<p>Le nuove sanzioni tributarie - Lattanzi</p>
Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

20/11/2024 - Fiscalita’ locale e principio “chi inquina paga”: la declinazione dei tributi ambientali a livello comunale

argomento: IRAP e tributi locali - Legislazione e prassi

Nel presente contributo ci si interroga se nella disciplina dei tributi locali sono ravvisabili profili che consentono di discriminare qualitativamente soggetti inquinanti e non inquinanti. Si tratta, anzitutto, di comprendere se esistono tributi locali qualificabili come ambientali. Al riguardo, la dottrina ha riconosciuto natura ambientale alla tassa sui rifiuti e alle imposte sul turismo. È però opportuno comprendere se questi tributi sono istituiti secondo i dettami del principio di matrice comunitaria “chi inquina paga” oppure se la loro connotazione ambientale sia esclusivamente collegata alla destinazione del gettito. Solo nel primo caso, infatti, siffatti tributi consentono di operare una discriminazione qualitativa tra soggetti “verdi” e “non verdi”, perché assumono a presupposto del tributo un indice di inquinamento, addossando a chi inquina un onere fiscale più gravoso di quello che è chiamato a sostenere colui che è rispettoso dell’ambiente. Nella seconda ipotesi, invece, siamo di fronte a meri tributi di scopo, che non rilevano ai fini ambientali per la capacità inquinante dei contribuenti ma soltanto per l’impiego della finanza pubblica, cioè la previsione di una destinazione vincolata del gettito riscosso. Progetto di ricerca Prin PNRR “Fiscalità e finanza pubblica nella transizione verso uno sviluppo economico sostenibile” finanziato con fondi del Ministero dell’Università e della Ricerca nell’ambito del Programma finanziato dall’Unione Europea. NextGenerationEU, PRIN PNRR 2022 Prog. N. P20229KAX2.

PAROLE CHIAVE: tributi locali ambientali - principio “chi inquina paga - tassazione locale sui rifiuti


di Cesare Borgia

1. L’analisi che si intende condurre ha ad oggetto la compatibilità della fiscalità locale con il principio comunitario “chi inquina paga”. Analizzeremo i principali tributi locali che sono stati qualificati in dottrina come tributi aventi natura ambientale al fine di indagare se la loro disciplina consente effettivamente di addossare l’onere del tributo in capo ai soggetti inquinanti, discriminando qualitativamente questi ultimi da coloro che, al contrario, adottano comportamenti “environmentally friendly”. In maggior dettaglio, s’intende affrontare lo studio prendendo in esame tre macroaree di tributi locali: la fiscalità locale dei rifiuti, la tassazione locale del turismo e la fiscalità locale degli immobili.

2. Prendiamo dunque le mosse dalla tassa sui rifiuti (Tropea A., L’armonizzazione europea della tassa sui rifiuti. L’applicazione del principio pay as you throw, in Dir. prat. trib. int., n. 3/2019, 703 ss.).

Com’è noto, si tratta di un tributo locale, istituito a livello statale, in relazione al quale si sono succedute numerose discipline:

-     tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), istituita dall’art. 58 del D.Lgs. n. 507/1993;

-     tassa d’igiene ambientale nelle versioni TIA1 istituita dall’art. 49 del D.Lgs. n. 22/1997 (Decreto Ronchi) e TIA2 istituita dall’art. 238 del D.Lgs. n. 152/2006 (Codice dell’ambiente);

-     tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), istituito dall’art. 14 del D.L. n. 201/2011 (convertito dalla Legge n. 214/2011) e applicabile a decorrere dal 1° gennaio 2013;

-     tassa sui rifiuti (TARI), istituita dall’art. 1, comma 639, della Legge n. 147/2013 (Legge di stabilità 2014) e applicabile - in sostituzione di tutti i precedenti tributi - a decorrere dal 1° gennaio 2014.

L’art. 183 d.lgs. n. 152/2006 (Codice dell’ambiente) ha introdotto la nozione di rifiuto, ossia “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”. Nel predetto testo di legge viene anche effettuata una distinzione tra rifiuti urbani, rifiuti speciali, rifiuti pericolosi e rifiuti non pericolosi.

La TARI è incompatibile, in linea generale, con il principio “chi inquina paga”, perché il presupposto è rappresentato da “il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse dalla TARI le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, non operative, e le aree comuni condominiali di cui all'articolo 1117 del codice civile che non siano detenute o occupate in via esclusiva” (art. 1 co. 641 L. 147/2013) e, quanto ai soggetti passivi, “La TARI è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. In caso di pluralità di possessori o di detentori, essi sono tenuti in solido all'adempimento dell'unica obbligazione tributaria” (art. 1 co. 642 L. 147/2013).

In generale, la TARI non consente perciò di colpire in modo differenziato i soggetti inquinanti. Tuttavia, i comuni hanno la facoltà di discriminare qualitativamente chi rispetta l’ambiente ai fini TARI.

In particolare, è lasciata ai comuni la facoltà di determinare la TARI in conformità alle quantità e qualità inquinanti dei rifiuti prodotti per unità di superficie, tenendo conto degli usi e delle attività svolte nei locali o nelle aree scoperte, “nel rispetto del principio chi inquina paga” (art. 1 co. 662 L. 147/2013 - si tratta di una facoltà già riconosciuta ai comuni dalla disciplina della TARSU, art. 65 d.lgs. n. 507/1993). In questo caso, siamo di fronte ad un tributo ambientale in senso stretto, perché il presupposto del tributo è costituito da un indice di inquinamento (la quantità di rifiuti prodotti) e non dalla mera superficie dei locali potenzialmente idonei a produrre rifiuti.

In alternativa, sempre in attuazione del principio “chi inquina paga”, è prevista (dall’art. 1 co. 667 L. 147/2013) la facoltà per i comuni di adottare una tariffa di natura corrispettiva, a condizione che la quantità dei rifiuti conferiti al servizio pubblico sia misurata con precisione (sulla base di criteri definiti con decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze di criteri per la realizzazione da parte dei comuni di sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico o di sistemi di gestione caratterizzati dall'utilizzo di correttivi ai criteri di ripartizione del costo del servizio).

La prima tariffa puntuale è stata adottata in Alto Adige, nel comune di Plaus (BZ) nel 1993 e poi nel comune di Merano (BZ) nel 1996. In seguito, nel 2006 la tariffa puntuale è stata estesa a tutta la provincia autonoma di Bolzano (con legge provinciale del 26 maggio 2006, n. 4). Ulteriori esperienze di tariffa puntuale sono state effettuate in Lombardia, nel comune di Torre Boldrone (BG) e nel comune di Navigli nel 1996. Secondo uno studio IFEL (IFEL. Fondazione ANCI, Guida alla tariffazione puntuale dei rifiuti urbani, Dossier e Manuali, 2019, accessibile su www. Fondazioneifel.it/documenti-e-pubblicazioni/item/9907-guida-alla-tariffazione-puntuale-dei-rifiuti-urbani) nel 2018 la tariffa puntuale era adottata da 755 comuni, rappresentanti il 9,5% dei comuni italiani, tutti ubicati nel nord Italia.

La tariffa corrispettiva è oggi applicata anche in altri comuni italiani. Ad esempio, in alcuni comuni toscani è attiva da gennaio 2023. La misurazione puntuale dei rifiuti prodotti viene effettuata consegnando ai contribuenti un kit di raccolta dotato di uno strumento di rilevazione (c.d. TAG) che consente di registrare i rifiuti e associarli all’utenza una volta raccolti. In particolare, è attiva nei Comuni di Borgo San Lorenzo, Capraia e Limite, Castelfiorentino, Certaldo, Chiesina Uzzanese, Empoli, Fiesole, Fucecchio, Gambassi Terme, Lastra a Signa, Monsummano Terme, Montale, Montelupo Fiorentino, Montespertoli, Pieve a Nievole, Scarperia e San Piero e Vinci (https://www.aliaserviziambientali.it/it-it/tariffa-corrispettiva e https://www.sportellotariffa.it/arriva-la-nuova-tariffa-corrispettiva-per-13-comuni-dellato-toscana-centro/).

È adesso opportuno soffermarci brevemente su un modello di tassa sui rifiuti che è invece di per sé compatibile con il principio “chi inquina paga”. Si tratta del tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi (c.d. ecotassa) che, tuttavia, è un tributo regionale e non locale, che colpisce la fase finale dello smaltimento dei rifiuti: dalla raccolta al conferimento in discarica. Esso rappresenta un chiaro esempio di tributo che consente di discriminare qualitativamente i soggetti inquinanti da quelli non inquinanti (art. 3, co. 24 ss. L. 549/1995).

Il presupposto dell’imposta è dato dal deposito in discarica e in impianti di incenerimento senza recupero energetico dei rifiuti solidi, compresi i fanghi palabili. Soggetto passivo è il gestore dell’impresa di stoccaggio definitivo (soggetto passivo di diritto), con obbligo di rivalsa nei confronti di colui che effettua il conferimento (soggetto passivo di fatto). La base imponibile è data dalla quantità dei rifiuti conferiti in discarica.

Il tributo è dovuto alle Regioni e una quota parte del gettito è destinata ai comuni ove sono ubicati le discariche o gli impianti di incenerimento senza recupero energetico e ai comuni limitrofi, effettivamente interessati dal disagio provocato dalla presenza della discarica o dell’impianto. Il gettito è destinato alla “realizzazione di interventi volti al miglioramento ambientale del territorio interessato, alla tutela igienico-sanitaria dei residenti, allo sviluppo di sistemi di controllo e di monitoraggio ambientale e alla gestione integrata dei rifiuti urbani. La restante quota del gettito derivante dall’applicazione del tributo affluisce in un apposito fondo della regione destinato a favorire la minore produzione di rifiuti, le attività di recupero di materie prime e di energia, con priorità per i soggetti che realizzano sistemi di smaltimento alternativi alle discariche, nonché a realizzare la bonifica dei suoli inquinati, ivi comprese le aree industriali dismesse, il recupero delle aree degradate per l’avvio ed il finanziamento delle agenzie regionali per l’ambiente e la istituzione e manutenzione delle aree naturali protette. L’impiego delle risorse è disposto dalla regione, nell’ambito delle destinazioni sopra indicate, con propria deliberazione, ad eccezione di quelle derivanti dalla tassazione dei fanghi di risulta che sono destinate ad investimenti di tipo ambientale riferibili ai rifiuti del settore produttivo soggetto al predetto tributo”.

Si tratta, quindi, di un tributo che tiene in considerazione il volume e la qualità dei rifiuti conferiti, dunque il loro potenziale inquinante. Inoltre, il gettito è destinato a tutta una serie di misure preordinate alla tutela dell’ambiente. Per come è strutturata, questa imposta costituisce perciò un tributo ambientale in senso proprio, dato che il presupposto del tributo è rappresentato da un elemento inquinante (quantità e qualità dei rifiuti conferiti) e il tributo grava in ultima battuta sul soggetto inquinatore.

3. Passiamo ora alla tassazione sul turismo. Anche nelle imposte locali sul turismo, quali l’imposta di soggiorno, il contributo di sbarco e il ticket di accesso alla città di Venezia, sono ravvisabili alcuni profili di fiscalità ambientale (Farri F., Tourism in Italy – Tax Law Profiles, in Riv. telematica dir. trib., 15 gennaio 2020; Mendola D., Note sull’imposta di soggiorno, nel quadro dei tributi ambientali, tra presupposto impositivo astrattamente economico e novellata responsabilità del gestore della struttura ricettiva, in Riv. telematica dir. trib., 27 luglio 2023).

Si tratta di tributi locali – di istituzione statale – il cui obiettivo è quello di far fronte ai disagi causati alla comunità locale dai flussi turistici intensi (non solo in termini di inquinamento, ma anche di utilizzo dei servizi offerti dal comune, tra cui ovviamente quello di raccolta e smaltimento rifiuti). Questi tributi però non consentono di discriminare qualitativamente chi inquina e chi no, perché colpiscono il turista indistintamente. Ciò che consente di qualificare il tributo come “ambientale” è solo la destinazione del gettito a favore del territorio.

In maggior dettaglio, l’imposta di soggiorno costituisce un tributo proprio derivato, previsto a livello statale dall’art. 4 del d.lgs. 23/2011, il cui comma 1, primo periodo, recita: “I comuni capoluogo di provincia, le unioni di comuni nonché i comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d'arte possono istituire, con deliberazione del consiglio, un'imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio, da applicare, secondo criteri di gradualità in proporzione al prezzo, sino a 5 euro per notte di soggiorno”.

È considerato un tributo ambientale c.d. di scopo, in quanto la sua natura “ambientale” è connessa alla destinazione del gettito “a finanziare interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive, nonché interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali locali e dei relativi servizi pubblici locali, nonché i costi relativi al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti”.

Il riferimento al finanziamento dei “costi relativi al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti” è stato inserito dall’art. 1, co. 493 della legge 30 dicembre 2023, n. 213 ed è un elemento che rafforza la connotazione ambientale in senso ampio del tributo, non limitata alla mera tutela “paesaggistica” bensì collegata anche al vero e proprio inquinamento correlato ai flussi turistici.

La ratio del tributo risiede nel fatto che il turista, durante il suo pernottamento in una struttura ricettiva comunale, usufruisce dei servizi che offre il territorio e contribuisce anche al suo inquinamento (fisiologico). Inoltre, il flusso turistico, in particolare nelle città che costituiscono mete di elezione per il turismo, italiano ma soprattutto straniero, (quali ad esempio Roma, Firenze, Venezia, Napoli) comporta un significativo appesantimento nell’erogazione dei servizi pubblici per la collettività locale in termini di tempo e costi (anche di personale impiegato). Peraltro, alle città che sperimentano flussi turistici intensi (con un numero pari a venti volte superiore quello dei residenti, valore misurato in base alla media relativa al triennio precedente rispetto al periodo d’imposta di applicazione del tributo) l’art. 1, co. 787 della legge 29 dicembre 2022, n. 197 ha previsto l’inserimento di un comma 1 bis nell’art. 4 citato che consente ai comuni di applicare l’imposta di soggiorno fino all’importo massimo di 10 euro per notte di soggiorno (e non 5 euro).

Per i comuni che hanno sede giuridica nelle isole minori e i comuni nel cui territorio insistono isole minori il comma 3 ter dell’art. 4 (introdotto con l’art. 4, co. 2 bis del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, poi modificato dall’art. 33, co. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 221) prevede la possibilità di istituire, in alternativa all'imposta di soggiorno, un contributo di sbarco (fino ad un massimo di euro 2,50 che può però essere aumentato fino a un massimo di 5 euro in determinati periodi di tempo) ai passeggeri che sbarcano sul territorio dell'isola minore, utilizzando vettori che forniscono collegamenti di linea o vettori aeronavali che svolgono servizio di trasporto di persone a fini commerciali, abilitati e autorizzati ad effettuare collegamenti verso l'isola.

Si tratta del c.d. contributo di sbarco, che consente a questi comuni di tassare il turismo “mordi e fuggi”, più frequente nelle isole minori dove i turisti, nella maggior parte dei casi, si trattengono per una sola giornata. Questo tributo è alternativo all’imposta di soggiorno; pertanto, al turista che paga il contributo di sbarco non può essere richiesto anche il pagamento dell’imposta di soggiorno e viceversa. Com’è evidente, l’alternatività tra imposta di soggiorno e contributo di sbarco pone alcune problematiche, posto che il vettore (chiamato dalla legge a riscuotere il contributo di sbarco insieme al prezzo del biglietto e che è altresì qualificato come responsabile del pagamento, con diritto di rivalsa sui soggetti passivi) è il soggetto che dovrebbe garantire che il turista non si trovi a pagare l’imposta due volte.

Anche il contributo di sbarco ha una finalità ambientale, emergente dal fatto che il gettito è destinato a interventi nelle singole isole minori dell'arcipelago in proporzione agli sbarchi effettuati nelle medesime (tributo ambientale di scopo).

Ad esempio, il comune di Favignana ha istituito un contributo di sbarco nella misura ordinaria di € 2,50 per ogni singolo passeggero per le tratte verso l’isola di Favignana e nella misura di € 1,50 per le tratte verso le isole di Levanzo e Marettimo. Per i mesi di giugno, luglio, agosto e settembre può essere previsto un incremento annuale del contributo fino ad un massimo di € 5,00 (v. Regolamento per la disciplina del contributo di sbarco approvato con deliberazione di Consiglio comunale n. 42 del 30/12/2016, modificato con deliberazione di Consiglio comunale n. 8 del 30/03/2021, modificato con deliberazione di Consiglio comunale n. 5 del 29/03/2022).

La natura ambientale del tributo si manifesta in modo chiaro anche nella previsione secondo cui “i comuni possono altresì prevedere un contributo fino ad un massimo di euro 5 in relazione all'accesso a zone disciplinate nella loro fruizione per motivi ambientali, in prossimità di fenomeni attivi di origine vulcanica; in tal caso il contributo può essere riscosso dalle locali guide vulcanologiche regolarmente autorizzate o da altri soggetti individuati dall'amministrazione comunale con apposito avviso pubblico. Il gettito del contributo è destinato a finanziare interventi di raccolta e di smaltimento dei rifiuti, gli interventi di recupero e salvaguardia ambientale nonché interventi in materia di turismo, cultura, polizia locale e mobilità nelle isole minori”.

Infine, costituisce una particolare forma di contributo di sbarco il c.d. ticket di accesso alla città di Venezia (Tosi L. – Bagarotto E.M., La tassazione delle città d’arte ed il contributo di accesso alla città di Venezia, in Riv. trim. dir. trib., n. 1/2021, 97 ss.). Infatti, proprio in considerazione del fatto che i flussi turistici a Venezia sono particolarmente intesi, soprattutto in alcuni periodi dell’anno, l’art. 1, comma 1129 della legge 30 dicembre 2018, n. 145 ha previsto che il comune di Venezia sia autorizzato ad applicare, per l’accesso con qualsiasi vettore, alla Città antica e alle altre isole minori della laguna, il contributo di sbarco (ex art. 4, co. 3 bis del d.lgs. 23/2011) alternativamente all’imposta di soggiorno. La ratio pertanto è la medesima: tutelare il patrimonio culturale e ambientale di Venezia e finanziare i servizi pubblici comunali tenendo conto non solo dei turisti pernottanti ma anche dell’intenso flusso di turisti giornalieri (che magari pernottano fuori dalla città antica).

4. Giungiamo infine alla fiscalità locale degli immobili. A livello locale non c’è un’imposta sugli immobili che consente di discriminare i soggetti inquinanti rispetto a quelli “verdi”. Il tributo locale sugli immobili per definizione, cioè l’IMU, non contiene alcun elemento di disciplina che permette di effettuare una simile distinzione qualitativa.

E’ però interessante notare che per gli impianti fotovoltaici che insistono sulla copertura di un capannone industriale già censito (che non costituisce una centrale elettrica a pannelli fotovoltaici suscettibile di autonomo accatastamento, a differenza del parco fotovoltaico realizzato con strutture direttamente appoggiate al suolo) l’Agenzia del territorio (nota n. 31892/2012) ha chiarito che “non sussiste l’obbligo di accatastamento come unità immobiliari autonome, in quanto possono assimilarsi agli impianti di pertinenza degli immobili”. Inoltre, con circolare n. 27/E/2016 l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che “con specifico riferimento alle installazioni fotovoltaiche realizzate su edifici e su aree di pertinenza, comuni o esclusive, di fabbricati o unità immobiliari non sussiste l’obbligo di accatastamento come unità immobiliari autonome, in quanto possono assimilarsi agli impianti di pertinenza degli immobili”. In base all’orientamento dei giudici di merito (CTR Piemonte n. 1036/2021; CTR Lombardia n. 3062/2020; CGT I Udine n. 27/2023; CGT I Vicenza n. 291/2024), siccome l’impianto fotovoltaico realizzato sul tetto di edifici industriali esistenti non è suscettibile di autonomo accatastamento, l’ente locale non ha titolo per procedere all’accertamento secondo il ricorso al c.d. valore contabile, che riguarda esclusivamente i fabbricati non iscritti al catasto. In seguito, l’art. 1, co. 21 L. n. 208/2015 ha previsto che “A decorrere dal 1° gennaio 2016, la determinazione della rendita catastale degli immobili a destinazione speciale e particolare, censibili nelle categorie catastali dei gruppi D e E, è effettuata, tramite stima diretta, tenendo conto del suolo e delle costruzioni, nonché degli elementi ad essi strutturalmente connessi che ne accrescono la qualità e l’utilità, nei limiti dell’ordinario apprezzamento. Sono esclusi dalla stessa stima diretta macchinari, congegni, attrezzature ed altri impianti, funzionali allo specifico processo produttivo”. La Cassazione (sent. n. 21287/2020) ha poi chiarito che “l’art. 1, comma 21, Legge n. 208/2015 che sancisce l’irrilevanza catastale di tutta la componente impiantistica (…), È quindi ben possibile che un elemento strutturalmente connesso al suolo o alla costruzione che ne accresce la qualità o l’utilità debba essere espunto dalla valutazione catastale in ragione della sua specifica funzionalità rispetto al processo produttivo”.

In altri termini, i comuni non possono individuare nell’installazione di impianti fotovoltaici un nuovo presupposto da assoggettare ad IMU. Questa limitazione può essere letta come favor nei confronti dei contribuenti che si impegnano attivamente nel processo di transizione energetica, adoperandosi per l’utilizzo di fonti di energia rinnovabile (in particolare quella solare) (Vozza A., Insussistenza dell’obbligo di procedere ad autonomo accatastamento delle installazioni fotovoltaiche su edifici. Commento a CGT I Vicenza n. 291 del 30 giugno 2022, dep. Il 28 maggio 2022, in il fisco, n. 28/2024, 2710 ss.).

5. In conclusione, non esistono nel nostro ordinamento giuridico tributi locali ambientali in senso proprio, cioè tributi che individuino un presupposto collegato allo sfruttamento e/o al deterioramento dell’ambiente e che modulino la base imponibile in relazione al livello di inquinamento prodotto (ma, come abbiamo visto, lo stesso non può dirsi per quelli regionali). Esistono purtuttavia tributi che perseguono la finalità extrafiscale della tutela dell’ambiente, addossandone però l’onere a tutti i contribuenti indiscriminatamente, a prescindere, cioè, dal livello di inquinamento effettivamente prodotto da ciascun contribuente. Qualche cambiamento è però nell’aria, se consideriamo l’impegno di alcuni comuni nel settore della tassazione dei rifiuti di introdurre tariffe (non tributi) che rispettino i dettami del principio “chi inquina paga”.