argomento: IVA - Giurisprudenza
La sentenza in epigrafe evidenzia la innovativa relazione tra le (richieste) interpretazioni restrittive di disposizioni tributarie contenenti deroghe a principi e la novella disposizione legislativa di cui all’art. 36-bis del decreto-legge 17 maggio 2022 n. 50, quale norma di interpretazione autentica che estende il novero delle operazioni esenti IVA e quelle in regime IVA di aliquota ridotta, relativamente alle prestazioni di trasporto di persone.
» visualizza: il documento (Corte di Cassazione, 14 dicembre 2023, n. 35054)PAROLE CHIAVE: operazioni esenti iva - interpretazione restrittiva - interpretazione autentica
di Lucrezia Angeletti
1. La Suprema Corte di Cassazione con la pronuncia in commento esprime un principio di diritto circa l’applicazione retroattiva di una norma di interpretazione autentica in ordine all’applicabilità di più precetti normativi contenenti: da un lato, prestazioni di servizio in regime di esenzione dell’Imposta sul Valore Aggiunto; dall’altro, prestazioni di servizio soggette all’ applicazione dell’Imposta con aliquota ridotta, ad operazioni originariamente rientranti nell’alveo del regime ordinario dell’Imposta sul Valore Aggiunto (IVA, d’ora in avanti).
Preliminarmente, per inquadrare l’istituto oggetto dell’intervento normativo è necessario un richiamo alla disciplina del diverso regime giuridico IVA in relazione all’operatività degli istituti della detrazione e della rivalsa, i quali costituiscono la “punta di diamante” della neutralità fiscale dell’imposta in questione.
Analogamente alle operazioni non imponibili, le operazioni esenti IVA non comportano l’addebito dell’imposta e sono, altresì, soggette agli obblighi formali del tributo, compresa la fatturazione (con annessa indicazione del titolo di esenzione), rilevando ai fini della determinazione del volume d’affari dell’attività svolta dall’operatore economico. In tali fattispecie la prestazione tributaria non viene trasferita “a valle” sul consumatore finale, ma tende a permanere nella sfera dell’operatore economico (cfr. Boria P., Diritto tributario europeo, Milano, 2017, p. 359; Randazzo F., Manuale di diritto tributario, Torino, 2023, p. 153). Se, tuttavia, l’effetto ultimo è quello di un beneficio per il consumatore finale che non assolve l’IVA in rivalsa, ciò comunque non si traduce in una totale rinuncia del prelievo da parte dello Stato, dato che il peso impositivo si sposta dal consumatore finale all’operatore economico e, pertanto, proprio quest’ultimo aspetto applicativo ha condotto la riflessione di alcuni Autori sull’effetto non favorevole della finalità agevolativa insita nell’esenzione (sull’argomento si v. Padovani F., L’imposta sul valore aggiunto, in Russo P. (a cura di), Manuale di diritto tributario. Parte speciale, Milano, 2009, p. 327).
Tuttavia, diversamente dalle operazioni non imponibili, le operazioni in regime di esenzione non concedono a chi le pone in essere il diritto alla detrazione dell’Imposta assolta “a monte”, ponendolo, de facto, nella medesima situazione del consumatore finale. Nel sistema IVA, suddetto dualismo non rispecchia la classificazione sistematica rinvenibile, ad esempio, in tema di operazioni escluse ed operazioni esenti che individua nelle prime quelle ipotesi in cui il tributo non troverebbe applicazione per mancanza di taluno dei presupposti – territoriale, oggettivo e soggettivo – di cui all’ art. 1 d.P.R. n. 633 del 1972 e nelle seconde quelle ipotesi che, invece, vi rientrerebbero ma che per particolari motivazioni vi vengono sottratte. Suddetto dualismo risponde, invero, a scelte di politica legislativa finalizzate ad attribuire o meno il diritto alla detrazione dell’imposta assolta sugli acquisti c.d. “a monte” (sull’argomento si v. Melis G., Manuale di diritto tributario, 2023, p. 814; Carinci A., Tassani T., Manuale di diritto tributario, 2021, p. 167 e ss.; Tinelli G., Istituzioni di diritto tributario. Il sistema dei tributi, Milano, 2022, p. 399). In effetti, la distorsione della ordinaria operatività degli istituti della rivalsa e della detrazione – che, evidentemente, incide direttamente sul principio di capacità contributiva e sovverte la neutralità fiscale dell’imposta – deve essere giustificata da ragioni obiettive e rilevanti, prevalenti rispetto all’interesse fiscale (sul punto si v. Accordino P., Operazioni esenti IVA, tra interpretazione restrittiva ed evolutiva, in Dir. Prat. Trib., n. 6/2021, p. 2563).
Nella quasi totalità dei casi, l’IVA sugli acquisti, assolta dal soggetto prestatore di operazioni esenti – ora in veste di cessionario o committente –, risulta indetraibile ai sensi dell’art. 19, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, il quale dispone che “non è detraibile l’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni e servizi afferenti operazioni esenti o comunque non soggette all’imposta”.
Come emerge dal dettato legislativo l’indetraibilità in questione non è giustificata, sotto il profilo giuridico, unicamente dalle particolari caratteristiche delle operazioni esenti, ma anche dal nesso di inerenza/afferenza tra l’acquisto di beni o servizi all’interno dell’esercizio di impresa, arte e professioni (sull’argomento si veda Montanari F., Le operazioni esenti nel sistema Iva, Torino, 2013, p. 57), ed il loro successivo impiego in operazioni che non danno luogo ad alcun debito d’imposta, in quanto l’esercizio del relativo diritto di detrazione presuppone l’effettiva realizzazione di un’operazione assoggettabile a tale imposta nella misura dovuta (Cass. Civ., Sez.V, sent. 15 maggio 2015, n. 9946). Dunque, per poter riconoscere il diritto alla detrazione, non è sufficiente che le operazioni ineriscano all’oggetto dell’impresa e siano state fatturate, ma è altresì indispensabile che esse siano anche imponibili ai fini dell’IVA (sul punto si v. Cass. Civ., Sez. V, sent. 25 gennaio 2008, n. 1607; Mistrangela R., L’imposta sul valore aggiunto, rivalsa, detrazione e rimborso (2006-2016) in Riv. Prat. Trib, n.2/2017, p. 862).
Premessa la natura unionale dell’Imposta in questione, le fattispecie di esenzione rappresentano nozioni autonome del diritto europeo (CGUE, sent. 6 ottobre 2022, C-250/21) e, per quanto di interesse in questa sede, l’esenzione della prestazione di servizio del trasporto di persone trova copertura a livello europeo nell’art. 371 della Direttiva 2006/112/CE, secondo cui gli Stati membri che al 1° gennaio 1978 esentavano le operazioni elencate nella parte B, Allegato X, della medesima Direttiva “possono continuare ad esentarle” e fra queste rientra, al punto n.10), il trasporto di persone (cfr. Agenzia delle Entrate, Risoluzione n.8/E, 2021).
Il legislatore, all’art. 10 del d.P.R. n. 633 del 1972, individua una serie di operazioni tassative che sono tout court esenti dall’imposta, e tra queste, per quanto di interesse ai fini della presente trattazione, nella formulazione vigente, al primo comma, n. 14), sono previste le “prestazioni di trasporto urbano di persone effettuate mediante veicoli da piazza” e si specifica, al secondo periodo, che “si considerano urbani i trasporti effettuati nel territorio di un comune o tra comuni non distanti tra loro oltre cinquanta chilometri”.
Le esenzioni e le agevolazioni tributarie devono essere interpretate in forma restrittiva in quanto costituiscono deroghe al principio generale della capacità contributiva (di cui all’art. 53 della Costituzione) o, nel caso dell’Imposta in questione appartenente al genus delle imposte indirette, deroghe alla funzione in re ipsa, per la quale viene riscossa per ogni prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso da un soggetto passivo. L’interpretazione dei vari termini dell’esenzione deve essere conforme agli obiettivi perseguiti dalle esenzioni stesse ed occorre, dunque, fornire delle interpretazioni restrittive, ma non tali da privare le suddette esenzioni dei loro effetti voluti o tali da rendere le disposizioni normative quasi inapplicabili (CGUE, Sez. II, sent. 18 novembre 2020, C-77/19; CGUE, Sez. IV, sent. 4 maggio 2017, C-274/15).
Se le statuizioni in tema di detraibilità ed indetraibilità dell’IVA assolta a titolo di rivalsa sottendono a scelte di carattere sociale e politico, prevalenti rispetto all’interesse fiscale, non si può escludere che alla stessa logica risponda il regime di applicabilità delle aliquote IVA ridotte, riferibile esclusivamente alle cessioni di beni e prestazioni di servizi contemplate dalla normativa europea in un massimo di ventiquattro punti. Il legame tra le operazioni ad aliquota ridotta e le operazioni esenti emerge dalla supra citata Direttiva 2006/112/CE, ove l’art. 98 dispone che gli Stati membri possono applicare aliquote ridotte ad una serie di attività indicate nell’ Allegato III della medesima Direttiva, tra le quali al n. 5 è menzionata l’attività di “trasporto di persone e dei rispettivi bagagli al seguito”.
In tal senso la normativa interna si è mossa negli anni con l’introduzione di alcune disposizioni all’interno della Tabella A “Beni e servizi soggetti ad aliquota ridotta” del D.P.R. n. 633 del 1972. Il legislatore, con la legge di riforma n. 232 del 2016 (legge di bilancio 2017), è intervenuto nella Parte II-bis, rubricata “beni e servizi soggetti ad aliquota del 5 per cento”, con l’inserimento dell’art. 1-ter) contenente le “prestazioni di trasporto urbano di persone effettuate mediante mezzi di trasporto abilitati ad eseguire servizi di trasporto marittimo, lacuale, fluviale e lagunare”, ed all’interno della Parte III “beni e servizi soggetti ad aliquota del 10 per cento” con l’ art. 127-novies), ove vi ha inserito le “prestazioni di trasporto di persone e dei rispettivi bagagli al seguito, escluse quelle di cui alla tabella A, parte II-bis, numero 1-ter), e quelle esenti a norma dell'articolo 10, numero 14), del presente decreto”.
Nel caso in oggetto della sentenza della Suprema Corte di Cassazione in epigrafe, con riferimento agli anni di cui si controverte il debito di imposta (a.i. 2013), l’art. 10, primo comma, n. 14) del d.P.R n. 633 del 1972, prevedeva, nel testo applicabile ratione temporis, che erano da considerarsi esenti “le prestazioni di trasporto urbano di persone effettuate mediante veicoli da piazza o altri mezzi abilitati ad eseguire servizi di trasporto marittimo, lacuale, fluviale e lagunare. Si considerano urbani i trasporti effettuati nel territorio di un comune o tra comuni non distanti tra loro oltre cinquanta chilometri”.
L’applicabilità della previsione normativa in esame presupponeva, dunque, che il trasporto di persone fosse pubblico, nel senso che fosse offerto tramite mezzi di comunicazione fruibili indistintamente da chi ne facesse richiesta, che fosse altresì urbano, ovvero che si svolgesse all’interno del territorio comunale o comunque tale da inerire a quest’ultimo (sul punto si v. Cass. Civ., Sez.V, sent. 14 gennaio 2020, n. 419) e che venisse effettuato mediante l’utilizzazione di veicoli da piazza o altri mezzi abilitati, intendendosi per questi quei veicoli e mezzi per il quale l’operatore economico abbia provveduto all’adempimento degli obblighi ed oneri nel rispetto nella normativa comunale in vigore per lo svolgimento delle attività costituenti la fattispecie (così Cass. Civ., Sez. Trib., sent. 12 marzo 2021, n. 6966), come il rilascio di un’apposita licenza comunale.
2. In punto di assoggettamento ad IVA delle prestazioni di trasporto effettuate dalla società contribuente ricorrente, atteso che l'onere della prova del regime di esenzione tributaria è rigorosamente a carico del privato richiedente (si veda in tal senso, ex multis, Cass., Sez. U., sent. 29 dicembre 2006, n. 27619; Cass., Sez. U., sent. 22 gennaio 2009, n. 1576; Cass. Civ., Sez. VI, sent. 4 ottobre 2017, n. 23228; Cass. Civ., Sez. V, sent. 14 gennaio 2020, n. 419), la CTR della Campania rigettava il gravame ed osservava che gli elementi evidenziati dall’ appellante fossero idonei a fondare la tesi per cui i contratti stipulati dalla contribuente ed i clienti fossero contratti misti di trasporto a fini turistico-ricreativi integranti, dunque, una dimensione sostanziale non rientrante, all’epoca dei fatti di cui si controverte il debito d’imposta (a.i 2013), nella categoria delle operazioni esenti IVA e perciò giustificanti l’applicazione dell’IVA ordinaria.
La Cassazione, accogliendo il primo motivo della ricorrente denunciante, ex art. 360, primo comma, n.3, c.p.c, per la violazione e la falsa applicazione dell’art 10, primo comma, n. 14) del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art 1325 c.c., rileva dapprima l’erronea conclusione della CTR, ravvisando che quest’ultima ha considerato “alcuni elementi fattuali che fanno da sfondo alla fattispecie” quali elementi costituenti la prestazione di servizio offerta.
Invero, argomenta la Cassazione, la CTR della Campania non richiama a fondamento della propria tesi elementi concreti, quali la materiale fornitura di servizi ulteriori rispetto al solo trasporto, volti a far ritenere l’affermata sussistenza di una causa contrattuale mista, e neppure rinviene all’interno del “Regolamento di viaggio per i passeggeri” (allegato con fotoriproduzione nel ricorso), elementi ulteriori ed aggiuntivi all’unico oggetto costituito dalla prestazione di trasporto sottoposta alla disciplina del Codice della navigazione in tema di contratto di persone per mare.
3. Sul medesimo tema del regime di esenzione IVA la Cassazione rileva in linea di conto, ratione temporis, il decreto legge n.50 del 2022 “Misure urgenti in materia di politiche energetiche nazionali, produttività delle imprese e attrazione degli investimenti, nonché in materia di politiche sociali e di crisi ucraina”, convertito con modificazioni in legge n. 91 del 2022.
L’art. 36-bis del citato decreto, rubricato “Interpretazione autentica di norme del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, in materia di servizi di trasporto di persone per finalità turistico-ricreative”, prevede che le disposizioni dell'art. 10, primo comma, numero 14), del d.P.R n. 633 del 1972, e della tabella A, parte II-bis, numero 1-ter), e parte III, numero 127-novies), allegata al medesimo decreto, “si interpretano nel senso che esse si applicano anche quando le prestazioni ivi richiamate siano effettuate per finalità turistico-ricreative, indipendentemente dalla tipologia del soggetto che le rende, sempre che le stesse abbiano ad oggetto esclusivamente il servizio di trasporto di persone e non comprendano la fornitura di ulteriori servizi, diversi da quelli accessori ai sensi dell'articolo 12 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972. L'interpretazione di cui al primo periodo non si riferisce alle mere prestazioni di noleggio del mezzo di trasporto”.
La norma in disamina prevede dunque l’applicazione dei summenzionati riferimenti normativi anche quando le prestazioni ivi richiamate siano effettuate per finalità turistico-ricreative, indipendentemente dalla tipologia del soggetto che le rende e sempre che la dimensione oggettiva della prestazione sia unicamente costituita dal trasporto di persone e non anche da ulteriori servizi diversi da quelli accessori di cui all’art. 12 del d.P.R. n. 633 del 1972, ovvero quelle prestazioni che vengano effettuate dal medesimo prestatore all’interno dello stesso rapporto fra le parti e non soggette autonomamente ad imposta. Costituisce un servizio accessorio non incidente sulla categoria del regime di esenzione della prestazione principale il servizio che “non costituisce un fine a sé stante, bensì un mezzo per fruire nelle condizioni migliori del servizio principale offerto da detto operatore” (CGUE, sent. 10 dicembre 2005, cause riunite C-394/04 e C-395/04), perciò dunque nell’ipotesi di un’unica operazione composita, un elemento dell’operazione deve essere considerato accessorio ad altro principale quando esso non costituisce per la clientela un fine a sé stante, bensì il mezzo per fruire nelle migliori condizioni del servizio principale offerto dal committente.
L’operatività dell’enunciato principio di diritto è esclusa in relazione ai rapporti esauriti ed opera dunque in termini generali per le prestazioni di servizio in corso e per le controversie già avviate ed ancora pendenti, oltreché per quelle future.
Tanto premesso, con riferimento all’esenzione tout court prevista per la prestazione di cui al n.14), primo comma, dell’art. 10 d.P.R. n. 633 del 1972, si può argomentare che le prestazioni di trasporto di persone effettuate nel territorio di un comune o tra comuni non distanti tra loro oltre cinquanta chilometri (c.d. trasporto urbano), mediante l’utilizzazione di veicoli da piazza, rientrano nel regime di esenzione IVA anche laddove il fine dell’attività posta in essere dall’operatore economico sia quello turistico-ricreativo, a condizione che, tuttavia, il nucleo dell’operazione principale (costituita dal mero trasporto) rimanga tale e non venga accompagnato da ulteriori servizi non accessori.
L’esenzione che emerge dal combinato disposto dell’art. 10, primo comma, n. 14) del d. P.R. n. 633 del 1972 e dell’art. 36-bis del decreto-legge n.50 del 2022, sembra conforme al punto n.10), Allegato X, parte B, della Direttiva 2006/112/CE, che si presenta, in ordine al mero trasporto di persone, ad ampio “raggio” in quanto privo di qualsivoglia delimitazione.
Diversamente, invece, l’art. 10 del d.P.R n. 633 del 1972 si presenta sistematicamente selettivo, in quanto circoscrive le tassative operazioni esenti corredandole di specifici presupposti oggettivi e/o soggettivi (sull’argomento si v. Ficari V., Esenzione Iva per i servizi di carattere sociale, (nota a) Corte di Giustizia CEE dell’11 Agosto 1995, C-453/1993, in Rass. Trib., 1996, 2, p.1415). Sulla falsariga di ciò, il dettato normativo di cui al n.14), primo comma, non contempla alcun presupposto in ordine al fine del trasporto o, in extremis, alla finalità volitiva dell’operatore commerciale, al punto che si potrebbe discutere in merito all’opportunità della novella legislativa, atteso che l’attività interpretativa non appare circoscritta all’intero di tali ulteriori presupposti.
4. Se da un lato l’attività di interpretazione sorge dalla condizione, necessaria però non sufficiente, che la legge anteriore da interpretare sia oscura, o, in altre parole sia tale che, secondo i sussidi ordinari dell’interpretazione scientifica, sia impossibile determinarne con certezza il significato (sull’argomento si v. Cammeo f., L’interpretazione autentica, in Giur.it., IV/1907, p. 310; Kelsen H., Lineamenti di dottrina pura del diritto, 1952, p. 122) la Corte Costituzionale chiarisce che il legislatore ben può emanare norme di interpretazione prescindendo da detti presupposti purché la retroattività insita in dette interpretazioni trovi adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti “motivi imperativi di interesse generale” ai sensi della giurisprudenza della Corte EDU (sul punto, ex multis, si v. Corte Cost., sent. 9 ottobre 2000 n. 419; Corte Cost., sent. 4 giugno 2014 n. 156; Corte Cost., sent. 4 luglio 2013 n. 170; Corte Cost., sent. 28 novembre 2012 n.264; sent. 5 aprile 2012 n. 78).
La norma interpretativa autentica che proviene dallo stesso legislatore assume dunque la stessa efficacia vincolante erga omnes di ogni altra disposizione con efficacia retroattiva (così Corte Cost., sent. 2 luglio 1957, n. 118), sia nelle ipotesi in cui il suo contenuto si appalesi obiettivamente interpretativo sia quando detta caratteristica manchi (sul punto si v. Falsitta G., Manuale di diritto tributario. Parte generale, Milano, 2015, p. 198), al punto che la qualificazione di una disposizione di legge come norma di interpretazione autentica - al di là del carattere effettivamente interpretativo della previsione - esprime univocamente l'intento del legislatore di imporre un determinato significato a precedenti disposizioni di pari grado, tali da far regolare dalla nuova norma le fattispecie sorte anteriormente alla sua entrata in vigore, dovendosi escludere, in applicazione del canone ermeneutico che impone all'interprete di attribuire un senso a tutti gli enunciati del precetto legislativo, che la disposizione possa essere intesa come diretta ad imporre una determinata disciplina solo per il futuro (sul punto si v. Cass. Civ., Sez.Un., sent. del 29 aprile 2009, n. 994). Il consolidato orientamento non collide tuttavia con i consolidati principi costituzionali, in quanto manca nella Carta costituzionale, con eccezione delle norme incriminatrici, qualsiasi limitazione al riguardo. Si tratta, del resto, di un istituto comunemente ammesso da altri ordinamenti statali, che posseggono i caratteri di Stato di diritto e di Stato democratico (così Corte Cost., sent. 2 luglio 1957, n. 118).
È innegabile tuttavia che la retroattività delle leggi interpretative derivi in genere da una consuetudine contra legem, alla luce dell’art 11 preleggi c.c., a mente del quale “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo” (per un approfondimento sull’argomento si v. Pugiotto A., La legge interpretativa e i suoi giudici: strategie argomentative e rimedi giurisdizionali, Milano, 2003, p. 317), ed è altresì innegabile che l’efficacia retroattiva di norme tributarie collida, da un lato, con l’ampia prospettiva della tutela dell’affidamento, quale presidio per il cittadino contribuente di conoscere in anticipo le “regole del gioco” e, dall’altro, con il principio dell’attualità della capacità contributiva.
A tal proposito, lo Statuto dei Diritti del Contribuente (legge n. 212 del 2000), ha stabilito talune regole incidenti sull’efficacia temporale delle norme tributarie, disponendo all’art. 3, primo comma, che “salvo quanto previsto dall’art.1, comma 2, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo”.
Tuttavia l’impostazione della disciplina dell’irretroattività in termini di tutela dell’affidamento, certezza del diritto ed attualità della capacità contributiva, consente di far salva la retroattività in melius: è questa la posizione accolta dalla Suprema Corte con la sentenza del 21 aprile 2001, n. 5931, laddove qualifica lo Statuto come “strumento di garanzia del contribuente (che) quindi, mentre serve ad arginare il potere dell’Erario nei confronti del soggetto più debole del rapporto d’imposta, non può ostacolare l’approvazione di disposizioni che siano a favore del contribuente” (sul punto si v. Melis G., L’interpretazione nel diritto tributario, Milano, 2003, p. 468).
L’art. 3 dello Statuto dei Diritti del Contribuente fa salva la previsione dell’art. 1, comma 2, del medesimo Statuto e dunque espressamente si esclude dal divieto di retroattività il ricorso all’istituto dell’interpretazione autentica, al quale, tuttavia, la previsione statuaria pone la limitazione alla disciplina di casi eccezionali e vi impone specifiche regole formali, tra le quali l’utilizzo della legge ordinaria e l’espressa qualificazione normativa (cfr. Tinelli G., Istituzioni di diritto tributario, 2016, Milano, p.109).
Quanto ai soggetti legittimati al potere d’interpretazione è evoluta ed assai risalente la costruzione dottrinaria secondo la quale il soggetto legittimato ad interpretare l’atto normativo sarebbe il solo autore materiale dello stesso, in quanto nella realtà costituzionale moderna risulta pacifico, oltre che condiviso, che legittimati in tal senso siano tutte le istituzioni titolari del potere di produzione normativa, intendendosi per tali anche il potere esecutivo nell’esercizio della funzione normativa costituzionalmente riservata; in aggiunta a ciò, è un logico corollario quello che non affidi indistintamente tale incidenza, ma che l’attribuisca solo a quelli che maggiormente esprimono (o dovrebbero) esprimere i valori politici tempo per tempo vigenti (sul punto si v. Fransoni G., L’efficacia della legge tributaria nel tempo e nello spazio, in AA.VV. (a cura di) Fantozzi A., Diritto tributario, p.314).