<p>Le nuove sanzioni tributarie - Lattanzi</p>
Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

31/10/2024 - Riforma delle sanzioni: sulla distinzione tra crediti d’imposta inesistenti e non spettanti

argomento: Sanzioni e contenzioso - Legislazione e prassi

L’introduzione del D.Lgs. n. 87/2024, nel contesto della riforma del sistema sanzionatorio tributario, ha affrontato la distinzione tra crediti d’imposta inesistenti e crediti non spettanti, in linea con la legge delega del 2023. La giurisprudenza aveva delineato i crediti inesistenti come quelli privi di presupposti costitutivi e non rilevabili con i controlli formali. Tuttavia, il decreto delegato ha eliminato il secondo di questi criteri, riducendo la chiarezza della distinzione e allontanandosi dalle indicazioni della Cassazione. Il decreto inserisce nuove definizioni di “crediti inesistenti” e “crediti non spettanti” nel D.Lgs. n. 74/2000 e gradua le sanzioni a seconda della gravità delle violazioni, ma permangono incertezze su alcuni aspetti operativi. Il tentativo di definire le due fattispecie in modo generale si scontra con la complessità e la varietà delle norme sui crediti d’imposta, risolvendosi in una distinzione non del tutto rigorosa. Si auspicano interventi specifici sulle singole discipline dei crediti per garantire maggiore certezza nella disciplina delle sanzioni.

PAROLE CHIAVE: Crediti d’imposta - Inesistenza - Non spettanza


di Antonio Viotto

1. Nel contesto della riforma del sistema sanzionatorio tributario, attuata con il D.Lgs. 14 giugno 2024, n. 87, il Governo è intervenuto sulla vexata quaestio della distinzione tra crediti d’imposta inesistenti e crediti non spettanti, cercando di rispondere alla sollecitazione prevista dalla legge delega (art. 20, comma 1, lett. a, n. 5, legge n. 111/2023) nella quale si indicava di procedere ad una più rigorosa distinzione normativa tra le due fattispecie, in conformità con l’orientamento della giurisprudenza.

Quella della distinzione tra inesistenza e non spettanza del credito è questione su cui da tempo si confronta la dottrina (senza pretesa di esaustività, si vedano, Basilavecchia M., Il trattamento sanzionatorio dell’indebita compensazione, in Corr. Trib., 2018, p. 2155 ss.; Califano C., Indebita compensazione del credito d’imposta per ricerca e sviluppo e attività di controllo volta alla contestazione dell’inesistenza dei crediti, in Riv. Tel. Dir. Trib., 30 settembre 2019; Coppola P., La fattispecie dell’indebito utilizzo di crediti d’imposta inesistenti e non spettanti tra i disorientamenti di legittimità e prassi: la ‘zona grigia’ da dipanare, in Dir. Prat. Trib., 2021, p. 1525 ss.; Del Federico L., Profili attuali in tema di crediti d’imposta: polimorfismo, funzione sovvenzionale, tutele e finanziarizzazione, in Riv. Dir. Trib., 2022, I, p. 2016 ss.; Iaia R., Il patologico utilizzo in compensazione di crediti d’imposta nella disciplina delle sanzioni amministrative tributarie, in Dir. Prat. Trib., 2023, p. 1346 ss.; Ingrao G., L’irrogazione delle sanzioni per irregolare e indebita compensazione dei crediti nell’evoluzione normativa, in Giur. Trib., 2011, p. 420 ss.; Letizia L., Crediti d’imposta “inesistenti” o “non spettanti”: la Corte di Cassazione precisa le differenze qualificatorie, in Riv. Tel. Dir. Trib., 31 dicembre 2021; Logozzo M., Gli incerti confini dell’indebita compensazione dei crediti inesistenti, in Corr. Trib., 2011, p. 2661 ss.), distinzione che, peraltro, non riguarda solo il profilo sanzionatorio, perché la qualificazione del credito come non spettante piuttosto che inesistente ha un impatto anche dal punto di vista procedimentale con riferimento ai tempi di decadenza dell’azione di recupero del credito attraverso il nuovo atto oggi disciplinato nell’art. 38-bis del d.p.r. n. 600/1973 (quinto anno per il credito non spettante e ottavo anno per quello inesistente).

 

2. Anche la giurisprudenza ha avuto modo di pronunciarsi diverse volte sulla questione ed a tali pronunce, come detto, fa espresso riferimento la legge delega.

Va allora anzitutto ricordato che la Corte di cassazione, nonostante avesse talvolta ritenuto priva di fondamento logico-giuridico la distinzione in questione, era giunta a ritenere che la nozione di credito inesistente dovesse essere ancorata «ad una dimensione “non reale” o “non vera”, ossia priva di elementi giustificativi fenomenicamente apprezzabili, se non anche con connotazioni di fraudolenza» (vd. sent. n. 34444/2021 e ord. n. 5243/2023).

Tale approdo è stato poi ripreso e specificato dalle Sezioni unite, dopo l’entrata in vigore della legge delega, nella nota sentenza n. 34419 dell’11.12.2023 (che fa il paio con la coeva n. 34452/2023), nella quale si affermava che i crediti inesistenti sono quei crediti nei quali manca il presupposto costitutivo e (così stabiliva l’art. 13, comma 5, del d.lgs. n. 471) la cui inesistenza non è rilevabile attraverso i controlli formali di cui agli articoli 36-bis e ter del d.p.r. n. 600/1973 e 54-bis del d.p.r. n. 633/1972. E, puntualizzava la Corte, questi due elementi vanno insieme a costituire la fattispecie sanzionatoria, per cui devono sussistere entrambi: mancanza dei presupposti costitutivi e non rilevabilità con i controlli formali.

Rispetto a questa impostazione, però, nel decreto delegato il secondo profilo viene meno, il che porta a ritenere che, mercè l’eliminazione del secondo elemento costitutivo della fattispecie sanzionatoria, cioè la non rilevabilità in base ai controlli formali, il Governo si sia allontanato dalla previsione della delega, sia perché si discosta dall’orientamento della giurisprudenza di vertice, sia perché, sopprimendo un elemento oggettivo della fattispecie normativa (quello relativo alla non rilevabilità in base ai controlli formali), finisce col rendere meno netta (e quindi meno rigorosa) la distinzione tra le due situazioni.

 

3. Nel lodevole intento di attuare la prescrizione della delega in ordine alla maggiore rigorosità della distinzione, il delegato decide, dunque, di avventurarsi in un’opera di definizione delle due situazioni (inesistenza/non spettanza), ma nel far ciò si scontra con la difficoltà di ricondurre ad unità, nell’ambito di definizioni generali e astratte, patologie relative a fattispecie normative tra loro molto diverse e assai articolate, quali sono quelle che regolano la variegata materia dei crediti d’imposta, costruite in modo molto differenziato e disomogeneo tra loro, fattispecie peraltro concepite prima della introduzione della distinzione in esame e, dunque, senza avere a riferimento i parametri ora introdotti dalla riforma.

Meglio sarebbe stato, invece, sul piano della chiarezza e della rigorosità, prevedere, nel corpo delle disposizioni concernenti i singoli crediti, gli specifici elementi richiesti a pena di inesistenza, relegando la mancanza degli altri all’area della non spettanza.

Senonché, come detto, la scelta del delegato è caduta, dal punto di vista metodologico, sulla sola definizione di fattispecie in termini generali, cercando di tener conto delle precisazioni formulate dalla Corte di cassazione, ma discostandosi in alcuni punti, peraltro non secondari, dal più recente orientamento delle Sezioni unite.

Giova qui ricordare nuovamente che la Corte di cassazione aveva affermato che i crediti inesistenti sono quelli in cui mancano i presupposti costituivi, il che significa che: o il contribuente non ha fatto per niente l’attività che dà diritto al credito; oppure l’ha fatta e ha ottenuto il credito ma esso è venuto meno; oppure, ancora, ha messo in atto delle operazioni fraudolente, simulando l’attività o utilizzando fatture false; oppure il credito esiste ma compete ad un soggetto diverso, e via dicendo. Le Sezioni unite distinguevano poi i presupposti costitutivi dagli elementi da considerarsi accessori. Tra i primi si individuava il fatto che il Legislatore richieda a pena di decadenza la presentazione di un’istanza o un certo adempimento; il fatto che si imponga al contribuente un certo facere o non facere; il fatto che non si vada oltre un termine finale, o non si verifichi una condizione risolutiva; in assenza di tali presupposti il credito non c’era, o veniva meno. Non erano invece elementi costitutivi, secondo la suprema Corte, l’osservanza di adempimenti procedurali o di soglie e di limiti di valore (esempio tipico: il credito c’è, ma viene utilizzato per un importo maggiore rispetto a quello che la norma prevede), oppure il fatto che fosse rispettato un termine iniziale o una condizione sospensiva.

 

4. A fronte di queste indicazioni giurisprudenziali, nella prima bozza del decreto delegato (approvata dal Consiglio dei ministri il 21 febbraio 2024) si definiva il credito d’imposta come inesistente in caso di mancanza del presupposto costitutivo. Il problema era però riuscire ad individuare cosa fosse il presupposto costitutivo di un credito; e la questione si complicava andando a leggere la definizione di crediti non spettanti, che venivano individuati con riferimento a fatti reali non rientranti nella fattispecie per difetto di specifici elementi o particolari qualità. La difficoltà risiedeva in particolare nel dire se questi specifici elementi o particolari qualità fossero anche parte del presupposto costitutivo; infatti, dal momento che solo se il credito non poteva essere considerato inesistente, avrebbe potuto essere considerato non spettante, qualora un elemento specifico fosse stato un presupposto costitutivo del credito, la mancanza di quell’elemento avrebbe fatto qualificare il credito come inesistente, non come non spettante. Ciò in ragione del rapporto di sussidiarietà che, stando alla Relazione illustrativa, stava alla base della distinzione e avrebbe dovuto portare a ritenere che, nel caso di difformità rispetto alla norma che disciplina il singolo credito, solo una volta esclusa l’inesistenza sarebbe stato possibile ipotizzare la non spettanza (in termini critici sull’impostazione della prima versione del decreto vd. Giovanardi A., Prime osservazioni sullo schema di decreto legislativo recante revisione del sistema sanzionatorio tributario, in Riv. Tel. Dir. Trib., 20 aprile 2024).

 

5. Il testo definitivo del decreto n. 87 però modifica il quadro.

In primo luogo, la definizione di crediti inesistenti e crediti non spettanti viene inserita all’interno del d.lgs. n. 74/2000, come noto concernente i reati tributari, nell’ambito delle «definizioni» di cui all’art. 1, nel quale si introducono le lettere g-quater e g-quinquies.

In secondo luogo, questa definizione viene utilizzata all’interno dell’articolo 13 del d.lgs. n. 471/1997 per graduare la sanzione amministrativa (sanzione pari al 25% nel caso di utilizzo di credito non spettante; sanzione pari al 70%, nel caso di utilizzo di credito inesistente, aumentata dalla metà al doppio nel caso in cui il credito inesistente sia oggetto di rappresentazioni fraudolente).

Inoltre, il credito inesistente viene ora definito come quel credito per il quale mancano in tutto o in parte «i requisiti oggettivi o soggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento», oppure quando i requisiti oggettivi e soggettivi sono oggetto di rappresentazioni fraudolente attuate con documenti materialmente o ideologicamente falsi, simulazioni o artifici.

Tralasciando l’aspetto della fraudolenza (di cui non mi occuperò in questa sede), il punto delicato concerne la mancanza di quelli che oggi vengono detti “requisiti oggettivi e soggettivi”, non più “presupposti costitutivi” del credito. La novità sicuramente apprezzabile è che si qualifichino tali requisiti come “specificamente indicati” nella norma: il che significa che dei requisiti che non stiano nella disciplina normativa e che qualcuno pretenda di individuare aliunde, facendo riferimento a manuali di Frascati piuttosto che di Oslo o ad altre fonti, non sono “requisiti oggettivi specificamente indicati”. Sicché, la loro mancanza non può condurre all’inesistenza del credito.

Rimane però il problema di capire cosa si debba intendere per requisiti oggettivi e soggettivi. E qui torna la questione della sussidiarietà tra la definizione di crediti inesistenti e quella di crediti non spettanti.

Nella nuova lettera g-quinquies, infatti, il credito – come già nella prima versione del decreto – viene definito non spettante anzitutto se c’è violazione della modalità di utilizzo o se risulta fruito in misura superiore a quella stabilita dalla norma (vd. lett. g-quinquies, n. 1).

Inoltre, il credito viene qualificato come non spettante allorquando, pur in presenza dei requisiti soggettivi e oggettivi specificamente indicati dalla norma, esso è fondato su fatti non rientranti nella disciplina attributiva del credito per difetto di «ulteriori elementi o particolari qualità richiesti ai fini del riconoscimento del credito» stesso. Quindi, sotto quest’ultimo profilo, perché il credito sia non spettante, e dunque non inesistente, è necessario che ci siano i requisiti oggettivi e soggettivi previsti dalla legge e che quelli mancanti siano elementi ulteriori o particolari qualità, richiesti dalla legge non già ai fini dell’esistenza del credito, bensì ai fini del suo riconoscimento.

Tuttavia, è chiaro che, anche così dicendo, rimane ancora un’area di grande indeterminatezza, perché manca la declinazione di cosa debba intendersi per requisiti oggettivi (oltre che soggettivi), ed anche perché non è per nulla agevole stabilire la differenza tra “esistenza” di un credito e “riconoscimento” dello stesso.

Ora, a me pare che, anche recuperando (almeno in parte) l’orientamento della Cassazione, i requisiti oggettivi e soggettivi possano essere individuati in quelli che la Corte denominava i «presupposti costitutivi», vale a dire gli elementi che – in base alle singole disposizioni – possono dirsi essenziali per la nascita di quel credito, perché si possa dire che quel credito esiste, nel senso che “è reale” (quelli che la stessa Corte denominava «elementi giustificativi fenomenicamente apprezzabili»); mentre la mancanza di altri (ulteriori) elementi, non essenziali, potrebbe determinare (al più) la non spettanza del credito.

Ciò al fine di graduare, in ossequio al principio della proporzionalità, la risposta sanzionatoria rispetto alla gravità della condotta, che è obiettivamente maggiore laddove manchi l’attività generativa del credito o qualora detta attività non abbia i requisiti prescritti dalla legge.

6. La nuova disposizione annovera poi tra i crediti non spettanti quelli utilizzati in difetto dei prescritti adempimenti amministrativi previsti a pena di decadenza (vd. art. 1, lettera g-quinquies, n. 3), del d.lgs. n. 74/2000), e nel far ciò si discosta dall’orientamento delle Sezioni unite della cassazione, le quali, nel caso di decadenza dal diritto di utilizzare il credito, avevano ritenuto lo stesso come inesistente.

Infine, nel caso di mancanza di un adempimento amministrativo di carattere strumentale, non previsto a pena di decadenza, il legislatore delegato ha previsto, nell’art. 13, comma 4-bis, del d.lgs. n. 471/1997, che trovi applicazione la stessa sanzione stabilita per l’utilizzo di credito non spettante, a meno che le relative violazioni non siano state rimosse, secondo quanto stabilito dal comma 4-ter. Questo, a sua volta, stabilisce che, qualora la violazione venga rimossa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno di commissione della violazione (ovvero, in assenza della dichiarazione, entro un anno dalla commissione della violazione), trovi applicazione la sanzione ridotta, pari ad euro 250.

Ora, giova segnalare che la mancanza di adempimenti amministrativi non prescritti a pena di decadenza non configura un’ipotesi di non spettanza del credito, in quanto il nuovo art. 1, lettera g-quinquies, n. 3), del d.lgs. n. 74/2000 menziona espressamente e solamente quelli previsti a pena di decadenza; inoltre il nuovo comma 4 dell’art. 13, nel definire le ipotesi di inesistenza e non spettanza attraverso il rinvio alle nuove lett. g-quater e g-quinquies del d.lgs. n. 74/2000, esordisce facendo «salvo quanto previsto dal comma 4-ter» e, infine, il comma 4-bis, dopo aver indicato la sanzione per il caso di utilizzo di credito non spettante, prevede che la stessa sanzione si applica nel caso di mancanza di adempimenti amministrativi non prescritti a pena di decadenza.

Sicché, mi pare si possa ritenere che la mancanza di adempimenti amministrativi non prescritti a pena di decadenza viene sanzionata alla stessa stregua della non spettanza, pur non integrando una fattispecie di non spettanza del credito. Con la differenza, rispetto ai casi di non spettanza del credito, che al contribuente è riconosciuta la possibilità di provvedere spontaneamente e rapidamente a rimuovere la violazione, nel qual caso trova applicazione la sanzione fissa di 250 euro.

Tuttavia, non è chiaro se detta violazione (di carattere formale, documentale) possa essere “sanata” attraverso il pagamento della sanzione fissa di 250 euro e se la rapida e tempestiva effettuazione degli adempimenti amministrativi in precedenza omessi possa consentire al contribuente di mantenere il credito utilizzato in compensazione, evitando di doverlo riversare: in tal senso mi sembra possa deporre il fatto che in tali situazioni il credito non viene qualificato come non spettante, sicché lo stesso non potrebbe essere oggetto di recupero, almeno stando a quanto disposto dal neointrodotto art. 38-bis del d.p.r. n. 600/1973.

In conclusione, mi pare si possa dire che dalla prima lettura delle nuove disposizioni emergano diversi profili da chiarire in ordine ai crediti d’imposta inesistenti e non spettanti e che, soprattutto, non si possa dire ancora risolta la vexata quaestio della distinzione tra le due fattispecie sanzionatorie.

Ciò, a mio modo di vedere, a motivo della scelta di non circoscrivere l’area dell’inesistenza alle fattispecie connotate da fraudolenza, falsità (materiale o ideologica), simulazioni o artifici, e delle difficoltà insite nel declinare definizioni di carattere generale rispetto alle specificità e alle differenze esistenti tra le discipline dei singoli crediti.

Sicché, per recuperare la rigorosità auspicata dal legislatore delegante, e non raggiunta dal decreto, e per rispondere alle esigenze di certezza degli operatori, anche in ragione delle diverse conseguenze che sul piano amministrativo e penale possono derivare dalle violazioni in questione, sarebbe quanto meno opportuno affiancare alle definizioni generali, introdotte nelle menzionate lettere g-quater e g-quinquies dell’art. 1 del D.Lgs. n. 74/2000, degli interventi sulle singole disposizioni che regolano i diversi crediti, al fine di individuare, caso per caso, con precisione gli elementi essenziali, la cui mancanza determina l’inesistenza di ogni singolo credito.