argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza
La sentenza affronta il tema del riparto di giurisdizione tra il giudice amministrativo e il giudice tributario, ritenendo che il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate attuativo di una disposizione legislativa che gli demanda di determinare le modalità di presentazione ed il contenuto di una comunicazione da inviare a detta agenzia fiscale si configura come atto amministrativo generale, meramente ricognitivo e attuativo del meccanismo previsto per legge e, in quanto tale, da ricondursi alla giurisdizione del giudice amministrativo nonostante lo specifico contenuto tributario, riconoscendo altresì l’impugnabilità della circolare nella fattispecie gravata per stretta connessione contenutistica integrativa del provvedimento direttoriale impugnato e conseguente associabilità allo stesso sul piano dell’affermazione della giurisdizione amministrativa.
» visualizza: il documento (Corte di Cass., sez. un., sent. 19 ottobre 2023, n. 29023)PAROLE CHIAVE: atto amministrativo generale - circolare - riparto di giurisdizione - giudice amministrativo - giudice tributario - contributo solidarietā
di Ilaria Giannone
1. La vicenda origina dall’impugnazione, dinanzi al Tribunale Amministrativo regionale per il Lazio, del provvedimento del Direttore dell’Agenzia fiscale prot. n. 221978 del 17 giugno 2022, della circolare n. 22/E del 23 giugno 2022 e della risoluzione n. 29/E del 20 giugno 2022 della medesima agenzia, attuativi del contributo previsto a titolo di prelievo solidaristico straordinario, determinato ai sensi dell’art. 37 del D.L. n. 21/2022, quale prelievo straordinario posto a carico delle imprese del settore petrolifero/energetico volto a contenere per le imprese e i consumatori gli effetti dell’aumento dei prezzi e delle tariffe.
La sentenza in commento genera l’occasione per le Sezioni Unite della Corte di Cassazione di soffermarsi sul tema del riparto di giurisdizione tra quella tributaria e quella amministrativa, attribuendo alla giurisdizione del giudice amministrativo l’impugnazione degli atti amministrativi generali aventi specifico contenuto tributario e spingendosi sino a riconoscere nella fattispecie l’impugnabilità della circolare con relativa sottoposizione alla giurisdizione amministrativa.
2. Come noto, nel nostro ordinamento il sistema di riparto fra la giurisdizione ordinaria e quella amministrativa, sancito dall’art. 103 Cost. e ribadito dall’art. 7 c.p.a., è fondato sulla natura della posizione giuridica soggettiva dedotta in giudizio, in virtù della quale sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie nelle quali emerge la lesione di un diritto soggettivo, mentre la giurisdizione è attribuita al giudice amministrativo per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione di interessi legittimi, e nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo.
Tuttavia, le controversie concernenti la materia tributaria sono devolute ad un apposito giudice, la Corte di Giustizia tributaria, la cui giurisdizione non dipende dalla posizione soggettiva tutelata, ma è stabilita ratione materiae, atteso che, secondo costante giurisprudenza costituzionale, il menzionato art. 103 Cost. non consacra una riserva assoluta di giurisdizione in favore del giudice amministrativo per la tutela degli interessi legittimi, ben potendo la Corte di giustizia tributaria conoscere oltre che della lesione di diritti soggettivi anche di controversie concernenti la tutela di interessi legittimi (per completezza deve richiamarsi l’impostazione alloriana delineata in ALLORIO, Diritto processuale tributario, V ed., Torino, 1969, e descritta in LOGOZZO M., L’amministrazione finanziaria come organo di giustizia nel pensiero di Enrico Allorio, in Dir. prat. trib., 2015, 6, p. 10831; SEPIO, La nozione di lite pendente tra processo civile e tributario, in Corr. trib., 2011, 43, p. 3594; TESAURO, Giusto processo e processo tributario, in Rass. trib., 2006, 1, p. 11; TESAURO, Manuale del processo tributario, Torino, 2023, p. 1 ss.; TINELLI, Dal diritto processuale al diritto tributario: per gli ottanta anni dell’opera di Allorio, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2022, 3, p. 290, secondo cui deve riconoscersi in capo ai singoli contribuenti la titolarità di un interesse legittimo “un diritto, insomma, d’impugnazione dell’atto medesimo dinanzi a organi di giurisdizione speciale che può qualificarsi in pari tempo come diritto all’annullamento di quell’atto” (ALLORIO, Diritto processuale tributario, cit., p. 108), ciò in quanto, l’autore ritiene che nell’esercizio del potere di imposizione l’atto amministrativo sia idoneo a costituire un rapporto obbligatorio pur in difetto di una base legale; di conseguenza la posizione soggettiva del singolo nei confronti del potere impositivo deve ritenersi una posizione di interesse legittimo che si sostanzia nella tutela giurisdizionale del giudice tributario (quanto all’interesse legittimo è d’obbligo richiamare altresì BASILAVECCHIA M., Funzione impositiva e forme di tutela, Torino, 2018, p. 44 ss.; GLENDI, L’oggetto del processo tributario, Padova, 1984, p. 163 ss. Sull’influenza dell’interesse legittimo nella struttura del processo tributario si veda anche SCOCA S. S., Potestà impositiva e situazioni soggettive del contribuente, in Dir. prat. trib., 2015, 3, p. 10387. Per completezza si rimanda altresì all’esame della disciplina positiva del processo tributario rinvenibile in SCOCA F. G., Brevi considerazioni sul modello del processo tributario, in Dir. prat. trib., 2015, 5, p. 10728. Per una ricostruzione completa della teoria generale del processo tributario a partire dall’oggetto si veda inoltre il contributo di CORRARO-MARINELLI, L’oggetto del processo tributario, fra teorie dichiarative e teorie costitutive: tracciati evolutivi, in Dir. prat. trib., 2019, 4, p. 1586).
Questo approdo giurisprudenziale costituisce l’esito di un’evoluzione della tutela giurisdizionale in ambito tributario, che si è cristallizzata con l’entrata in vigore della L. 2 dicembre 2005, n. 248, attuativa del D.L. n. 203/2005, la quale, introducendo l’attuale vigente formulazione dell’art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992, precisa, nei termini che seguono, l’ambito di giurisdizione tributaria: “Appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, le sovrimposte e le addizionali, le relative sanzioni nonché gli interessi e ogni altro accessorio”, svalutando il nomen iuris della pretesa a favore della natura tributaria sostanziale che caratterizza il prelievo (BUSCEMA A., I precisi ambiti della giurisdizione tributaria secondo il giudice di legittimità, in Azienditalia Fin. e trib., 2006, 24, p. XVI ss.; MELIS, Manuale di diritto tributario, Torino, 2023, p. 540. Per completezza si veda anche BASILAVECCHIA M., Funzione impositiva e forme di tutela, cit., p. 17 ss. Per un completo approfondimento sulla giurisdizione tributaria si rimanda a FALSITTA, Manuale di diritto tributario, Padova, 2023, p. 613 ss.; PISTOLESI, Il processo tributario, Torino, 2023, p. 1 ss.; TESAURO, Manuale del processo tributario, cit., p. 18 ss.). In definitiva, la linea di demarcazione tra le due giurisdizioni può oggi ritenersi adeguatamente tracciata, dovendosi riconoscere la giurisdizione del giudice tributario qualora si richieda la tutela in giudizio di atti per i quali si esplichi nei confronti del contribuente la pretesa impositiva e per i restanti atti la giurisdizione del giudice amministrativo, anche se concernenti questioni tributarie (GALANTE, La giurisdizione nelle liti in materia Tarsu e Tia, in Azienditalia Fin. e trib., 2007, 10, p. XI ss.).
In verità, seppur oggetto di notevole ampliamento, deve rilevarsi che la tutela giurisdizionale tributaria resta ancorata ad un’elencazione di atti tipici e nominati, di cui all’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992, ovvero di “ogni altro atto per il quale la legge ne preveda l’autonoma impugnabilità davanti alle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado” (ex art. 19, comma 1, lett. i), D.Lgs. n. 546/1992), tra i quali - per quanto qui di interesse - non si ravvisano gli atti amministrativi generali (BUSCEMA A., I precisi ambiti della giurisdizione tributaria secondo il giudice di legittimità, cit.). Di conseguenza, per gli atti amministrativi generali deve ritenersi ferma la competenza del giudice amministrativo (cfr., sul punto, anche SERVIDIO, La tutela del contribuente nei confronti di regolamenti e atti amministrativi generali, in Il fisco, 2005, 18-I, p. 2762) posto che nessuna disposizione del D.Lgs. n. 546/1992 attribuisce alle Corti di Giustizia tributarie un potere direttamente incisivo degli atti generali, in deroga alla tipica giurisdizione di legittimità costituzionalmente riservata agli organi della giustizia amministrativa (così ribadito in Cass., sez. un., 21 settembre 2021, n. 25479 che richiama Cass., sez. un., 18 aprile 2016, n. 7664).
3. Come noto, l’atto amministrativo generale è espressione di semplici potestà amministrative di natura gestionale ed è diretto alla cura concreta di interessi pubblici, seppure a destinatari indeterminati (così, da ultimo, Cass., sez. I, 6 marzo 2024, n. 5988, la quale, chiamata a pronunciarsi in ordine all’impugnazione di atti amministrativi generali, ha escluso la possibilità che il giudice ordinario possa conoscerne principaliter, potendo semmai solo disapplicarli incidenter tantum, qualora li reputi illegittimi). La caratteristica dell’atto amministrativo generale è dunque quella di essere rivolto ad una pluralità indifferenziata di soggetti, determinabili a posteriori in sede di esecuzione, e di essere attuato mediante atti applicativi. L’indeterminatezza dei destinatari e la conseguente incapacità di incidere in modo diretto ed immediato sul rapporto tributario non consentono di inquadrare l’atto amministrativo generale come atto impositivo (BUSCEMA A., Atti autonomamente impugnabili profili sostanziali e processuali, in Azienditalia Fin. e trib., 2011, 8, p. III ss.; BUSCEMA I., Il potere di disapplicazione del giudice: necessità di domanda di parte, in Azienditalia Fin e trib., 2012, 7, p. 590; ID., L’istituto della disapplicazione, in Azienditalia Fin. e trib., 2016, 1, p. 10. Per un completo approfondimento sul punto si rimanda a LOPILATO, Manuale di diritto amministrativo, Torino, 2023, p. 95 ss.). Trattasi, pertanto, di un atto a contenuto normativo destinato ad incidere su una generalità di destinatari, fra i quali rientrano – per quanto qui di rilievo – gli atti espressione di poteri di accertamento valutativi dell’amministrazione finanziaria nei confronti di tutti i soggetti passivi di un determinato tributo e diretti ad incidere sulla base imponibile del tributo stesso o di singoli elementi fattuali rilevanti ai fini della relativa quantificazione, quali, ad esempio, i provvedimenti di determinazione di prezzi e tariffe (GALANTE, La giurisdizione nelle liti in materia Tarsu e Tia, cit.; TARIGO, Assegnatario della casa familiare e Ici: il concetto ministeriale di “diritto” reale e la sua disapplicazione, in trib., 2002, 6, p. 1928).
4. Se il contenzioso avente ad oggetto l’atto amministrativo generale – pur vertente in materia tributaria – sfugge alla cognizione del giudice tributario, tuttavia la legge attribuisce alle Corti di Giustizia tributaria il potere di disapplicare l’atto illegittimo costituente presupposto per l’imposizione e ritenuto rilevante ai fini della decisione (sul potere di disapplicazione si rimanda a FERRAÙ, Il potere di disapplicazione degli atti amministrativi generali e dei regolamenti, in trib., 2002, p. 3891; GLENDI, L’oggetto del processo tributario, cit., p. 620 ss.). Nel dettaglio, l’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 546/1992, così come sostituito dall’art. 12 comma 2, della L. n. 448/2001, riconosce la cognizione incidentale del giudice tributario in ordine ad ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione. Dipoi, l’art. 7, comma 5, del D.Lgs. n. 546/1992 stabilisce espressamente che le Corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado, qualora “ritengono illegittimo un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, non lo applicano, in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, salva l’eventuale impugnazione nella diversa sede competente”. Ne consegue che, l’annullamento dell’atto amministrativo generale e del regolamento rientra nel perimetro della giurisdizione amministrativa, ma è riconosciuta in capo al giudice tributario una conoscenza incidentale di questi atti, censurabili dinanzi alle Corti di giustizia tributaria al fine unicamente della loro disapplicazione senza possibilità di annullamento e con effetti limitati alle parti e alla specifica controversia nella quale la decisione sulla validità dell’atto generale ha assunto specifica rilevanza in relazione alla decisione sulle sorti dell’atto impositivo (BUSCEMA I., Giurisdizione tributaria negata e poteri del giudice tributario, in Azienditalia, 2018, 5, p. 734; MELIS, Manuale di diritto tributario, cit., p. 558; TARIGO, Assegnatario della casa familiare e Ici: il concetto ministeriale di “diritto” reale e la sua disapplicazione, cit.).
Pertanto, il contribuente dispone di due rimedi, aventi ad oggetto due differenti posizioni soggettive. Il primo è la facoltà di impugnare in via principale l’atto amministrativo generale lesivo della propria posizione giuridica soggettiva di interesse legittimo dinnanzi al Tribunale amministrativo regionale competente al fine di ottenere una sentenza di annullamento con effetti erga omnes. Il secondo rimedio consiste nella possibilità di contestare, in via incidentale, l’invalidità derivata dell’atto impositivo di cui all’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992 dinanzi alla Corte di giustizia tributaria (BUSCEMA A., Atti autonomamente impugnabili profili sostanziali e processuali, cit.; BUSCEMA I., Il potere di disapplicazione del giudice: necessità di domanda di parte, cit.; ID., L’istituto della disapplicazione, cit.; DI GIACOMO, Sulla disapplicazione dell’atto amministrativo in ambito tributario, in Il fisco, 2007, 18-I, p. 2638), la quale, avendo giurisdizione sul rapporto e non sull’atto, può unicamente disapplicare l’atto generale illegittimo privandolo di efficacia riguardo al caso concreto, senza determinarne il ritiro retroattivo (BUSCEMA I., Giurisdizione tributaria negata e poteri del giudice tributario, cit.; ID., Il potere di disapplicazione del giudice: necessità di domanda di parte, cit., ID., L’istituto della disapplicazione, cit.; DI GIACOMO, Sulla disapplicazione dell’atto amministrativo in ambito tributario, cit.). Il potere di disapplicazione consiste dunque nel dovere del giudice tributario di ritenere tamquam non esset gli atti non conformi alla legge e, in virtù del principio di separazione ed indipendenza delle due giurisdizioni (non potendosi ritenere applicabile l’art. 295 c.p.c.), tale potere non subisce limitazione nonostante il decorso infruttuoso dei termini di impugnazione dell’atto oggetto di disapplicazione in sede amministrativa, fermo restando l’eventuale precedente dichiarazione di legittimità dell’atto stesso da parte del giudice amministrativo (BUSCEMA A., Atti autonomamente impugnabili profili sostanziali e processuali, cit.; BUSCEMA I., Giurisdizione tributaria negata e poteri del giudice tributario, cit.; ID., Il potere di disapplicazione del giudice: necessità di domanda di parte, cit.; ID., L’istituto della disapplicazione, cit., che richiama Cass., sez. trib., 21 maggio 2010, n. 12574; DI GIACOMO, Sulla disapplicazione dell’atto amministrativo in ambito tributario, cit.; cfr. altresì MELIS, Manuale di diritto tributario, cit., p. 559, che richiama, da ultimo, Cass. n. 7665/2016).
5. Ciò posto, come noto l’art. 111, comma 8, Cost. sancisce il principio giuridico secondo cui avverso le decisioni del Consiglio di Stato – come nel caso de quo – e della Corte dei conti, è ammesso il ricorso per Corte di Cassazione per i soli motivi inerenti alla giurisdizione. Orbene, la fattispecie in esame ha rappresentato l’ulteriore occasione per la Corte di Cassazione adita per ribadire che i rapporti della giurisdizione tributaria con quella amministrativa sono definiti a seconda della natura dell’atto impugnato, riservando alla prima il sindacato sull’atto di imposizione rientrante nelle ipotesi previste dall’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992 e alla seconda, ai sensi dell’art. 7, comma 1, c.p.a., la cognizione in via principale sugli atti regolamentari o amministrativi generali dell’amministrazione finanziaria in materia tributaria, i quali restano comunque conoscibili dal giudice tributario in via incidentale, ai fini della relativa disapplicazione, ai sensi dell’art. 7, comma 5, D.Lgs. n. 546/1992.
6. Per addivenire all’affermazione del presente principio di diritto, la Cassazione civile a Sezioni Unite ha ritenuto rilevante soffermarsi, in primo luogo, sulla natura del provvedimento direttoriale impugnato. Nella concreta fattispecie il provvedimento gravato è stato qualificato come meramente attuativo dell’art. 37, del D.L. n. 21/2022, con il quale è stato istituito uno speciale contributo solidaristico, volto a fronteggiare, nell’interesse dell’utenza, i forti rincari dei prezzi dei prodotti energetici conseguenti agli eventi bellici in Ucraina, imposto alle imprese del settore (tale prelievo è stato oggetto di recenti commenti in dottrina tra cui si richiama, tra gli altri, EMMA-RINALDI, Il contributo straordinario sugli extraprofitti energetici: lineamenti e problematiche, in Il fisco, 2022, 24, p. 2333; IAIA, Prime riflessioni sistematiche in ordine al contributo straordinario sul c.d. caro bollette (art. 37 D.L. n. 21/2022), in tel. dir. trib., 24 giugno 2022; MARINI F. S.-MARINI G., Profili di dubbia costituzionalità del contributo sugli extraprofitti energetici, in Il fisco, 2022, 39, p. 3745; PANE-FODERA’, Il contributo sugli extra-profitti delle imprese energetiche è compatibile con la disciplina unionale?, in Il fisco, 2022, 45, p. 4345). Si tratterebbe, in particolare, di un provvedimento direttoriale fondato sull’attribuzione funzionale attuativa di cui al comma 5 della citata disposizione legislativa, che demandava di determinare le modalità di presentazione ed il contenuto di una comunicazione da inviare all’Agenzia delle entrate, e, come tale, di un atto amministrativo generale, poiché non contenente una pretesa tributaria sostanziale, ma limitato a regolare gli aspetti pratici dell’attuazione del meccanismo previsto per legge (per completezza si rinvia al recente commento alla pronuncia in oggetto di BASILAVECCHIA L.-BASILAVECCHIA M., La giurisdizione sugli atti generali in materia di extraprofitti delle imprese energetiche [nota a sentenza: Cass., SS.UU., 19 ottobre 2023, n. 29023], in GT – Riv. giur. trib., 2024, 1, p. 25 ss.).
A sostegno dell’orientamento cui sono pervenuti i giudici nella sentenza in esame, può richiamarsi una precedente controversia, che presenta analogie con il caso di specie, nella quale le Sezioni Unite, chiamate a pronunciarsi, avevano riconosciuto la natura di atto amministrativo generale di un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, anch’esso attuativo di una disposizione legislativa che gli demandava di determinare le “modalità di presentazione ed il contenuto” di una comunicazione da inviare a detta agenzia fiscale. In particolare, con l’ordinanza n. 25479 del 21 settembre 2021, le Sezioni Unite hanno affermato che “Rientra nella giurisdizione esclusiva del g.a. l’impugnazione proposta dal responsabile di un impianto fotovoltaico contro il provvedimento dell'Agenzia delle Entrate del 6 marzo 2020 con cui, in attuazione dell'art. 36, comma 3, d.l. n. 124 del 2019, conv., con modif., dalla l. n. 157 del 2019, sono stati indicati le modalità di presentazione e il contenuto essenziale della comunicazione mediante la quale gli operatori economici che abbiano cumulato la deduzione fiscale ex art. 6, commi 13 ss., l. n. 388 del 2000, e gli incentivi previsti dai decreti ministeriali del 2011 possono, avvalendosi della speciale facoltà introdotta proprio dal citato art. 36, assoggettare alle imposte dirette l'importo dedotto dalle rispettive basi imponibili” e hanno riconosciuto che il siffatto provvedimento si configura, dunque, “come atto tipicamente amministrativo, generale, meramente ricognitivo e attuativo del disposto di legge, non contenente una pretesa tributaria sostanziale e non rientrante nell’elenco riportato nell'art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992”.
Mutatis mutandis, il suddetto principio, traslato nella sentenza in esame con riferimento al provvedimento attuativo del contributo previsto dall’art. 37 del D.L. n. 21/2022, è stato dipoi altresì condiviso dal Consiglio di Stato, che, in alcune recentissime pronunce, ha confermato che gli atti adottati dall’Agenzia delle entrate in attuazione della suddetta disposizione rivestono natura di provvedimenti amministrativi, attuativi della norma primaria istitutiva del tributo, la cui cognizione è devoluta alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo, ai sensi del richiamato art. 7, comma 1, c.p.a. (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. VII, 20 dicembre 2023, n. 11056).
7. Accertata la natura di “atti generali” degli atti impugnati, considerazioni di mera stringenza logica hanno condotto la Suprema Corte ad escluderne la giurisdizione impugnatoria diretta del giudice tributario speciale a favore di quella del giudice amministrativo in virtù della previsione di cui all’art. 7, commi 1 e 4, c.p.a., derivando dalla stessa ontologia di provvedimento autoritativo proveniente da una pubblica amministrazione la sussistenza di un interesse legittimo che costituisce la posizione soggettiva tutelanda in re ipsa.
La Corte di Cassazione osserva, quindi, l’erroneità delle considerazioni del giudice adito in primo grado, negatorie della natura di atti amministrativi dei provvedimenti impugnati. Nello specifico, il T.A.R. aveva escluso che gli atti impugnati fossero qualificabili come atti regolamentari o amministrativi generali o riconducibili ad atti di imposizione tributaria, nonché l’interesse ad agire della società ricorrente sotto il profilo dell’utilità di un’eventuale pronuncia di accoglimento, posto che una pronuncia favorevole avrebbe lasciato intatto l’obbligo tributario a suo carico nei medesimi termini prescritti dall’art. 37 del D.L. n. 21/2022. Ed invero, ad avviso del T.A.R., nel caso di specie gli atti gravati sono meramente ripetitivi, nella sostanza, del contenuto della norma di rango legislativo e non sono idonei a determinare in capo alla ricorrente alcuna diversa imposizione tributaria da quella individuata dalla norma primaria. Il difetto assoluto di giurisdizione sarebbe dunque determinato dalla circostanza che l’azione impugnatoria si sostanzierebbe in un’anticipazione di tutela rivolta alla norma istitutiva del contributo, potendosi riconoscere la giurisdizione tributaria solo nei confronti dell’eventuale successivo avviso di accertamento per omesso o parziale versamento oppure diniego del rimborso di quanto versato (cfr. T.A.R. Lazio Roma, sez. II-ter, 17 novembre 2022, n. 15224. Sul punto, si veda BASILAVECCHIA L.-BASILAVECCHIA M., La giurisdizione sugli atti generali in materia di extraprofitti delle imprese energetiche [nota a sentenza: Cass., SS.UU., 19 ottobre 2023, n. 29023], cit., p. 27; CASARSA, Sezioni Unite, note critiche sulla recente sentenza del 19 ottobre 2023 n. 29106, in SalvisJuribus, 7 novembre 2023).
Orbene, la Suprema Corte sostiene che sia invece sufficiente per fondare la competenza giurisdizionale del giudice amministrativo che il provvedimento gravato prevenga da una pubblica amministrazione, non avendo rilievo la sussistenza/insussistenza di discrezionalità dell’Autorità emittente l’atto impugnato.
In tal senso, giova rammentare una precedente pronuncia della Sezione Terza della medesima Corte, n. 2916 del 22 marzo 2023, la quale – conformemente al proprio orientamento (si vedano le pronunce 5 dicembre 2022, n. 10648; 3 ottobre 2022, n. 8434; 20 giugno 2022, n. 5014; 20 ottobre 2021, n. 7045) – ha ribadito che l’art. 7 c.p.a. afferma la sussistenza della giurisdizione amministrativa di legittimità quando sono impugnati atti emessi nell’esercizio del potere pubblico, e dunque autoritativi, non rilevando che si tratti di un potere discrezionale o vincolato.
Sul punto si possono richiamare, altresì, le recenti pronunce della Sezione sesta del Consiglio di Stato, 21 novembre 2023, n. 9956, e 17 novembre 2023, n. 9863, con le quali è stato confermato che, allorquando vengano in considerazione atti amministrativi adottati nell’esercizio di una potestà pubblicistica e aventi carattere generale, si è al cospetto di provvedimenti che, sebbene potenzialmente idonei ad impattare su situazioni di diritto soggettivo, hanno però lo scopo di regolare determinate situazioni nell’interesse pubblico, svolgendo, in tal senso, una funzione che, necessariamente, ha natura regolatoria/organizzatoria. A cospetto dell’esercizio di simili poteri, i diritti dei destinatari del provvedimento possono essere all’occorrenza compressi o limitati o modificati in nome del superiore interesse pubblico; tuttavia, tali posizioni di diritto soggettivo incise dal provvedimento generale trovano tutela in via indiretta per il tramite della tutela dell’interesse legittimo al corretto esercizio dell’azione amministrativa, attribuito ai destinatari in quanto derivante dalla stessa ontologia del provvedimento impugnato. Trattasi, peraltro, di un’interpretazione pienamente conforme al D.Lgs. n. 546/1992, atteso che nessuna disposizione in esso contenuta attribuisce alle Corti di Giustizia tributarie un potere direttamente incisivo degli atti generali in deroga alla tipica giurisdizione di legittimità costituzionalmente riservata agli organi della giustizia amministrativa. Così, è quanto affermato in primo luogo dalla Corte di Cassazione, 18 aprile 2016, n. 7664, con la quale è stata riconosciuta la sussistenza della giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo nei confronti di atti amministrativi generali attuativi di norme impositive di tributi, in quanto, come visto, il potere di annullamento del giudice tributario deve arrestarsi dinnanzi al perimetro delineato dall’elencazione degli atti di cui all’art. 19 del D.Lgs n. 546/1992 o ad essi assimilabili e non si estende agli atti amministrativi generali, dei quali l’art. 7 del medesimo d.lgs. consente soltanto la disapplicazione, ferma restando l’impugnabilità degli stessi dinanzi al giudice amministrativo.
Ne consegue che, la controversia che, come nel caso de quo, ha ad oggetto un atto amministrativo generale con funzione di determinazione in concreto del tributo ad integrazione del precetto legislativo, esula dalla giurisdizione delle Corti di Giustizia tributarie.
8. Posto questo ulteriore tassello, la Corte, con la sentenza in esame, si sofferma sull’azione proposta ricostruendola come una forma di tutela preventiva avverso gli atti amministrativi “generali” rispetto agli atti impositivi “individuali” (per un approfondimento si consulti PALUMBO, Impugnabilità dei provvedimenti amministrativi generali dell’Agenzia delle Entrate e valore delle circolari, in informazionefiscale.it, 3 dicembre 2023), legittimata dall’art. 7, commi 1 e 4, c.p.a, che delinea l’ambito cognitorio rispettivamente della giurisdizione di legittimità e della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, nonché, deducibile dall’art. 7, comma 5, del D.Lgs. n. 546/1992, in virtù del quale “Le corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado, se ritengono illegittimo un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, non lo applicano, in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, salva l’eventuale impugnazione nella diversa sede competente”.
Come rilevato dalle Sezioni Unite, l’azione proposta nel presente giudizio consiste, infatti, in un’azione di annullamento legittimamente esperibile “in prevenzione” ed alternativamente alla disapplicazione da parte del giudice tributario. Al riguardo, la Suprema Corte precisa di condividere il timore già prospettato dal Consiglio di Stato in sede di appello, atteso che il mancato riconoscimento di giurisdizione in materia si concretizzerebbe in un “vuoto di tutela” in contrasto con gli artt. 24 e 113 Cost. e con la risalente giurisprudenza costituzionale che ha espunto la regola del “solve et repete” (cfr. Corte cost., 31 marzo 1961, n. 21), potendosi ricreare, anche in questo caso, la situazione in cui al contribuente è imposto l’onere del pagamento del tributo quale presupposto per poter esperire l’azione giudiziaria di accertamento dell’illegittimità del tributo stesso (tali considerazioni sono state da ultimo condivise da Cons. Stato, sez. VII, 20 dicembre 2023, n. 11056).
9. Se le conclusioni che precedono sono state pacificamente accolte con riferimento all’impugnazione del provvedimento del Direttore dell’Agenzia fiscale, la dottrina ha mostrato le proprie perplessità all’estensione, operata dalla sentenza in oggetto, delle suddette considerazioni agli ulteriori provvedimenti agenziali impugnati e, in particolare, alla circolare n. 22/E del 23 giugno 2022 (riflessioni analoghe sono state affrontate in CASARSA, Sezioni Unite, note critiche sulla recente sentenza del 19 ottobre 2023 n. 29106, cit.). Nel dettaglio, la Suprema Corte, in ragione della stretta connessione contenutistica, attribuisce a tale atto contenuto integrativo del provvedimento direttoriale che, a suo avviso, lo renderebbe a quest’ultimo associabile sul piano della sottoposizione alla cognizione del giudice amministrativo.
Senonché, deve riscontrarsi che in dottrina prevale l’orientamento secondo cui, sulla scorta delle affermazioni di cui alla sentenza della Corte di Cassazione del 2 novembre 2007, n. 23031, “la circolare con la quale l’Agenzia delle Entrate interpreti una norma tributaria, anche qualora contenga una direttiva agli uffici gerarchicamente subordinati perchè vi si uniformino, esprime esclusivamente un parere dell’amministrazione non vincolante per il contribuente, e non è, quindi, impugnabile nè innanzi al Giudice amministrativo, non essendo un atto generale di imposizione, nè innanzi al giudice tributario, non essendo atto di esercizio di potestà impositiva” (così, anche, Cass., sez. V, 29 novembre 2022, n. 35098; Cass., sez. V, 30 luglio 2014, n. 17314; Cass., sez. V, 21 marzo 2014, n. 6699. Da ultimo, si veda Cass., sez. V, 12 gennaio 2024 n. 1335, con la quale la Suprema Corte ha altresì riaffermato il principio per cui “la violazione di circolari ministeriali non può costituire motivo di ricorso per cassazione sotto il profilo della violazione di legge; posto che esse non contengono norme di diritto, bensì disposizioni di indirizzo uniforme interno all’Amministrazione da cui promanano. Caratteristiche, queste, che ne evidenziano la natura di meri atti amministrativi non provvedimentali, e che escludono che esse possano fondare posizioni di diritto soggettivo in capo a soggetti esterni all’Amministrazione stessa. A questa regola non si sottraggono le circolari dell’Amministrazione Finanziaria (del resto priva di poteri discrezionali nella determinazione delle imposte dovute, regolata per legge), le quali non vincolano né i contribuenti né i giudici; così da risultare, appunto, anch'esse esenti dal controllo di legittimità (Cass. n. 16612/08; n.11449/05) (cfr. Cass., V, n. 5937/2017)”). Si tratterebbe, infatti, di norme di c.d. “rilevanza interna”, in quanto dirette all’Ufficio e non alla platea dei contribuenti, ai quali solo indirettamente potrebbe essere rivolto il chiarimento interpretativo. La circolare, in quanto atto ad efficacia interna non normativo e avente carattere interpretativo (sulla natura delle circolari si veda altresì MELIS, Manuale di diritto tributario, cit., p. 559), non presenterebbe dunque l’attitudine a determinare alcun pregiudizio delle situazioni coinvolte, costituendo meramente un atto prodromico rispetto al successivo atto applicativo, inidoneo ad incidere sul rapporto tributario, non vincolante per i terzi e non costituente fonte di diritti a valore degli stessi o di obblighi a carico dell’amministrazione (BUSCEMA A., Atti autonomamente impugnabili profili sostanziali e processuali, cit.; BUSCEMA I., L’istituto della disapplicazione, cit.; DI GIACOMO, Sulla disapplicazione dell’atto amministrativo in ambito tributario, cit.). Tali affermazioni ricalcano la ricostruzione tradizionalmente proposta dalla dottrina a proposito del ruolo delle circolari nell’ordinamento giuridico generale, sia sotto il profilo del potere posto a fondamento, sia sotto il profilo degli effetti sul contribuente e, di conseguenza, sul piano della tutela giurisdizionale (per completezza si veda CAZZATO, La Cassazione conferma: circolari, atti interni all’amministrazione, in www.fiscooggi.it, 10 febbraio 2009).
Con specifico riferimento all’impugnazione della circolare interpretativa e degli ulteriori atti applicativi inerenti proprio al contributo di cui all’art. 37 del D.L. n. 21/2022, tuttavia, si ravvisa in giurisprudenza un orientamento opposto. Ed invero, la tendenza del Consiglio di Stato, chiamato ad esprimersi sul difetto assoluto di giurisdizione pronunciato dai Tribunali Amministrativi aditi in primo grado, è quella di riconoscere la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, indipendentemente dalla natura regolamentare o di atto amministrativo generale dei provvedimenti gravati, in quanto esclusa nella fattispecie la presenza di atti di imposizione tributaria capaci di incardinare la giurisdizione tributaria, in base all’art. 7, comma 1, c.p.a., la giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo si estende a “provvedimenti” e “atti” della pubblica amministrazione comunque espressivi del potere pubblico, tra i quali rientrerebbero i provvedimenti di attuazione del contributo straordinario oggetto di impugnazione (così Cons. Stato, 28 marzo 2023, nn. 3170, 3212, 3214, 3215, 3216, 3219 e 3220). Allo stesso modo, con la sentenza in esame, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno, in primo luogo, riconosciuto che il provvedimento direttoriale di attuazione del contributo straordinario in oggetto risulta riferibile ad un potere amministrativo, attribuito alla competente amministrazione finanziaria, e, pertanto, deve ritenersi atto riconducibile alla fonte amministrativa istituita dalla norma di legge qualificabile come atto amministrativo poiché partecipe della relativa natura. In secondo luogo, hanno riconosciuto non solo l’impugnabilità del suddetto provvedimento direttoriale dinnanzi al giudice amministrativo, bensì anche della circolare per stretta connessione contenutistica integrativa del provvedimento direttoriale gravato e, conseguente, associabilità allo stesso sul piano della affermazione della giurisdizione amministrativa che, in base sopra citato art. 7, comma 1, c.p.a., è estesa a provvedimenti ed atti comunque espressivi del potere pubblico, tra i quali pacificamente rientrano gli atti amministrativi generali.
10. In definitiva, la sentenza in commento risulta complessivamente condivisibile.
Nulla quaestio in ordine alla valorizzazione della natura di atto amministrativo generale del provvedimento direttoriale dell’Agenzia fiscale istitutivo del contributo straordinario di cui in discussione e la relativa sottoposizione alla cognizione del giudice amministrativo. Come chiarito dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione (cfr. Cass., sez. un., 18 aprile 2016, n. 7665), gli atti amministrativi generali costituiscono espressione di potestà discrezionale e incidono su posizioni di interesse legittimo e la relativa controversia esula dalla giurisdizione del giudice tributario, al quale l’art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992 consente soltanto la disapplicazione e il cui potere di annullamento è circoscritto agli atti indicati dall’art. 19 del medesimo D.Lgs., o a questi assimilabili, tra i quali non rientrano gli atti amministrativi generali. Ed invero, nessuna disposizione del D.Lgs. n. 546/1992 attribuisce al giudice tributario un potere direttamente incisivo degli atti generali in deroga alla tipica giurisdizione di legittimità costituzionalmente riservata agli organi della giustizia amministrativa. Ciò in quanto, non tutte le controversie nelle quali abbia incidenza una norma fiscale si trasformano in controversie tributarie devolute alla giurisdizione tributaria. In tema di prestazioni patrimoniali imposte aventi natura tributaria, ai fini del riparto della giurisdizione, è infatti necessario distinguere tra l’impugnativa di atti generali che fissano i criteri per la determinazione delle prestazioni pecuniarie, e l’impugnazione di concreti provvedimenti con i quali l’amministrazione determina l’ammontare della prestazione e/o ne impone l’esecuzione, atteso che nel primo caso si rientra nel perimetro della giurisdizione amministrativa (così Cass., sez. trib., 2 marzo 2020 n. 5632). Il giudice tributario non può dunque giudicare della legittimità degli atti amministrativi generali, dei quali può conoscere solo incidenter tantum e unicamente ai fini della disapplicazione nella singola fattispecie dell’atto amministrativo presupposto dell’atto impugnato (cfr. Cass., sez. un., 21 marzo 2006, n. 6224 richiamata, da ultimo, in Cass., sez. un., 9 agosto 2023, n. 24315).
Tuttavia, qualche perplessità permane in ordine all’affermazione, nella sentenza in discussione, della sottoposizione altresì della circolare al medesimo trattamento giuridico del provvedimento direttoriale; certamente incrementata dalle carenti argomentazioni su cui si basa il suddetto riconoscimento dell’impugnabilità della circolare. Non pare, infatti, in alcun modo soddisfacente e adeguato il mero richiamo operato dalla Cassazione alla stretta connessione contenutista della circolare con il provvedimento direttoriale per scalzare la granitica giurisprudenza della stessa Suprema Corte che pacificamente ha sempre riconosciuto un’incapacità intrinseca alla circolare di incidere sul rapporto tributario in quanto non qualificabile né come atto generale di imposizione né come atto di esercizio di potestà impositiva. Non avendo poteri discrezionali nella determinazione delle imposte dovute, le circolari dell’amministrazione finanziaria non possono infatti ritenersi vincolanti per i contribuenti. Al contrario, proprio il contenuto ricognitivo del primo provvedimento della circolare in discussione, con la quale, si noti, l’Agenzia delle entrate si è limitata a fornire risposta ad alcuni quesiti in materia di applicazione della norma primaria istitutiva del prelievo solidaristico straordinario, sembra piuttosto confermarne un’efficacia esclusivamente interna nell’ambito dell’amministrazione dalla quale è emessa, con conseguente difetto di giurisdizione assoluto in ordine ad essa.
Senonché, verosimilmente obtorto collo, la pronuncia in esame ha determinato sul punto un’inversione di tendenza nelle pronunce dei giudici di primo grado, i quali, successivamente chiamati a pronunciarsi su controversie analoghe, hanno preso atto delle affermazioni della Suprema Corte riconoscendo l’impugnabilità delle circolari dinanzi al giudice amministrativo (cfr., da ultimo, T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 16 gennaio 2024, n. 767).