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G. Giappichelli Editore

07/06/2024 - Mancata esibizione e onere della prova tra violazioni formali e elementi costitutivi della detrazione IVA

argomento: IVA - Giurisprudenza

In tema di detrazione IVA, il mancato assolvimento degli obblighi formali da parte del contribuente e la mancata esibizione di parte della documentazione contabile come prova della sussistenza dell'eccedenza (per cause non imputabili al contribuente stesso) non costituiscono, per la Suprema Corte, fattori determinanti ai fini del disconoscimento del diritto alla detrazione, qualora tali elementi costitutivi possano essere determinati dalla documentazione contabile esibita dal contribuente.

» visualizza: il documento (Corte di Cass., sent. 3 luglio 2023, n. 18642) scarica file

PAROLE CHIAVE: detrazione IVA - presunzione - onere della prova


di Fabrizio Virdis

1. Un breve excursus sul caso.

La Suprema Corte è chiamata a dirimere una controversia concernente la connessione tra il diritto alla detrazione IVA e la prova documentale nell'ambito del procedimento e del processo tributario.

Nello specifico, la società ricorrente (una S.a.s. in liquidazione e in concordato preventivo) contestava in Commissione tributaria provinciale l'accertamento di un maggiore imponibile IVA per l'anno 2011 in ragione del disconoscimento del credito IVA emergente dalla differenza tra l'IVA sugli acquisti e l'IVA sulle vendite prodotte nel corso del periodo d'imposta.

La ragione del disconoscimento del credito IVA era da ricercare nel mancato rispetto, da parte della ricorrente, dell'obbligo dichiarativo (con omissione della presentazione della dichiarazione IVA annuale), nonché nella mancata esibizione delle relative fatture nella fase procedimentale.

Nel corso del primo giudizio di merito, veniva annullato l'atto impositivo in quanto la documentazione presentata dalla parte ricorrente a supporto delle proprie deduzioni risultava idonea a garantire l'esercizio del diritto di detrazione dell'IVA, essendo stata peraltro verificata da professionisti indipendenti e dal Tribunale in sede di omologazione del concordato preventivo. Inoltre, la mancata esibizione delle fatture a supporto dell'esercizio del diritto alla detrazione, peraltro con evidenza in denunce e rilievi fotografici, era dipesa da “eventi di forza maggiore” (come chiarito dai giudici della CTP), non potendosi ricondurre pertanto a una condotta dolosa della ricorrente stessa.

In sede di appello, la CTR della Sicilia, con sentenza n. 1098/2021 confermava quanto già stabilito dalla CTP, rilevando l’erroneità della pratica messa in atto dall'Ufficio di procedere al disconoscimento del credito IVA soltanto in funzione dell'omissione della presentazione della dichiarazione IVA per il periodo d'imposta in questione.

La correttezza sostanziale del credito IVA era, infatti, dimostrata dalla contabilità generale, vagliata da professionisti indipendenti e sulla base della quale il Tribunale fallimentare aveva omologato l'istanza di concordato preventivo, nonché attraverso i registri IVA, nei quali erano state annotate le operazioni di costi e ricavi, oneri e spese, liquidazioni periodiche IVA, documentazione ritenuta attendibile anche dai verbalizzanti, ma che, per l'Amministrazione finanziaria costituiva mera prova presuntiva documentale, non potendo ammettersi, in sede processuale tributaria, la prova testimoniale ai sensi dell'art. 2724 c.c.

L'Agenzia delle entrate ricorreva pertanto in Cassazione, contestando la decisione della CTR di aver ammesso l'esistenza del credito IVA sulla base di mere presunzioni, non avendo la parte resistente adempiuto all'obbligo di presentazione della dichiarazione IVA annuale e non avendo provato di essersi trovata nell'incolpevole possibilità di produrre le fatture o di acquisirne la relativa copia dai rispettivi fornitori.

Nel cassare l'unico motivo di impugnazione avanzato dall'Agenzia delle entrate (falsa applicazione degli artt. 19, 25, 39 e 55 del D.P.R. n. 633/1972, dell'art. 22 del D.P.R. n. 600/1973 e degli artt. 2697 e 2724 c.c.) la Suprema Corte considera corretto l'esercizio della detrazione, essendo esso supportato da elementi costitutivi quali l'effettività e la liceità dell'operazione ed essendo la società contribuente soggetto passivo IVA. Sul piano probatorio, la Corte di Cassazione conferma quanto statuito dalla CTR, ritenendo idonea la documentazione prodotta dal contribuente a supporto del diritto alla detrazione.

 

2. La ratio decidendi, nella sentenza in commento, si basa sostanzialmente su due elementi distinti:

- gli elementi costitutivi dell'esercizio del diritto alla detrazione dell'IVA sugli acquisti;

- l'omessa esibizione di documenti per cause non imputabili al contribuente.

Sul piano oggettivo, per quanto riguarda il primo punto, la Suprema Corte cita la Corte di Giustizia UE, 11 dicembre 2014, causa C-590/13 (Idexx Laboratories Italia S.r.l.) riguardante l'esercizio del diritto alla detrazione dell'IVA sulle operazioni di acquisto intracomunitarie. Il caso esposto nella predetta causa, ancorché riferibile a un medesimo riferimento normativo, ovvero gli artt. 17, 18, 21 e 22 della Direttiva n. 77/388/CEE in materia di IVA risulta essere non del tutto affine rispetto al caso de quo.

Nel contesto delle cause sottoposte al giudizio della Corte di Giustizia UE, l'Agenzia delle Entrate accertava la violazione degli obblighi in materia IVA di registrazione, integrazione e autoliquidazione dell'IVA sulle fatture di acquisto intracomunitario, irrogando una sanzione corrispondente al 100% dell'imposta stessa.

Difatti, in tema di operazioni intracomunitarie, il diritto alla detrazione dell'IVA sugli acquisti di beni o servizi all'interno dell'Unione Europea, è esercitato a condizione che il soggetto passivo nazionale, il quale riceve dal soggetto UE una fattura senza applicazione dell'IVA, annoti la fattura nel registro degli acquisti e nel registro delle vendite, provveda a numerarla e dia luogo all'autoliquidazione, garantendo de facto il rispetto del meccanismo della neutralità proprio dell'imposta sul valore aggiunto, in ossequio all'art. 17 della citata Direttiva (per cui il diritto alla detrazione nasce quando l'imposta detraibile diviene esigibile). Dette formalità risulterebbero rilevanti soprattutto nei casi in cui il soggetto passivo nazionale non svolga esclusivamente operazioni imponibili e sia tenuto in tal caso ad applicare il meccanismo del pro-rata di detraibilità, dando luogo in questo modo ad un effetto diverso rispetto alla produzione di un credito e di un debito “apparente”. Il fenomeno potrebbe assumere così rilevanza anche sostanziale, rendendo peraltro più agevole l'attività di verifica e controllo da parte dell'Agenzia delle entrate.

L'adempimento a tali obblighi, seppur formali, ma in determinati casi aventi rilevanza sostanziale, assumerebbe pertanto natura dissimile rispetto al caso in commento.

Nello specifico secondo la giurisprudenza unionale il diritto alla detrazione di cui all'art. 17 co. 2 lett. a) (detrazione dell'imposta assolta o dovuta per le merci fornite o i servizi prestati) può essere esercitato a condizione che il soggetto passivo IVA sia nel materiale possesso della fattura “redatta ai sensi dell'articolo 22 paragrafo 3”, presupposto questo, che integra formalmente i requisiti sostanziali di identificazione nella qualità di soggetto passivo del cedente/prestatore, di competenza e inerenza rispetto all'attività d'impresa svolta dal cessionario/committente, oltre che quelli di effettività e liceità dell'operazione.

La vexata quaestio risulterebbe essere, pertanto, ancor meno criptica rispetto a quanto rappresentato nella sentenza in commento.

Giova infatti specificare che la stessa giurisprudenza unionale (sul tema vedasi M. DELLAPINA, Stop alla detrazione IVA se gli errori formali impediscono la prova dei requisiti sostanziali, in L'IVA, 2023, 5, pp. 12-17), ha affermato su diversi fronti che la detrazione dell'IVA possa essere negata nei casi in cui l'eventuale violazione formale abbia come effetto un obiettivo impedimento dell'attività di controllo sul rispetto dei requisiti sostanziali, ovvero che sia talmente grave da impedire l'accertamento dell'entità delle operazioni d'acquisto soggette ad IVA, ovvero, ancora, che, con intento fraudolento e di evasione, il soggetto passivo ometta l'esecuzione di taluni adempimenti formali (v. Cass. civ. Sez. V, Ord., 7 marzo 2023, n. 6785; Corte di Giustizia UE, 28 luglio 2016, causa C-332/15).

Esaminati gli orientamenti contrapposti della Suprema Corte e della Corte di Giustizia dell'Unione europea, pare che nel caso de quo l'unico inadempimento sul piano formale messo in atto dalla parte contribuente sia l'omissione dichiarativa, stante il fatto che la mancata esibizione delle fatture (e quindi l'apparente assenza di una valida prova sull'avvenuto rispetto degli elementi costitutivi sostanziali del diritto alla detrazione) sia dipesa da cause di forza maggiore, dimostrate con denunce ed evidenze fotografiche e che la controversia sia stata forse corroborata da un evidente e sistematico atteggiamento ricalcitrante dell'Amministrazione, opportunamente censurato in tutti e tre i gradi di giudizio.

Va da sé che, anche in relazione alla omessa presentazione della dichiarazione IVA per l'annualità oggetto di contestazione da parte dell'ufficio, non ci si può che uniformare a quanto stabilito dalla Suprema Corte in diversi pronunciamenti (tra gli altri, Cass. civ., SS.UU., 8 settembre 2016, n. 17757, e Cass. civ., Sez. V, Sent., 23 febbraio 2018, n. 4392), nei quali si ammette la possibilità da parte del contribuente di esercitare il diritto di detrazione (anche con riferimento a un'eccedenza d'imposta riferita a anni precedenti) in mancanza di una dichiarazione IVA a condizione che in linea generale vengano in ogni caso rispettati i requisiti sostanziali per l'esercizio del diritto stesso (ovvero che sia dimostrato, in concreto, che l'affare riguardi soggetti passivi IVA e sia finalizzato alla realizzazione di operazioni imponibili) e purché venga rispettata la cornice biennale di cui all'art. 19 del D.P.R. n. 633/1972.

Fatta questa premessa, il thema decidendum risulterebbe basato per la residua parte sulla dicotomia tra mancata esibizione e onere della prova.

 

3. Ammesso che gli inadempimenti formali non possano considerarsi fattore discriminante per il giudizio espresso dalla Suprema Corte, desumendosi in tal modo una tendenziale indifferenza rispetto alla rilevanza anche sostanziale di talune violazioni (tra cui l'omessa presentazione della dichiarazione annuale), occorre chiarire il perimetro entro il quale è collocata la decisione della Corte di Cassazione di condannare l'Ufficio procedente.

Come si è già avuto modo di osservare, la Cassazione ha trattato su diversi fronti la relazione intercorrente tra gli adempimenti interni prescritti da ciascuno stato membro e l'esercizio del diritto alla detrazione, esprimendo la rilevanza dell'onere probatorio posto a carico del contribuente circa la liceità, l'effettività e l'inerenza dell'operazione sottostante.

Con un rimando alla sentenza Cass. civ., SS.UU., 8 settembre 2016, n. 17757, della quale peraltro si è già avuto modo di discorrere, i giudici di legittimità riaffermano il principio secondo cui “l'esercizio del diritto di detrazione dell'eccedenza IVA, che deve essere tutelato in modo sostanziale ed effettivo, va dunque riconosciuto a fronte di una reale operazione sottostante, la cui prova certa può essere acquisita dai dati risultanti dalle fatture o da altro documento equivalente, come, ad esempio, la documentazione contabile, essendo, invece, a tal fine poco rilevante l'osservanza degli obblighi dichiarativi”.

Non potendosi che manifestare un giudizio concordante con quanto statuito, giova al contempo fare una premessa.

Nell'ambito del procedimento tributario, nella maniera in cui è articolato dall'ordinamento tributario nazionale, sia nella fase di controllo, sia in quella di contraddittorio tra ufficio dell'amministrazione e contribuente, come anche in fase processuale, l'acquisizione delle prove avviene secondo un procedimento mediato. Difatti, come illustrato da CIPOLLA, I mezzi di prova nel processo tributario ed il valore delle presunzioni, Relazione in occasione del Seminario di aggiornamento professionale per i magistrati delle Commissioni tributarie della regione Lazio, Roma 4 aprile 2014), nell'ambito delle fasi istruttive, come anche in sede di contenzioso, la rappresentazione documentale risulta essere condizione essenziale per permettere a “soggetti diversi da quelli che hanno redatto il documento di utilizzare anche in chiave probatoria i risultati dell’attività di controllo” cosicché in tale contesto la prova possa considerarsi “precostituita”.

Va da sé che, in quest'ordine di cose, è lapalissiano come le scritture contabili, specialmente nel contesto del processo tributario, costituiscano elemento essenziale quale espressione della rilevanza probatoria delle rappresentazioni documentali, con marcata rilevanza nei casi analoghi a quello de quo, in cui l'esibizione (o, meglio, la mancata esibizione) della documentazione contabile costituisce elemento determinante ai fini della decisione dell'organo giurisdizionale di riferimento.

Peraltro, va opportunamente precisato che, ai sensi dell'art. 52 del D.P.R. n. 633/12972, la mancata esibizione della documentazione contabile (libri, registri, fatture) viene recepita pressoché nella totalità dei casi come “rifiuto di esibizione” (per citare il dispositivo “Per rifiuto di esibizione si intendono anche la dichiarazione di non possedere i libri, registri, documenti e scritture e la sottrazione di essi alla ispezione”).

Inoltre, la sola circostanza che la mancata esibizione dei documenti sia dipesa da fatti non direttamente imputabili al contribuente non esenta lo stesso dall'onere della prova (sul tema v. CIARCIA, Il rifiuto di esibizione tra preclusioni probatorie, espressa richiesta dell'A.F. e perdita (incolpevole) di documenti, in Dir. prat. trib., 2023, 3, pp. 795-808).

A ben vedere, l'unico elemento a supporto della parte contribuente nell'ambito del caso in specie, è rappresentato dalla verifica effettuata dai professionisti indipendenti e dal Giudice delegato in sede di omologa del concordato preventivo sull'idoneità della documentazione resa dalla società quale prova dell'esistenza del credito IVA (circostanza, questa, che ha generato il richiamo, sia in sede di giudizio d'appello, che in sede di giudizio di legittimità, all'art. 2724 c.c. in tema di prova per testimoni).

 

4. In conclusione, a parere dello scrivente, la decisione della Suprema Corte in ordine al caso testé esposto, pur con l'inevitabile limitazione della non rivalutabilità sul merito del giudizio espresso dalla CTP, potrebbe considerarsi condivisibile in ragione del sol fatto che gli inadempimenti degli obblighi formali messi in atto dalla parte contribuente, nonché l'impossibilità di fornire la documentazione necessaria ai fini della prova della validità degli elementi costitutivi del diritto alla detrazione IVA (per le ragioni esposte in precedenza), non possano di per sé pregiudicare l'esercizio del diritto stesso, dal momento che, in primo luogo, non si argomenti di violazioni di gravità tale da impedire le attività di controllo dell'Amministrazione e rendere indeterminabili gli elementi costitutivi sostanziali posti a fondamento del citato diritto.

Il possesso della documentazione attestante la regolare tenuta della contabilità, peraltro rafforzata dal controllo contabile che è stato evidentemente svolto in sede di concordato, costituisce di per sé elemento sufficiente per dimostrare la liceità e l'effettività delle operazioni svolte dalla società contribuente, posto che, in ogni caso, la violazione di taluni obblighi in materia IVA non è stata generata da pratiche fraudolente o di evasione messe in atto dalla società.