarazione (ex multis Cass. pen., sez. III, 16 marzo 2022, n. 20050).
7. Il reato di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti punisce, con la reclusione da quattro a otto anni, colui che, al fine di consentire a terzi l'evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
Non pare dubbia la natura di reato commissivo della fattispecie in esame, che si configura solo mediante una condotta attiva, consistente, secondo la descrizione normativa, nell’emissione o nel rilascio di fatture o altri documenti fiscali, materialmente e/o ideologicamente falsi, che corrisponde al momento consumativo del reato, prescindendo dall’effettivo uso che questi ne potrà fare, mero post factum privo di rilievo penale.
Circa l'esatto significato dei termini di «emissione» e «rilascio», il legislatore non ha ritenuto di dover fornire indicazioni, che infatti non figurano nella norma definitoria di cui all’art. 1: risulta tuttavia agevole l’interpretazione del concetto di emissione, in quanto già positivamente definito dall’ordinamento tributario nella norma dell’art. 21, comma 1, D.P.R. 26 ottobre 1973, n. 633, ora riformata per effetto dell'art. 31 D.Lgs. n. 158/2015, a tenore del quale la fattura si ha per emessa all’atto della consegna o spedizione all’altra parte, ossia alla controparte nella operazione commerciale, fiscalmente imponibile, quindi all’utilizzatore.
La fattispecie in esame risulta quindi finalisticamente orientata a sanzionare le condotte di evasione fiscale, anticipando la soglia di intervento penale a comportamenti ritenuti, in chiave sintomatica, prodromici e strumentali all’evasione medesima, ricomponendo, almeno nel disegno giurisprudenziale, quella unitarietà strutturale con la figura delittuosa dell'art. 2, cui, nella previgente disciplina, corrispondeva una unitarietà anche normativa, essendo entrambe le condotte descritte dall’art. 4, lett. d), della L. n. 516/1982.
8. È del tutto evidente che l’emissione della falsa fattura si risolve, sul piano concreto, in un contributo essenziale, vera e propria condicio sine qua non, rispetto alla successiva condotta criminosa dell’utilizzatore, rappresenti cioè un antecedente giuridico, penalmente rilevante, che in astratto andrebbe ricondotto alla disciplina del concorso di persone nel reato di cui agli artt. 110 c.p. (MANCINI, Le indagini penali (artt. 2 e 8 d.l.vo n. 74/00), in atti del convegno La fatturazione di operazioni inesistenti fra processo penale e tributario, Perugia, 27 gennaio 2020)
La condotta tipica della emissione di fatture per operazioni inesistenti è descritta dalla norma definitoria dell’art. 1, n. 1, D.Lgs. n. 74/2000 che configura sostanzialmente il caso di inesistenza oggettiva cioè quando l’operazione non sia realmente effettuata in tutto o in parte, l’inesistenza soggettiva, quando l’operazione sia riferita a soggetti diversi da quelli effettivamente interessati e l’inesistenza relativa quando la falsità concerne il corrispettivo o l’IVA, indicati in misura superiore a quella reale.
La norma attuale ribadisce infatti la volontà del legislatore di punire ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale e non solo la mancanza assoluta dell’operazione fatturata.
9. Il delitto di emissione di fatture per operazioni inesistenti si qualifica, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, come fattispecie a dolo specifico, in quanto l’agente, oltre alla coscienza e volontà di emettere documenti ideologicamente falsi, dovrà prefigurarsi la finalità di consentire a terzi l’evasione delle imposte dirette o dell’IVA.
Occorre evidenziare al riguardo che il testo dell’art. 8 non pone affatto l’accento sull’utilizzazione cartacea delle fatture stesse, essendo sufficiente che il documento sia emesso con scopo strumentale rispetto all’evasione di imposta e che tale finalità sussista al momento dell'emissione, essendo indifferente la successiva utilizzazione del documento, conseguendone che il dolo specifico del reato, non si estende alla rappresentazione della effettiva evasione di imposta.
10. Il momento consumativo coincide con l’emissione o il rilascio della fattura o del documento per operazioni inesistenti.
Benché il rilascio o l’emissione di più fatture o documenti, nell’arco del periodo d’imposta, realizza un unico delitto, si ritiene che la consumazione del reato coincida con l’emissione o il rilascio del primo documento in ordine temporale; al contrario, il termine prescrizionale decorre dall’emissione dell’ultimo documento. Si tratta a ben vedere di un reato di pericolo astratto (istantaneo) dove la pericolosità (anziché il danno) risiede nel fatto che non è necessario che i documenti falsi vengano utilizzati mentre l’astrattezza si sostanzia nella tutela anticipata del bene giuridico protetto.
Nell’ipotesi che nello stesso periodo d’imposta siano state emesse più fatture o documenti fittizi, si considera commesso un unico reato e non tanti quanti sono i documenti emessi.
11. In altri termini, il soggetto che emette, nello stesso periodo d’imposta, una pluralità di fatture o documenti per operazioni inesistenti – non importa se a favore di uno stesso soggetto o di soggetti diversi – sarà punito per un unico episodio criminoso, trattandosi di una speciale ipotesi di cumulo giuridico. Nel caso in cui più fatture o documenti fittizi siano emessi in più periodi d’imposta, si applicherà l’art 81 c.p. comma 2 sul reato continuato (TRINGALI, Le fatture per operazioni inesistenti: concetti di base, in Altalex, 04 febbraio 2015).
12. Esaminati quindi i due delitti sottesi alla pronuncia in esame pare opportuno definire i requisiti essenziali del sequestro probatorio.
Il sequestro probatorio è uno dei principali mezzi di ricerca della prova connesso funzionalmente alle perquisizioni, ma non necessariamente ben potendo essere avulso dalle stesse raggiungendo direttamente l'apprensione della cosa da sottoporre a vincolo reale.
13. Oggetto finalistico del provvedimento di sequestro probatorio è il corpo del reato e le cose pertinenti ad esso per come definite dall’art. 253, comma 2, c.p.p.; corpo del reato sono quindi le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo.
La possibile alternatività del vincolo rende lo spazio d'intervento probatorio molto ampio purché, però, venga mantenuta la relazionalità con il reato oggetto d'accertamento.
Qualora la polizia giudiziaria abbia agito d'urgenza, — nel rispetto dei presupposti di cui agli artt. 352 ss. c.p.p. —, l'operato della stessa è soggetto a procedura di convalida da parte del pubblico ministero; in caso di non convalida da parte del pubblico ministero del sequestro operato d'iniziativa dalla polizia giudiziaria nulla impedisce che il primo provveda, successivamente, con autonomo provvedimento, ad imporre il vincolo probatorio sulle medesime cose.
14. La motivazione, — a pena di nullità —, deve riguardare non solo la relazione di stretta attinenza tra la cosa, oggetto del sequestro, e la fattispecie di reato, oggetto di indagine, ma anche la necessaria funzionalità del vincolo riguardo all'accertamento fattuale.
Quello che deve essere spiegato dall’Autorità giudiziaria procedente è l’astratta configurabilità del reato ipotizzato in relazione alla congruità degli elementi rappresentati, non certo nella prospettiva di un giudizio di merito sulla concreta fondatezza dell’accusa, bensì con esclusivo riferimento alla idoneità degli elementi su cui si fonda la notizia di reato in modo da chiarire la ragione per cui è utile l’espletamento di ulteriori indagini per acquisire prove certe e ulteriori del fatto, non altrimenti esperibili senza la sottrazione del bene all’indagato o il trasferimento di esso nella disponibilità dell’autorità giudiziaria.
Ancorché non debba tradursi in un sindacato sulla concreta fondatezza dell’accusa, ciò che deve essere verificata è la possibilità concreta di sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato, non potendosi ritenere sufficiente la mera postulazione della sua esistenza da parte del pubblico ministero ovvero la prospettazione esplorativa di indagine rispetto ad una notizia di reato. In altri termini, l’Autorità giudiziaria, tenuto conto dello stato del procedimento, deve rappresentare le concrete risultanze processuali e la situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, spiegando la congruenza dell’ipotesi di reato prospettata rispetto ai fatti che si intendono accertare (Cfr. Cass. pen., sez. II, 16 novembre 2023, n. 46130).
Così come gli altri tipi di sequestro e le misure cautelari personali, il sequestro probatorio è impugnabile in sede di riesame ovvero con ricorso per cassazione.
15. Proprio recentemente la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi circa il contenuto della motivazione del sequestro probatorio inerente a reati tributari.
La Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dell'ordinanza resa dal Tribunale del Riesame con la quale è stata rigettata l'istanza di riesame avverso il provvedimento di sequestro probatorio. Con l'impugnazione di legittimità, il difensore ha lamentato la violazione di legge (in riferimento agli artt. 253, comma 1 e 355, comma 2, c.p.p.), censurando la motivazione del provvedimento di convalida del sequestro disposto dal pubblico ministero procedente.
16. Con riferimento, in particolare, al fumus commissi delicti, il pubblico ministero - attraverso l'utilizzo di un modulo prestampato - si è limitato ad effettuare un rinvio per relationem sia del verbale di sequestro probatorio trasmesso dalla guardia di finanza e sia delle considerazioni investigative espresse in una c.d. informativa di reato.
A ben vedere la Suprema Corte ha annullato il provvedimento reso dal Tribunale, ritenendo non soddisfatto il quantum motivazionale necessario a sorreggere il decreto di sequestro probatorio emesso in sede di convalida. Ed infatti, nessun passaggio argomentativo del provvedimento impugnato dà conto di una doverosa valutazione critica del contenuto degli atti investigativi richiamati per relationem dal pubblico ministero (PALMIERI, La motivazione per relationem del provvedimento di convalida del sequestro probatorio, in Dir. & Giust., 2023, 221, p. 9).
17. Il provvedimento deve illustrare sia la relazione qualificata tra il reato e la res da apprendere nonché rappresentare la concreta finalità probatoria perseguita con il vincolo d'indisponibilità.
Si tratta, in sostanza, di indicare, a pena di nullità, le ragioni che giustificano in concreto la necessità di sottoporre a sequestro un bene per l'accertamento dei fatti inerenti al thema decidendum del processo, secondo il catalogo indicato dall'art. 187 c.p.p.
Sul punto, la Suprema Corte ha richiamato i principi espressi in sede sovranazionale dalla Corte di Strasburgo, secondo cui l'art. 42 Cost. e l'art. 1 del primo protocollo addizionale della CEDU impongono al pubblico ministero di esplicitare nel provvedimento di sequestro probatorio le ragioni che giustifichino il vincolo d'indisponibilità onde consentire un controllo di legalità della difesa (Corte EDU, 24 ottobre 1986, Agosi e U.K.).
18. La Corte evidenzia poi la sussistenza di tre orientamenti sul punto.
Secondo una prima opzione ermeneutica, l’onere di motivazione deve essere modulato in relazione alla progressione processuale, cosicché nella fase iniziale delle indagini è sufficiente la sola indicazione delle norme di legge che si assumono violate, della data e del luogo del fatto e delle finalità investigative per le quali il vincolo è disposto.
Altro orientamento, richiamando il principio affermato ritiene soddisfatto l'onere di motivazione anche nell'ipotesi in cui il decreto di sequestro contenga l'indicazione del titolo di reato per cui si procede, richiamando atti della polizia giudiziaria.
Altro e più restrittivo orientamento ritiene invece che non sia sufficiente la mera indicazione degli articoli di legge che si assumono violati, affermando la necessità che la motivazione del decreto di sequestro probatorio debba contenere, a pena di nullità, la descrizione della condotta ipotizzata a carico dell'indagato, la sua riconduzione ad una fattispecie incriminatrice, la natura dei beni da vincolare e la loro relazione con tale ipotesi criminosa secondo cui il decreto di sequestro probatorio di cose costituenti corpo del reato deve essere necessariamente sorretto da idonea motivazione che non si deve limitare ad indicare le disposizioni di legge violate, ma deve comprendere anche l'individuazione della relazione tra la cosa sequestrata ed il delitto ipotizzato, descrivendo gli estremi essenziali di tempo, di luogo e di azione del fatti.
19. Esaminando il secondo requisito attinente alla valutazione dell'esigenza probatoria, la Corte ha affermato che l'obbligo di motivazione che deve sorreggere, a pena di nullità, il decreto di sequestro probatorio deve essere modulato da parte del pubblico ministero in relazione al fatto ipotizzato, al tipo di illecito cui in concreto il fatto è ricondotto, alla relazione che le cose presentano con il reato, nonché alla natura del bene che si intende sequestrare.
Quindi, nel caso di res che presentano una relazione di immediatezza pressoché intuitiva o immediata con il reato per cui si procede, il quantum di specificità della motivazione richiesta a pena di nullità può essere soddisfatto mediante l'utilizzo di formule più generali.
Consegue allora che la pregnanza della motivazione dovrà essere tanto maggiore quanto maggiore sarà in grado di progressione investigativa e processuale, dovendosi ritenere consentito, nella fase iniziale delle indagini preliminari, sia pure fermo restando il divieto di formule meramente stereotipate, l'utilizzo di motivazioni meno dettagliate.
20. Alla luce del dettato dell'art. 42 Cost. e del primo Protocollo addizionale alla Convenzione EDU, nell’attività di ricerca della prova il canone da osservare è quello del giusto equilibrio tra i motivi di interesse generale e il sacrificio del diritto del singolo al rispetto dei suoi beni; canone che costituisce un corollario del più generale principio di ragionevolezza e proporzionalità della misura.
Si deve ritenere che l'utilizzazione di formule estremamente sintetiche o prestampate non inficia, di per sé, la validità del provvedimento di convalida del sequestro probatorio quando, avuto anche riguardo agli atti in esso richiamati, siano adeguatamente esplicitate le ragioni probatorie del vincolo di temporanea indisponibilità delle cose sequestrate, in quanto ciò che assume rilievo è la presenza o meno di una adeguata motivazione, e non la forma che, di volta in volta, essa può assumere.
Nulla esclude, in altre parole, la possibile utilizzazione di moduli prestampati, laddove essi risultino in concreto idonei a soddisfare le esigenze di motivazione richieste dal legislatore, in quanto la motivazione si risolverebbe comunque nella mera ripetizione di quanto indicato, in precedenti occasioni, in riferimento a sequestri probatori relativi ad indagini per i medesimi reati, e dunque il divieto di utilizzo di modelli prestampati, seppur concretamente idonei alla finalità perseguite, configurerebbe un mero formalismo alla rovescia.
21. La Corte, annullando senza rinvio l'ordinanza impugnata, nonché il decreto di convalida del sequestro probatorio, ha quindi dettato i seguenti principi di diritto:
22. Le considerazioni effettuate dalla Corte di Cassazione si inseriscono all’interno di un filone giurisprudenziale che ha dato adito a molteplici pronunce, tra loro a volte anche discordanti.
È stato evidenziato che non esiste un criterio predeterminato oggettivo in base al quale valutare se la motivazione indicata nel provvedimento di sequestro probatorio sia legittima o meno.
Tuttavia, rispetto ad altre sentenze, quella in commento ha esposto i diversi aspetti processuali che il provvedimento deve contenere, al fine di rendere intellegibile la motivazione del sequestro probatorio: il grado di dettaglio dell'imputazione provvisoria, il fumus commissi delicti, la relazione qualificata tra il reato, la res e l'esigenza probatoria da soddisfare.
23. Nella fase delle indagini preliminari, per ottemperare all'obbligo di motivazione, è sufficiente indicare le norme di legge violate, purché dal tenore complessivo del provvedimento sia possibile desumere gli estremi essenziali di tempo, luogo e fatto.
Quando non sussiste un collegamento immediato, il pubblico ministero è obbligato ad adeguare lo standard motivazionale del provvedimento, valorizzando il nesso che sussiste tra il vincolo d'indisponibilità della res e l'accertamento investigativo.
Allo stesso modo, il quantum motivazionale è variabile a seconda del grado di incisione del provvedimento sui diritti costituzionali coinvolti, per cui è necessario che il decreto dia conto del corretto rapporto di proporzionalità tra il mezzo di ricerca della prova impiegato e il fine investigativo perseguito.
24. Negli stessi termini, per decretare le legittimità dell'apparato motivazione espresso per relationem, occorre che dal provvedimento emerga una valutazione critica degli atti investigativi espletati della polizia giudiziaria anche in ragione dei due parametri innanzi evidenziati: il livello di collegamento tra la res e il reato per cui si procede ed il grado di compressione dei diritti costituzionali coinvolti.
Con la sentenza in commento quindi la Corte ha chiarito i contenuti del provvedimento di sequestro probatorio rendendo si possibile per il Pubblico Ministero effettuare una motivazione per relationem, ma garantendo all’indagato la possibilità di comprendere, sebbene in maniera succinta tipica di un procedimento ancora in fase di indagini, le motivazioni sottese al provvedimento.