argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza
La Corte di Cassazione si è nuovamente confrontata con l’ammissibilità e l’efficacia probatoria delle dichiarazioni dei terzi nel processo tributario, confermando la loro natura meramente indiziaria. Questi principi consolidati nella giurisprudenza della Cassazione e qui ribaditi meritano di essere riletti alla luce dell’introduzione nel processo tributario della prova testimoniale ad opera della L. 31 agosto 2022, n. 130. L’eliminazione, nel corpo dell’art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992, del divieto della testimonianza induce ad interrogarsi sull’attuale opportunità di preferire alla produzione delle dichiarazioni dei terzi la richiesta della prova per testimoni.
» visualizza: il documento (Corte di Cass., ord. 17 novembre 2023, n. 32009)PAROLE CHIAVE: processo tributario - dichiarazioni di terzi - prova testimoniale - elementi indiziari
di Giacomo Pilla
1. La Corte di Cassazione torna ad occuparsi dell’utilizzabilità delle dichiarazioni dei terzi nel processo tributario, confermandone l’efficacia indiziaria, ma altresì offrendo alle parti del processo lo spunto per valutare l’opportunità di preferire alle dichiarazioni dei terzi la richiesta della prova testimoniale. Come noto, questa possibilità è stata ora riconosciuta dalla L. 31 agosto 2022, n. 130 mediante l’abolizione del previgente divieto contenuto nell’art. 7, comma 4, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. L’obiettivo del legislatore è stato il rafforzamento della parità tra i contendenti nelle liti tributarie, da tempo fortemente auspicato dalla dottrina (GALLO, Verso un “giusto processo” tributario, in Rass. trib., 2003, p. 1 ss.; CAPOLUPO, in Il Fisco, 2018, 17, p. 1649; COLLI VIGNARELLI, Ancora incertezze giurisprudenziali in tema di dichiarazioni di terzi nel processo tributario, in Boll. trib., 2016, 11, p. 805 ss.; GIOVANNINI, Sulla giustizia nel processo tributario, in Per principi. Dodici saggi di diritto tributario e oltre, Torino, 2022, p. 101 ss.).
2. Nella pronuncia in commento la Suprema Corte ribadisce innanzitutto come le dichiarazioni di terzi siano ammissibili nel rapporto processuale tributario, con valore di elemento indiziario utilizzabile “non solo dall’Amministrazione con inserimento nel processo verbale di constatazione ..., ma anche dal contribuente ..., il quale può anche loro tramite opporsi alle pretese dell’Agenzia, dovendone il giudice tributario tener conto in quanto parte del quadro indiziario complessivo”. Poste tali premesse, la Corte precisa che “affinché un indizio divenga piena prova assurgendo a presunzione semplice ... è necessario che si qualifichi sotto il profilo della ‘gravità’, quale continuità logica tra il fatto noto e l’ignoto, della ‘precisione’ (storica dei fatti noti) e, in caso di pluralità di fonti, della ‘concordanza’”. La dichiarazione del terzo rappresenta, infatti, una mera informativa “il cui contenuto, ove ritenuto attendibile, non vincola il giudice, come avviene invece per le prove”. Ciò premesso, la sentenza in rassegna opera un’attenta indagine della valenza probatoria riconosciuta alle dichiarazioni dei terzi dal Giudice di merito, dando atto che quest’ultimo correttamente aveva “operato un accurato esame di ogni elemento probatorio di natura indiziario, apprezzandolo dapprima singolarmente, quindi alla luce delle complessive risultanze probatorie”.
3. Tale conclusione è coerente con l’evoluzione giurisprudenziale che, appunto, aveva ammesso tale forma di prova nel processo tributario. Si ricorda che, nella vigenza del divieto di prova testimoniale (da più parti avversato già prima della sua abrogazione: vedasi MARCHESELLI, L’indefettibilità del contraddittorio tra principi interni e comunitari, in Corr. trib., 2010, 22, p. 1776; RUSSO, Il divieto della prova testimoniale nel processo tributario: un residuo storico che residua all’usura del tempo, in Rass. trib., 2000, 2, p. 568), la giurisprudenza di legittimità, prendendo spunto dalle motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale 21 gennaio 2000, n. 18, aveva ammesso l’utilizzabilità delle dichiarazioni extra processum ricavandola dal fatto che il comma 4 del citato art. 7 non vietasse in generale la testimonianza, bensì “la prova testimoniale” ovvero, tecnicamente, solo la prova assunta nel processo secondo le formalità previste dagli artt. 244 ss. c.p.c. (GLENDI, I poteri del giudice nell’istruttoria del processo tributario, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1985, I, p. 948 ss.; COLLI VIGNARELLI, Valore probatorio delle dichiarazioni del contribuente e dei terzi (parte seconda), in Riv. tel. dir. trib., 4 giugno 2021, p. 3). Si riteneva, infatti, che l’art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992 non implicasse “l’impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell’amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento e che, proprio perché assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali elementi indiziari che possono concorre a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice” (Cass., sent. 16 marzo 2018, n. 6616). L’ammissibilità di tale fonte indiziaria era stata poi riconosciuta anche in favore del contribuente, per dare concreta attuazione ai principi del giusto processo e “per garantire il principio della parità delle armi processuali nonché l’effettività del diritto di difesa” (Cass., sent. 25 marzo 2002, n. 4269). In limine va, infine, ricordato come parte della dottrina fosse giunta a sostenere addirittura una valenza probatoria “piena” delle dichiarazioni extraprocessuali, poiché “niente vieta che le dichiarazioni dei terzi possano fornire la prova diretta ed immediata dei fatti che debbono essere dimostrati nel processo tributario” (in tal senso, PISTOLESI, L’efficacia probatoria delle informazioni rese da terzi nel processo tributario, in Corr. trib., 2007, 29, p. 2363 s.; RUSSO, Manuale di diritto tributario. Il processo tributario, Milano, 2005, p. 172).
4. In tale contesto si inserisce la sentenza in rassegna la quale, dopo una premessa tutt’altro che innovativa, sembra però voler evidenziare ancor di più l’incidenza che gli elementi dimostrativi introdotti in giudizio sono destinati ad avere nella valutazione del Giudice di merito. Quest’ultimo viene chiamato a considerare con rigore l’intero quadro probatorio emergente dalla fase di istruzione, ivi compresi gli elementi indiziari offerti dalle parti. Tale nuovo approccio pare certamente influenzato dall’introduzione del nuovo comma 5-bis nel corpo del richiamato art. 7, il quale oltre a regolamentare il criterio di ripartizione dell’onere della prova, assegna all’istruttoria dibattimentale “un ruolo centrale” (Cass., ord. 27 ottobre 2022, n. 31878) e lega in maniera significativa la fase istruttoria a quella della valutazione giudiziale delle prove emerse in giudizio, prescrivendo al Giudice un rigore nell’apprezzamento del quadro probatorio più marcato rispetto al passato.
5. La regola iuris che la Corte afferma è, dunque, quella secondo cui la dichiarazione del terzo, quale mero indizio, “ben può fondare la decisione del giudice” a patto però che sussistano i requisiti predicati dall’art. 2729 c.c., in assenza dei quali la medesima dichiarazione deve risolversi in un elemento privo di attitudine a sostenere – da solo – la pronuncia giudiziale.
6. Il criterio valutativo così affermato pone, allora, una significativa conseguenza dal punto di vista processuale in quanto l’efficacia dimostrativa, dichiaratamente limitata, riconosciuta agli elementi indiziari deve, oggi, confrontarsi con l’introduzione della prova testimoniale tra le fonti di prova del rito tributario. La Corte di cassazione sembra fornire conferma di ciò nella sentenza in rassegna, laddove puntualizza che la dichiarazione del terzo, ove anche ritenuta attendibile, non vincola il giudice come avviene invece per le prove. Si tratta di una rilevante affermazione in chiave prospettica in quanto è potenzialmente idonea a determinare il definitivo tramonto dell’uso delle dichiarazioni dei terzi nella prassi processuale. Sebbene esse siano ottenibili senza particolari forme e con usuale celerità, oggi le parti hanno a disposizione uno strumento, quello della testimonianza scritta, che seppure più complesso per le modalità di acquisizione mutuate dall’art. 257-bisp.c. è sovrapponibile nella sostanza alle dichiarazioni extra processum (potendo avere ad oggetto le medesime circostanze di fatto sulle quali i terzi renderebbero la dichiarazione) ed è preferibile per la piena efficacia probatoria che gli è propria.
7. La dicotomia indizio-prova non potrebbe, d’altro canto, essere meno incisiva, avuto riguardo al loro momento genetico, alle modalità di raccolta e al diverso grado di partecipazione delle parti alla loro formazione:
Al di là dell’assenza di una Autorità giudiziaria che supervisioni la formazione della dichiarazione del terzo extra processum, ciò che impone di riservarle una efficacia dimostrativa circoscritta e subordinata alla rispondenza ai canoni dell’art. 2729 c.c. è proprio l’assenza del contraddittorio nella sua fase di formazione, in quanto alla raccolta della dichiarazione del terzo partecipa una sola delle parti del rapporto tributario e ciò ne compromette inevitabilmente la stessa attendibilità (PISTOLESI, La testimonianza scritta, in CARINCI-PISTOLESI (a cura di), La riforma della Giustizia e del processo tributario, Milano, 2023, p. 68; LOVISOLO, Osservazioni sull’ampliamento della giurisdizione e sui poteri istruttori del Giudice tributario, in Dir. prat. trib., 2006, 5, p. 1057 ss.). Già nella richiamata pronuncia della Corte Costituzionale n. 18/2000, per evitare questo, pur riconoscendo l’ammissibilità delle dichiarazioni dei terzi adoperate dall’Amministrazione finanziaria, si precisava come, in caso di contestazioni in ordine alla loro autenticità, il Giudice potesse e dovesse “far uso degli ampi poteri inquisitori riconosciutigli dal comma 1 dell’art. 7 del D.L.vo n. 546 del 1992, rinnovando e, eventualmente, integrando – secondo le indicazioni delle parti e con garanzia di imparzialità – l’attività istruttoria svolta dall’ufficio” (circa la necessità di una verifica giudiziale, anche officiosa, della credibilità del terzo, LOVISOLO, Spese di regia e poteri istruttori delle Commissioni tributarie, in Riv. giur. trib., 2006, 11, p. 995).
8. Se appare ultroneo ipotizzare che l’Amministrazione finanziaria possa operare un “inquinamento” della dichiarazione del terzo, ugualmente potrebbe accadere che quest’ultimo sia portatore di un interesse confliggente con quello del contribuente verificato e, per questo, possa rendere una dichiarazione non veritiera. Si pensi, a puro titolo esemplificativo, all’ipotesi di accertamento di compensi che si presumono incassati da un professionista senza emissione della relativa fattura in presenza di una prestazione oggettivamente resa. L’interesse del terzo è certamente quello di affermare l’avvenuta corresponsione del compenso professionale al prestatore d’opera, quand’anche mai avvenuta, con ciò evitando che una affermazione di segno contrario possa equivalere a riconoscimento del suo debito nei riguardi del professionista. In tale evenienza, pur non essendo revocabile in dubbio la buona fede dell’Amministrazione (RICCIONI, L'ammissibilità ai fini probatori delle dichiarazioni rese da terzi in ambito extraprocessuale in rapporto al divieto di prova testimoniale nel processo tributario, in Il Fisco, 2003, 14, p. 2120) che fondi la rettifica del reddito di lavoro autonomo su una tale affermazione del terzo, è indiscutibile che il conflitto di interessi tra le parti contrattuali potrebbe minare la stessa credibilità dell’elemento indiziario. Analoghe preoccupazioni valgono per le dichiarazioni raccolte dal contribuente, il cui tenore potrebbe anche essere convenuto tra quest’ultimo ed il terzo che sia compiacente o, più semplicemente, contrario per principio alle ragioni erariali (problema già evidenziato da ALLORIO, Diritto processuale tributario, Milano, 1942, p. 373, il quale ha ravvisato un “pericolo della testimonianza falsa che incombe assai più grave che nel processo comune per il biasimevole senso di omertà contro il Fisco”).
9. Così la valenza probatoria della dichiarazione del terzo non può che dipendere dalla previa verifica non solo della sua intrinseca attendibilità (anche in punto di coerenza logica con il fatto che si intende dimostrare) ma soprattutto della sua conciliabilità con altri ed ulteriori elementi probatori emersi nell’istruttoria dibattimentale. Di contro, l’efficacia probatoria riservata alla prova testimoniale è quella di “vincolare” – per utilizzare la terminologia della Suprema Corte – il giudice di merito. L’insegnamento che la sentenza fornisce è nel senso di differenziare in modo netto il grado di dimostrazione che può fornire la prova (e, dunque, anche la deposizione del testimone resa in giudizio) da quello degli indizi, quali sono le dichiarazioni dei terzi raccolte fuori dal processo.
10. È stato poi chiarito che le dichiarazioni di terzi possono costituire elemento indiziario a favore dell’Amministrazione finanziaria anche quando non siano state trascritte nel processo verbale di constatazione, ma solo riportate nell’avviso di accertamento, poiché anche in tale ipotesi “le dichiarazioni di terzi rilevano come fonti di conoscenza, come fatti o indizi, che spetta al giudice di merito valutare insieme con gli altri elementi presuntivi che completano il quadro probatorio a sostegno della pretesa tributaria, al fine di decidere se l’Ufficio abbia soddisfatto l’onere della prova a suo carico, con conseguente trasferimento al contribuente dell’onere della prova contraria” (Cass., sent. 28 ottobre 2022, n. 32024). L’Ufficio potrebbe ora richiedere l’escussione in causa del dichiarante per attribuire valore di prova alle affermazioni già introdotte nell’avviso di accertamento, sebbene siano stati sollevati dubbi che “l’ente impositore possa sviluppare la propria attività istruttoria nella fase processuale, contravvenendo la regola ... per cui l’avviso di accertamento rappresenta ... l’espressione compiuta e tendenzialmente definitiva della funzione di controllo degli adempimenti fiscali dei contribuenti” (Pistolesi, La testimonianza scritta, cit., 73).
11. Una tale possibilità sembra invece dover essere ammessa, innanzitutto perché, ragionando in senso contrario, le parti non sarebbero in posizione di parità processuale, come nel caso in cui l’esigenza per la parte pubblica di richiedere la testimonianza sorga quale conseguenza delle difese contenute nel ricorso del contribuente. Inoltre, la prova in senso tecnico non è elemento “proprio” dell’avviso di accertamento, bensì la fonte di dimostrazione della fondatezza della pretesa impositiva che, salvi i casi di contraddittorio anticipato, avviene nella fase contenziosa (FALSITTA, Manuale di diritto tributario, Padova, 2005, p. 343; LUPI, Motivazione e prova nell’accertamento tributario, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1987, p. 282). Non a caso il richiamato art. 7, comma 5-bis prevede ora che l’Amministrazione debba provare “in giudizio” la fondatezza delle proprie pretese, in tal modo individuando nella fase di istruzione il luogo deputato alla formazione del materiale probatorio utilizzabile dal Giudice. Per altro verso, il riferimento alle dichiarazioni dei terzi, che sia operato nell’avviso di accertamento, comporta che la successiva richiesta di escussione in giudizio dei soggetti che le hanno rese non abbia mai un vero e proprio carattere “integrativo” delle motivazioni del provvedimento impositivo, né novativo delle fonti dimostrative. Poiché, dunque, il comma 5-bis dell’art. 7 richiede che il Giudice tributario innanzitutto verifichi la sufficienza della prova fornita dall’Amministrazione, quest’ultima non solo deve motivare l’avviso di accertamento – e tanto anche attraverso l’allegazione delle dichiarazioni dei terzi – ma, anche e soprattutto, deve far emergere in giudizio la sufficiente prova della fondatezza della propria pretesa. Nel caso in cui le dichiarazioni dei terzi risultino la prevalente (o addirittura l’esclusiva) fonte di giustificazione dell’avviso, difficilmente l’ente impositore potrà esimersi dal richiedere l’escussione del dichiarante in modo da fornire all’elemento indiziario della dichiarazione del terzo l’efficacia che è propria di una prova, “vincolante” nei termini innanzi precisati. Quanto alla posizione del contribuente, per analoghe ragioni anche quest’ultimo potrà, in sede di impugnazione, preferire di formulare la richiesta giudiziale della prova per testi invece di limitarsi a produrre dichiarazioni indiziarie rilasciate dai terzi.
12. Occorre, però, una doverosa precisazione. La norma che ha introdotto la testimonianza nel processo tributario ne ha espressamente subordinato l’ammissione alla previa valutazione da parte del giudice della sua necessarietà ai fini della decisione. La “misura” della discrezionalità in tal modo riconosciuta alle Corti di Giustizia Tributaria può essere ricavata dall’esegesi già operata per la “necessità” della nuova prova utilizzabile in appello, contenuta nell’art. 58 del D.Lgs. n. 546/1992 prima della sua riforma ad opera del D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 220. In proposito, era stato osservato come la nuova prova potesse essere disposta in secondo grado “ove essa [fosse] l’unica – poiché non surrogabile con altri mezzi istruttori – idonea a dirimere l’incertezza sui fatti decisivi per risolvere la lite” (PISTOLESI, La testimonianza scritta, cit., p. 70). Ciò può condurre a ritenere che l’ammissione della prova testimoniale sconti una analoga verifica giudiziale di residualità decisiva. Una tale conclusione comporterebbe, tuttavia, il concreto rischio di attribuire già alla semplice attività di ammissione del mezzo istruttorio un significato anticipatorio della decisione del merito, poiché ammettere una prova indispensabile a dirimere l’incertezza sul fatto corrisponderebbe a riconoscerne, implicitamente, una valenza assoluta e realmente “vincolante”, a prescindere dal resto del quadro istruttorio.
13. Alla “indispensabilità” sembrerebbe invece da preferirsi la semplice “rilevanza” ai fini decisori dell’ammettenda prova testimoniale (ZAGA', La “nuova” prova testimoniale scritta nel riformato processo tributario, in prat. trib., 2022, 6, p. 2153). Tralasciando l’ermeneusi del concetto di necessarietà, ciò che dovrà considerarsi un punto fermo è l’insindacabilità, per le parti, della scelta giudiziale di ammettere o meno la prova testimoniale, se non sotto il limitato profilo della correttezza logica e giuridica della motivazione (Cass., sent. 25 maggio 2002, n. 7678; Cass., sent. 30 maggio 2005, n. 11485). Aderendo all’interpretazione più restrittiva ed in attesa della formazione di un orientamento giurisprudenziale, si dovrebbe ritenere che la parte dovrebbe vedere non ammessa la testimonianza se il fatto da provare poteva essere oggetto di dimostrazione attraverso un diverso mezzo istruttorio.
14. Ora, nelle liti di impugnazione (giacché l’esperienza processuale mostra come nei giudizi di rimborso l’onere probatorio a carico del richiedente abbia prevalentemente ad oggetto circostanze da provarsi in via documentale) l’Amministrazione finanziaria è frequentemente nella possibilità di richiamare dichiarazioni dei terzi anche solo ad ulteriore conforto di altri elementi, pure semplicemente induttivi: ciò sia per l’esistenza di numerose ipotesi di presunzioni, legali o di matrice giurisprudenziale, sia per i penetranti poteri di indagine riconosciutile dall’ordinamento tributario. In tal caso la parte pubblica potrebbe anche non richiedere la prova testimoniale perché il quadro probatorio sarebbe comunque sufficiente a fondare la pretesa tributaria.
15. È, invece, tutt’altro che infrequente l’ipotesi in cui il contribuente non abbia a disposizione altri strumenti dimostrativi se non, appunto, le dichiarazioni dei terzi (come può avvenire, ad esempio, in caso di accertamento sintetico per dimostrare la causa di liberalità alla base della disponibilità finanziaria giustificativa della capacità di spesa). In una siffatta eventualità, il contribuente non potrà limitarsi ad introdurre nel giudizio le dichiarazioni dei terzi raccolte prima e fuori del processo, poiché la loro valenza meramente indiziaria non risulterebbe idonea – in linea di principio – a contrastare la pretesa fiscale. Così, la sola possibilità di difesa in giudizio delle proprie ragioni sarebbe rimessa alla richiesta di escussione dei testimoni, in modo da introdurre in giudizio una vera “prova” idonea a confutare la ripresa fiscale. A ben vedere, tuttavia, la parte privata neppure potrebbe rinunciare ad “anticipare”, già nell’atto di impugnazione, l’introduzione delle affermazioni dei terzi e rimettersi alla richiesta di ammissione della prova testimoniale, poiché declinando alla produzione delle dichiarazioni extraprocessuali si esporrebbe alla possibilità che, in assenza di ammissione della testimonianza, la difesa risulti priva di qualsiasi sostegno dimostrativo.
16. Quello che sembra possa essere tratto dalle considerazioni che precedono è l’esistenza di un plausibile rapporto di cumulo tra i due mezzi dimostrativi e non di loro alternatività nelle scelte processuali delle parti. Almeno in prima battuta, può, infatti, ipotizzarsi che non verrà abbandonato l’impiego delle dichiarazioni dei terzi, tanto da parte dell’Amministrazione finanziaria quanto ad opera del contribuente. La prima, come visto, difficilmente riterrà superfluo il riferimento alle dichiarazioni extra processum per fondare la propria pretesa, quanto meno per dare sufficiente spessore alle motivazioni della ripresa fiscale, e ben potrà domandare l’escussione giudiziale dei dichiaranti per fornire alle loro affermazioni il valore di vera e propria prova.
17. Uguale strategia processuale può presumersi che verrà adottata dalla parte privata che non abbia a disposizione ulteriori fonti dimostrative: essa potrà innanzitutto produrre le dichiarazioni assunte stragiudizialmente dai terzi e, poi, chiedere che sia ammessa la loro testimonianza in giudizio. In tal modo verrebbe infatti scongiurato il rischio che l’eventuale mancata ammissione della prova testimoniale possa rendere priva di elementi probatori – neppure indiziari – l’impugnazione, provocandone il probabile rigetto.