Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

11/04/2024 - Le modifiche in tema di impugnabilità degli atti di autotutela e loro riflessi processuali

argomento: Sanzioni e contenzioso - Legislazione e prassi

Il D.Lgs. n. 219/2023 modifica la disciplina dell’autotutela differenziando casi di “autotutela obbligatoria” e casi di “autotutela facoltativa”. Questa ripartizione ha precisi riflessi in tema di impugnabilità delle relative risposte espresse o tacite. Così facendo, il legislatore ha proceduto ad una revisione alquanto significativa dell’istituto in esame discostandosi dalla precedente disciplina e dalla sua applicazione giurisprudenziale. Le modifiche apportate rappresentano un deciso passo in avanti a favore del contribuente anche se, probabilmente, può ritenersi essere mancato un piccolo “passetto” finale.

PAROLE CHIAVE: autotutela facoltativa - autotutela obbligatoria - diniego espresso - diniego tacito - impugnabilità


di Federico Rasi

1. Il legislatore, con il D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 219, ha inserito nello Statuto dei diritti del contribuente gli artt. 10 quater e 10 quinquies, che disciplinano l’istituto dell’autotutela in modo alquanto innovativo, distinguendo:

  • casi in cui l’esercizio di tale potere è obbligatorio da parte dell’Amministrazione finanziaria;
  • casi in cui l’esercizio dello stesso potere è meramente facoltativo.

2. Tale modifica va coordinata con le novità apportate anche dal successivo D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 220, che, per quanto qui di interesse, ha integrato:

  • l’art. 19, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, riconoscendo l’impugnabilità del «rifiuto espresso o tacito sull’istanza di autotutela nei casi previsti dall’articolo 10-quater della legge 27 luglio 2000, n. 212» e del solo «rifiuto espresso sull’istanza di autotutela nei casi previsti dall’articolo 10-quinquies della legge 27 luglio 2000, n. 212»;
  • l’art. 21, D.Lgs. n. 546/1992, disponendo, similmente a quanto previsto con riferimento al rifiuto tacito all’istanza di rimborso, che il ricorso avverso il rifiuto tacito all’istanza di autotutela possa essere proposto dopo il novantesimo giorno dalla domanda di autotutela e fino a quando il diritto alla restituzione non sia prescritto.

3. Più precisamente, le modifiche menzionate hanno previsto che l’esercizio del potere di autotutela sia “obbligatorio” se si riscontra la «manifesta illegittimità dellatto o dellimposizione», circostanza che ricorre quando si verifica un errore di persona; un errore di calcolo; un errore sull’individuazione del tributo; un errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall’Amministrazione finanziaria; un errore sul presupposto d’imposta; la mancata considerazione di pagamenti di imposta regolarmente eseguiti; la mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini ove previsti a pena di decadenza. In questa ipotesi, gli unici limiti all’esercizio di tale potere sono l’emanazione di una sentenza passata in giudicato favorevole all’Amministrazione finanziaria, nonché il decorso di un anno dalla definitività dell’atto viziato per mancata impugnazione.

4. Il medesimo potere è, invece, esercitato in modo soltanto “facoltativo” «in presenza di una illegittimità o dell’infondatezza dell’atto o dell’imposizione», senza che ricorra alcun limite.

5. Come anticipato, a tali modifiche alla disciplina sostanziale dell’autotutela, hanno fatto seguito modifiche alla disciplina processuale della stessa che superano l’approccio sino ad ora adottato dalla giurisprudenza di legittimità. Con riferimento a tale profilo, si ritiene che tali modifiche siano tutt’altro che meri ritocchi, ma piuttosto vere e proprie innovazioni.

6. La Cassazione, all’esito di un articolato dibattito, era, infatti, pervenuta ad ammettere il sindacato giurisdizionale sul diniego innanzi al giudice tributario solo per far valere vizi riferibili alla legittimità del diniego e non quelli relativi alla fondatezza della pretesa tributaria (Cass. civ., sez. un., sent. 23 aprile 2009, n. 9669; Cass. civ., sez. V, sent. 12 maggio 2010, n. 11457; Cass. civ., sez. VI-5, ord. 2 dicembre 2014, n. 25524; Cass. civ., sez. V, sent. 20 febbraio 2015, n. 3442; civ., sez. V, sent. 20 ottobre 2015, n. 22253; Cass. civ., sez. V, sent. 20 novembre 2015, n. 23765; Cass. Civ., sez. V, sent. 14 dicembre 2016, n. 25705; Cass. Civ., sez. V, ord. 17 luglio 2018, n. 18999; Cass. Civ., sez.V, ord. 20 febbraio 2019, n. 4933; Cass. civ., sez. VI-5, ord. 27 aprile 2022, n. 13136; Cass. civ., sez. V, ord. 2 maggio 2023, n. 11379). L’impugnazione del diniego era, inoltre, sottoposta alla condizione che fosse dimostrata dal contribuente la sussistenza di rilevanti ragioni di interesse generale all’eliminazione dell’atto (Cass. civ., sez. V, ord. 29 gennaio 2020, n. 1972; Cass. civ., sez. V, ord. 4 settembre 2023, n. 25659; Cass. civ., sez. V, ord. 5 ottobre 2023, n. 28134; Cass. civ., sez. V, ord. 1° dicembre 2023, n. 33610).

7. In tale quadro, non era, però, mai stato adeguatamente approfondito in cosa si sostanziasse questa nozione di “interesse generale” che legittimava tale sindacato. Alcune sentenze ne avevano dato una definizione in negativo evidenziando interessi che non potevano considerarsi generali (Cass. civ., sez. VI-5, ord, 7 maggio 2019, n. 12030; Cass. civ., sez. V, ord. 23 ottobre 2020, n. 23249; Cass. civ., sez. V, ord. 26 giugno 2013, n. 18241; Cass. civ., sez. V, sent. 20 luglio 2023, n. 21658). Altre sentenze avevano, invece, provato a dare una definizione in positivo, ma erano restate estremamente vaghe o, al più, si erano limitate ad affermare che tale interesse non potesse consistere nella mera deduzione dell’erronea imposizione (Cass. civ., sez. V, sent. 26 gennaio 2018, n. 1965; Cass. civ., sez. V, ord. 26 settembre 2019, n. 24032; Cass. civ., sez. V, ord. 26 settembre 2019, n. 24033; Cass. civ., sez. V, sent. 14 settembre 2021, n. 24652). I giudici di legittimità erano, comunque, costanti nell’escludere che tale interesse generale potesse coincidere con quello del contribuente a evitare una tassazione superiore rispetto a quella dovuta. Di recente, solo Cass. civ., sez. V, ord. 3 gennaio 2024, n. 161 aveva fatto qualche passo in avanti ritenendo di poter rinvenire un interesse generale nell’«impedire la doppia imposizione a carico del sostituto d’imposta e del sostituito, in conseguenza del condono del quale il primo ha beneficiato».

8. Anche il legislatore in passato aveva provato ad affrontare il problema, ma neppure i suoi chiarimenti erano stati esaustivi. L’art. 11, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 159, di attuazione della legge delega 11 marzo 2014, n. 23, aveva escluso l’impugnabilità degli atti di autotutela parziale, in quanto atti di rettifica dell’originaria pretesa impositiva e non nuovi atti, sostitutivi di quelli precedenti annullati (art. 2 quater, co. 1 octies, D.L. 30 settembre 1994, n. 564, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 novembre 1994, n. 656). Vigeva altresì l’art. 2 quater, co. 1 quinquies, del medesimo D.L. n. 564/1994, il quale, allorché era concessa in via di autotutela la sospensione degli effetti di un atto anteriormente alla proposizione del relativo ricorso e, solo poi, veniva notificato al contribuente un nuovo atto, modificativo o confermativo di quello sospeso, accordava al contribuente la possibilità di impugnare, insieme a que­st’ultimo, anche l’atto modificato o confermato.

9. Il precedente sistema così succintamente ricostruito aveva, poi, trovato definitivo avallo nella sentenza della Corte costituzionale 21 giugno 2017, n. 181. Per la Consulta:

  • non poteva dirsi esistente un dovere generalizzato dell’Amministrazione di provvedere alle istanze di autotutela dei contribuenti;
  • non si rinveniva un interesse giuridicamente tutelato del contribuente ad ottenere una pronunzia amministrativa sulle istanze di riesame presentate;
  • doveva escludersi un “vuoto di tutela”, in quanto, contro il provvedimento illegittimo dell’ufficio, oggetto della richiesta di annullamento, l’interessato disponeva degli ordinari rimedi di protezione giurisdizionale dei suoi diritti ed interessi legittimi.

10. Come osservato in dottrina (ROSSI, L’incensurabilità del diniego tacito di annullamento in autotutela lascia spazio all’inerzia dell’amministrazione finanziaria, in Giur cost., 2017, 4, p. 17025), questo assetto complessivamente considerato relegava l’autotutela a essere una «“graziosa” concessione dell’ufficio», mentre era diffusa l’opinione che, alla luce dei principi generali del diritto amministrativo, all’istanza del contribuente non potesse affatto corrispondere l’inerzia incensurabile dell’Amministrazione finanziaria (MARINI, Fisco obbligato al risarcimento del danno economico causato dall’autotutela tardiva, in Corr. trib., 2011, 22, p. 1834; MARCHESELLI, Il Fisco che non ritiri in autotutela gli atti illegittimi risarcisce i danni davanti al giudice tributario?, in GT – Riv. giur. trib., 2011, 5, p. 349; CATALANO, La responsabilità dell’Amministrazione finanziaria derivante da attività lecita dannosa, in Rass. trib., 2010, 1, p. 138; NICÒTINA, Silenzio e diniego di autotutela: considerazioni su impugnazione e risarcimento, in Riv. dir. trib., 2011, 1, p. 8; ACCORDINO, Diniego di autotutela: il contribuente ha diritto ad essere risarcito ma non ad ottenere giustizia innanzi alle Commissioni tributarie, in Boll. trib., 2010, 8, p. 633; FICARI, Risarcimento da mancato esercizio di autotutela, in AA.VV., Il libro dell’anno del diritto 2012, Roma, 2012, p. 552; MELIS, Manuale di diritto tributario, Torino, 2020, p. 445).

11. Il ragionamento della Corte costituzionale si fondava sul presupposto dell’assenza di un obbligo di rispondere. Tuttavia, la stessa Consulta, instillava il dubbio che, ove si fosse modificata la premessa di tale ragionamento e si fosse sostituito alla facoltà di fornire la risposta l’obbligo di renderla, si sarebbe potuto riconoscere, in caso di diniego, l’accesso alla tutela giurisdizionale.

12. Muoveva da tale premessa anche la Commissione interministeriale per la riforma della giustizia tributaria, istituita con decreto del Ministro della giustizia e del Ministro dell’economia e delle finanze del 14 aprile 2021, che proponeva, infatti, al ricorrere di determinate situazioni, di affermare l’obbligatorietà dell’esercizio del potere di autotutela da parte dell’Amministrazione finanziaria e di ammettere, negli stessi casi, la giustiziabilità del diniego (ANTONINI-BRACCO-BUCCICO-DE BELLIS-GIOVANARDI-MESSINA-SALVINI-SERRANÒ, in qualità di membri della Commissione interministeriale per la riforma della giustizia tributaria, istituita con decreto del Ministro della giustizia e del Ministro dell’economia e delle finanze del 14 aprile 2021, Relazione finale del 30 giugno 2021, disponibile all’indirizzo internet https://www.fiscooggi.it/sites/default/files/file/2021/07/relazione-finale-commissione-interministeriale-MEF-riforma-giustizia-tributaria_30-06-21.pdf, p. 115).

13. Il legislatore delegato ha colto gli spunti della Consulta e della Commissione interministeriale, ma è anche andato (molto) oltre. È questo il profilo più “innovativo” e “inatteso” della riforma: il legislatore delegato ha distinto tra autotutela obbligatoria e autotutela facoltativa per farvi poi conseguire un diverso regime processuale, ovverosia l’impugnabilità del rifiuto espresso e tacito di autotutela obbligatoria e l’impugnabilità del solo rifiuto espresso in caso di autotutela facoltativa.

14. L’obbligatorietà dell’autotutela sussiste solo quando ricorre «una evidente illegittimità dell’atto dell’imposizione», con la conseguenza che, ove tale risposta manchi o sia negativa, il contribuente potrà agire giudizialmente per ottenere il ripristino di una situazione di legalità violata. Così facendo, la novella supera la regola della definitività di un atto per decorso dei termini di impugnazione. Ciò appare di particolare rilievo se si pone mente al fatto che il giudizio così instaurato avverso il rifiuto di autotutela avrà, nella sostanza, ad oggetto la sussistenza o meno dello specifico vizio dell’atto oggetto dell’istanza di autotutela e sarà del tutto analogo a quello che si sarebbe avviato negli ordinari termini di impugnazione di tale atto presupposto.

15. D’ora in poi, potrà, dunque, accadere che il contribuente, convinto della sussistenza di uno dei vizi individuati dal legislatore, scelga di non proporre ricorso immediato, optando piuttosto per presentare istanza di autotutela e attendere la formazione del rifiuto (espresso o tacito) dell’ente procedente e impugnare quest’ultimo. Potrà altresì accadere che il contribuente si avveda di uno di questi errori solo decorsi i termini di presentazione del ricorso e formuli istanza di autotutela, senza subire alcuna decadenza. In tutti questi casi, dunque, il decorso del termine di impugnazione non sarà più ostativo alla possibilità di ottenere in via giudiziale il riconoscimento delle proprie ragioni.

16. Secondo la dottrina (TASSANI, Impugnabile il diniego dell’autotutela obbligatoria, in Il sole 24 ore, 18 gennaio 2024, p. 35) il superamento della regola della definitività dell’atto non impugnato non è assolutamente criticabile. Al contrario, è pienamente giustificato per il fatto che tale superamento non è accordato in via generale, ma solo al ricorrere di taluni casi eccezionali (ovverosia in situazioni in cui ricorre un’evidente infondatezza dell’atto) e solo fino ad un anno dal decorso dei termini di impugnazione. Il legislatore dimostra di aver, dunque, eretto una duplice barriera al generale superamento del principio della definitività degli atti:

  • una oggettiva, data dalla tassatività e dalla gravità dei casi in cui è obbligatoria l’intervento dell’Amministrazione. Va precisato che il legislatore non qualifica testualmente come tassativa l’elencazione dei casi che rendono obbligatoria l’autotutela; tuttavia, pare che un’interpretazione che non considerasse tale elencazione di stretta interpretazione non sarebbe sistematicamente ammissibile;
  • una temporale, in quanto si prevede, come detto, che l’obbligo di accordare l’autotutela venga meno una volta decorso il termine annuale dalla definitività dell’atto.

17. Sussiste, per la verità, una terza barriera, ovverosia il fatto che l’autotutela non sia possibile in caso di sussistenza di un giudicato favorevole all’Amministrazione. Questa cautela è espressione di un principio generale e risalente dell’ordinamento che si rinveniva anche nella previgente disciplina.

18. Come anticipato, il legislatore, però, è andato ben oltre le suggestioni tanto della Corte costituzionale, quanto della Commissione interministeriale, laddove ha previsto l’istituto dell’autotutela facoltativa e ha consentito l’impugnabilità del solo rifiuto espresso delle relative istanze. Quella di fornire una disciplina per tutti i casi in cui si ravvisa «una illegittimità o dell’infondatezza dell’atto o dell’imposizione», «fuori dai casi di» autotutela obbligatoria è stata una scelta tutt’altro che scontata.

19. È rilevante notare, però, come questa volta non sussistano le medesime barriere all’esercizio del potere di autotutela osservate in precedenza:

  • non opera, infatti, quella oggettiva, in quanto non è offerta alcuna elencazione (né sarebbe stato possibile) dei casi in cui può ritenersi ricorrere un’illegittimità o un’infondatezza non solo dell’atto, ma anche del merito della pretesa;
  • non opera neppure quella temporale di un anno dalla definitività dell’atto per mancata impugnazione;
  • non opera (almeno testualmente) quella sistematica della ricorrenza di una sentenza passata in giudicato favorevole all’Amministrazione.

20. Quest’ultima assenza è quella che stupisce di più, tanto che si ritiene sia frutto di una mera svista. Più precisamente, si ritiene che quello derivante dall’esistenza di una res iudicata sia un limite talmente immanente al sistema che neppure occorreva porlo, sicché esso non può che operare anche per i casi di autotutela facoltativa. Il potere di intervenire in autotutela non può, infatti, non trovare un limite in una sentenza: se un simile vincolo non operasse e il rifiuto fosse sempre e comunque impugnabile, il rischio del verificarsi di casi di contrasti di giudicati sarebbe tutt’altro che teorico.

21. Con riferimento alle altre due barriere, se l’assenza di quella oggettiva non pone perplessità essendo, anzi, connaturata all’esigenza di distinguere i casi in cui l’autotutela è facoltativa rispetto a quelli in cui è obbligatoria, l’assenza di quella temporale è, invece, discutibile. Essa, infatti, avrebbe ben potuto operare anche in questo caso e avrebbe rappresentato un limite per nulla irragionevole all’azione del contribuente.

22. L’assenza di questa barriera potrebbe avere conseguenze ove il contribuente presenti a distanza di tempo istanza di autotutela facoltativa e ottenga quale risposta un rifiuto espresso.

23. Potendo in questo caso il contribuente impugnare tale rifiuto, il contenzioso che ne originerà potrà porre con più facilità i giudici di fronte al problema di sottoporre a revisione quel rigido orientamento giurisprudenziale che vede nei d. “rapporti esauriti” un limite nei rapporti Fisco/Contribuente (in caso di autotutela obbligatoria, la scelta del legislatore dovrebbe comportare negli stessi casi l’automatico superamento di tale orientamento). Come noto, per la giurisprudenza costante (Cass. civ., sez. I, sent. 28 aprile 1988, n. 3197; Cass. civ., sez. un., sent. 9 giugno 1989, n. 2786; Cass. civ., sez. un., sent. 16 giugno 2014, n. 13676; Cass. civ., sez. V, sent. 8 luglio 2016, n. 13961; Cass. civ., sez. VI-5, ord. 12 ottobre 2020, n. 21979; Cass. civ., sez. V, ord. 2 marzo 2022, n. 6940; Cass. civ., sez. V, ord. 28 aprile 2022, n. 13234), il diritto al pagamento della “giusta imposta” va contemperato con quello relativo alla certezza dei rapporti giuridici e, dunque, con quei principi e norme, di natura procedimentale e processuale, che presiedono all’attuazione del tributo. Fino ad ora, ad esempio, il pagamento di quanto richiesto, ma anche l’inutile spirare dei termini per ottenere il rimborso o proprio la definitività di un atto impositivo per sua mancata impugnazione nei termini determinavano l’esaurimento del relativo rapporto, tale da precludere la ripetizione del tributo. La perdurante validità di questo orientamento, in diversi dei casi fino ad ora prefigurati, dovrà certamente essere messa in discussione.

24. A prescindere dalla distanza di tempo con cui il contribuente presenterà istanza di autotutela facoltativa, in ogni caso, ove a essa segua un rifiuto tacito, il contribuente, invece, non avrà possibilità di accedere alla tutela giurisdizionale. Ciò deriva dalla scelta del legislatore di consentire l’impugnabilità del solo rifiuto espresso e non di quello tacito all’istanza di autotutela facoltativa (cfr. il tenore letterale della nuova lettera g ter dell’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992 che menziona il solo «rifiuto espresso»). Al di fuori dei casi di autotutela obbligatoria, non è previsto che al novantesimo giorno si consolidi alcuna posizione né in capo all’Amministrazione, né in capo al contribuente; quest’ultimo, anzi resterà in quel limbo in cui si trovava prima dei decreti nn. 219 e 220 del 2023 [cfr. il tenore letterale dell’art. 21, D.Lgs. n. 546/1992 che, in maniera corrispondente, detta le regole per il ricorso soltanto «avverso il rifiuto tacito di cui all'articolo 19, comma 1, lettere g) e g-bis)», senza, dunque, menzionare la lettera g-ter)]. Per questo motivo la dottrina (TASSANI, Impugnabile il diniego dell’autotutela obbligatoria, , p. 35; PISTOLESI, Autotutela obbligatoria con campo più ampio, in Il sole 24 Ore, 3 gennaio 2024, p. 24) non ha mancato di riservare critiche a questa nuova impostazione suggerendo di estendere la regola dell’impugnabilità anche ai casi di rifiuto tacito.

25. Sorge effettivamente il dubbio che si possa delineare una disparità di trattamento tra le due ipotesi. La principale giustificazione che si ritiene di poter rinvenire a sostegno della scelta del legislatore è essenzialmente la considerazione che solo l’evidente illegittimità di un atto più giustificare una tutela piena. Dove tale illegittimità non sia palese, può non esservi spazio per obbligare l’Agenzia a rivedere le sue posizioni e, dunque, non può esservi motivo per rendere la decisione giustiziabile.

26. Per ovviare a questa situazione, taluna dottrina (PISTOLESI, Autotutela obbligatoria con campo più ampio, cit., p. 24) ha sostenuto che, anche nell’ipotesi di autotutela facoltativa, rappresentando questa l’esito di una valutazione discrezionale degli Uffici, l’Amministrazione non dovrebbe poter ignorare tale istanza e, in ossequio ai principi generali dell’ordinamento, dovrebbe ugualmente essere consentito al contribuente di rivolgersi al giudice. In questo caso, però, a differenza del precedente, la decisione del giudice non potrebbe immediatamente annullare l’atto, ma potrebbe soltanto imporre all’ente impositore di pronunciarsi, senza esprimersi sulla valutazione discrezionale che compete a quest’ultimo.

27. Se, dal punto di vista teorico, la questione si presenta di facile soluzione, lo è meno dal punto di vista pratico. Il contribuente, per evitare di trovarsi in una situazione di stallo, potrà essere tentato di “provarci” e di inserire “apposta”, nella stessa istanza, motivi riconducibili tanto all’una, quanto all’altra ipotesi al fine di assicurarsi un silenzio qualificato. Si porrà allora il problema di comprendere quando un’istanza rientri nell’alveo dell’autotutela obbligatoria o di quella facoltativa; la soluzione di tale questione appare tutt’altro che immediata.

28. Se questo è un plausibile scenario futuro e se è vero che il legislatore con il regime dell’autotutela ha voluto riservare ai contribuente un regime di particolare favore, non si comprende allora perché, essendo ormai “stato lanciato il cuore oltre l’ostacolo”, non si sia andati oltre e non siano stati resi impugnabili tanto i dinieghi espressi, quanto quelli taciti anche nell’ipotesi di autotutela facoltativa (ferma restando, e a maggior ragione, l’opportunità di estendere anche a tale ipotesi le barriere già erette per quella obbligatoria). Così facendo sarebbe stata assicurata una tutela giudiziaria veramente generalizzata e al contribuente il massimo livello di protezione.